L’aumento dell’età media della popolazione ha portato nell’ultimo decennio ad una maggiore frequenza di osservazione della degenerazione maculare senile che attualmente interessa il 25% della popolazione oltre i 65 anni e quasi il 50% di quella oltre gli 80 anni. “ Molti passi avanti sono stati fatti nella cura di questa affezione soprattutto nella prevenzione e nella diagnosi precoce - ci spiega il dott. Gennaro Tramontano, noto chirurgo oculista a Milano e a Napoli - ; nella forma cosiddetta umida, meno frequente, sono confortanti i risultati degli ultimi anni con le iniezioni intravitreali di farmaci Antiangiogenici ( Inibitori del VEGF) talvolta associati alla terapia fotodinamica; in un prossimo recente futuro inoltre si è fiduciosi nell’efficacia della terapia genica che consiste nell’iniettare all’interno del bulbo oculare il gene Pdef (coinvolto nella produzione di una proteina che ...(una proteina che regola la formazione dei vasi sanguigni e che è scarsamente presente nei pazienti affetti da maculopatia ) utilizzando come vettore un adenovirus incapace di replicarsi. Nella degenerazione maculare secca, invece, più frequente e dall’evoluzione più lenta, le possibilità terapeutiche sono minori ma possono inizialmente rispondere bene ad appropriati trattamenti di riabilitazione visiva. Nelle forme più avanzate ed in presenza di una concomitante cataratta è possibile da poco utilizzare un vero e proprio sistema di riabilitazione visiva per ipovedenti che negli ultimi tempi sta regalando ai chirurghi oculisti, me compreso, risultati davvero incoraggianti e che provo a spiegare rapidamente. Con un particolare esame preoperatorio si valuta se il paziente presenta un’area retinica perimaculare ancora funzionante o non particolarmente compromessa; qualora e solo se questa area esiste è possibile arruolare il paziente per l’intervento ed un sofisticato software identifica il punto esatto dove questa zona si trova e ne dà informazione al chirurgo. Prima del trattamento chirurgico comincia il percorso riabilitativo in cui si insegna al paziente, tramite software, ad utilizzare quel punto retinico che verrà dopo l’intervento utilizzato per la visione nonché vengono fatte prove di simulazione visiva che riproducono la modalità di visione ingrandita offerta dal sistema in questione. Si passa quindi all’intervento di cataratta vero e proprio, - afferma il dott. Tramontano - in cui, anzicchè un comune cristallino artificiale, ne viene impiantato uno composto da una doppia lente con effetto telescopico, ossia di ingrandimento delle immagini che raggiungono la retina, e con effetto prismatico in modo da indirizzare il fuoco di tale lente nel punto esatto in cui preventivamente si è potuto accertare esisti un’ area perimaculare ancora in parte funzionante. Terminata questa fase ne comincia una altrettanto importante e fondamentale di due cicli di sei settimane rappresentata da esercizi riabilitativi, anche domiciliari, proposti da un sofisticato software in cui si va a consolidare la visione in quell’area retinica ancora integra e funzionante su cui la lente intraoculare impiantata fa convergere le immagini. Questo sistema, - conclude il dott. Gennaro Tramontano - se il paziente viene scrupolosamente selezionato nel preoperatorio, riesce a rendere autonomi nella comune vita quotidiana soggetti che prima del trattamento non lo erano assolutamente”.
FONTE: http://italiasalute.leonardo.it/news2pag.asp?ID=9293
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