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AFORISMA DEL GIORNO

23 novembre, 2016

Sanità, il Governo introduce ulteriori ticket sanitari. CGIL: "Livelli Lea non garantiti da coperture economiche attuali".

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Sulla sanità i conti non tornano. E i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) rischiano di trasformarsi in un’operazione di marketing del governo dagli effetti contabili tutti da verificare per le tasche delle Regioni e dei cittadini. Per l’esecutivo bastano, infatti, 800 milioni l’anno per garantire tutte le nuove prestazioni del nomenclatore, l’elenco dell’offerta del sistema sanitario nazionale (Ssn) che il Parlamento dovrebbe approvare entro il 5 dicembre. Secondo i governatori sarà invece necessaria una cifra compresa tra il miliardo e mezzo e i due miliardi. Nella migliore delle ipotesi, dunque, all’appello mancheranno almeno 700 milioni che in futuro potrebbero pesare sulle tasche dei cittadini a suon di ticket e di imposte locali. Ecco perché le Regioni hanno chiesto e ottenuto l’introduzione progressiva dei Lea con una verifica puntuale da parte di una commissione ad hoc che definisca i costi reali della modifica dell’offerta sanitaria entro l’estate.

Detta in altri termini, presto il nomenclatore sarà aggiornato mandando in soffitta le vecchie prestazioni, ma non è detto che le nuove saranno immediatamente disponibili e che lo saranno allo stesso modo in tutta Italia. Intanto, secondo quanto quantificato dal governo nella relazione tecnica presentata alla Ragioneria generale, aumenteranno subito i ticket per 60 milioni grazie allo spostamento di alcune prestazioni dal day hospital all’ambulatorio. Un esempio? Il ricovero previsto oggi per un intervento semplice alla cataratta è gratuito, mentre la stessa prestazione con i nuovi Lea verrà erogata in ambulatorio dietro il pagamento di un ticket che potrebbe essere diverso nelle differenti aree del Paese.

“La Conferenza delle Regioni ha dato il via libera all’aggiornamento dei Lea ma solo a condizione che via siano gradualità e risorse effettivamente aggiuntive nel 2017 e 2018”, spiega Stefano Cecconi, responsabile sanità della Cgil. “La lunga crisi economica, aggravata da insensate politiche di austerity con i tagli alla sanità, ha messo in discussione la garanzia dei Lea, soprattutto in alcune regioni – prosegue il sindacalista – I monitoraggi su questo punto sono preoccupanti e descrivono una drammatica frammentazione del servizio sanitario nazionale. Se non si mette in sicurezza il finanziamento del Ssn, l’aggiornamento dei Lea proposto rischia di essere un provvedimento velleitario”. Per Cecconi non è in dubbio che lo svecchiamento dei Lea fosse un’operazione necessaria e condivisibile per dare un punto di riferimento più forte alla programmazione regionale e locale. Ma il decreto da solo “non basta per garantire uniformità ed esigibilità dei Lea”.

E soprattutto “non è serio vendere come immediatamente esigibile un provvedimento che avrà un’applicazione progressiva”, conclude Cecconi, che ritiene incomprensibile l’eliminazione delle gare per i farmaci biosimilari e l’introduzione di accordi di acquisto diretti con le case farmaceutiche. “In questo modo si limita la concorrenza e si mette un’ipoteca sulle possibilità di risparmio delle Regioni”, conclude. La questione è tanto più inquietante perché “si rischia di far assorbire dalla farmaceutica l’intero aumento del Fondo sanitario nazionale”, come ha detto al Quotidiano Sanità la deputata piddina Anna Margherita Miotto, componente della commissione Affari Sociali della Camera. Non a caso sulla questione è intervenuta anche l’Antitrust chiedendo al governo un ripensamento. Alla luce dei rilievi il relatore alla manovra Mauro Guerra (Pd) ha presentato un emendamento in commissione Bilancio con cui si stabilisce che spetta anche all’Agenzia italiana del Farmaco, e non solo all’European medicine agency, stabilire “l’esistenza di un rapporto di biosimilarità tra un farmaco biosimilare e il suo biologico di riferimento”. Inoltre la proposta di modifica prevede che siano fatte gare usando accordi quadro quando ci siano più di tre medicinali a base del medesimo principio attivo. La base d’asta sarà “il prezzo medio di cessione al servizio sanitario” del farmaco, non più il prezzo massimo. Previsto anche l’obbligo, da parte del medico, di motivare la scelta di prescrivere un farmaco diverso dai primi tre farmaci della graduatoria dell’accordo quadro.

Sullo sfondo resta poi un’altra problematica di assoluto rilievo che viene sollevata dai medici. “Possiamo anche allungare l’elenco delle prestazioni – spiega Costantino Troise, segretario dell’Associazione Medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale (Anaao Assomed) – ma la sanità non è un supermercato dove si entra e si compra ciò che si vuole. E’ necessario anche un investimento sul personale che dovrà erogare le prestazioni sanitarie”. Da tempo del resto lo Stato non investe in personale sanitario. Lo testimonia il Rapporto Oasi 2016 dell’Università Bocconi sullo stato di salute della sanità, ricordando che dal 2009 al 2014, il personale a tempo indeterminato è calato di circa 30mila unità (-5%) con picchi locali anche del -15% fra il 2006 e il 2012. “La spesa complessiva per il personale è scesa di 1,3 miliardi dal 2008, fino ai 39,1 miliardi del 2014 (–3,3%), non costituendo più la principale voce di spesa, superata dall’acquisto di beni e servizi – si legge nell’indagine dell’università – Il dato davvero preoccupante è l’età media dei lavoratori del Servizio sanitario nazionale, pari a 53 anni per i medici dipendenti, 47 per le professioni sanitarie e 55 anni per i medici di medicina generale”.

Sono numeri eloquenti che raccontano come sia necessario investire nelle risorse umane senza le quali i nuovi Lea rischiano di restare sulla carta. Con la conseguenza fra l’altro che la loro applicazione frammentata amplierà il divario di prestazioni fra le diverse regioni italiane penalizzando ulteriormente il Sud dove le lunghe liste d’attesa spingono i pazienti che possono permetterselo a pagare di tasca propria o ad alimentare il turismo sanitario nazionale. Il fenomeno è del resto già oggi consistente: secondo il Censis, nel biennio 2013-2014, ben 11 milioni di italiani hanno sborsato oltre 34 miliardi per ottenere cure che la sanità pubblica non era in grado di erogare in tempi ragionevoli. Anche di qui la ratio che ha spinto i governatori a chiedere la nascita della Commissione Lea che dovrà aggiustare la mira in corso d’opera. Come? Questo resta ancora un mistero che dovrà svelare il governo che in futuro si troverà a gestire la patata bollente.

AUTRICE: Florina Capozzi
FONTE: Il Fatto Quotidiano
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Sanità, allarme al Sud Italia per carenza di organico, urgente un nuovo piano di assunzione

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“Quest’anno ho lavorato 150 ore oltre l’ordinario turno di servizio. Ore extra che non mi verranno pagate. Ho quasi 70 giorni di ferie arretrate e ci sono colleghi che ne hanno accumulati 120″. È lo sfogo di un medico della provincia di Lecce. E il cahier de doléances è solo all’inizio: “Lavoro tre domeniche su quattro e non posso neanche recuperare le festività, perché non ho il giorno di riposo settimanale garantito. Come potrei, se nel mio reparto siamo appena sette medici ma in base alla pianta organica dovremmo essere il doppio? Nessuno di noi fa più libera professione intramuraria. Io ho 61 anni e sono il più giovane. Sta diventando un incubo, non ce la facciamo più ad andare avanti così”. Il suo è tutt’altro che un caso isolato, a un anno esatto dall’entrata in vigore della direttiva europea sull’orario di lavoro del personale medico e sanitario che prevede come minimo 11 ore consecutive di riposo giornaliero e massimo 48 ore di lavoro settimanale compreso lo straordinario. Il recepimento ha messo alle corde gli ospedali italiani, da tempo sotto organico a causa del blocco del turnover. Risultato: giovedì 17 novembre i medici hanno manifestato con un sit-in davanti al Parlamento chiedendo risorse adeguate per nuove assunzioni e stabilizzazione dei precari e per il 28 novembre quelli dipendenti dalla sanità pubblica hanno indetto uno sciopero.

Oggi da Milano a Palermo decine e decine di camici bianchi lavorano anche dopo aver stimbrato il cartellino, gratuitamente, in barba all’obbligo di riposo tra un turno e l’altro e, molto spesso, superando anche il limite delle 48 ore settimanali. “È l’unica maniera per non lasciare scoperti i reparti. A me il primario lo chiede più volte al mese. Capita che sia stanca e poco lucida, ma come faccio a dire di no?”, racconta una dottoressa del nord. Nel capoluogo lombardo un pediatra non ha avuto alternative: per somministrare ai suoi pazienti le terapie contro le allergie, non rimandabili e fissate al mattino, è entrato in ospedale alle 8 senza timbrare e dodici ore dopo ha iniziato il turno di notte che gli era stato assegnato, senza rispettare la pausa di 11 ore. I rischi però sono altissimi, perché se il medico non risulta ufficialmente in servizio non gode della copertura assicurativa.

“Io sono un chirurgo e personalmente non mi assumerei mai questa responsabilità“. Stavolta a parlare è un’altra dottoressa della provincia di Milano. “Se succede qualcosa al paziente, cosa faccio? Chi risponde? Ma ho tanti colleghi che accettano questo pericolo, altrimenti le liste di attesa si allungano, gli interventi in agenda saltano. E naturalmente le ore in sala operatoria sono gratis”. Da un ospedale di Roma un ragazzo di 27 anni denuncia: “Sono uno specializzando nel reparto di anestesia e ogni settimana lavoro almeno 60 ore anziché 38”.

Il sindacato dei medici dirigenti (Anaao) della Lombardia ha sottoposto a tutti gli iscritti un sondaggio anonimo per capire se gli ospedali si attengono alla normativa europea sull’orario di lavoro. Il quadro che ne esce è preoccupante. Il 40 per cento dei camici bianchi non rispetta l’intervallo di riposo di 11 ore nelle 24 ore tra un turno e quello successivo. Il 60 per cento ha ammesso che non sono previste forme di tutela per chi è reperibile nel caso dovesse essere chiamato di notte (per esempio, se il turno inizia il pomeriggio successivo alla reperibilità). Due su dieci non recuperano il festivo lavorato e tre su dieci superano le 48 ore alla settimana. Stessa stima di chi sta in corsia senza aver prima timbrato il cartellino.

In attesa dello sblocco del turnover, che il governo ha annunciato per il 2017 con la possibilità di stabilizzare 7mila precari, lo strumento più richiesto ai medici dalle direzioni sanitarie aziendali per tamponare la carenza di organico sono le prestazioni aggiuntive: ore di lavoro in più programmate per un certo periodo e concordate con il medico, a cui vengono pagate a parte. In alcune realtà sono diventate la norma. In una asl di provincia come quella di Frosinone nel 2015 sono stati spesi quattro milioni di euro circa in prestazioni aggiuntive. “Alla fine del 2016 invece il conto sarà dimezzato grazie a un’ultima infornata di medici e infermieri”, assicura il commissario straordinario Luigi Macchitella, che aggiunge: “Il fondo usato per compensare lo straordinario l’anno scorso è stato sfondato di quattro milioni di euro. Quest’anno dovremmo stare dentro la cifra. Ma dal 2017 cinquanta medici andranno in pensione e sarà un problema”.

Per ottimizzare le risorse succede che i turni di guardia vengano accorpati per unità operative e non più organizzati per singoli reparti. E nei casi peggiori non si può più contare sulle urgenze. “Nel mio reparto non si fa più assistenza h24 ma solo per 12 ore al giorno. Niente urgenze dunque”, lamenta un medico dalla Calabria. “Nella chirurgia dell’ospedale di San Severo sono in 5 anziché 9 e in ortopedia, dove sono in 2 al posto di 7, da luglio hanno bloccato i ricoveri e i pazienti sono stati trasferiti in altre strutture a una trentina di chilometri di distanza – spiega Massimo Correra, segretario dell’Anaao di Foggia -. Mentre negli ospedali di Cerignola e Manfredonia per l’insufficienza di anestesisti vengono programmati al massimo tre/quattro interventi al mese, il personale ormai basta soltanto per le urgenze”.

AUTRICE: Chiara Daina
FONTE: Il Fatto Quotidiano
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09 novembre, 2016

Dal governo Renzi ulteriore attacco alla Sanità, tagliati 4,1 milioni di euro

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Confermato il taglio di 4,1 mln al Ministero della Salute per il 2016. Ieri in commissione Bilancio alla Camera è stato approvato un emendamento dei relatori al decreto fiscale che ha sancito la riduzione di risorse per il dicastero di Lungotevere Ripa sul quale la scorsa settimana Anna Miotto (Pd) aveva chiesto chiarimenti sulle possibili ripercussioni.  La nuova tabella contiene dunque un taglio di 4,1 mln, dei quali 2,4 mln predeterminati per legge. Il taglio maggiore, di 3,9 mln, riguarda diversi programmi di tutela della salute: Prevenzione e promozione della salute umana ed assistenza sanitaria al personale navigante e aeronavigante (2 mln), Programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per l'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (400 mln), Regolamentazione e vigilanza in materia di prodotti farmaceutici ed altri prodotti sanitari ad uso umano (500 mln), Sicurezza degli alimenti e nutrizione (1 mln).  I restanti 200 mln riguarderanno invece programmi di ricerca e innovazione per il settore della sanità pubblica.

FONTE: Quotidianosanita.it
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08 novembre, 2016

E' scomparso il celebre medico italiano Umberto Veronesi

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Dalla quadrantectomia al linfonodo sentinella, dalla tecnica salva-capezzolo (‘nipple sparing’) alla radioterapia intra-operatoria. Umberto Veronesi, morto a Milano, è stato sempre avanti di anni rispetto al resto del mondo nel trattamento, soprattutto chirurgico, del tumore della mammella. Amava dire che una donna doveva uscire dalla sala operatoria così come era entrata. Quando 1969 espone a Ginevra, davanti a un consesso mondiale, la sua ricerca sulla quadrantectomia, cioè l’intervento che limita l’asportazione al quadrante mammellare sotto cui c’è il nodulo tumorale, e che era considerato non invasivo rispetto all’allora vigente dogma della mastectomia (l’asportazione totale della mammella), venne – riporta l’Ansa – ascoltato quasi con fastidio.

“Ero giovane, ero italiano – aveva raccontato di recente – venivamo considerati scienziati di serie B e in più trasgredivo all’ortodossia del tempo. In altre parole mi diedero del pazzo”. Lui è però sicuro delle sue ricerche e persevera nella sua pazzia, arrivando negli anni a operare con questa tecnica ben l’80% delle sue pazienti all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). Ci vogliono 32 anni perché gli stessi americani che lo avevano sbeffeggiato nel 1969 sono costretti a dargli ragione: il 17 ottobre 2002 il New England Journal of Medicine, pubblica un lavoro da cui emerge che a distanza di 20 anni dall’intervento la sopravvivenza delle donne sottoposte a quadrantectomia corrisponde esattamente a quella di coloro cui è stata asportata la mammella intera.

“È la vittoria – osserva in quella occasione Veronesi – della nostra filosofia di attacco al cancro, che è la ‘ricerca del minimo intervento efficace’, sulla filosofia che cerca invece ‘il massimo trattamento tollerabile dal paziente”. Ma il prof è già molto più avanti: lo stesso giorno in cui arriva questo riconoscimento, lui già presenta il perfezionamento della sua invenzione: una tecnica operatoria che, asportando il tumore, restituisce alla paziente un seno vero, completo di areola e capezzolo. E in sole 2 ore di intervento. Questa nuova tecnica, chiamata ‘nipple sparing’, è resa possibile dagli ottimi risultati che negli ultimi anni ha dato la ‘radioterapia intra-operatoria (già sperimentata all’IEO su centinaia di pazienti) che fornisce in un’unica soluzione, durante l’operazione chirurgica appunto, la stessa quantità di radiazioni di un intero ciclo post operatorio, sollevando anche la paziente da una sorta di calvario aggiuntivo ai problemi, anche psicologici, che il tumore al seno comporta.

Ma già anni prima, nel 1996, Veronesi aveva sollevato le sue pazienti da un altro intervento demolitivo accessorio, quello chiamato anche, con termine molto crudo, ‘scavo ascellare’ per l’eliminazione dei linfonodi che, se coinvolti dalle cellule tumorali, sono una via di diffusione del cancro. Fino a quel momento, infatti la quadrantectomia era sempre stata seguita dall’asportazione dei linfonodi.

Veronesi scopre invece che i linfonodi sono colpiti in maniera regolare, secondo un preciso ordine e questo gli dà modo di ‘inventare’ una nuova tecnica chirurgica chiamata del ‘linfonodo sentinella’: se infatti il primo della serie dei linfonodi (quello chiamato appunto ‘sentinella’) è libero, saranno molto probabilmente liberi (cioè privi di cellule tumorali) tutti gli altri (sono ben 25, divisi su tre livelli) e non occorrerà asportarli.

Una vita spesa alla ricerca di come migliorare la tecnica chirurgica (e non solo) per alleviare le sofferenze delle sue pazienti, dal punto di vista fisico, estetico, psicologico, senza comunque mai abbassare il livello di sicurezza della terapia. Una dedizione che gli è valsa anche l’affettuosa nomina, da parte di un’associazione femminile romana, "Donna ad honorem‘. Umberto Veronesi si spegne a novant’anni - ne avrebbe compiuti 91 il 28 novembre - dopo una lunga vita spesa a combattere il cancro.Umberto Veronesi si spegne a novant’anni - ne avrebbe compiuti 91 il 28 novembre - dopo una lunga vita spesa a combattere il cancro.

Nasce a Milano nel 1925, si laurea in medicina e chirurgia nel 1950. Lavora all’Istituto dei Tumori del capoluogo lombardo e ne diventa Direttore Generale. Poi corona il suo sogno europeista, prima con la Scuola Europea di Oncologia nel 1982 e poi con la sua più grande opera: lo Ieo, l’Istituto Oncologico Italiano, inaugurato nel 1991 e diventato presto un esempio per la cura e la prevenzione del cancro a livello internazionale.

Difensore dei diritti degli animali, sostenitore del testamento biologico nonché dell’eutanasia, nel 2003 ha creato la fondazione Veronesi per sostenere la ricerca e la divulgazione scientifica. È stato anche ministro della Sanità durante il governo Amato, dal 2000 al 2001, e Senatore dal 2008 al 2011. Ha ricevuto tredici lauree honoris causa, nazionali e internazionali.Difensore dei diritti degli animali, sostenitore del testamento biologico nonché dell’eutanasia, nel 2003 ha creato la fondazione Veronesi per sostenere la ricerca e la divulgazione scientifica. È stato anche ministro della Sanità durante il governo Amato, dal 2000 al 2001, e Senatore dal 2008 al 2011. Ha ricevuto tredici lauree honoris causa, nazionali e internazionali.


Veronesi è deceduto nella sua casa di Milano. Da alcune settimane le sue condizioni di salute si erano progressivamente aggravate. Era circondato dai familiari, la moglie e i figli. Una personalità forte la sua, diceva spesso di non avere paura della morte. Anticonformista anche nel rapporto con la moglie Sultana Razon dalla quale ha avuto sei figli e che, in un libro, ha raccontato delle relazioni extraconiugali del marito e di quando, mentre guidava, le rivelò di aver avuto un bambino da un’altra donna.

Cordoglio di tutto il mondo scientifico per la scomparsa del professore. #GrazieProf si legge in un tweet pubblicato dall'account della Fondazione che scrive anche: «Oggi per noi è un giorno tristissimo, grazie per i tuoi insegnamenti». «Tutti i malati oncologici, e AIRC in particolare, devono molto alla sua lungimiranza di medico e scienziato e alla sua instancabile tenacia nel perseguire l'obiettivo di terapie più umane, efficaci e accessibili a tutti» commenta per l'Airc, il presidente Pier Giuseppe Torrani che ricorda il medico come «parte di una generazione che hanno fatto la storia della medicina in Italia e che sono cresciuti all'interno dell'Istituto Tumori di Milano, il primo luogo di cura che ha approcciato la malattia oncologica con l'occhio della modernità». «La morte di Umberto Veronesi rappresenta una grande perdita per l'oncologia italiana. È stato promotore di numerosi progetti di ricerca e di raccolte fondi che hanno permesso di organizzare e fare ricerca oncologica in Italia» ha detto Carmina Pinto, presidente dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica. «Salutiamo commossi un grande uomo e scienziato, punto di riferimento per le grandi speranze laiche del nostro Paese e non solo - scrive in una nota l'associazione Luca Coscioni - Ricordiamo con gratitudine l'onore che ci ha fatto partecipando attivamente alla campagna referendaria sulla legge 40, a quella per l'eutanasia legale e per la legalizzazione della cannabis».

«Lui era un testimone del sì ma al di là di questo, è stato un grande uomo per la sanità. Vorrei che lo ricordaste con un grande applauso» il ricordo che gli ha tributato il premier Matteo Renzi, durante una manifestazione a La Spezia. Ma sono tantissimi gli attestati di stima e condoglianze per la famiglia che stanno arrivando dopo la diffusione della notizia della scomparsa dell’oncologo. Tra questi il tweet del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: «Addio a Umberto Veronesi, grande scienziato uomo di valore, che ha insegnato alle donne come vincere e difendersi dal cancro. Un abbraccio affettuoso ai suoi cari». Con un tweet, lo saluta anche il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Stefania Giannini, che scrive: «Cordoglio per la morte di un grande uomo, medico, ricercatore che ha dedicato la propria vita a salvare quella degli altri. Grazie Veronesi». «Una vita dedicata alla lotta contro i tumori, un grande medico e un uomo libero. Ci mancheranno la scienza e le riflessioni di #Veronesi» scrive su Twitter il presidente del Senato, Pietro Grasso. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, affida ad una nota il ricordo di Veronesi di cui parla come un «milanese vero, uno dei protagonisti della storia di Milano. Ha unito alla sue qualità di medico e di scienziato di fama mondiale una forte e decisa passione civica e politica. Milano e l'Italia piangono in lui la figura di un vero laico capace di costruire istituzioni che hanno alleviato il percorso della malattia di migliaia di persone».


FONTE: "Il Fatto Quotidiano" e "Corriere.it"
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