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AFORISMA DEL GIORNO

24 ottobre, 2013

Slitta a dicembre la direttiva UE sulle cure "transfrontaliere", per l'Italia aumenta il rischio "fuga di pazienti"

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Il 35% dei cittadini italiani che va all'estero per curarsi, lo fa per sottoporsi a interventi chirurgici di alta specializzazione, il 29% per accedere a terapie innovative, il 18% per avere diagnosi certa, il 13% per effettuare visite specialistiche, il 5% per sottoporsi ad un trapianto.

Cercare il migliore specialista per un'operazione chirurgica a Berlino o a Stoccolma. Puntare su una terapia all'avanguardia a Barcellona o ad Amsterdam. Scelte che in Europa dovrebbero diventare più semplici nei prossimi mesi. La direttiva 24/2011 sulle cure transfrontaliere, doveva essere recepita il 25 ottobre, ma il decreto per renderla operativa in Italia è slittato al 4 dicembre. Si tratta di una rivoluzione per 600 milioni di cittadini, 2 milioni di medici e 20 milioni di infermieri. Cittadinazattiva-Tribunale del malato segnala però i punti deboli di questo cambiamento. Lo fa nell'ambito del convegno 'Cure senza frontiere: da oggi si può?', che si è tenuto oggi a Roma.

Due gli elementi che potrebbero creare difficoltà al Servizio sanitario nazionale in questo 'Schengen della salute'. "Veniamo da un sistema di rimborso che dà assistenza diretta a tutti quelli che scelgono di andare all’estero. In alcune Regioni copre tutte le spese. Con la direttiva si rischia un rimborso solo dopo aver sostenuto la prestazione all’estero. Potrebbe essere parziale, senza spese di soggiorno e con eventuali differenze tra il costo della cura in Italia e nell’altro stato", spiega Tonino Aceti del Tribunale del malato-Cittadinanzattiva. Spero - aggiunge "che il decreto legislativo di attuazione garantisca l'assistenza diretta ai cittadini per evitare che la Direttiva diventi una opportunità solo per ricchi".

C’è inoltre preoccupazione per un aumento di ricoveri inappropriati e per l'aumento di contenzioso dovuti all’applicazione dell’assistenza indiretta. "Soprattutto i pazienti con malattie croniche e rare potrebbero scegliere i paesi all’avanguardia nella prescrizione di farmaci innovativi - aggiunge Aceti - . Ciò provocherebbe ricoveri inappropriati negli Stati “virtuosi” e la perdita di risorse negli Stati meno all’avanguardia o più lenti nella messa a disposizione dei medicinali innovativi. In entrambi i casi, l’Italia è un paese a rischio". Il cambiamento potrebbe essere l’occasione per attrarre pazienti dall’estero. Il Servizio sanitario italiano, nonostante i conti in difficoltà, cercherà di promuovere le sue strutture migliori.
 

Gli Stati membri stanno cercando di recepire la direttiva ponendo alcuni limiti per evitare un afflusso eccessivo di pazienti con conseguenze sulle liste d’attesa. Fino ad oggi le cure all'estero venivano rimborsate solo dopo aver ricevuto il consenso dalla propria regione. In genere, per quanto riguarda le attività programmate, la cosa avviene in caso di prestazioni di alta specialità che non sono presenti in Italia.
 

Un sistema che già in passato era caratterizzato da punti deboli: eccesso di burocrazia, carenza delle informazioni sulle procedure da seguire e problemi con i rimborsi delle. Nel 2012 al Tribunale per i diritti del malato sono arrivate 269 segnalazioni. Oltre un terzo dei pazienti (36%) ha lamentato la mancata o ritardata autorizzazione da parte dell'Asl di provenienza, mentre il 27% ha segnalato l'eccessiva burocrazia o la carenza di informazioni sulle procedure da seguire.
 

In vista delle nuove norme, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ha detto di "sperare di poter attrarre i cittadini europei a curarsi nel nostro paese: abbiamo tutto il potenziale per farlo - ha aggiunto - perchè le nostre strutture forniscono livelli di assoluta eccellenza, farmaci innovativi, trattamenti e linee di ricerca fra le più avanzate nel mondo", sottolineando però l'esigenza di "cominciare a fare marketing per l'Italia".

Quando la direttiva 24/2011 entrerà in vigore in Italia l'iter burocratico dovrebbe essere più semplice. Ma per il recepimento della norma in Italia c'è ancora da attendere.  Secondo il Tribunale per i diritti del malato "per il decreto legislativo è stato attivato il Punto di contatto nazionale al ministero della Salute, che però nei fatti non è ancora attivo. Accade la stessa cosa per i punti di contatto regionali, che sembrerebbero previsti in Veneto, Liguria, Trento e Valle d'Aosta. Inoltre le associazioni di pazienti e cittadini non sono state, al momento, coinvolte e non sono stati individuati i centri di eccellenza del nostro Paese". Dalla rilevazione effettuata tramite le associazioni europee aderenti alla rete europea di Cittadinanzattiva, Acn (Active citizenship network), risulta che le leggi di recepimento della direttiva sono in discussione in Austria, Croazia, Estonia, Francia, Malta, Norvegia. La Germania ha fatto sapere che non farà una legge 'ad hoc', perchè molte delle previsioni della Direttiva sono già contenute in altre leggi o atti vigenti.
 



AUTRICE: Valeria Pini
FONTE: Corriere.it
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11 ottobre, 2013

Tiroide, qual è la soglia di TSH per cui applicare terapia?

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La tiroxina è uno degli ormoni prodotti dalla tiroide, nonché il farmaco prescritto a chi ha problemi di ipotiroidismo, ovvero un TSH (thyroid-stimulating hormone) troppo alto e quindi un malfunzionamento della tiroide. Ma la tiroxina è anche uno dei farmaci più venduti, a fronte delle numerose prescrizioni. Troppe, secondo il professor Alfredo Pontecorvi, primario di endocrinologia al Policlinico Gemelli di Roma, nonché autore del forum dedicato alla tiroide su Corriere.it. «Molto spesso noi medici interveniamo per sospendere una terapia prescritta inutilmente», spiega. Una tiroide ben funzionante è fondamentale per l’intero organismo, ma l’eccesso di cure può portare altri problemi, come l’aumentato rischio di osteoporosi nelle donne e di aritmie cardiache in tutti i pazienti.

La conferma di un eccesso di prescrizioni arriva anche da uno studio inglese pubblicato su JAMA Internal Medicine. Un team di ricercatori della Cardiff University guidato da Peter Taylor ha analizzato i dati di 52.298 pazienti, inglesi e americani, cui è stata prescritta la Levotiroxina sodica (isomero della tiroxina, un composto di sintesi che funge da ormone tiroideo) tra 2001 e 2009. Secondo gli esperti inglesi, il farmaco è troppo prescritto e nel tempo si è andata erroneamente abbassando la soglia di TSH oltre la quale si raccomanda il trattamento. Risultato: il farmaco è prescritto anche a chi non ne ha bisogno, con pericolosi effetti collaterali non giustificati da un reale beneficio della terapia.

L’ipotiroidismo è un deficit di funzionamento della tiroide. Può verificarsi a causa di una tiroidite autoimmune in cui una reazione immunitaria anomala distrugge parte della ghiandola. L’ipotiroidismo si può misurare osservando con un semplice prelievo di sangue i livelli di TSH, ormone prodotto dall’ipofisi il cui livello indica la quantità di ormoni tiroidei circolanti: dosi elevate di TSH indicano che la tiroide fatica a funzionare. Ma oltre quale soglia va prescritto l’ormone tiroideo? «Gli studiosi inglesi hanno confrontato i dati del 2001 e del 2009, prendendo in esame 52mila adulti affetti da tiroidite prima dell’inizio della terapia e dopo 5 anni di cura, e hanno visto che il valore di TSH prima dell’inizio della terapia è sceso dalla media di 8,7 (2001) alla media di 7,9 (2009) - spiega Pontecorvi -. Numeri preoccupanti, se pensiamo che le linee guida americane raccomandano il trattamento solo in chi ha un TSH superiore a 10». L’eccesso di prescrizioni riguarda anche l’Italia: fino a pochi anni fa la tiroxina era il sesto farmaco più venduto.

«La terapia è fondamentale nei soggetti privi di tiroide a seguito di intervento chirurgico o in coloro che hanno uan tiroide totalmente “fuori uso” - aggiungo Pontecorvi -. Diverso è il discorso per tutti quegli adulti che soffrono di ipotiroidismo meno grave, ovvero che hanno una tiroide non perfettamente funzionante: sono tanti, il 10% della popolazione, e il disturbo colpisce più frequentemente le donne. Lo studio inglese ha analizzato proprio questa tipologia di pazienti, affetti da tiroidite di Hashimoto che si ha quando il sistema immunitario aggredisce la tiroide, con una progressiva diminuzione degli ormoni tiroidei». Secondo le suddette linee guida americane, il limite della normalità del TSH è 4,12 e la terapia è raccomandata con TSH superiore a 10. Ma anche qui vanno fatte delle distinzioni, spiega Pontecorvi: «Negli ultra 70enni il TSH superiori a 10 mU/l va trattato solo in caso di presenta di sintomi di ipotiroidismo o fattori di rischio cardiovascolare. Prima dei 70 anni, invece, il TSH superiore a 10 va trattato sempre e comunque. In caso di TSH inferiore a 10 (tra 4,12 e 10) ma con presenza di sintomi di ipotiroidismo (astenia, aumento di peso, perdita di massa muscolare e della libido, depressione) è bene fare la terapia con controllo dopo sei mesi. Al contrario, in assenza di sintomi, non si fa la terapia e ci si sottopone a controlli frequenti: questo si chiama ipotiroidismo sub-clinico». Un caso particolare è quello della donna in gravidanza, il cui TSH non deve superare il valore di 2,5; questo vale anche per le donne che stanno pianificando una gravidanza.

Ma lo studio inglese va oltre: non solo c’è un eccesso di prescrizioni in soggetti che non necessitano della terapia, ma in alcuni casi l’effetto della cura è negativo e dannoso. Nel 5,8% dei casi analizzati, dopo 5 anni di cura con tiroxina il TSH era inferiore a 0,1%, ovvero sotto la soglia minima, con rischi di osteoporosi e fibrillazione atriale. «Una terapia come questa, detta soppressiva, si fa solo in caso di tumori aggressivi della tiroide - dice Pontecorvi -, ovvero quando bisogna tenere il TSH inferiore a 0,4. Ma solo e unicamente in questi casi. In passato la terapia soppressiva era proposta anche per i noduli tiroidei benigni, ma ora questo non accade più e i dosaggi sono sempre più sofisticati. A volte però ancora oggi ci sono errori grossolani: per esempio quando vengono trattati pazienti con funzione tiroidea corretta solo perché presentano anticorpi anti-tiroide positivi. Consideriamo che la terapia non è uno scherzo, pur essendo molto economica (allo Stato il trattamento di un anno di un paziente costa meno di 20 euro): quando si comincia, la terapia va fatta per tutta la vita».

AUTRICE: Laura Cuppini
FONTE: Corriere.it 
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07 ottobre, 2013

Nobel della Medicina 2013 assegnato agli scopritori del meccanismo di trasporto "intravescicolare"

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Il premio Nobel per la Medicina è stato assegnato agli americani James Rothman, Randy Schekman e al tedesco Thomas Südhof, trapiantato da tempo negli Stati Uniti: i tre studiosi sono stati scelti per aver scoperto il meccanismo che regola il trasporto di molecole dentro le cellule, una «modalità di controllo estremamente precisa con cui le cellule organizzano il sistema di trasporto e distribuzione del proprio carico», si legge nella motivazione. Durante la cerimonia a Stoccolma, i tre scienziati hanno ricevuto il premio di 8 milioni di corone svedesi, pari a circa 900mila euro, che si suddivideranno. «Vincere il Nobel è eccitante, ma il momento in cui si fa una scoperta lo è di più - ha detto Rothman alla tv svedese -. È un’ebbrezza rarissima quella che prova uno scienziato quando scopre qualcosa di fondamentale e soprattutto di universalmente valido». E parlando del lavoro che gli è vaso il Nobel: «Non si tratta di una scoperta a cui siamo arrivati dall’oggi al domani. Gran parte di essa è stata raggiunta nel corso di molti anni, se non di decenni». Schekman ha avuto la notizia dalla moglie: «Sono saltato giù dal letto. Ho stretto mia moglie e continuavo a ripetere “Oh mio Dio, oh mio Dio”».

Quello del trasporto cellulare è un meccanismo delicatissimo da cui dipendono funzioni fondamentali, come l’attivazione delle fibre nervose o il ruolo degli ormoni nel metabolismo. Come in un grande porto o in una stazione, dove confluiscono continuamente mezzi carichi di merci, nelle cellule c’è un continuo viavai di molecole (ormoni, neurotrasmettitori, citochine, enzimi): tutte queste sostanze devono essere smistate verso la destinazione corretta all’interno della cellula o trasportate al di fuori delle cellule. E ogni passaggio deve avvenire al momento giusto. I cargo addetti al trasporto sono minuscole “bolle”, vescicole circondate da membrane che trasportano le molecole da un organello all’altro delle cellule o che fondono la loro membrana con quella della membrana esterna della cellula per trasportare le molecole all’esterno delle cellule stesse.

James E. Rothman, 63 anni, si è laureato ad Harvard nel 1976 ed è professore di Scienze Biomediche dell’Università di Yale e presidente del Dipartimento di Biologia Cellulare della stessa università. Ha cominciato a studiare le vescicole che trasportano le molecole nelle cellule dalla fine degli anni ‘70. Ha ricevuto il premio Louisa Gross Horwitz presso la Columbia University e il premio Lasker Albert per la ricerca medica di base. Rothman ha iniziato la sua carriera presso il Dipartimento di Biochimica dell’Università di Stanford nel 1978. È stato alla Princeton University dal 1988 al 1991, per poi fondare il Dipartimento di Biochimica e Biofisica Cellulare al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, di cui è stato vicepresidente. È membro della National Academy of Sciences.

Randy Wayne Schekman, 65 anni, è un biologo cellulare presso l’Università di Berkeley in California, ex caporedattore della prestigiosa rivista Proceedings of National Academy of Sciences. Ha studiato nell’Università della California a Los Angeles, dove si è laureato con il Nobel Arthur Kornberg. I suoi studi di laboratorio si sono concentrati sul processo di assemblaggio della membrana e del traffico vescicolare nelle cellule eucariote. Nel 2002 ha ricevuto il premio Albert Lasker per la ricerca medica di base e il Louisa Gross Horwitz Prize della Columbia University insieme a James Rothman proprio per la loro scoperta del «traffico» della membrana cellulare, processo che le cellule usano per organizzare le loro attività e comunicare con l’ambiente. Nel 2013 è stato eletto membro straniero della Royal Society ed è socio dell’Accademia dei Lincei.

Thomas C. Südhof, 58 anni, è un biochimico noto per i sui studi sulla trasmissione sinaptica. Ha studiato Neurochimica nell’Università Georg-August, in Germania. Si è trasferito negli Stati Uniti nel 1983 e in particolare nell’Università del Texas, dove ha lavorato con i Nobel Michael Brown e Joseph Goldstein, premiati entrambi per la Medicina nel 1985. Nel 2008 si è trasferito alla Stanford University dove insegna Fisiologia Cellulare e Molecolare, Psichiatria e Neurologia.

È d’accordo sulla tripla assegnazione del premio Edoardo Boncinelli, genetista all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, secondo cui gli studi dei tre Nobel «rappresentano le fondamenta per chiarire i meccanismi cruciali nel funzionamento delle cellule e per contrastare un gran numero di patologie, come la fibrosi cistica e molte malattie del sistema nervoso». Boncinelli paragona l’importanza delle scoperte dei tre scienziati ai semafori in città: sono cioè fondamentali. Giuseppe Novelli, genetista e neo rettore dell’Università Tor Vergata di Roma, sottolinea che «è sulla base degli studi condotti da Schekman, Südhof e Rothman che oggi si poggiano le ricerche su alcune patologie come l’Alzheimer e il Parkinson, ma anche le ricerche che spiegano come nascono le emozioni». Silvio Garattini, direttore dell’Irccs di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, sottolinea che il meccanismo di trasporto delle cellule è «fondamentale anche per capire il meccanismo d’azione di molti farmaci, e per scoprirne e svilupparne di nuovi, perché le vescicole-navicella possono anche diventare bersagli per lo sviluppo di nuove medicine». Per Clara Balsano direttore dell’Istituto di Biologia e Patologia molecolari del Cnr, la scoperta dei tre Nobel è «tra le più significative degli ultimi anni e ci permetterà di fare grossi progressi, non solo per curare patologie come l’Alzheimer, la schizofrenia, l’autismo, ma anche per contrastare le patologie che più affliggono i nostri tempi, ovvero le degenerazioni tumorali».

FONTE: Corriere Salute
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