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AFORISMA DEL GIORNO

28 novembre, 2009

Dalla Federspecializzandi una inchiesta che fa il punto sulla situazione lavorativa dei giovani medici in Italia

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Di notte reggono da soli interi reparti con rischi altissimi per dei tirocinanti. Di giorno restano con le mani in mano e in pochi conseguono la specializzazione avendo accumulato la giusta esperienza. È un quadro con troppe ombre quello che emerge dall'inchiesta di Federspecializzandi, la sigla più rappresentativa dei 22 mila iscritti a una scuola di medicina post-laurea. Da Trieste a Palermo, il cahier de doléances dei futuri chirurghi, radiologi, anestesisti, oncologi, è fittissimo. Regolamenti disattesi, attività didattica insufficiente, scarsa attenzione da parte dei tutor, gli strutturati che dovrebbero seguirli da vicino. E soprattutto poche occasioni per svolgere le attività cliniche, se non da soli e con enormi responsabilità.

"Ma il vero paradosso" spiega il segretario dell'associazione, Domenico Montemurro, "è che si impara poco lavorando tantissimo: il 46% dei giovani medici dichiara di passare in corsia tra le 50 e le 70 ore alla settimana, quando il contratto ne prevede in tutto 38 tra teoria e pratica".

Il ricorso ai tirocinanti è massiccio soprattutto di notte e nei giorni festivi, quando gli strutturati abbandonano la corsia e diventano reperibili. Così, il 64% dei giovani medici si trova a svolgere servizio di guardia in autonomia, il 65% a fornire prestazioni in ambulatorio (dove i pazienti, che hanno pagato il ticket, credono di avere di fronte uno strutturato) e quasi uno su due a scegliere se ricoverare o no un utente del pronto soccorso. Tutte decisioni per le quali bisognerebbe consultare il tutor, che però in quasi metà dei casi è assente o, se c'è, dà un apporto "insufficiente" per il 22% degli intervistati e "scarso" per il 19%.

A questo surplus di responsabilità non corrisponde una formazione adeguata. La vera emergenza è nell'area chirurgica: la metà degli intervistati completa il ciclo di studi senza effettuare un solo intervento di alta chirurgia (nel 37% dei casi nemmeno come secondo operatore). In sala operatoria si lasciano effettuare ai giovani medici solo interventi considerati minori. "Sette allievi chirurghi su dieci bocciano l'attività pratica" spiega Montemurro. Prendere in mano un bisturi può diventare un privilegio, ma rischioso, visto che nell'80% dei casi non esistono percorsi graduali di apprendimento delle tecniche di base. Né risultano diffusi simulatori (pelvic trainer, vascular intervention simulator...) decisivi per la formazione. Oltre la metà dei tirocinanti, e non solo quelli dell'area chirurgica, non disponne neanche del log-book, il taccuino previsto dal contratto su cui annotare gli interventi e le prestazioni svolti, fissati dalle tabelle ministeriali. E se il registro esiste, è usato solo in un caso su quattro. Quanto alle prestazioni, il 55% degli intervistati dichiara di non svolgere tutte quelle tipiche della disciplina studiata, nel 37% dei casi perché gli è stato impedito, nel 30% perché la struttura non ha i requisiti necessari.

Non stupisce, allora, che alla domanda "ti riscriveresti alla stessa scuola di specializzazione", la risposta più frequente è "sì, ma in un altro ateneo". Qualche nota positiva c'è. Il 66 per cento delle strutture permette di completare la formazione in altre sedi convenzionate, anche private, alle quali molti si rivolgono per fare esperienza su macchinari all'avanguardia. Quasi otto scuole su dieci consentono, poi, di completare il ciclo di studi all'estero. Due aspetti, questi ultimi, che potrebbero però rivelarsi un boomerang per la sanità pubblica del futuro, con le cliniche private destinate ad assorbire i giovani più preparati, mentre quanti scelgono di restare a lavorare in un Paese straniero sono già in aumento da anni.

Intanto, Federspecializzandi chiede al ministero dell'Istruzione che il prossimo bando di concorso per l'ingresso nelle scuole sia pubblicato entro marzo 2010, e non a giugno come quest'anno.


FONTE: REPUBBLICA.IT
AUTORE: PAOLO CASICCI
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26 novembre, 2009

Policlinico di Messina e parcheggi a pagamento

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Cinquanta euro al mese per un abbonamento necessario per poter varcare con la propria macchina i cancelli del Policlinico. 15 euro al mese per moto e motorini. Dalle 5 alle 9 euro al mese per i lavoratori, ma soltanto per i primi 800. Per i pazienti e gli esterni invece è obbligatorio il tagliando di sosta a pagamento, con un costo variabile da 0.60 a 0.80 euro all'ora, per ogni ora della durata della loro permanenza nella struttura. E' questo in sintesi il risultato della recente delibera emessa dall'amministrazione del commissario straordinario Giuseppe Pecoraro, relativa all’affidamento del servizio di gestione delle aree di sosta, servizio di bus navetta, guardiania armata, reception ed altri servizi accessori, infatti, prevede, a supporto economico delle casse aziendali, il pagamento fisso mensile da parte di ogni dipendente del Policlinico. “Per la sosta della loro auto”.

Un esborso che non convince i sindacati di categoria. Franco Di Renzo, della "Flc Cgil", è chiaro nel lanciare l’allarme. “Sono 800 i parcheggi, a pagamento, che la delibera programma siano messi a disposizione all’interno del Policlinico. Sono 2300 i dipendenti della struttura universitaria, e si suppone che la quasi totalità raggiunga il posto di lavoro in auto. Considerando che, tra questi, la turnazione antimeridiana prevede almeno 1800 presenze al giorno, rimane un esubero di 1000 dipendenti che dovranno parcheggiare all’esterno, con gravi difficoltà alla viabilità della zona". Sopratutto perchè le aree esterne e adiacenti al policlinico sono quasi tutte zone di Divieto di Sosta controllate da parcheggiatori abusivi.

Non è neppure chiara la cifra da pagare per i dipendenti. Sul sito della ditta "Apcoa" il prezzo praticato ai dipendenti risulta essere di € 9 e non di € 5, così come invece aveva dichiarato il direttore. Il Sindacato RdB/CUB aveva dichiarato in quella sede immediatamente la propria contrarietà a qualunque pagamento a carico dei dipendenti. Tale condotta risulta essere gravemente antisindacale ed offensiva della dignità di tutti i lavoratori dell’A.O.U. Policlinico Gaetano Martino che si vedono costretti ad affrettarsi ad abbonarsi per non correre il rischio di non poter parcheggiare il proprio mezzo (auto/moto) all’interno del nosocomio di Viale Gazzi.

Citando il loro comunicato, è di tutta evidenza infatti che il pagamento richiesto si configura come una vera e propria tassa, che mira soltanto a rimpinguare le casse dell’Azienda a discapito di coloro che lavorano al suo interno, già abbastanza vessati e sviliti dalla stessa sotto tantissimi versanti, penalizzando tra l’altro una buona parte di essi che comunque non avrà accesso ai citati posteggi in quanto gli stessi sono stati previsti in numero non sufficiente. Si evince da questo comunicato, che i patti non sono stati mantenuti, in quanto il Direttore generale nella riunione del 18/11/2009, aveva fatto presente che la graduatoria sarebbe stata trasparente e che tutte le notizie inerenti alla partecipazione sarebbero state devolute dal 25/11/2009. Invece si ha notizia in modo amichevole e non per tutti, che la graduatoria è gia stata aperta il 18/11/2009.

Intanto monta la polemica. Gli studenti hanno assaltato alcuni forum online esprimendo la loro preoccupazione per un provvedimento che complica non poco la loro vita fatta di lunghe giornate di lezioni obbligatorie, ma hanno espresso il loro sconcerto anche sul famoso sito "facebook" con i classici gruppi di discussione in cui lamentano non tanto l'obbligo di pagamento quanto la richiesta di cifre ritenute eccessive e nettamente superiori a quanto richiesto in ospedali di altre città.

FONTE: WWW.IMGPRESS.IT 
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Tieni sotto controllo il consumo di sale, lo chiede il tuo cuore...

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Il consumo eccessivo di sale è associato a un rischio significativamente più alto di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari, riporta un lavoro pubblicato sul "British Medical Journal", prestigiosa rivista scientifica internazionale. Il risultato è frutto di una collaborazione tra due centri di eccellenza della Società Europea di Ipertensione, uno con sede in Italia coordinato dal Pasquale Strazzullo presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università di Napoli "Federico II", l'altro, il WHO Collaborating Centre for Nutrition, presso l'Università di Warwick, in Gran Bretagna. Lo studio ha valutato la relazione tra apporto abituale di sale con la dieta ed eventi cerebrovascolari e cardiovascolari totali, attraverso la meta-analisi di 13 studi prospettici realizzati in Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Olanda, Finlandia e Cina. Lo studio ha incluso oltre 170 mila partecipanti, seguiti dai 3,5 ai 19 anni, e ha registrato circa 11 mila eventi vascolari. La meta-analisi ha fornito l'inequivocabile evidenza di una associazione diretta tra elevato consumo di sale e rischio di ictus e patologie cardiovascolari, mostrando che la riduzione di circa 5 grammi al giorno nel consumo di sale ridurrebbe il rischio di ictus del 23% e di patologie cardiovascolari totali del 17%. Ossia, circa 1,250 milioni di ictus e circa 3 milioni di eventi vascolari in meno su scala globale per anno. è stato visto anche che l'effetto sfavorevole dell'abuso di sale sul rischio cardiovascolare è dose-dipendente e aumenta con la durata dell'esposizione, che purtroppo inizia già nell'infanzia. "Nella maggior parte dei paesi industrializzati, il consumo di sale nella popolazione adulta supera i 10 grammi al giorno - spiega Strazzullo - mentre l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda che esso non ecceda i 5 grammi. Il nostro studio fornisce un forte sostegno alla raccomandazione di ridurre sostanzialmente il consumo di sale per evitare ictus e altri eventi cardiovascolari". "Anche se in alcuni paesi si comincia a notare una certa riduzione nel contenuto di sale di molti prodotti alimentari, grazie alla collaborazione tra governi, organizzazioni sanitarie e settori dell'industria - aggiunge il ricercatore Francesco Cappuccio - la progressione verso gli obiettivi raccomandati è lenta. Per questo motivo, In aggiunta alle campagne di promozione della salute, potrebbe essere necessario un intervento legislativo che consenta di avvicinarsi agli obiettivi dell'OMS in un tempo ragionevole, al fine di ridurre il numero di morti evitabili, la disabilità e i costi a carico degli individui e della società, causati dall'inaccettabile eccesso di sale nella nostra dieta".

FONTE: Agi.it
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L'emoglobina: una riserva di ossigeno contro le microischemie cerebrali

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E' parte della conoscenza comune che l'emoglobina sia uno dei componenti principali del sangue e sia responsabile del suo colore rosso fiammante. Una recente scoperta italiana cambia la nostra percezione del ruolo di questa molecola nel nostro corpo. Le catene dell'emoglobina non sono infatti prodotte solo nei precursori dei globuli rossi: sono uno dei componenti di alcune cellule del nostro cervello. In particolare l'emoglobina viene espressa nei neuroni dopaminergici della sostanza nera, la cui degenerazione porta al morbo di Parkinson, e nelle cellule gliali che in tutto il cervello circondano i neuroni come un tessuto connettivo. Utilizzando il metodo dei microarrays, piccoli supporti sulla cui superficie si stratifica il Dna di un organismo, Stefano Gustincich della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste) e le sue collaboratrici Marta Biagioli e Milena Pinto hanno dimostrato che all'aumentata espressione dei geni per le catene globiniche corrispondevano cambiamenti nell'espressione di geni legati all'omeostasi dell'ossigeno e alla fosforilazione ossidativa. Si è ipotizzato pertanto che l'emoglobina, oltre che nel sangue, crei un magazzino di ossigeno anche nel cervello, proteggendo in questo modo il tessuto nervoso dalle microischemie.

Stefano Gustincich della SISSA, rientrato in Italia dagli Stati Uniti grazie alla Fondazione Giovanni Armenise-Harvard, da cinque anni studia il Parkinson e cerca di capire perché nel cervello dei parkinsoniani muoiano in maniera massiccia le cellule cerebrali dopaminergiche produttrici di dopamina, molecola essenziale per il controllo efficace dei movimenti corporei.

Oltre che nel Parkinson questa scoperta può essere utile per studiare l'ictus cerebrale. Durante l'ischemia, infatti, parte del cervello riceve meno ossigeno: la presenza di Hb in quest'organo si spiegherebbe con la necessità di disporre prontamente di riserve di ossigeno da usare in casi estremi.


Fonte: Molecularlab.it
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La serotonina pancreatica: il suo ruolo nella genesi del diabete

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Il diabete sta diventando uno dei maggiori problemi di salute a livello mondiale ed è attualmente responsabile di quasi 4 milioni di decessi ogni anno. Un team di ricercatori ha studiato il ruolo della serotonina - un ormone depositato nel pancreas insieme all'insulina - per vedere se la sua assenza influisce sulla produzione di insulina. I loro risultati indicano che l'assenza di serotonina nel pancreas dei topi ha portato ad uno sviluppo rapido del diabete negli animali. I risultati, pubblicati nella rivista "Public Library of Science (PLoS) Biology", aprono nuove strade per la ricerca sul diabete.

Il diabete è la malattia metabolica più diffusa nel mondo industriale e la ricerca d'avanguardia è fondamentale per affrontare questa vera e propria emergenza sanitaria a livello mondiale. Il diabete è causa di gravi malattie, come ad esempio l'ictus, la cecità e l'insufficienza renale. Inoltre influisce pesantemente sulla spesa per la sanità a livello mondiale. Siamo tuttavia ad una svolta: un consorzio internazionale di scienziati ha individuato il ruolo della serotonina all'interno delle cellule pancreatiche produttrici di insulina e di conseguenza nello sviluppo del diabete.

Il consorzio, guidato dall'Istituto Max Planck di genetica molecolare a Berlino, in Germania, comprendeva ricercatori dell'Università di Maribor, in Slovenia, e dell'Istituto di farmacologia e tossicologia della Libera università di Berlino (Germania). Il team ha condotto una serie di esperimenti sui topi e ha scoperto che l'assenza di serotonina è un precursore per lo sviluppo del diabete.

Per molto tempo la serotonina è stata al centro dell'interesse della comunità scientifica. Chiamata "l'ormone del benessere" - per il fatto che livelli alti di serotonina provocano una sensazione di felicità - essa è coinvolta in molti aspetti del comportamento umano, come ad esempio l'umore, i livelli di rilassamento e la capacità di dormire.

La serotonina è implicata in molte funzioni dell'organismo. Essa agisce da neurotrasmettitore nel cervello ed è presente nelle piastrine ematiche e nella parete intestinale. Si trova anche nelle cellule beta del pancreas, che rilascia insulina per regolare i livelli di glucosio nel sangue. La serotonina fu scoperta nelle cellule beta più di trent'anni fa, ma il suo coinvolgimento preciso nello sviluppo del diabete finora non è ancora stato chiarito.

L'insulina e la serotonina sono entrambi immagazzinate all'interno delle cellule beta del pancreas. Quando il pancreas rilascia l'insulina, questa riveste un ruolo fondamentale nel regolare i livelli di glucosio ematico distribuendo lo zucchero all'interno del flusso sanguigno verso le altre cellule, praticamente nutrendo le cellule di tutto l'organismo di zucchero ematico e riducendo successivamente i livelli di glucosio ematico se questi dovessero rimanere troppo alti. Il diabete si presenta quando questo meccanismo di regolazione cessa di funzionare adeguatamente.

Il team di ricerca ha svolto degli esperimenti su topi privi di un enzima chiamato triptofano idrossilasi, essenziale per la produzione di serotonina. Privi di questo enzima, i topi erano incapaci di produrre serotonina e hanno sviluppato i sintomi del diabete. Erano anche resistenti al pargyline, una sostanza chimica coinvolta nel rilascio dell'insulina.

Il team ha scoperto che quando i livelli di serotonina erano bassi, nei topi era ridotta la produzione di insulina e si alzavano i livelli di glucosio ematico subito dopo l'assunzione di cibo. "In condizioni normali, la serotonina controlla il rilascio di insulina - l'ormone più importante nella regolazione della concentrazione di glucosio ematico negli umani e negli animali", ha spiegato il dott. Diego Walther dell'Istituto Max Planck di genetica molecolare.Il team di ricerca auspica che la scoperta aprirà la strada ad ulteriori ricerche e darà nuova speranza ai malati di diabete.

FONTE: www.molecularlab.it e www.cordis.europa.eu.int
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Approfondito il ruolo della molecola CXCL5 nella patogenesi del Diabete di tipo 2

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Un gruppo di ricercatori europei ha recentemente approfondito il ruolo della molecola CXCL5 nella patogenesi del diabete mellito di tipo 2 nelle persone anziane e affette da obesità. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Metabolism. "L'infiammazione cronica del tessuto adiposo, che e' tipica delle persone obese, è una fase cruciale nello sviluppo dell'insulina-resistenza e del diabete di tipo 2", ha detto Lluis Fajas, ricercatore dell'Institute of Health and Medical Research (Inserm) in Francia e autore dello studio. Dai risultati dello studio è emerso che i livelli sierici di una molecola chemochine chiamata "CXCL5", prodotta da alcune cellule del tessuto adiposo, appaiono molto più elevati nei tessuti delle persone obese rispetto a quelli delle persone che hanno un peso nella norma. Questo ha permesso ai ricercatori di concludere che "la molecola CXCL5 facilita lo sviluppo dell'insulino-resistenza e del diabete di tipo 2", ha detto Fajas. La parte piu' importante dello studio è la scoperta che un trattamento sperimentale è in grado di inibire l'azione di CXCL5, contribuendo a proteggere i topi obesi dallo sviluppo del diabete di tipo 2. "Se questi studi venissero confermati negli esseri umani, questo trattamento potrebbe rappresentare un sostanziale miglioramento della qualita' della vita degli individui obesi", ha concluso il ricercatore.

FONTE: Agi.it e varie testate nazionali
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Il Senato impone o stop alla RU486: chiesta un'indagine conoscitiva prima della immissione sul mercato...

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Ennesimo stop all'iter che dovrebbe portare alla commercializzazione della famosa "RU486". La commissione Sanità del Senato ha approvato, a maggioranza, con i voti favorevoli di Pdl e Lega (13) e quelli contrari (8) del Pd, il documento finale dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU486 presentato dal presidente e relatore Antonio Tomassini. Nel testo si chiede al governo di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la RU486.

Secondo la maggioranza con la RU486, l'interruzione di gravidanza diventerebbe molto più facile rispetto alle procedure previste dalla legge sull'aborto. "La coerenza con la legge 194 si realizza solo se c'è il ricovero ospedaliero ordinario per tutto il ciclo fino all'interruzione verificata della gravidanza" ha detto il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. "Un processo che se invece avvenisse al di fuori di questo contesto sarebbe una violazione della legge 194. La procedura corretta è evidente. Richiede prima il parere del governo e dopo una nuova delibera dell'Aifa", il ministro ha aggiunto che "la pronuncia del governo sarà sostanzialmente analoga a quella dell'Aifa".


Il parere richiesto al governo in merito alla pillola abortiva Ru486 "avrà tempi brevissimi, e sarà espresso anche nel giro di 24 ore". lo dice il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, precisando che non c'è alcuno stop all'immissione nel mercato, e che dopo il parere ci sarà un nuovo Cda dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e, a quel punto, si potrà procedere alla pubblicazione in gazzetta del provvedimento per l'immissione in commercio in Italia della Ru486.


La pillola RU486 "sarà commercializzata in ogni caso", dice Mario Staderini, segretario di Radicali Italiani, spiegando come "per legge se l'Agenzia preposta ne decide l'immissione sul mercato non può essere un parere del ministero della Salute, come quello richiesto oggi dal Senato, a poterne bloccare la vendita".


Soddisfazione per lo stop è stata espressa dal presidente dell'Udc Rocco Buttiglione, dal senatore del PdL Stefano De Lillo, da Arturo Iannaccone, parlamentare e responsabile del dipartimento sanità del Mpa: "E' evidente che la commercializzazione della pillola è in palese contrasto con la legge 194, che punta a evitare che l'aborto venga considerato un metodo contraccettivo". Soddisfatto anche il presidente dei senatori del PdL, Maurizio Gasparri: "C'erano troppi dubbi sulle conseguenze che la pillola avrebbe potuto avere sulla salute delle donne. E' assurdo che le opposizioni, accecate dal pregiudizio politico, non pensino agli effetti devastanti che può avere sulle donne. Per noi lo stop - ha concluso - è una vittoria di civiltà, una vittoria in difesa della salute".

Dura la reazione degli esponenti dell'opposizione. "La furia oscurantista della maggioranza blocca la commercializzazione di un medicinale già utilizzato da milioni di donne, da molti anni", ha detto Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera. "Un autentico colpo di mano - ha ribadito Felice Belisario (Idv) -. E' assolutamente indecente, una scelta oscurantista che fa fare salti indietro rispetto ai Paesi più evoluti, nei quali viene già somministrata da anni senza battaglie che nascondono altri sconci baratti". Per il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro: "Quelle della maggioranza e del governo ancora una volta sono chiacchiere, ci dicano una volta per tutte cosa vogliono fare". Per Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del Pdci: "E' una vergogna, tipica di un regime fondamentalista". Contrario al blocco però si è detto anche il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: "Francamente non condivido lo stop, agendo in modo del tutto regolare e legittimo, l'Aifa aveva ammesso la pillola con vincoli assai rigorosi (la commercializzazione e l'uso è consentita solo in ospedale) che rispettano la legge 194". Così Benedetto Della Vedova, deputato del Pdl: "All'interno del centro-destra alcuni parlamentari ritengono che il legislatore possa correggere le verità scientifiche e mediche. E' un'idea pericolosa".


Secondo Silvio Viale, il ginecologo torinese che ha sperimentato la RU486, la richiesta della Commissione "allinea l'Italia alle posizioni di Polonia, Malta e Irlanda, dove l'aborto è vietato. Sul piano scientifico è il sintomo di come la donna sia sempre più lasciata sola in balia di posizioni antiabortiste che manipolano la scienza per i propri scopi politici". Ancora più sicuro il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier: "L'uso della pillola è preferibile a un intervento chirurgico. Il farmaco è usato da più di venti anni. Non ci sono controindicazioni farmacologiche, ma soprattutto etiche". Lo scienziato ha poi chiarito che "finché non c'è un sistema nervoso sviluppato l'embrione non può essere considerato un uomo, questo avviene intorno al terzo mese di gravidanza". Concludendo: "Il farmaco messo a punto in Francia è un analogo di ormoni naturali e comporta rischi deboli dal punto di vista della salute, proprio come un qualsiasi altro farmaco contraccettivo".

FONTE: Repubblica.it => Clicca per leggere l'articolo completo dal loro sito
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21 novembre, 2009

Briciole di Medicina (9° Puntata) – Glomerulonefriti, insufficienza renale e malattie cistiche del rene

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La glomerulonefrite è una patologia dei reni, in particolare una infiammazione dei glomeruli renali che può decorrere in modo acuto, subacuto o cronico con sintomi diversi (ematuria, proteinuria, insufficienza renale). Può essere una malattia a eziologia primitiva (glomerulonefrite primitiva o idiopatica) oppure può scaturire da una malattia sistemica (in particolare del diabete mellito o di malattie autoimmuni quali il LES, una vasculite, etc.) e infine può essere secondaria ad un'infezione (da streptococco, da stafilococco, da virus dell'epatite B o epatite C etc.).

I sintomi clinici che si associano alla glomerulonefrite possono essere:

• Insufficienza renale (acuta o cronica) con tutti i suoi sintomi
• Ipertensione arteriosa
• Sindrome nefrosica cioè una sindrome clinica causata da perdita di proteine con le urine e caratterizzata da ipoproteinemia (riduzione di delle proteine ed in particolare dell'albumina nel sangue), ipercolesterolemia e ritenzione di liquidi (edema)
• Ematuria, spesso microscopica, specie durante le riacutizzazioni, cui frequentemente segue macroematuria

Il termine “glomerulonefrite” è utilizzato per indicare un’insieme di malattie che coinvolgono il parenchima renale e in cui si verifica una lesione glomerulare con segni tipici di infiammazione quali infiltrazione leucocitaria, deposito di immunocomplessi e attivazione del complemento. Tali malattie possono essere distinte in base a vari criteri, fra cui la sede dell’agente eziologico (primitive o secondarie) o la durata del tempo necessario alla comparsa della lesione e alla manifestazione dei sintomi clinici (acuta, subacuta, cronica). L’introduzione della biopsia renale ha consentito di approfondire le caratteristiche istopatologiche di tali lesioni permettendo la descrizione di “attributi” quali: glomerulopatia focale, segmentale, diffusa, proliferativa, con alterazioni della membrana glomerulare, con formazione di semilune.

Le glomerulonefriti vengono classificate principalmente applicando i seguenti criteri:
• 1) Eziologico • 2) Patogenetico • 3) Anatomo-Patologico • 4) Clinico

In base a una classificazione eziopatogenetica è possibile distinguere quattro raggruppamenti principali di malattie glomerulonefrite di cui i primi due gruppi hanno una eziologia immunologica, il terzo gruppo comprende tutte le malattie a eziologia metabolica, tossica, emodinamica, da deposito di materiale amiloide e infettiva, infine il quarto gruppo comprende le malattie a eziologia genetica:

1- Glomerulonefriti a eziologia immunologica:
Glomerulonefriti da immunocomplessi: in questo gruppo sono comprese tutte le malattie che causano una lesione a livello glomerulare derivante da un’alterazione che coinvolge il sistema immunitario nella sua componente umorale. E’ possibile effettuare un’ulteriore distinzione in base al meccanismo con cui l’anticorpo arreca danno al glomerulo. Infatti si ha un primo meccanismo che consiste nella deposizione dell’immunocomplesso che si forma in un tessuto extrarenale e che va ad accumularsi negli spazi della barriera di ultrafiltrazione (a livello sottoendoteliare, sottoepiteliare o mesangiale). Il secondo meccanismo prevede la reattività dell’anticorpo contro un antigene espresso sulla superficie delle cellule che compongono il glomerulo, quale ad esempio la reazione che si ha fra un anticorpo e l’antigene self gp330 delle cellule epiteliali.


Il primo meccanismo è tipico di patologie quali:
1- Glomerulonefrite acuta postinfettiva
2- Glomerulonefrite lupica
3- Glomerulonefrite da crioglobulinemia mista o membranoproliferativa di tipo 1
4- Glomerulonefrite da deposito di IgA
5- Glomerulonefrite da porpora di Schonlein-Henoch.

Il secondo meccanismo è tipico di patologie quali:
1- Glomerulonefrite membranosa
2- Glomerulonefrite da sindrome di Goodpasture

Tuttavia una distinzione netta di queste malattie non è attuabile perché in molte patologie possono coesistere entrambi i meccanismi. Un fattore che favorisce la progressione della lesione glomerulare è quello “emodinamico” in quanto i reni funzionano da filtro di arresto per le macromolecole plasmatiche che pertanto possono depositarsi in sede glomerulare. Inoltre nel glomerulo è presente il tessuto mesangiale che è capace di captare direttamente le macromolecole. I complessi piccoli e molto solubili, poiché formati in eccesso di antigene, resistono maggiormente alla degradazione e tendono quindi a localizzarsi nel glomerulo più facilmente, specialmente se queste particelle possiedono carica cationica. La penetrazione di un’eccessiva quantità di antigeni associata a una ritardata risposta immune può facilitare l’impianto di antigeni a livello glomerulare causando la successiva reazione autoimmune.

Riassumendo, i fattori favorenti la formazione degli immunocomplessi sono:
1) alterata funzione del mesangio
2) maggiore affinità degli antigeni a carica positiva verso le strutture glomerulari che possiedono cariche elettriche negative, spesso si ha inoltre un’alterata distribuzione delle cariche elettriche negative che determina il passaggio transcapillare delle macromolecole potenzialmente antigeniche e che si localizzano in sede sottoepiteliare mentre antigeni anionici vengono normalmente respinti dalla membrana basale e tendono a essere intrappolati nello spazio sottoendoteliare.
3) reattività crociata verso i costituenti propri dei capillari glomerulare, un antigene “esterno” può infatti determinare per un fenomeno di mimetismo molecolare una produzione di anticorpi che reagiscono in modo crociato con gli antigeni glomerulari endogeni, inoltre possono innescare una espressione anomala di molecole del complesso MHC-2 su cellule glomerulari che presentano antigeni intrinseci precedentemente invisibili ai linfociti T e stimolando cosi la risposta autoimmune, infine l’antigene esterno può innescare una attivazione policlonale dei linfociti B, alcuni dei quali possono produrre anticorpi potenzialmente nefritogeni.

La deposizione anticorpale acuta nello spazio sottoendoteliare o nel mesangio innesca di solito una tipica risposta “nefritica” caratterizzata da rapido reclutamento di leucociti e piastrine. La flogosi è più grave quando l’anticorpo si deposita nello spazio sottoendoteliare rispetto al mesangio. La deposizione di anticorpi nello spazio sottoepiteliare provoca talvolta una risposta di tipo “nefrosico” caratterizzata da proteinuria, senza tuttavia una infiltrazione evidente di cellule infiammatorie. La glomerulonefrite anticorpo-mediata “acuta” provoca glomerulonefrite proliferativa diffusa e insufficienza renale acuta nel corso di giorni o settimane (sindrome nefritica), la glomerulonefrite “subacuta” provoca invece la formazione di semilune e la insufficienza renale acuta nel corso di settimane o mesi. La deposizione di immunocomplessi prolungata per mesi o anni può provocare un marcato aumento della membrana basale o produzione di matrice mesangiale e tale accumulo, di grado lieve o moderato, si manifesta con proteinuria dovuta a distruzione della barriera di filtrazione glomerulare: nelle forme più gravi l’accumulo di matrice causa glomerulosclerosi e insufficienza renale cronica. Le semilune sono composte da monociti infiltrati, cellule epiteliali parietali in proliferazione e blocchi di fibrina.

2- Glomerulonefriti a eziologia immunologica:
Glomerulonefriti da lesione cellulo mediata: in questo gruppo sono comprese le glomerulonefriti in cui il meccanismo eziopatogenetico consiste in una attivazione anomala dei linfociti T che sono responsabili di una reazione di ipersensibilità ritardata: si ha un riconoscimento tramite recettore TCR/CD3 di antigeni presentati da molecole MHC di cellule residenti glomerulari, endoteliari, mesangiali ed epiteliali, tale processo è favorito dalla concomitante liberazione di molecole costimolatrici. Le citochine rilasciate dai linfociti T attivi, fra cui la più importante è la IL-2, sono potenti stimoli per un ulteriore reclutamento di leucociti, citotossicità e fibrosi. I linfociti T svolgono la loro azione citotossica mediante la produzione di perforine (o citolisine) e granzime: le prime determinano pori nella membrana della cellula bersaglio portando alla lisi, le seconde sono proteasi che causano la frammentazione del DNA e favoriscono l’apoptosi della cellula. Inoltre i linfociti T esprimono il recettore FAS il quale, interagendo con il ligando FAS presente sulla superficie delle cellule bersaglio, induce apoptosi. Vari metaboliti, fra cui IL-1, TNF-alfa, PDFG, TXA2, PGF2, LTB4, intervengono stimolando la proliferazione delle cellule epiteliali della capsula di Bowman e la costruzione di semilune.

Questo meccanismo è tipico di patologie quali:
1- Glomerulonefrite pauciimmune
2- Glomerulonefrite focale segmentaria primitiva

3- Glomerulonefriti ad eziopatogenesi non immunologica: in questo gruppo sono comprese le patologie glomerulari la cui eziopatologia è di natura non immunologica e non genetica. Si può avere quindi una eziologia:

1- Metabolica: tipica è la nefropatia diabetica che si verifica a causa delle iperglicemie croniche non controllate, più rare sono le nefropatie che conseguono a malattia di Anderson-Fabry, a sialidosi o a malattia di Charcot-Marie-Tooth, le quali sono delle patologie genetiche che tuttavia non vengono comprese nel quarto raggruppamento in quanto si ha un coinvolgimento indiretto alla genesi della glomerulonefrite, derivante cioè da una alterazione metabolica che comporta l’incremento nel plasma di una molecola da cui poi scaturisce la patologia nefritica. Questo tipo di nefropatia è caratterizzata istopatologicamente da sclerosi glomerulare (segmentaria o globale) in seguito ad ispessimento della membrana basale e ad ampliamento del mesangio per incremento della matrice extracellulare.

La nefropatia diabetica si caratterizza per la perdita con le urine di una quantità crescente di albumina,che accompagna l'aumento della pressione arteriosa e precede la riduzione della funzione renale. L'insufficienza renale terminale, con necessità di dialisi o trapianto, interviene dopo 20-30 anni dalla insorgenza del diabete. Circa il 25% dei diabetici di tipo 1 e il 5-10% dei soggetti con diabete di tipo 2 sviluppano insufficienza renale. La presenza di nefropatia diabetica si accompagna inoltre a un più elevato rischio di malattie cardiovascolari e di altre complicanze tipiche del diabete (neuropatia e retinopatia diabetica). La nefropatia diabetica non si associa ad alcun sintomo clinico nelle prime fasi del suo sviluppo, caratterizzato soltanto dalla presenza nelle urine di una quantità moderatamente elevata di albumina (microalbuminuria). In condizioni normali, la quantità di albumina eliminata giornalmente con le urine non supera i 30mg/l. Si definisce microalbuminuria una quantità di albumina compresa fra 30 e 300mg/l. L'escrezione di una quantità superiore ai 300mg viene definita invece macroalbuminuria ed è indicativa di una nefropatia conclamata. Quando la quantità di albumina secreta è superiore ai 300mg, il danno renale è di tale entità da consentire anche il passaggio di proteine diverse dall'albumina. Per questo il termine macroalbuminuria è interscambiabile con quello di proteinuria. Nel tempo la quantità di proteine disperse con le urine può crescere progressivamente fino a raggiungere valori superiori ai 3 grammi nelle 24 ore. Ne deriva una riduzione della concentrazione di albumina nel sangue con conseguente comparsa di edema alle caviglie e successiva estensione ad altri distretti. La comparsa di microalbuminuria è abitualmente accompagnata da un aumento della pressione arteriosa che contribuisce al progressivo peggioramento della funzione renale. La presenza di insufficienza renale si associa a una sintomatologia complessa che include una marcata riduzione delle forze, mancanza di appetito, nausea e, nelle forme più avanzate, vomito, gonfiore alle caviglie o edemi diffusi, anemia per la mancanza di eritropoietina e dolori ossei per la presenza di una osteodistrofia renale secondaria a una carenza di vitamina D. In questa fase di insufficienza renale terminale è inevitabile il ricorso alla terapia dialitica o al trapianto di rene. Nella evoluzione della nefropatia diabetica si possono perciò distinguere alcuni stadi. Nel periodo immediatamente successivo alla insorgenza del diabete la funzione renale è normale - può esserci anzi un aumento della filtrazione glomerulare legato all'iperglicemia - non c'è microalbuminuria e la pressione arteriosa è normale. La maggior parte dei pazienti rimane in questo stadio e, se nessuna variazione interviene dopo 15 anni, è ormai improbabile che la nefropatia diabetica insorga successivamente. In una minoranza di casi - 15% dei diabetici di tipo 1 e 5-10% dei diabetici di tipo 2 - in un tempo variabile dai 5 ai 10 anni di durata del diabete compare microalbuminuria, eventualmente associata a un lieve aumento della pressione arteriosa, mentre la funzione renale di filtrazione si mantiene normale. Questo stadio viene anche definito come nefropatia incipiente. In uno stadio ulteriore, che copre il periodo fra 10 e 20 anni di durata del diabete, aumentano i livelli di proteine nelle urine (proteinuria), compare ipertensione arteriosa e comincia a rendersi evidente una riduzione della funzione renale. Questo stadio viene definito di nefropatia clinica o conclamata. Da questo momento, il calo della funzione renale diviene progressivo e, in assenza di terapia, procede celermente verso lo stadio finale di insufficienza renale terminale con necessità di ricorso alla terapia sostitutiva. Nel diabete di tipo 1, difficilmente la microalbuminuria è dimostrabile prima dei 5 anni di durata della malattia. Questo non vale sempre nel diabete di tipo 2, che può presentare microalbuminuria fin dal momento della diagnosi, giacché questa, il più delle volte, segue di diversi anni l'insorgenza della malattia. La microalbuminuria è un importante indice predittivo della futura comparsa di una nefropatia diabetica conclamata. In realtà, fino al 50% dei soggetti diabetici può presentare microalbuminuria nella prima fase della malattia e, di questi, circa un terzo o poco più - all'incirca il 20% del totale - sviluppano una proteinuria ed evolvono verso l'insufficienza renale. Attualmente la nefropatia diabetica è la causa più frequente di accesso ai servizi di emodialisi e dialisi peritoneale e ai programmi di trapianto renale. E' importante sottolineare che la microalbuminuria è anche un importante fattore di rischio cardiovascolare. Molti studi condotti sul diabete di tipo 2 hanno dimostrato che il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare è aumentata di 2-3 volte in presenza di microalbuminuria e di ben 10 volte in presenza di proteinuria. La frequenza e la gravità delle complicanze renali del diabete devono indurre a uno screening accurato e periodico dei diabetici per una diagnosi precoce della nefropatia diabetica e per l'attivazione delle misure terapeutiche necessarie. L'esperienza dell'ultimo ventennio ha infatti dimostrato che una terapia appropriata può fare regredire verso la normalità una condizione di microalbuminuria e rallentare in modo significativo il declino della funzione renale quando si sia già stabilita una condizione di proteinuria.

La malattia di Anderson-Fabry è un raro disordine genetico provocato dalla carenza dell’enzima lisosomiale “α-galattosidasi A”. La carenza di questo enzima porta all’accumulo progressivo di glicosfingolipidi, e in particolare globo-triaosil-ceramide (GL-3), nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo. I pazienti affetti da questa patologia possono andare incontro ad un peggioramento della qualità di vita a causa di complicanze di natura renale, cardiaca, cerebrovascolare o ad una combinazione di esse; tali complicanze possono portare, intorno alla quarta o quinta decade di vita, ad una morte prematura. Insufficienza renale, proteinuria e isostenuria, alterazioni del riassorbimento, della secrezione e dell’escrezione tubulare, iperazotemia.

La sialidosi è una malattia lisosomiale che prevede un’alterazione enzimatica che causa accumulo di acido sialico. (vedi Lisosomiopatie in Patologia)

La malattia di Charcot-Marie-Tooth o CMT, nota anche come Neuropatia motorio-sensitiva ereditaria, è una sindrome neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico in cui vengono classificate numerose malattie ad eziologia non ancora perfettamente conosciuta.

2- Emodinamica: tipica è la nefroangiosclerosi ipertensiva e la glomerulosclerosi focale segmentaria secondaria. L’agente lesivo è dato dall’ipertensione sistemica e dall’ipertensione intraglomerulare. La nefroangiosclerosi (o nefrosclerosi arteriolare) è una alterazione del tessuto renale caratterizzata da un ispessimento e indurimento inizialmente localizzato alle piccole arterie renali, seguito, con l'aggravarsi del processo degenerativo, da indurimento e trasformazione fibrosa, che interessa tutto il rene. La causa di questa progressiva degenerazione sta in una condizione di ipertensione arteriosa sistemica che persistentemente espone il tessuto renale a elevati valori di pressione circolatoria intraparenchimale, con sviluppo di lesioni delle arteriole renali (arteriolosclerosi ialina) ed eventualmente perdita funzionale (condizione propria dello stadio di nefrosclerosi). Se ne distinguono una forma benigna e una forma maligna. La nefroangiosclerosi benigna non si accompagna di solito a grave alterazione del funzionamento del rene, che può però manifestarsi in quelle situazioni in cui l'organo è costretto a lavorare in condizioni di ridotto volume di sangue: interventi chirurgici, emorragie intestinali, disidratazione ecc. La nefroangiosclerosi maligna è caratterizzata da alterazioni molto evidenti del tessuto renale e si accompagna sempre a gravi disturbi: ipertensione arteriosa molto grave, che si complica spesso con insufficienza cardiaca, aumento della pressione endocranica con nausea, emicrania, vomito, e talvolta crisi ipertensive con perdita di coscienza e anche convulsioni. Generalmente questa forma evolve verso l'insufficienza renale. Il controllo dell'ipertensione arteriosa è il principale obiettivo della terapia, sia nella forma benigna che in quella maligna. Quanto più precoce è la normalizzazione dei valori pressori, tanto maggiori sono le probabilità di arrestare il decorso della malattia e di prevenire le complicanze ipertensive extra-renali nel caso della nefroangiosclerosi benigna. Al contrario, l''ipertensione maligna è una vera e propria emergenza medica, gravata ancora da un elevato tasso di mortalità, che va affrontata sotto tutti i suoi aspetti: essenziale è la pronta riduzione dei valori della pressione arteriosa e il suo controllo a lungo termine, così come la prevenzione e il trattamento precoce di tutte le sue possibili complicanze sistemiche.

3- Tossica: tipiche di questa eziologia sono le patologie quali la microangiopatia trombotica, la malattia a lesioni minime e la glomerulosclerosi focale segmentaria, determinate dall’utilizzo (spesso dall’abuso) di farmaci quali ad esempio FANS, ampicillina, interferone gamma, verocitotossina. In questa categoria sono comprese anche le nefropatie che scaturiscono dall’abuso di droghe (es. eroina).

4- Da deposito di fibrille amiloidi: tipica è la nefropatia da amiloidosi.

5- Infettiva: tipica è la nefropatia da virus HIV, ma anche numerose forme di batteremie o di endocardite batterica subacuta possono portare a nefropatie generalmente correlate alla deposizione di immunocomplessi.

4- Glomerulonefriti ereditarie: fanno parte di questo gruppo
1- la Sindrome di Alport (che è la patologia paradigmatica per il meccanismo esaminato)
2- la glomerulonefrite da membrane basali sottili
3- la glomerulonefrite da osteo-onicodisplasia (sindrome unghia-patella)
4- la glomerulonefrite da deficit familiare di lcat (lecitina-colesterolo-acil-trasferasi)
5- la glomerulonefrite da lipodistrofia parziale.

La sindrome di Alport è una patologia ereditaria trasmessa con tratto autosomico dominante legata al gene X, il gene difettivo per delezione o mutazione è il gene COL4A5 situato nella parte mediana del braccio lungo del cromosoma, che produce un’alterazione o un’assenza della catena alfa5 del collagene di tipo 4, per cui la membrana basale del glomerulo mostra stratificazioni, frammentazioni e ispessimenti longitudinali e i pazienti presentano ematuria, glomerulosclerosi e insufficienza renale associata a disordini sensoriali quali sordità e alterazioni oftalmiche. Recentemente sono state scoperte altre due mutazioni che causano sindrome di Alport nel 15% dei casi diagnosticati, quali una mutazione autosomica recessiva dei geni COL4A3 e COL4A4 localizzati sul cromosoma 2 e che determinano una modificazione delle catena alfa3 e alfa4 del collagene di tipo4. Infine di recente è stato possibile individuare un’ulteriore forma di questa malattia legata a una mutazione del gene COL4A6 che codifica la catena alfa6 e in questi pazienti è presente anche una leiomiomatosi dell’esofago e della trachea.

Una classificazione esclusivamente eziologica o eziopatogenetica non è sufficiente a descrivere i quadri clinici che possono scaturire dalla presenza di una patologia glomerulare. Seguendo un criterio clinico e associandolo ad un criterio “temporale” basato cioè sull’evoluzione del quadro clinico stesso, è possibile classificare le sindromi cliniche che scaturiscono dalle glomerulonefriti in sei gruppi principali:
1. Anomalie urinarie isolate
2. Sindrome nefritica da glomerulonefrite acuta
3. Sindrome nefritica da glomerulonefrite subacuta (o rapidamente progressiva)
4. Sindrome nefrosica
5. Sindrome scaturente da Insufficienza renale acuta (o Sindrome IRA)
6. Sindrome scaturente da Insufficienza renale cronica (o Sindrome IRC)

1- Anomalie urinarie isolate: numerosi lesioni renali si possono presentare con proteinuria isolata o con ematuria con o senza proteinuria. La proteinuria isolata è generalmente un reperto occasionale in paziente asintomatico, l’escrezione è generalmente inferiore a 2 grammi al giorno, il sedimento renale non è significativo e la funzione renale è fisiologicamente corretta. Circa il 60% di questi soggetti hanno come spiegazione fisiologica una proteinuria di tipo posturale facilmente reversibile. Una modesta proteinuria può accompagnarsi anche a patologie febbrili, allo scompenso cardiaco congestizio e al decorso delle malattie infettive. Tuttavia in alcuni pazienti la proteinuria può rappresentare una manifestazione precoce di una patologia glomerulare più seria come:
1. la glomerulonefrite membranosa,
2. la nefropatia IgA
3. la glomerulosclerosi focale
4. la nefropatia diabetica
5. la comparsa di amiloidosi.

L’ematuria, con o senza proteinuria, in un paziente asintomatico può costituire il riscontro occasionale di una patologia glomerulare secondaria come il LES, la porpora di SH, la glomerulonefrite post-infettiva o l’ipercalciuria idiopatica nel bambino. Tuttavia l’ematuria asintomatica è anche il principale sintomo d’esordio subdolo di alcune patologie proliferative glomerulari primitive, quali paradigmatici in tal senso sono
1. la malattia di Berger (nefropatia a depositi mesangiali di IgA)
2. la glomerulonefrite a membrane basali sottili (ematuria benigna)
3. la sindrome di Alport (vedi prima)

La malattia di Berger è una glomerulonefrite molto frequente caratterizzata dalla presenza di depositi mesangiali di IgA (di classe IgA1 con carica negativa e povere di residui di galattosio) e da episodi asintomatici di vistosa macroematuria che esordiscono dopo infezioni acute faringee o gastrointestinali, vaccinazioni o intensi sforzi fisici. I ricorrenti episodi di macroematuria si alternano a microematuria persistente con o senza proteinuria in periodi intervallari. Tale quadro si può osservare anche in altre forme di glomerulonefriti secondarie (porpora di SH, Lupus, crioglobulinemia, cirrosi epatica, morbo di Crohn, ect).
La eziopatogenesi non è del tutto chiara, è stata messa in evidenza nei pazienti un’alterazione del normale rapporto fra linfociti CD4 e CD8 con incremento dei primi a funzione helper e decremento dei secondi a funzione suppressor. Tale anomalia si associa a una maggiore produzione di IL-2 con presenza di linfociti T periferici e di monociti in stato di attivazione verso antigeni mesangiali non ancora del tutto noti. La recente osservazione di un’abnorme produzione di citochine quali IL-4, IL-5 e IFN-gamma che modulano lo switch isotipico IgM/IgA fa avanzare l’ipotesi che possa esservi un’alterazione di questo processo. Studi sul midollo osseo di tali pazienti hanno consentito di individuare una presenza di plasmacellule con aumentata attività rivolta a produrre IgA1, mentre le IgA2 (tipiche delle mucose) non sono rappresentate nei depositi. Il quadro umorale è aggravato da elevati livelli sierici di immunocomplessi circolanti IgA1-IgG e IgA1-IgM che aumentano ulteriormente nella fase di attività della malattia. Il quadro clinico è caratterizzato da infezione delle alte vie respiratorie, febbre e macroematuria. Sono stati osservati elevati livelli sierici di IgA1 polimeriche e di fattore reumatoide IgA. La malattia è frequente in Europa meridionale e in Asia, colpisce maggiormente i soggetti di razza nera che i soggetti di razza bianca, e in alcune famiglie più membri possono presentare la stessa malattia ma in forma più attenuata, con la sola microematuria e con una proteinuria lieve inferiore a 1 grammo al giorno.
La malattia presenta degli stadi di progressione. Al microscopio ottico si possono riscontrare glomeruli normali nonostante il profilo umorale alterato (malattia di Berger grado I), oppure glomeruli con ipercellularità mesangiale (malattia di Berger grado II), oppure anomalie miste che comprendono sclerosi segmentale, formazione di semilune, atrofia tubulare e fibrosi interstiziale (malattia di Berger grado III). Il principale rilievo diagnostico consiste in depositi di IgA osservabili nel mesangio con microscopia a immunofluorescenza, nell’area si rileva anche C3 e nel 50% anche depositi di IgG. Il 20-30% dei pazienti va incontro a insufficienza renale dopo 20 anni, ma alcuni presentano una progressione più rapida (circa 4-5 anni).

La malattia a membrane basali sottili, denominata ematuria ricorrente benigna, è una nefropatia sporadica o eredofamiliare a trasmissione autosomica dominante. Colpisce individui molto giovani di entrambi i sessi e si manifesta con microematuria asintomatica persistente senza proteinuria, con rari ed eventuali episodi di macroematuria. L’istologia al microscopio ottico e l’immunofluorescenza sono normali mentre l’esame ultrastrutturale mostra un tipico e marcato assottigliamento della membrana basale pari a circa un terzo del normale. La prognosi è buona anche se in rari casi si è osservata una evoluzione verso l’insufficienza renale cronica. E’ utile differenziare questa forma dalla sindrome di Alport evidenziando nella biopsia renale la presenza dell’antigene di Goodpasture mediante uso di anticorpo anti-membrana basale glomerulare fluoresceinato, poiché esso è assente nella sindrome di Alport e presente in tale malattia.

2- Sindrome nefritica da glomerulonefrite acuta: tale sindrome, che presenta un esordio acuto dopo un periodo molto breve di latenza, è caratterizzata da ematuria (sia microematuria che macroematuria), proteinuria (lieve o moderata), oliguria o anuria transitoria, riduzione del filtrato glomerulare, incremento della creatininemia, edema lieve o accentuato, ritenzione di acqua e sali, ipertensione lieve o grave con edema polmonare. Qualora sia lieve questa forma di glomerulonefrite tende a regredire spontaneamente. Essa si può presentare dopo un’infezione batterica o virale, nel corso di malattie infettive che generalmente coinvolgono l’apparato respiratorio e nelle affezioni cutanee dove siano in causa ceppi nefritogeni dello streptococco beta-emolitico del gruppo A. La patologia caratteristica che fornisce un quadro clinico di tal genere è la glomerulonefrite da infezione post-streptococcica. La patogenesi è spesso immunologica perché nelle prime fasi del decorso clinico si riscontrano immunocomplessi in circolo sotto forma di depositi gibbosi a livello glomerulare in sede sottoepiteliare (i caratteristici “humps”) e a conferma dell’eziologia spesso batterica in tali depositi è stato identificato come antigene l’endostreptolisina cioè una proteina di 46kda che viene prodotta nelle fasi iniziali della malattia streptococcica. Inoltre sono stati riscontrati anticorpi circolanti che reagiscono contro i costituenti della parete dei capillari glomerulari, infine i pazienti con glomerulonefrite possono avere anticorpi circolanti diretti contro la laminina, il collageno tipo IV e il proteoglicano eparansolfato, indicando il possibile contributo del mimetismo molecolare alla patogenesi. Pertanto è stata avanzata l’ipotesi che un antigene dello streptococco possa legarsi alle strutture glomerulari e servire da impianto per la formazione degli immunocomplessi in situ.

3- Sindrome nefritica da glomerulonefrite subacuta: rappresenta il corrispettivo clinico di molteplici forme di glomeruliti tutte caratterizzate istologicamente dalla presenza nello spazio di Bowman di semilune costituite dalla proliferazione di cellule dell’epitelio parietale, monociti e materiale fibrinoide. Le malattie che possono determinare tale quadro clinico sono numerose e sono distinte in tre gruppi:
1- Malattie da anticorpi anti membrana basale glomerulare:
1- Sindrome di Goodpasture
2- Glomerulonefrite idiopatica da anti-MBG
2- Malattie da immunocomplessi:
1- Glomerulonefrite post-infettiva
2- Glomerulonefrite da lupus eritematoso sistemico
3- Glomerulonefrite da crioglobulinemia mista essenziale
4- Glomerulonefrite da sindrome di Schonlein-Henoch
5- Glomerulonefrite di Berger
6- Glomerulonefrite membranoproliferativa
7- Glomerulonefrite da altre cause primitive
8- Glomerulonefrite da reazione a farmaci quali rifampicina, penicillina, idralazina...
9- Glomerulonefrite idiopatica rapidamente progressiva
3- Malattie da anticorpi ANCA (anti-citoplasma dei neutrofili):
1- Vasculiti ANCA associate
E’ da sottolineare come queste malattie presentano tutte un meccanismo patogenetico di tipo immunitario umorale.

Per quanto riguarda le malattie di gruppo 1, dal punto di vista clinico e patogenetico è paradigmatica la descrizione della sindrome di Goodpasture. Questi è una malattia autoimmune che colpisce i giovani adulti soprattutto di sesso maschile con un rapporto di 6 a 1, esordisce con un quadro clinico iniziale di emottisi e dispnea. La malattia è caratterizzata dalla presenza in circolo di autoanticorpi anti-membrana basale (anti-MBG) di classe IgG (o, raramente, di classe IgA) che si depositano a livello delle membrane basali dei glomeruli e degli alveoli. L’antigene bersaglio è una glicoproteina del dominio non collagenico della catena Alfa3 del collagene di tipo 4 e interagendo con il relativo antigene si forma un immunocomplesso che attiva i sistemi del complemento e della coagulazione, il che favorisce la comparsa delle semilune nel glomerulo. In particolare, in una prima fase la fibrina e i monociti attraversano il foglio viscerale “alterato” della capsula di Bowman e si depositano nello spazio libero, in seguito la IL-1 prodotta dai monociti attrae i fibroblasti dall’interstizio renale e si ha l’organizzazione delle semilune. I fattori responsabili della produzione di anticorpi autoimmuni di tal tipo non sono ancora del tutto noti, contribuiscono in tal senso una predisposizione genetica (è stata trovata una correlazione con l’allele HLA-DRw2), un danno chimico da radicali dell’ossigeno o da abuso di sostanze tossiche quali ad esempio la nicotina, e un danno arrecato da infezioni virali latenti. La conferma della diagnosi viene compiuta attraverso biopsia renale. Nel campione si osserva una morfologia tipica di glomerulonefrite proliferativa diffusa con lesioni necrotizzanti focali e semilune in più del 50% dei glomeruli. La presenza degli immunocomplessi viene sottolineata dall’applicazione della tecnica di immunofluorescenza che dimostra a livello glomerulare depositi lineari nastriformi di IgG lungo il decorso della membrana basale. E’ possibile avere conferma della presenza di Ig nel tessuto anche tramite tecnica di eluizione degli anticorpi dal campione di tessuto renale o polmonare prelevato dal paziente e successiva applicazione delle tecniche di dosaggio anticorpale con metodi radioimmunologici o immunoenzimatici.

Nelle malattie di gruppo 2 la glomerulonefrite si associa quasi sempre ad un’altra patologia sottostante, le lesioni sono analoghe alle malattie del gruppo 1 ma c’è un maggiore coinvolgimento del flocculo di vasi del glomerulo che consiste in una proliferazione endocapillare con depositi di materiale proteico nel mesangio e in sede sottoendoteliare, se ci sono infiltrati di monociti e polimorfonucleati si deve sospettare un’eziologia infettiva. All’immunofluorescenza si riscontrano depositi granulari mesangiale e parietali di IgG e IgM con C3.

Le malattie del gruppo 3 si riscontrano nel 40% circa dei pazienti, laddove non si riscontrano immunoglobuline nel glomerulo (glomerulonefrite paucimmune con semilune). La maggior parte di questi pazienti è affetta da vasculiti quali granulomatosi di Wegener, micropoliarterite nodosa o da una forma idiopatica che si pensa rappresenti una vasculite limitata ai capillari glomerulari. La forma idiopatica si riscontra generalmente in pazienti di età compresa da 50 a 70 anni e circa il 25% dei casi necessitano di dialisi già all’esordio. Per la diagnosi è utile il riscontro degli ANCA che si ritrovano in circa l’80% dei pazienti con glomerulonefrite pauciimmune. Gli ANCA stimolano i neutrofili umani attivati dalle citochine a produrre derivati reattivi dell’ossigeno e ledono l’endotelio in vitro. Il microscopio ottico non mostra depositi ma solo lesioni glomerulari necrotiche che fanno sospettare una vasculite, oppure è presenta il quadro istologico tipico conclamato delle vasculiti (necrosi fibrinoide, reazione infiammatoria perivascolare e granulomi). L’immunofluorescenza non evidenza depositi di Ig mentre è frequente il riscontro di fibrina nei glomeruli e nelle semilune. Per Granulomatosi di Wegener si intende una malattia rara e di causa non ancora certa, che colpisce i vasi sanguigni più piccoli, caratterizzata da vasculite necrotizzante dell’apparato respiratorio. Nel 1936 un medico, tale Friedrich Wegener, descrisse con cura la malattia, diventando di fatto lo scopritore di tale morbo, infatti il nome è stato preso da lui. Tale malattia non ha preferenza in fatto di sesso ma colpisce sovente persone di età intorno alla quarta e quinta decade. L’incidenza nella popolazione rimane bassa, 10 casi per milione all'anno. I sintomi e i segni clinici comprendono una vastità di tipologie, interessano per lo più le vie aeree superiori e le orecchie. Esse comprendono: tosse, febbre, dispnea, astenia, dolore toracico, rinorrea persistente, epistassi, emottisi, sinusite, perdita di peso, artralgia, otite, artrite e ulcerazione della mucosa. Con il passare del tempo i rischi e i sintomi aumentano di gravità e si possono trovare miopatie, neuropatie e osteoartropatie. La granulomatosi di Wegener è caratterizzata da una triade di fattori: 1) granulomi nelle alte e basse vie aeree 2) vasculite necrotizzante che colpisce principalmente le vie aeree 3) glomerulonefrite focale necrotizzante. Si utilizza per diagnosticare tale sindrome i normali esami ematochimici (esami del sangue), dove viene evidenziato sia un aumento della flogosi e delle IgA, sia la presenza nel siero di anticorpi c-ANCA.


4- Sindrome nefrosica: è un quadro clinico caratterizzata da un insieme di segni e sintomi renali ed extrarenali. Le principali manifestazioni sono rappresentate da: intensa proteinuria (> 3.5 grammi / die), ipoalbuminemia, edema (malleolare o diffuso), iperlipidemia con lipiduria, ipercoagulabilità ematica. La proteinuria costituisce il fattore diagnostico cardine perchè la proteinuria da alterazione tubulare raramente supera i 2 grammi al giorno, e valutando anche l’assenza in tali pazienti di una patologia onco-ematologica (es. mieloma multiplo), un’alterata funzione glomerulare è sempre segnale di uno stato nefrosico. L’ipoalbuminemia (< 2,5 g/dl) compare quando la sintesi epatica di albumina non compensa più la perdita urinaria. In oltre l’80% dei casi la sindrome nefrosica è correlata a una delle seguenti cinque patologie del glomerulo, diagnosticate in questi anni mediante biopsia renale: 1. Glomerulopatia a lesioni minime 2. Glomerulosclerosi focale segmentaria 3. Glomerulonefrite membranosa 4. Glomerulonefrite membranoproliferativa 5. Glomerulonefrite immunotattoide Tale sindrome si può osservare anche nelle glomerulonefriti proliferative endocapillari e in altre forme con lesioni sclerotiche. 1- la sindrome nefrosica da glomerulopatia a lesioni minime: un tempo denominata “nefrosi lipoidea”, rappresenta la sindrome nefrosica di più frequente riscontro (80%) nei bambini tra i 4 e gli 8 anni mentre negli adulti è presente nel 25% circa dei casi di sindrome nefrosica. Alla microscopia ottica vi è assenza di lesioni a livello glomerulare e infarcimento di gocce lipidiche nelle cellule dei tubuli prossimali. La microscopia elettronica ha permesso di evidenziare la distruzione estesa dei pedicelli delle cellule epiteliali viscerali (fusione dei pedicelli) mentre la membrana basale non appare alterata. La proteinuria, di grado elevato specialmente nei bambini, è dovuta ad una perdita massiva di cariche anioniche normalmente presenti sulla membrana basale e che facilita il passaggio di albumina nelle urine. Il meccanismo patogenetico spiega come a causa di uno stimolo virale o farmacologico vi sarebbe un’abnorme funzione dei linfociti T suppressor che permetterebbe la liberazione di quantità elevate di citochine che neutralizzano le cariche elettriche negative dell’endotelio capillare per effetto della deposizione di elevate cariche di policationi. La sindrome nefrosica da glomerulonefrite a lesioni minime si può osservare nell’adulto in concomitanza con altre affezioni quali il linfoma di Hodgkin, i tumori solidi (carcinoma renale), l’infezione luetica (sifilide) e l’infezione da HIV. La proteinuria è tipicamente non selettiva nell’adulto, indicando alterazioni più profonde della permeabilità della membrana. 2- la glomerulosclerosi focale segmentaria: è una nefropatia caratterizzata da marcata proteinuria, in genere non selettiva, con edema e ipertensione arteriosa. Talvolta è presente microematuria. Il termine “focale” deriva dal limitato numero di glomeruli interessati dalle lesioni sclerotiche della corticale, inoltre in ognuno di essi la lesione è segmentaria perché è coinvolta solo una parte della matassa glomerulare. E’ possibile sottolineare tre forme della malattia, differenziate da tre aspetti con cui la malattia può manifestarsi istologicamente: 1) una forma con ialinosi sovrapposta a glomerulonefrite a lesioni minime 2) una forma sovrapposta a glomerulonefrite proliferativa mesangiale 3) una forma caratterizzata da glomerulosclerosi globale che esprime la progressione di una glomerulonefrite a lesioni minime. La forma idiopatica (primitiva) è responsabile del 10-15% dei casi di sindrome nefrosica nei bambini e nel 15-25% negli adulti. Tale malattia può insorgere in corso di numerose malattie sistemiche e in corso di ipertensione intraglomerulare protratta e secondaria a perdita di massa nefrosica per qualsiasi causa. La microscopia ottica dimostra “collasso” delle anse capillari e sclerosi mesangiale associata a degenerazione ialina in corrispondenza del cuneo di sclerosi, un processo che predilige i glomeruli iuxtamidollari. Le cicatrici ialine contengono aree di capillare glomerulare collassato e materiale ialino composto da collagene di tipo I, III e IV. Le aree di capillare collassato sono adese alle capsule di Bowman. Proliferazione e infiltrazione sono assenti mentre spesso è presente una modesta atrofia tubulare focale con fibrosi interstiziale. Nei foci di sclerosi segmentale si osservano aree di deposito di IgM, C3 e immunoreagenti il cui significato eziologico però non è ancora ben noto. Alla microscopia elettronica nelle aree di sclerosi le anse capillari coinvolte sono obsolescenti, le membrane basali collassate e ispessite, depositi ialini giganti giacciono in posizione sottoendoteliare e spesso contengono gocciole lipidiche, la matrice mesangiale è aumentata. Le cellule epiteliali che ricoprono le anse capillari colpite presentano aspetti degenerativi e ampi vacuoli, i pedicelli sono assenti e le cellule sono spesso staccate dalla primitiva membrana basale mentre nuove lamelle di membrana si depositano nello spazio dove le cellule si sono allontanate. 3- la glomerulonefrite membranosa: è una frequente causa di sindrome nefrosica con marcata proteinuria non selettiva e microematuria, caratterizzata da deposizione di materiale immune sul versante epiteliale della membrana basale che causa ispessimento della parete glomerulare. Tra il materiale depositato si insinuano tipiche estroflessioni della membrana basale denominate “spikes” che racchiudono progressivamente i depositi inglobandoli, alla fine del processo, completamente nel contesto della membrana stessa. Al microscopio elettronico tale processo dinamico permette di distinguere 4 stadi evolutivi della malattia. L’immunofluorescenza rileva i depositi granulari di IgG, C3 e componenti terminali del complemento (C5b-C9) lungo la parete del capillare glomerulare. Nella maggioranza dei casi la patogenesi della malattia si fa risalire alla presenza di immunocomplessi circolanti (forma attiva della nefrite di Heymann) oppure a immunocomplessi formati in situ (forma passiva della nefrite di Heymann) con antigene non facilmente riconoscibile. Circa un terzo di casi di glomerulonefrite membranosa si sviluppa in associazione con malattie sistemiche come il lupus eritematoso sistemico, infezioni come l’epatite B, neoplasie o terapie farmacologiche con oro e penicillamina. Il decorso della glomerulopatia membranosa è lentamente progressivo con remissioni ed esarcebazioni intermittenti. La remissione completa spontanea si verifica nel 25% dei pazienti mentre nel 20-25% dei casi la remissione è parziale con proteinuria compresa tra 200mg e 2 grammi al giorno. In questi pazienti la filtrazione glomerulare può rimanere stabile per decenni. Il rimanente 50% dei pazienti evolve all’insufficienza renale terminale in 5-10 anni. 4- la glomerulonefrite membranoproliferativa: è caratterizzata da ispessimento delle anse capillari e ipercellularità mesangiale con accentuazione della lobularità del convoluto. Spesso si associa a ipocomplementemia persistente. Colpisce soggetti giovani di ambo i sessi e di età compresa dai 5 ai 30 anni, con portatori di aplotipi HLA B8 e DR3. Dal punto di vista eziopatogenetico questa forma di nefrite si può osservare in tre gruppi di malattie: 1) quelle da immunocomplessi circolanti o formati in situ 2) le microangiopatie trombotiche 3) le paraproteinemie. Dal punto di vista istopatologico l’esame bioptico del rene al microscopio elettronico permette di distinguere fondamentalmente tre tipi di malattia. Nel primo e nel terzo tipo si osservano depositi subendoteliali con interposizione mesangiale che produce duplicatura dell’ansa capillare. All’osservazione in immunofluorescenza i depositi granulari sottoendoteliali risultano costituiti da C3 e immunoglobuline di classe G, M e A. Si tratta di immunocomplessi circolanti o formatisi verso antigeni non identificati ma che sono capaci di attivare il sistema del complemento e causare ipocomplementemia. Nel secondo tipo, denominata anche “malattia a depositi densi”, si osservano voluminosi depositi elettrondensi all’interno della membrana basale. Questa è una forma autoimmune caratterizzata da un anticorpo circolante che reagendo con la C3-convertasi della via alternativa stabilizza questo enzima nella sua funzione e attiva continuamente il sistema del complemento. Questo autoanticorpo chiamato “fattore nefritico”, è una IgG che impedisce la dissociazione fisiologica della C3-convertasi da parte del fattore H. Il fattore nefritico si osserva anche in una condizione clinica rara che è la lipodistrofia parziale di tipo 2 o malattia di Barraquer-Simmons. La maggioranza dei pazienti con tipo I presenta proteinuria marcata o sindrome nefrosica, sedimento urinario “attivo” (cilindri, ematuria, cellule) e filtrazione glomerulare solo modestamente ridotta. La malattia è piuttosto benigna e il 70% dei pazienti sopravvive senza riduzioni clinicamente significative della funzione renale. Tuttavia la glomerulopatia membranoproliferativa di tipo 1 è una malattia lenta ma progressiva con circa il 30% dei pazienti affetti da IRC dopo 10 anni. Il tipo 2 ha un decorso più variabile e in genere è più progressiva e ingravescente, alcuni pazienti mostrano una prevalente sindrome nefritica (glomerulonefrite rapidamente progressiva) con il filtrato glomerulare che si riduce progressivamente fino all’insufficienza renale nel giro di 5-10 anni. Il tipo 2 recidiva virtualmente nel 100% dei reni trapiantati ma molto meno del tipo 1 (circa 25%); la recidiva non interferisce però sulla sopravvivenza a lungo termine del trapianto. 5- la glomerulonefrite fibrillare immunotattoide: è una nefropatia emergente caratterizzata clinicamente da proteinuria di tipo nefrosico, microematuria, ipertensione arteriosa fino all’insufficienza renale cronica. L’esame bioptico renale mostra un ispessimento della parete dei capillari glomerulari e del mesangio per la presenza di materiale amorfo positivo con la colorazione dell’acido periodico di Schiff (cioè materiale PAS-positivo). Alla ME questo materiale risulta composto da microfibrille e microtubuli distribuiti disordinatamente (forma fibrillare) oppure organizzate in bande parallele (forma immunotattoide) di composizione ignota. La malattia compare in soggetti anziani ( > 50 anni) e i pazienti con la forma immunotattoide possiedono una maggiore incidenza di malattie neoplastiche linfoproliferative. Il decorso della malattia è caratterizzato da un deterioramento progressivo della funzione renale sino all’uremia terminale in circa la metà dei casi nel corso di 1-10 anni. In questi casi è necessario il trapianto renale.

5- Sindrome scaturente da Insufficienza renale acuta (o Sindrome IRA): con il termine di “insufficienza renale” si intende l’evento clinico che consiste nella perdita della capacità di adattamento funzionale dei reni alle esigenze dell’organismo. Evidentemente ciò comporta accumulo di cataboliti tossici e alterazioni metaboliche e sistemiche quali conseguenze dirette o indirette della perdita globale della funzione renale. Tale evento si può verificare rapidamente come complicanza acuta di patologie multiorgano o sistemiche, determinando il quadro dell’insufficienza renale acuta, oppure può verificarsi come risultato subdolo dell’evoluzione di una malattia renale su base infiammatoria o degenerativa, dando il quadro dell’insufficienza renale cronica. L’IRA se prontamente fronteggiata può esitare in una risoluzione con restituzione “ad integrum”, in altri casi si verifica la morte dell’organo ed eventualmente la morte dell’individuo mentre una minore percentuale di pazienti evolve verso una forma di IRC.

L’insufficienza renale acuta è una sindrome clinica caratterizzata da alterazioni metaboliche derivanti dall’accumulo di prodotti catabolici a seguito della rapida riduzione della funzione renale. Esistono tre meccanismi patogenetici alla base dell’IRA:

1- Ridotta perfusione renale da condizioni sistemiche, senza diretto interessamento del parenchima renale (IRA Prerenale o funzionale): le variazioni della pressione arteriosa sistemica non influenzano la filtrazione glomerulare in quanto il letto vascolare renale è in grado di modificare autonomamente il calibro delle proprie arteriole e dunque la resistenza arteriolare al flusso permettendo il mantenimento di una VFG costante. Al di sotto degli 80mmHg di pressione arteriosa tale meccanismo di autoregolazione non riesce a mantenere un flusso ematico renale efficace per cui si osserva una brusca caduta della filtrazione glomerulare con conseguente difficoltà nella formazione di urine e nell’eliminazione dei cataboliti.
Le cause di una IRA prerenale possono essere ricondotte principalmente a:
1- Riduzione improvvisa della volemia: ad esempio determinata da perdite di liquido gastroenterico, diuresi osmotica, diabete insipido, insufficienza surrenalica, ustioni estese, ipertermia con sudorazione profusa, sequestro di liquidi da pancreatite ascite edema o cirrosi.
2- Insufficienza circolatoria: ad esempio determinata da infarto del miocardio, valvulopatie, ipertensione polmonare, embolia polmonare, endocardite.
3- Vasodilatazione sistemica: ad esempio determinata da anestetici, abuso di antiipertensivi, droghe, anafilassi, shock settico
4- Vasocostrizione renale: determinata dall’uso di sostanze quali adrenalina, ergotamina, ipercalcemia, ect.
5- Agenti farmacologici: determinata dall’assunzione di farmaci quali ACE-inibitori in stenosi dell’arteria renale, FANS in corso di disidratazione, ect.
6- Iperproduzione di cataboliti azotati: determinata da gravi emorragie digestive, crisi emoglobinuriche come nel favismo, ect.
La ridotta perfusione renale può essere dovuta sia a cause centrali (shock cardiogeno per infarto del miocardio) sia a cause periferiche per collasso circolatorio (come nel caso dello shock settico). Un’altra causa è rappresentata dalla rapida riduzione del volume ematico per emorragie cospicue, perdita di plasma per ustioni, occlusioni intestinali, peritoniti, emoconcentrazione per disidratazione, ect. Riduzione del volume arterioso efficace si ha in alcune condizioni morbose caratterizzata da un sequestro di sangue in certi distretti del letto circolatorio (terzo spazio) o di plasma nel volume extracellulare con una riduzione della perfusione dei vari sistemi.
Segni e sintomi principali dell’IRA prerenale sono: l’oliguria con urine ad elevato peso specifico e iperosmotiche, bassa natruria (in quanto il rene tenta di risparmiare sali e quindi acqua), l’iperazotemia (conseguente a ridotta eliminazione del volume urinario e aumentato riassorbimento di urea e sodio), aumento del rapporto azotemia/creatininemia fino a valori di 50 a 1, tachicardia, ipotensione ortostatica, secchezza della cute e delle mucose.

2- Lesione patologica che colpisce una o più componenti del parenchima renale (IRA intrinseca): è un quadro clinico generalmente dovuto a malattie acute dei vasi e del parenchima renale. La necrosi tubulare acuta rappresenta la condizione patologica che più frequentemente è responsabile di tal tipo di IRA. Fattori eziologici responsabili di necrosi tubulare sono l’ischemia renale e l’abuso di sostanze tossiche esogene. L’IRA intrinseca può anche manifestarsi nel corso di nefropatie primitive o secondarie quali la glomerulonefrite acuta, la glomerulonefrite rapidamente progressiva e la nefrite interstiziale acuta. Non è rara l’evenienza che a determinare la sindrome acuta di nefrosi tubulare concorrono contestualmente ischemia del parenchima renale e azione di farmaci o veleni nefrotossici esogeni somministrati a fini diagnostici o terapeutici in pazienti a rischio. Le nefrotossine esogene sono rappresentate da alcuni farmaci (aminoglicosidi, alcune cefalosporine di prima generazione, anestetici clorurati, fans, ace inibitori, farmaci antiulcerosi, ciclosporina A, mezzi di contrasto, solventi organici, metalli pesanti come mercurio arsenico bismuto e piombo). Le sostanze nefrotossiche endogene sono rappresentate da mioglobina (rilasciata per esempio dai muscoli striati quando si verificano traumi estesi come nella crush syndrome), dall’emoglobina (liberata dagli eritrociti nel corso di emolisi massive), dall’acido urico, dal calcio e dagli ossalati, dalle proteine mielomatose. Queste elencate sono molecole che agiscono in tal caso causando l’instaurarsi di meccanismi di ostruzione tubulare soprattutto nel caso in cui si verificano le condizioni predisponenti ad una loro precipitazione intratubulare. L’azione tossica delle nefrotossine si può esplicare anche per vasocostrizione renale oltre che per tossicità diretta sull’epitelio tubulare.
Il paziente con IRA intrinseca mostra di solito aumento dell’azotemia e della creatininemia, iperpotassiemia e oliguria cioè riduzione iniziale della diuresi, con urine brunastre a basso peso specifico e ad alto contenuto in sodio. Successivamente la diuresi può aumentare a causa dell’ampliamento del danno glomerulare e tubulare. Nei casi di IRA intrinseca associata a glomerulonefrite, vasculite e necrosi corticale bilaterale si verifica spesso anuria completa, cioè assenza di urine per lungo periodo. In questo caso l’IRA diventa letale a causa del rapido accumulo di metaboliti tossici.
La localizzazione delle aree di necrosi varia a seconda che si tratti di necrosi ischemica (parte distale) o tossica (parte prossimale). Le alterazioni principali sono a carico dei tubuli che mostrano necrosi dell’epitelio caratterizzata da carioressi, disfacimento citoplasmatico e distacco delle cellule dalla membrana basale, inoltre è presente una notevole quantità di materiale in disfacimento che provoca ostruzione tubulare dovuta ai cristalli formati dai detriti cellulari e dalla proteina di Tamm-Horsfall. Spesso nelle biopsie renali si osservano anche segni di rigenerazione cellulare quali mitosi e nuclei ipercromatici. Tale fenomeno è stato interpretato come segno che la necrosi tubulare acuta si instaura in seguito a ripetuti episodi di ischemia e riperfusione. La tensione parziale di ossigeno nella midollare è di norma bassa e la riduzione del flusso in tale zona riduce ulteriormente l’apporto ai tubuli renali incrementando il rischio di danno ischemico. Il rigonfiamento delle cellule tubulari può restringere il lume dei vasa recta e peggiorare ulteriormente l’apporto di sangue alla midollare. Le cellule tubulari durante l’ischemia incrementano la glicolisi per le loro esigenze metaboliche tuttavia si impoveriscono rapidamente di ATP. Dal punto di vista patogenetico la conseguenza immediata è la riduzione dell’attività della pompa Na/K-ATPasi con diminuizione della concentrazione di potassio e aumento del sodio, il che causa rigonfiamento cellulare. La deplezione induce una progressiva disorganizzazione dei microfilamenti per depolarizzazione dell’actina. Questi fenomeni sono inizialmente reversibili. La disorganizzazione del citoscheletro determina una maggiore fluidità dei lipidi costituenti le membrane cellulari e una ridistribuzione delle molecole Na/K-ATPasi, queste si dispongono sia alla base che all’apice della cellula causando la perdita del processo fisiologico e del lavoro compiuto. La depolimerizzazione dei filamenti di actina e dei microtubuli determina una disgregazione del citoscheletro con la perdita dell’orletto a spazzola e delle connessioni con le ICAM, alcune cellule si staccano dalla membrana e cadono nel tubulo renale contribuendo alla formazione dei cilindri, altre cellule ancora vitali cadono nel lume tubulare e si riaggregano provocando un ostacolo meccanico alla progressione della preurina, aumento della pressione endotubulare e retrodiffusione dell’ultrafiltrato nell’interstizio renale. Tale meccanismo contribuisce alla oliguria. La disfunzione del citoscheletro causa anche perdita dell’adesione intercellulare e della funzione di barriera delle “tight junctions”, alternando così il riassorbimento paracellulare dell’ultrafiltrato.

3- Ostruzione meccanica delle vie urinarie che ostacola il deflusso dell’urina (IRA Postrenale o Meccanica): in questa forma non vi è una primitiva sofferenza del parenchima renale in quanto l’accumulo di cataboliti azotati è dovuto a una ostruzione della via escretrice, cioè entrambi gli ureteri o la vescica o l’uretra. Le cause più frequenti sono patologie infiammatorie o neoplastiche soprattutto della prostata e dell’utero. Altre cause sono la vescica neurologica, la fibrosi retroperitoneale (idiopatica o da abuso di metisergide), la calcolosi ureterale bilaterale.
Quando si instaura ostruzione urinaria la pressione a monte aumenta determinando una dilatazione delle vie secretrici fino alla pelvi e ai calici (idronefrosi). L’aumento di pressione nei tubuli renali provoca una riduzione del gradiente pressorio attraverso la barriera di filtrazione glomerulare con conseguente caduta del volume di filtrato. Un’ostruzione completa e rapida comporta anuria con ingrandimento dei reni e ritenzione urinaria e conseguente sofferenza funzionale secondaria del parenchima renale.

6- Sindrome scaturente da Insufficienza renale cronica (o Sindrome IRC): con il termine di “insufficienza renale cronica” si intende una condizione morbosa caratterizzata da una riduzione progressiva ed irreversibile della funzione renale causata da una graduale diminuizione del numero di nefroni funzionanti. La VFG in condizioni fisiologica varia da 100 a 130 ml/min. La sua graduale diminuizione è un indice diretto del grado di compromissione della funzione renale ed è inversamente proporzionale al numero residuo di nefroni funzionanti per cui una valutazione della VFG permette di valutare la IRC in differenti stadi di progressione, da uno stadio iniziale (VFG da 60 a 100 ml/min) a uno stadio terminale (VFG < 10 ml/min), quest’ultima detta anche fase uremica o predialitica. I segni della ritenzione azotata (iperazotemia e ipercreatinemia stabili) si osservano già in caso di IRC moderata (VFG intorno da 30 a 60 ml/min), mentre le più profonde alterazioni biochimiche appaiono nello stadio grave (VFG da 10 a 30 ml/min). Pertanto seppure a velocità differente a seconda della natura e dell’entità del processo patologico iniziale in corso, la IRC evolve inevitabilmente verso la fase terminale dell’uremia in cui il numero dei nefroni residui è insufficiente a permette la sopravvivenza. Le cause della IRC sono di vario tipo: in pratica tutte le nefropatia (glomerulari, vascolari e tubulo-interstiziali) possono progredire provocando un quadro di sclerosi renale che è alla base della IRC. Una volta che l’insufficienza renale si è stabilizzata vi è una tendenza alla progressione della malattia renale indipendentemente dall’insulto iniziale. Ciò suggerisce che probabilmente il meccanismo della progressione è un inadeguato processo di adattamento dei nefroni residui. Di fatto la causa della progressione inesorabile non è ancora ben chiara: si ipotizza che tale fenomeno sia dovuta a un aumento della perfusione e della filtrazione glomerulare nei nefroni residui con sclerosi secondaria e ialinosi del glomerulo e inoltre si ipotizza che tale fenomeno sia dovuto alla progressiva fibrosi peritubulare ed interstiziale della midollare. L’ipertrofia glomerulare compensatoria si associa invariabilmente a ipertrofia tubulare nei nefroni residui. Anche se il meccanismo di adattamento permette di conservare l’equilibrio acido base e idro-elettrolitico, la conseguenza a lungo termine consiste nel moltiplicarsi del danno iniziale. La riduzione del filtrato è responsabile della gran pare delle manifestazioni cliniche dell’IRC: altri disturbi possono derivare dalla perdita della funzione endocrina del rene, quale ad esempio anemia e osteodistrofia uremica. Tra le diverse condizioni che aumentano la velocità di progressione verso la IRC dialitica le più importanti sono l’ipertensione arteriosa e le infezioni delle vie urinarie. Un ruolo è stato attribuito anche all’iperlipemia, all’iperuricemia e all’iperfosforemia. Sebbene si verifichino alterazioni metaboliche rilevanti l’IRC resta spesso asintomatica sino alla fase uremica o predialitica. Questo avviene perché la capacità di adattamento è tale da mantenere pressocchè inalterato il bilancio globale. Più o meno parallelamente alla riduzione del filtrato glomerulare si ha la riduzione della funzione endocrina renale quindi deficit di eritropoietina, renina e calcitriolo. La perdita della funzione renale comporta modificazioni della composizione plasmatica con effetti tossici su svariate funzioni cellulari: difetto del trasporto degli ioni attraverso la membrana cellulare, alterazione della pompa Na/K-ATPasi, con aumento del sodio e diminuizione del potassio intracellulari. Tali alterazioni vengono attribuite a “tossine uremiche” costituite soprattutto da sostanze derivate dal catabolismo delle proteine, fra cui la più importante è l’urea ma vi sono anche la creatina, la creatinina, l’acido guanidilsuccinico, la fenilalanina, la tirosina. L’urea è poco tossica ma può spiegare la nausea, il vomito, l’alitosi. Non interferisce sulle funzioni vitali. L’acido guanidilsuccinico interferisce con il fattore 3 della coagulazione e può spiegare la ridotta adesività delle piastrine. E’ da sottolineare come la clearance della creatinina endogena sia usata come indice abbastanza affidabile di progressione della IRC: la creatininemia comincia a superare i valori normali massimi di 1,2 mg/dl quando il filtrato glomerulare si riduce a meno del 60% del normale. Per ridotta escrezione o metabolizzazione renale si ha anche un aumento della concentrazione plasmatica di diversi ormoni proteici quali PTH, GH, LH, prolattina, insulina, glucagone. Tra essi il PTH, di cui aumenta anche la sintesi in risposta all’ipercalcemia, ha riconosciuta tossicità sull’osso. L’ipocalcemia, l’iperfosforemia e la ridotta sintesi di calcitriolo determinano una ipersecrezione di PTH che non può esplicare la sua azione fosfaturica per la presenza di insufficienza renale per cui tende a correggere la calcemia a costo di un importante riassorbimento della componente mineraria dell’osso, determinando cosi osteodistrofia uremica. Nell’IRC in fase uremica cioè terminale, il bilancio del potassio non è più mantenuto per cui questo catione tende ad accumularsi. L’iperpotassemia è una situazione clinica minacciosa per la possibilità di scatenamento di aritmie cardiache anche mortali per cui è un importante indice da monitorare nelle fasi terminali. Nelle fasi più avanzate di IRC possono comparire dei difetti specifici di trasporto tubulare che danno origine a sindromi del nefrone prossimale e distale (nefrite da perdita di sale, ipoaldosteronismo iporeninemico, acidosi tubulare renale). QUALCHE SCHEMA PER RICAPITOLARE: Criteri di classificazione delle glomerulonefriti • 1) Eziologico • 2) Patogenetico • 3) Anatomo-Patologico • 4) Clinico Criterio Eziologico • 1) Glomerulonefriti primitive: malattie che interessano in prima istanza i reni. • 2) Glomerulonefriti secondarie: malattie renali in corso di un’altra patologia principale che interessa in prima istanza altri organi. Glomerulonefriti primitive • La maggior parte è idiopatica • La patogenesi è in genere su base immunologica • A volte sono innescate da una primitiva infezione batterica o virale. Glomerulonefriti secondarie • E’ sempre presente una malattia sistemica o che interessa anche altri apparati oltre al rene • Sono sempre più frequenti e sono la maggior causa di ingresso in dialisi • Le più importanti sono dovute a ipertensione arteriosa e diabete mellito • Altre GN secondarie relativamente frequenti sono quelle in corso di LES, patologie autoimmuni sistemiche e mieloma multiplo Criterio patogenetico • La maggior parte delle GN sia primitive che secondarie hanno una patogenesi immunologica: il danno renale è mediato da processi di infiammazione e proliferazione cellulare che sono innescati dalla presenza di complessi Antigene-Anticorpo a livello del glomerulo Sede di deposizione o formazione degli immunocomplessi 1. Tra endotelio e membrana basale ( subendoteliali) 2. Tra epitelio e membrana basale (subepiteliali) 3. All’interno della membrana basale (intramembranosi) 4. Nel mesangio ( mesangiali) Biopsia renale • Si esegue per via percutanea. • Spesso viene eseguita sotto guida ecografia • Il frammento di tessuto renale viene poi analizzato: 1. Al microscopio ottico => quantificazione del danno glomerulare
2. Al microscopio elettronico => individuazione della presenza di immunocomplessi e della loro sede
3. Con processi di immunoistochimica => identificazione del tipo di immunocomplessi




Criterio anatomo-patologico:
Classificazione in base al tipo di lesione istologica riscontrata alla biopsia
1. Lesioni istologiche uguali possono dare quadri clinici diversi
2. Quadri clinici uguali possono essere causati da lesioni istologiche diverse

Criterio clinico:
Principali sindromi ( insieme di segni e sintomi) dovute a glomerulonefrite
1. Anomalie urinarie isolate
2. Sindrome nefritica
3. Sindrome nefrosica
4. Glomerulonefrite rapidamente progressiva
5. Insufficienza renale acuta e cronica

Sindrome nefritica

Eziologia
• Post-infettiva ( batterica o virale)
• Idiopatica ( base immunitaria)

Patogenesi
• Deposizione di immunocomplessi = processo infiammatorio del glomerulo ( infiltrazione cellulare, liberazione di sostanze vasoattive, proliferazione cellulare)= riduzione del GFR= IRA

Sintomi
• Ematuria ( microscopica e/o macroscopica), emazie danneggiate nel sedimento, cilindri eritrocitari
• Proteinuria ( in genere < 2 gr/ 24 ore) • Oliguria ( < GFR) • Ipertensione ( >volume plasmatico), fino a encefalopatia ipertensiva
• Edemi ( > pressione idrostatica), spesso periorbitari
• Iperazotemia, ipercreatininemia

Prognosi:
• favorevole

Terapia:
• riposo a letto
• restrizione di liquidi
• diuretici
• anti-ipertensivi
• antibiotici

Sindrome nefrosica

• Da glomerulonefrite primitiva
• Da glomerulonefrite secondaria ( diabete mellito, LES, amiloidosi, mieloma multiplo)
• Perdita di selettività della membrana di filtrazione = perdita di grande quantità di proteine con le urine

Causa principale nel bambino: glomerulonefrite a lesioni minime
• Idiopatica
• ME: assenza di depositi, fusione dei podociti
• Proteinuria altamente selettiva
• Sensibile ai cortisonici

Cause principali nell’adulto: glomerulonefrite membranosa ( idiopatica o II a neoplasie, LES, epatite) e Glomerulonefrite diabetica

Sintomi e segni
• Proteinuria > 3.5 gr/die
• Ipoalbuminemia <3 gr/dl • Edema • Iperlipidemia • Lipiduria • Alterazioni della coagulazione Complicanze • Eventi tromboembolici • Vasculopatia aterosclerotica • Infezioni • Deficit di vitamina D • Malnutrizione Terapia • Cortisone • Immunosoppressori ( ciclofosfamide, clorambucil, ciclosporina) • Evitare il riposo a letto • Restrizione proteica ( efficacia certa solo nella GN diabetica) • Ace-inibitori e Inibitori recettoriali dell’Angiotensina II • Dieta iposodica e ridotta introduzione di liquidi • Furosemide e antialdosteronici Glomerulonefrite rapidamente progressiva • Glomerulonefriti con evoluzione sfavorevole che evolvono rapidamente in insufficienza renale terminale • Quadro anatomo patologico caratterizzato da intensa proliferazione ( semilune) e infiltrato cellulare = obliterazione dello spazio capsulare e schiacciamento del glomerulo = sclerosi glomerulare • Patogenesi da deposizione di immunocomplessi o da anticorpi anti-MB Sintomi e segni • Oliguria • Ematuria e cilindri eritrocitari • Proteinuria non nefrosica • Iperazotemia e ipercreatininemia • Nausea e vomito • Decorso: sfavorevole nel 70% dei casi • Terapia: - corticosteroidi - immunosoppressori - anticoagulanti ( contrastano la deposizione di fibrina) - plasmaferesi ( allontanamento degliimmunocomplessi o degli anticorpi anti-MB) - emodialisi ( se GFR < 10 ml/min) Anomalie urinarie isolate • Microematuria asintomatica (idiopatica, nefropatia da IGA) • Proteinuria asintomatica ( inferiore in genere a 500 mg) Insufficienza renale cronica Progressivo deterioramento della funzionalità renale fino a insufficienza renale terminale Teoria di Brenner: Riduzione massa nefronale => iperfiltrazione compensatoria dei nefroni residui => ipertensione glomerulare => deterioramento dei nefroni residui => IRC irreversibile

MALATTIE CISTICHE DEL RENE

Le malattie cistiche del rene sono caratterizzate dalla presenza nei reni di cavità rivestite da epitelio, piene di liquido o di detriti semisolidi. Esse includono numerosi disordini strutturali dei reni a eziologia differente che compaiono nelle diverse età della vita con una sintomatologia molto variabile. Principalmente è possibile suddividere tali malattie in due gruppi:
1- Forme genetiche
2- Forme non genetiche

Nel meccanismo di formazione delle cisti renali intervengono principalmente tre fattori patogenetici:
1) proliferazione delle cellule tubulari
2) secrezione del liquido nella cisti
3) alterazioni della matrice extracellulare

Forme genetiche

E’ possibile descrivere principalmente tre malattie quali:
1- Il rene policistico dell’adulto
2- Il rene policistico del bambino
3- La nefroftisi o malattia cistica midollare dell’infanzia con retinite pigmentosa

1- I reni policistici dell’adulto rappresentano una frequente malattia ereditaria a trasmissione autosomica dominante (anche se vi sono delle forme recessive) caratterizzata dalla presenza di numerose cisti nel parenchima renale di entrambi i reni. Nella gran parte dei casi (85%) la malattia è dovuta a mutazioni (delezioni o rotture) del gene PKD1 localizzato sul braccio corto del cromosoma 16 nella regione p13.3, che codifica la sintesi della policistina, una glicoproteina transmembranaria di 460 KDA la cui funzione sarebbe quella di trasmettere segnali dall’esterno della cellula al citoscheletro. Il 10% dei pazienti mostra una mutazione nel gene PKD2 localizzato nel braccio lungo del cromosoma 4 in posizione q12.22, mentre una minoranza di pazienti presenta una terza forma di mutazione a livello del gene PKD3 non ancora localizzato con certezza. Gradualmente vengono colpiti tutti i nefroni. La formazione delle cisti inizia con una dilatazione tubulare caratterizzata da modifiche ultrastrutturali che consistono in ispessimento, disorganizzazione e distacco della lamina a livello della membrana basale, con contestuale perdita della differenziazione delle cellule tubulari (modifica della morfologia cellulare per alterata interazione tra cellula e matrice) e perdita della polarità funzionale. Il processo evolve in seguito all’allargamento delle cavità cistiche attraverso molteplici meccanismi quali perdita cellulare per apoptosi, insulti chimici e biochimici (quali ad esempio infezioni), proliferazione cellulare indotta dall’accumulo di fattori della crescita, eccetera. Ciascuna delle centinaia di cisti formatesi è rivestita da epitelio cubico mentre il circostante parenchima mostra fibrosi peritubulare e scarsi glomeruli in ialinosi (con tale termine si intende la comparsa patologica di sostanza proteica, omogenea, d'aspetto vitreo, spiccatamente acidofila, nel tessuto connettivo, negli epiteli e negli elementi corpuscolati del sangue). Le manifestazioni raramente si presentano prima dei 20 anni, questo spiega la frequente trasmissione genetica ai figli da parte dei soggetti asintomatici. Dolore ed ematurie sono le manifestazioni cliniche più frequenti.

2- I reni policistici del bambino rappresentano una malattia molto rara a trasmissione autosomica recessiva che colpisce i bambini in tenera età. Il gene difettoso sembra essere localizzato sul braccio corto del cromosoma 6. Il parenchima renale è costituito da tubuli e dotti collettori dilatati all’interno delle piramidi renali, anche il fegato può essere interessato con dilatazione dei dotti biliari e fenomeni negli spazi portali e interlobulari. Talvolta si ha interessamento persino di cuore e polmoni, rendendo la malattia letale.

3- La malattia cistica della midollare o nefroftisi è una rara malattia autosomica recessiva accompagnata da retinite pigmentosa. Precoci indicazioni della malattia sono l’enuresi prolungata nell’infanzia, dovuta al difetto di concentrazione urinaria, e l’anemia. Né le indagini radiologiche né la biopsia renale hanno un alto indice di successo nel dimostrare la presenza delle piccole cisti nella midollare. La malattia porta regolarmente all’uremia terminale durante l’adolescenza o in età giovanile.

Forme non genetiche

Anche in questo caso è possibile descrivere principalmente tre malattie quali:
1- Il rene multicistico dell’adulto
2- Il rene a spugna midollare del bambino
3- Le cisti renali acquisite

1- Il rene multicistico è un’affezione malformativa non ereditaria in cui il rene perde la sua classica forma per assumere quella di una massa irregolare costituita da cisti di dimensioni variabili. Istologicamente è caratterizzato dalla sostituzione del normale parenchima renale con un coacervo di cisti, da tessuto fibroso e isole di cartilagine e dall’assenza o dall’atresia dell’uretere per mancata fusione del sistema collettore con il blastema renale. E’ una delle cause più comuni di massa addominale nel neonato. Se unilaterale può anche rimanere silente fino all’età adulta, mentre se è bilaterale risulta essere incompatibile con la vita. Questa anomalia si associa a malformazioni del rene controlaterale (stenosi del giunto pielo-ureterale o reflusso vescico-ureterale), a malformazioni della parete vescicale e con reflusso vescico-ureterale controlaterale. Negli adulti il rene multicistico può essere causa di dolori o disturbi gastrointestinali oppure essere del tutto asintomatico.

2- Il rene a spugna midollare è un disordine dello sviluppo, frequente e benigno, che si riscontra occasionalmente in corso di esami radiografici dell’addome. E’ caratterizzato da ectasia (cioè dilatazione patologica) dei dotti collettori di almeno tre piramidi, di uno o di entrambi i reni. L’urografia discendente mostra il caratteristico aspetto radiale (a bouquet di fiori) delle cisti riempite dal mezzo di contrasto. Si diagnostica spesso in occasione del passaggio di un calcolo renale, infatti sono frequenti le concrezioni calcaree all’interno delle cisti. E’ probabile che, a causa della stasi di urina in questi collettori dilatati, vi sia una più facile insorgenza di calcoli e di infezioni. Si ritiene che circa il 10% dei pazienti che presentano calcoli renali possano avere un rene a spugna midollare, in circa la metà dei pazienti si verifica nefrocalcinosi.

3- Riguardo le cisti renali acquisite, la forma più frequente è la cisti semplice che è rara nel bambino mentre si osserva nell’adulto, e la sua frequenza aumenta con l’avanzare dell’età. Le cisti possono essere monolaterali o bilaterali, generalmente asintomatiche, ma possono raramente dar luogo a microematuria o macroematuria o infezioni. Spesso queste cisti compaiono nel soggetto affetto da uremia cronica. A volte le cisti degenerano in carcinoma renale, che può essere evidenziato con una TAC usando mezzi di contrasto il che mostra la presenza di cisti sedimentate o con un contenuto a densità variabile.
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