Si è fatta operare dal suo medico di fiducia, che l’ha sottoposta a una laparoisterectomia togliendole di fatto l’utero. Ma poi ha scoperto che l’organo era sano. O almeno non ci sarebbe stato bisogno dell’asportazione. Per questo una donna di 33 anni residente nella Bassa che per tutelare la privacy di medico e paziente chiameremo Chiara, ha deciso di raccontare il suo calvario e di chiedere un maxi risarcimento danni al ginecologo, residente nel Modenese ma che lavora in una clinica fuori provincia. Il medico, da parte sua, si difende dicendo di aver agito correttamente per salvaguardare la vita della paziente. La donna, all’epoca dell’operazione, aveva 26 anni: "Per fortuna ho un figlio — racconta — Ma questo non basta per assolvere il medico. Quando mi è stata suggerita l’operazione non mi è stata prospettata un’altra possibilità e non ho potuto che scegliere per l’isterectomia. Ma poi ho scoperto che l’operazione poteva essere evitata, e ora avrei potuto avere altri figli e una vita normale".
L’operazione risale al 2001, ma la causa in sede civile per il risarcimento danni deve ancora cominciare e la prima udienza è stata fissata per il 2010. Chiara si è rivolta al suo ginecologo perché accusava dei dolori e il medico l’ha subito sottoposta a un’ecografia nel suo ambulatorio modenese. L’esame ha evidenziato la presenza, nell’utero, di una sacca di liquido pericolosa, da qui la necessità di fare una laparoscopia nella clinica in cui esercita il medico. A ottobre viene eseguita la laparoscopia: la diagnosi parla di "fibrosi retrouterina, varici pelviche e sindrome di Masters Allen". Il ginecologo avrebbe suggerito l’asportazione dell’utero, senza alternative, anche perché la donna sarebbe stata a rischio di una grave emorragia. Di fronte alla diagnosi e dopo comprensibili perplessità il 7 aprile del 2002 la ragazza si è sottoposta all’intervento chirurgico: "Non sono andata da altri medici — confessa Chiara — mi fidavo di lui. Mi trattava come una figlia. Non avrei mai pensato quello che poi è accaduto".
Ma una volta eseguito l’esame istologico, secondo i legali della donna, non ci sarebbe stata traccia della fibrosi uterina diagnosticata, uno dei motivi fondamentali per cui era stato deciso l’intervento. "Dopo l’operazione — racconta la donna — è stato un calvario. Ho dovuto subire altri interventi per dolori che non mi lasciavano mai. Così mi sono rivolta all’ospedale Estense di Modena dove un altro ginecologo ha riscontrato problemi relativi alla cicatrice. In questi anni, oltre a essere rioperata per sistemare i danni alle terminazioni nervose causate dal primo intervento, ho scoperto che l’asportazione dell’utero non era necessaria. Il medico che mi ha presa in cura è rimasto stupito del fatto che mi fosse stato tolto l’apparato così giovane. Poi ho chiesto la cartella clinica e mi sono accorta che l’utero non era malato come mi aveva fatto credere il ginecologo".
Dopo un terzo intervento, le condizioni di Chiara sono migliorate. "Però continuo ad avere dolori che scarico con lo sport — conclude — e a livello psicologico sono distrutta. Sono in cura da uno psicologo. Se davvero non avessi avuto alternative avrei rinunciato alla possibilità di avere altri figli, ma non è giusto che mi sia stato tolto un diritto simile per niente. Mi sento ferita nel profondo e spero almeno di ottenere giustizia per una vicenda che pregiudicherà il resto della mia vita".
AUTORE: Valentina Beltrame
FONTE: Ilrestodelcarlino.it => http://ilrestodelcarlino.ilsole24ore.com/modena/2008/07/30/
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L’operazione risale al 2001, ma la causa in sede civile per il risarcimento danni deve ancora cominciare e la prima udienza è stata fissata per il 2010. Chiara si è rivolta al suo ginecologo perché accusava dei dolori e il medico l’ha subito sottoposta a un’ecografia nel suo ambulatorio modenese. L’esame ha evidenziato la presenza, nell’utero, di una sacca di liquido pericolosa, da qui la necessità di fare una laparoscopia nella clinica in cui esercita il medico. A ottobre viene eseguita la laparoscopia: la diagnosi parla di "fibrosi retrouterina, varici pelviche e sindrome di Masters Allen". Il ginecologo avrebbe suggerito l’asportazione dell’utero, senza alternative, anche perché la donna sarebbe stata a rischio di una grave emorragia. Di fronte alla diagnosi e dopo comprensibili perplessità il 7 aprile del 2002 la ragazza si è sottoposta all’intervento chirurgico: "Non sono andata da altri medici — confessa Chiara — mi fidavo di lui. Mi trattava come una figlia. Non avrei mai pensato quello che poi è accaduto".
Ma una volta eseguito l’esame istologico, secondo i legali della donna, non ci sarebbe stata traccia della fibrosi uterina diagnosticata, uno dei motivi fondamentali per cui era stato deciso l’intervento. "Dopo l’operazione — racconta la donna — è stato un calvario. Ho dovuto subire altri interventi per dolori che non mi lasciavano mai. Così mi sono rivolta all’ospedale Estense di Modena dove un altro ginecologo ha riscontrato problemi relativi alla cicatrice. In questi anni, oltre a essere rioperata per sistemare i danni alle terminazioni nervose causate dal primo intervento, ho scoperto che l’asportazione dell’utero non era necessaria. Il medico che mi ha presa in cura è rimasto stupito del fatto che mi fosse stato tolto l’apparato così giovane. Poi ho chiesto la cartella clinica e mi sono accorta che l’utero non era malato come mi aveva fatto credere il ginecologo".
Dopo un terzo intervento, le condizioni di Chiara sono migliorate. "Però continuo ad avere dolori che scarico con lo sport — conclude — e a livello psicologico sono distrutta. Sono in cura da uno psicologo. Se davvero non avessi avuto alternative avrei rinunciato alla possibilità di avere altri figli, ma non è giusto che mi sia stato tolto un diritto simile per niente. Mi sento ferita nel profondo e spero almeno di ottenere giustizia per una vicenda che pregiudicherà il resto della mia vita".
AUTORE: Valentina Beltrame
FONTE: Ilrestodelcarlino.it => http://ilrestodelcarlino.ilsole24ore.com/modena/2008/07/30/