Desidero segnalare a tutti i ragazzi che stanno iniziando a prepararsi per i test di ingresso del prossimo settembre che è possibile scaricare a questo indirizzo => http://accessoprogrammato.miur.it/compiti/CompitoMedicina2007.pdf il documento pdf che riporta le domande relative al test di ingresso per medicina e chirurgia per l'anno accademico 2007-08. E' possibile in tal modo prendere visione delle domande e delle relative risposte relative appunto al compito di quest'anno. Una curiosità: il test fu ritenuto valido in base a sole 78 delle 80 risposte, perchè le domande N.71 e N.78 furono ritenute "aperte a più risposte possibili oppure scritte con omessa indicazione della risposta esatta in quanto da un’ulteriore verifica operata dalla commissione istituita per la predisposizione dei quesiti, è risultato che nessuna delle opzioni indicate può essere considerata corretta: il quesito pertanto è annullato.". Le risposte giuste in ogni quesito sono tutte poste alla risposta "A". In caso desideriate trovare ulteriori informazioni utili sui test di ingresso (come prepararli, siti utili, ect) potete osservare sia gli altri post del sito, sia i link presenti ogni tanto sulla destra del sito.
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AFORISMA DEL GIORNO
30 gennaio, 2009
Roma, specializzandi in protesta occupano le aule della "Sapienza"
Oltre quattrocento giovani medici aspiranti alla specializzazione, provenienti da tutti Italia e riuniti a Roma per l'assemblea nazionale, hanno annunciato un'assemblea permanente, 'occupando' l'aula di Radiologia dell'università capitolina la Sapienza. All'origine della protesta il ''clamoroso" ritardo nella pubblicazione del bando per l'accesso alla scuola di specializzazione che, a oggi, è di 5 mesi."Una situazione che sta diventando cronica e contro cui bisogna intervenire rapidamente, semplificando le procedure e rispettando le date previste per la pubblicazione dei bandi", spiega all'agenzia Adnkronos Walter Mazzucco, presidente del Sims, Segretariato italiano medici e specializzandi che ricorda come i ritardi rappresentino un ostacolo nella carriera dei giovani camici bianchi, costretti ad attese infinite con il rischio di perdere importanti occasioni di lavoro.
A far scattare l'occupazione una scadenza: oggi, infatti, è l'ultimo giorno, spiega in sintesi Mazzucco, per la trasmissione in conferenza Stato-Regioni della documentazione necessaria perché possa essere istruita la seduta in calendario per il prossimo 5 febbraio. Spetta al ministero del Welfare trasmettere la documentazione. Senza questo 'passaggio' si rischia il mancato inserimento nell'ordine del giorno della questione e, quindi, un ulteriore ritardo dell'iter ancora in alto mare.
"Ci risulta - spiega Mazzucco - che sia in corso un incontro tra i ministri competenti, in particolare Mariastella Gelmini dell'Università e il sottosegretario al Welfare Ferrucio Fazio. Noi resteremo qui, in quest'aula, finchè non ci saranno risposte e atti concreti. Come, ad esempio, l'invio della documentazione alla Stato-Regioni, che comprende anche la valutazione del fabbisogno del numero degli specialisti da formare. Chiediamo che finalmente si sblocchino i concorsi ".
L'assemblea era stata indetta per presentare un dossier-denuncia sull'ammissione alle scuole di specializzazione di area sanitaria in Italia, a cura del Sigm, con un quadro sconfortante degli ultimi 5 anni, con i tanti disagi dei giovani medici in attesa di specializzazione. Un problema che interessa circa 8 mila giovani medici neolaureati e diverse migliaia di laureandi in medicina laureandi che, in mancanza di risposte, subiranno conseguenze concrete per la carriera. Il titolo di specializzazione, ad esempio, è preferenziale per l'accesso al ruolo di dirigente medico. Senza si rischia di perdere occasioni importanti di lavoro.
I giovani medici chiedono una riforma che porti a una semplificazione e il rispetto della data di pubblicazione dei bandi per l'ammissione alle scuole, superando i conflitti tra le diverse amministrazioni che spesso contribuiscono a far aumentare i ritardi.
FONTE: Adnkronos.it
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A far scattare l'occupazione una scadenza: oggi, infatti, è l'ultimo giorno, spiega in sintesi Mazzucco, per la trasmissione in conferenza Stato-Regioni della documentazione necessaria perché possa essere istruita la seduta in calendario per il prossimo 5 febbraio. Spetta al ministero del Welfare trasmettere la documentazione. Senza questo 'passaggio' si rischia il mancato inserimento nell'ordine del giorno della questione e, quindi, un ulteriore ritardo dell'iter ancora in alto mare.
"Ci risulta - spiega Mazzucco - che sia in corso un incontro tra i ministri competenti, in particolare Mariastella Gelmini dell'Università e il sottosegretario al Welfare Ferrucio Fazio. Noi resteremo qui, in quest'aula, finchè non ci saranno risposte e atti concreti. Come, ad esempio, l'invio della documentazione alla Stato-Regioni, che comprende anche la valutazione del fabbisogno del numero degli specialisti da formare. Chiediamo che finalmente si sblocchino i concorsi ".
L'assemblea era stata indetta per presentare un dossier-denuncia sull'ammissione alle scuole di specializzazione di area sanitaria in Italia, a cura del Sigm, con un quadro sconfortante degli ultimi 5 anni, con i tanti disagi dei giovani medici in attesa di specializzazione. Un problema che interessa circa 8 mila giovani medici neolaureati e diverse migliaia di laureandi in medicina laureandi che, in mancanza di risposte, subiranno conseguenze concrete per la carriera. Il titolo di specializzazione, ad esempio, è preferenziale per l'accesso al ruolo di dirigente medico. Senza si rischia di perdere occasioni importanti di lavoro.
I giovani medici chiedono una riforma che porti a una semplificazione e il rispetto della data di pubblicazione dei bandi per l'ammissione alle scuole, superando i conflitti tra le diverse amministrazioni che spesso contribuiscono a far aumentare i ritardi.
FONTE: Adnkronos.it
29 gennaio, 2009
Quale sanità a Messina? Se ne parla in un convegno UIL ma il polo oncologico è ormai quasi un miraggio...
Le segreterie provinciali della Uil e della Uil Fpl hanno organizzato per martedì 3 febbraio alle 9.30 presso la sala convegni della Cittadella della Salute, ex Mandalari sito in viale Giostra, il convegno "Quale sanità a Messina? Realtà e prospettive della sanità pubblica in città e in provincia". Dopo il saluto di indirizzo del segretario generale della Uil Messina, Costantino Amato, e la relazione introduttiva del segretario provinciale della Uil Fpl, Pippo Calapai, che con l'ausilio di dati e tabelle delineerà il quadro della sanità messinese, interverranno, i direttori generali dell'Ausl 5 e dell'azienda ospedaliera "Papardo", il commissario straordinario dell'azienda "Piemonte" e il direttore scientifico dell'IRCSS "Centro Neurolesi". All'evento prenderanno parte il segretario generale della Uil Sicilia, Claudio Barone, il segretario regionale della Uil Fpl, Enzo Tango e il segretario generale della Uil Fpl, Carlo Fiordaliso. Previsti inoltre gli interventi del sindaco, Giuseppe Buzzanca, del presidente della Provincia, Nanni Ricevuto, e del presidente della sesta commissione regionale "Sanità", onorevole Nino Bennati. Confermata la presenza dell'assessore regionale alla sanità.
Nel frattempo, qualche giorno fa, il Coordinatore per Messina e Provincia del Tribunale per i diritti del malato "Cittadinanzattiva" ha emesso una nota che riassume anche la posizione della stessa associazione a rappresentanza dei cittadini sulla vicenda "Polo oncologico", che le ultime dichiarazioni politiche hanno quasi posto la parola "fine", in senso negativo, su di un progetto che pare oramai spostatosi in altri lidi (Palermo e Catania fra tutte), con grave danno per l'occupazione messinese.
Di seguito riportiamo il testo del comunicato emesso da Cittadinanzattiva:
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La speranza di veder inaugurare il Polo Oncologico di Messina - Fondazione “Saverio D’Aquino” - parrebbe destinata a sfumare definitivamente. Tale decisione è maturata nel corso di un’audizione parlamentare, senza essere dettata da necessità economiche, ma frutto diretto dell’incapacità della politica di assumere scelte coerenti e di progettare lo sviluppo di una intera comunità regionale, caratteristica, peraltro, non esclusiva del comparto della sanità, ma presente in qualsiasi settore della politica regionale.
Cos’è accaduto, di così eclatante, da far cambiare la logica di una scelta apparentemente ponderata e motivata frutto di lunghi anni di impegno e di investimenti; cosa ha determinato il cambio di strategia del governo regionale del Governatore Lombardo? Apparentemente nulla! Nulla che abbia a che fare con logiche e politiche sanitarie; nulla che abbia a che fare con strategie della ricerca o con scoperte miracolose che hanno reso inutile la creazione di un Polo Oncologico regionale.
Molto più semplicemente è accaduto che la “politica siciliana” è perfettamente coerente con se stessa; si auto ridefinisce ad ogni cambio della guardia. Riconosciamo che c’è un desiderio diffuso, nella intera classe politica di governo regionale, che desidera entrare a far parte dei libri di storia, ma di farlo nel modo meno memorabile, scegliendo il profilo della marginalità rispetto a quello dell'interesse generale. Negli anni precedenti la sanità siciliana immaginò e progettò di assecondare lo sviluppo della tutela della salute pubblica impegnandosi a realizzare centri di alta specializzazione, diffusi sul territorio regionale, che svolgessero le funzioni di incubatori dell’eccellenza.
Programmò iniziative a largo respiro. Individuò bacini territoriali ben precisi, legami di rete e sinergie con istituzioni pubbliche e scientifiche, come le università siciliane, che insieme finirono per rappresentare il volano di questo progetto. La cronaca e le scelte assunte successivamente della politica ci confermano che Palermo, Catania e Messina, con le rispettive Università, divennero i luoghi deputati alla nascita di questi incubatori di eccellenza. La traumatologia a Catania, la pediatria a Palermo e l’oncologia Messina. Nessuna priorità, nessuna gerarchia dell’una branca rispetto all’altra, ma un riconoscimento di eccellenze già presenti sul territorio.
Da questa idea di fondo presero l’avvio le prime iniziative, le proposte, i progetti, gli investimenti. In alcune di queste realtà regionali, ove purtroppo non si avvertì il peso della responsabilità pubblica, queste idee rimasero sulla carta. In altre parti della Sicilia, e Messina è una di queste, la condivisione del percorso tracciato, insieme al dovere istituzionale ed alla passione civile, spinsero amministratori, operatori e cittadini a credere in quelle scelte ed a sostenerle fino in fondo con il desiderio di vederle progredire, seppure tra mille difficoltà.
Oggi tra chi ha tentato, anche commettendo errori ed accumulando ritardi, e chi non ha operato, non viene fatta alcuna distinzione. Il nuovo corso della politica, di una politica che speravamo di non dover rivedere e che invece è senza soluzione di continuità, mette tutti, apparentemente, sullo stesso piano: virtuosi, ignavi e attendisti. Con l’assunto “non facciamo alcuna distinzione tra gli uni e gli altri”, peraltro accettato passivamente anche da parte di chi avrebbe dovuto difendere e valorizzare il proprio operato, si è messo in discussione tutto.
Tale cambiamento di rotta, peraltro ufficialmente attribuibile all’assessore alla Sanità del governo Lombardo, il dr Massimo Russo, testimonia come alla politica manchino gli strumenti necessari per valutare, nella loro continuità ed interezza, i processi della politica sanitaria precedente e quindi non sia in grado di indirizzarla. Sia pure, ma ci chiediamo: dove sono i dirigenti generali della Regione Siciliana, che quella continuità dovrebbero far valere?
Si sono dimenticati delle ingenti somme di denaro che sono state impegnate, delle penali che si dovrebbero liquidare alle società che hanno assunto l’appalto per la realizzazione del Polo Oncologico di Messina. Hanno dimenticato le scelte che strutture culturali e di ricerca ed istituzioni sanitarie hanno fatto in tutti questi anni, pensando al polo oncologico? Polo a cui hanno destinato, risorse, uomini e mezzi?
Crediamo che non bastino poche righe, nel corso di un’audizione in commissione sanità all’Ars Siciliana, per dire “scusate abbiamo sbagliato, ricominciamo da capo”. La politica come l’amministrazione ha il “dovere della continuità” delle scelte; ha il dovere di non sperperare le risorse investite, HA IL DOVERE DI NON ADDOSSARE ALLA COLLETTIVITA’ E QUINDI AI CITTADINI IL COSTO DI TANTO SPERPERO. Se all’Ars il dr. Massimo Russo avesse detto che il Polo Oncologico era inutile perché, finalmente, era stata trovata la cura per le patologie oncologiche, ci saremmo sentiti sollevati e non solo per l’importante risultato del mondo accademico e sanitario.
Avremmo finalmente plaudito ad un amministratore che ha il coraggio di fare scelte contro corrente, di non tenere in vita carrozzoni che si rivelano inutili. Ma l’assessore Russo e la giunta di cui egli è espressione autorevole non potevano fare, ahinoi, quest’annuncio. Ne hanno fatto un altro, hanno affermato che nonostante i soldi investiti, le penali che dovranno essere pagate, il polo oncologico deve essere spostato altrove.
Ci chiediamo da dove verranno i soldi per pagare le eventuali penali? Li toglieranno agli sprechi o taglieranno, ancora una volta, i servizi a cui hanno diritto i cittadini siciliani (come quello, da ultimo, i tagli agli ausili per i disabili). Marginale, in questo ultimo contesto, si rileva a questo punto anche la mortificazione che viene data alla città di Messina, agli sforzi di quanti in questi lunghi anni si sono adoperati per fare (lo ripetiamo, fra mille difficoltà) il loro dovere.
Adesso si ricomincia da capo ed il “povero popolo di Sicilia”, nulla potrà fare; pare che non potrà neppure indignarsi. La politica viaggia su altri “alti orizzonti”, su livelli che nessuno di noi semplici e comuni cittadini siciliani, è in grado cogliere. Per questo motivo ci permettiamo di chiedere a coloro che hanno sostenuto e condiviso questo percorso di spiegarci il loro silenzio di oggi.
Forse è per questo che noi cittadini non capiamo la politica; forse perché la politica non parla con i cittadini, forse perché non li ascolta o forse perché ha rinunciato a rappresentarli.
A volte sono i piccoli passi che ci permettono di raggiungere la meta, spesso, però sono i crolli che ci consentono di ricostruire le speranze di un nuovo cammino, di una nuova cittadinanza. Siamo certi, o per lo meno lo speriamo, che verrà una nuova Sicilia, fatta da cittadini attivi, desiderosi di comprendere e pronti ad ascoltare.
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Nel frattempo, qualche giorno fa, il Coordinatore per Messina e Provincia del Tribunale per i diritti del malato "Cittadinanzattiva" ha emesso una nota che riassume anche la posizione della stessa associazione a rappresentanza dei cittadini sulla vicenda "Polo oncologico", che le ultime dichiarazioni politiche hanno quasi posto la parola "fine", in senso negativo, su di un progetto che pare oramai spostatosi in altri lidi (Palermo e Catania fra tutte), con grave danno per l'occupazione messinese.
Di seguito riportiamo il testo del comunicato emesso da Cittadinanzattiva:
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La speranza di veder inaugurare il Polo Oncologico di Messina - Fondazione “Saverio D’Aquino” - parrebbe destinata a sfumare definitivamente. Tale decisione è maturata nel corso di un’audizione parlamentare, senza essere dettata da necessità economiche, ma frutto diretto dell’incapacità della politica di assumere scelte coerenti e di progettare lo sviluppo di una intera comunità regionale, caratteristica, peraltro, non esclusiva del comparto della sanità, ma presente in qualsiasi settore della politica regionale.
Cos’è accaduto, di così eclatante, da far cambiare la logica di una scelta apparentemente ponderata e motivata frutto di lunghi anni di impegno e di investimenti; cosa ha determinato il cambio di strategia del governo regionale del Governatore Lombardo? Apparentemente nulla! Nulla che abbia a che fare con logiche e politiche sanitarie; nulla che abbia a che fare con strategie della ricerca o con scoperte miracolose che hanno reso inutile la creazione di un Polo Oncologico regionale.
Molto più semplicemente è accaduto che la “politica siciliana” è perfettamente coerente con se stessa; si auto ridefinisce ad ogni cambio della guardia. Riconosciamo che c’è un desiderio diffuso, nella intera classe politica di governo regionale, che desidera entrare a far parte dei libri di storia, ma di farlo nel modo meno memorabile, scegliendo il profilo della marginalità rispetto a quello dell'interesse generale. Negli anni precedenti la sanità siciliana immaginò e progettò di assecondare lo sviluppo della tutela della salute pubblica impegnandosi a realizzare centri di alta specializzazione, diffusi sul territorio regionale, che svolgessero le funzioni di incubatori dell’eccellenza.
Programmò iniziative a largo respiro. Individuò bacini territoriali ben precisi, legami di rete e sinergie con istituzioni pubbliche e scientifiche, come le università siciliane, che insieme finirono per rappresentare il volano di questo progetto. La cronaca e le scelte assunte successivamente della politica ci confermano che Palermo, Catania e Messina, con le rispettive Università, divennero i luoghi deputati alla nascita di questi incubatori di eccellenza. La traumatologia a Catania, la pediatria a Palermo e l’oncologia Messina. Nessuna priorità, nessuna gerarchia dell’una branca rispetto all’altra, ma un riconoscimento di eccellenze già presenti sul territorio.
Da questa idea di fondo presero l’avvio le prime iniziative, le proposte, i progetti, gli investimenti. In alcune di queste realtà regionali, ove purtroppo non si avvertì il peso della responsabilità pubblica, queste idee rimasero sulla carta. In altre parti della Sicilia, e Messina è una di queste, la condivisione del percorso tracciato, insieme al dovere istituzionale ed alla passione civile, spinsero amministratori, operatori e cittadini a credere in quelle scelte ed a sostenerle fino in fondo con il desiderio di vederle progredire, seppure tra mille difficoltà.
Oggi tra chi ha tentato, anche commettendo errori ed accumulando ritardi, e chi non ha operato, non viene fatta alcuna distinzione. Il nuovo corso della politica, di una politica che speravamo di non dover rivedere e che invece è senza soluzione di continuità, mette tutti, apparentemente, sullo stesso piano: virtuosi, ignavi e attendisti. Con l’assunto “non facciamo alcuna distinzione tra gli uni e gli altri”, peraltro accettato passivamente anche da parte di chi avrebbe dovuto difendere e valorizzare il proprio operato, si è messo in discussione tutto.
Tale cambiamento di rotta, peraltro ufficialmente attribuibile all’assessore alla Sanità del governo Lombardo, il dr Massimo Russo, testimonia come alla politica manchino gli strumenti necessari per valutare, nella loro continuità ed interezza, i processi della politica sanitaria precedente e quindi non sia in grado di indirizzarla. Sia pure, ma ci chiediamo: dove sono i dirigenti generali della Regione Siciliana, che quella continuità dovrebbero far valere?
Si sono dimenticati delle ingenti somme di denaro che sono state impegnate, delle penali che si dovrebbero liquidare alle società che hanno assunto l’appalto per la realizzazione del Polo Oncologico di Messina. Hanno dimenticato le scelte che strutture culturali e di ricerca ed istituzioni sanitarie hanno fatto in tutti questi anni, pensando al polo oncologico? Polo a cui hanno destinato, risorse, uomini e mezzi?
Crediamo che non bastino poche righe, nel corso di un’audizione in commissione sanità all’Ars Siciliana, per dire “scusate abbiamo sbagliato, ricominciamo da capo”. La politica come l’amministrazione ha il “dovere della continuità” delle scelte; ha il dovere di non sperperare le risorse investite, HA IL DOVERE DI NON ADDOSSARE ALLA COLLETTIVITA’ E QUINDI AI CITTADINI IL COSTO DI TANTO SPERPERO. Se all’Ars il dr. Massimo Russo avesse detto che il Polo Oncologico era inutile perché, finalmente, era stata trovata la cura per le patologie oncologiche, ci saremmo sentiti sollevati e non solo per l’importante risultato del mondo accademico e sanitario.
Avremmo finalmente plaudito ad un amministratore che ha il coraggio di fare scelte contro corrente, di non tenere in vita carrozzoni che si rivelano inutili. Ma l’assessore Russo e la giunta di cui egli è espressione autorevole non potevano fare, ahinoi, quest’annuncio. Ne hanno fatto un altro, hanno affermato che nonostante i soldi investiti, le penali che dovranno essere pagate, il polo oncologico deve essere spostato altrove.
Ci chiediamo da dove verranno i soldi per pagare le eventuali penali? Li toglieranno agli sprechi o taglieranno, ancora una volta, i servizi a cui hanno diritto i cittadini siciliani (come quello, da ultimo, i tagli agli ausili per i disabili). Marginale, in questo ultimo contesto, si rileva a questo punto anche la mortificazione che viene data alla città di Messina, agli sforzi di quanti in questi lunghi anni si sono adoperati per fare (lo ripetiamo, fra mille difficoltà) il loro dovere.
Adesso si ricomincia da capo ed il “povero popolo di Sicilia”, nulla potrà fare; pare che non potrà neppure indignarsi. La politica viaggia su altri “alti orizzonti”, su livelli che nessuno di noi semplici e comuni cittadini siciliani, è in grado cogliere. Per questo motivo ci permettiamo di chiedere a coloro che hanno sostenuto e condiviso questo percorso di spiegarci il loro silenzio di oggi.
Forse è per questo che noi cittadini non capiamo la politica; forse perché la politica non parla con i cittadini, forse perché non li ascolta o forse perché ha rinunciato a rappresentarli.
A volte sono i piccoli passi che ci permettono di raggiungere la meta, spesso, però sono i crolli che ci consentono di ricostruire le speranze di un nuovo cammino, di una nuova cittadinanza. Siamo certi, o per lo meno lo speriamo, che verrà una nuova Sicilia, fatta da cittadini attivi, desiderosi di comprendere e pronti ad ascoltare.
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Catania: parte corso di "Medicina del dolore cronico"
Mercoledì 28 Gennaio alle ore 9,00 a Catania, presso il coro di notte del Monastero dei Benedettini (P.zza Dante), sarà inaugurato il Primo Corso Regionale di Medicina del Dolore promosso dall’U.O. di Medicina del dolore dell’Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele, Ferrarotto - S. Bambino, diretta dal Dott. Sergio Chisari, con il patrocinio del Comune di Catania, della Provincia Regionale di Catania, dell’Assessorato Regionale alla Sanità, dell’Università degli Studi di Catania e dall’ordine dei medici di Catania. Il corso, che si svolgerà dal 28 al 30 Gennaio, rivolto a medici di base e specialisti – spiega il dott. Chisari – intende rappresentare l’avvio, anche nella nostra città, di un’attenta ed approfondita analisi della fisiopatologia e terapia delle sindromi dolorose complesse sia di natura benigna che oncologica"
"Attualmente, infatti, in Italia – aggiunge Chisari -una persona su quattro soffre di dolore cronico. Si stima – aggiunge il responsabile del Centro di Medicina del dolore del OVE - che circa 15 milioni di persone soffrano di tale patologia, solo nel nostro paese, e di notevoli costi economici a livello individuale, familiare, sociale che costituiscono un’emergenza di politica sanitaria da affrontare. La tre giorni promossa in questo senso intende – conclude Sergio Chisari – colmare la mancanza di conoscenza di tale patologia a livello accademico e l’assenza di attenzione da parte del sistema sanitario regionale, che non ha ancora provveduto ad inserirla nei piani di settore determinando serie difficoltà nei ricoveri e nelle procedure terapeutiche e conseguente disagio al paziente."
Fra i tanti relatori interverranno in particolare il prof. Giustino Varrassi dell’Università dell’Aquila, il prof. Guido Orlandini dell’Università di Genova, il dott. Sergio Mameli dell’Ospedale Oncologico di Cagliari e i Prof. Mario Matera, Giovanni Puglisi ed Antonino Gullo dell’Università di Catania.
FONTE: Siciliatoday.net
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"Attualmente, infatti, in Italia – aggiunge Chisari -una persona su quattro soffre di dolore cronico. Si stima – aggiunge il responsabile del Centro di Medicina del dolore del OVE - che circa 15 milioni di persone soffrano di tale patologia, solo nel nostro paese, e di notevoli costi economici a livello individuale, familiare, sociale che costituiscono un’emergenza di politica sanitaria da affrontare. La tre giorni promossa in questo senso intende – conclude Sergio Chisari – colmare la mancanza di conoscenza di tale patologia a livello accademico e l’assenza di attenzione da parte del sistema sanitario regionale, che non ha ancora provveduto ad inserirla nei piani di settore determinando serie difficoltà nei ricoveri e nelle procedure terapeutiche e conseguente disagio al paziente."
Fra i tanti relatori interverranno in particolare il prof. Giustino Varrassi dell’Università dell’Aquila, il prof. Guido Orlandini dell’Università di Genova, il dott. Sergio Mameli dell’Ospedale Oncologico di Cagliari e i Prof. Mario Matera, Giovanni Puglisi ed Antonino Gullo dell’Università di Catania.
FONTE: Siciliatoday.net
Dal Codacons arriva il "Comitato" per le vittime della Sanità siciliana
Il Codacons, dà il via al Comitato "Vittime della sanità siciliana", in collaborazione con l'Associazione Nazionale per la Tutela dei diritti del malato, l'Associazione Articolo 32 e l'Osservatorio Sanità Sicilia, per lottare uniti contro la malasanità e le lunghe liste d'attesa di ASL e ospedali.
Il Comitato, presente in tutta la Sicilia con varie sedi, promuoverà la più importante azione collettiva di risarcimento a tutela del diritto alla salute dei siciliani contro le lunghe liste d'attesa di ASL e Ospedali che costringono i cittadini a non curarsi o a pagare, anche se esenti, le prestazioni sanitarie.
"Il diritto alla salute – afferma Tanasi, segretario nazionale Codacons - è riconosciuto dall'art. 32 della Costituzione italiana, diritto che viene negato dalle assurde lungaggini della sanità pubblica siciliana. E' impensabile infatti che per esami importanti si debba aspettare molti mesi se non addirittura anni, con evidenti danni esistenziali per i cittadini che necessitano di controlli medici e proprio perché le lamentele in questo senso sono davvero numerosissime agiremo con celerità per trovare delle risposte".
Il Comitato invita inoltre tutti i cittadini a contattare il numero verde 800.955544 per segnalare i tempi lunghi e snervanti delle liste d'attesa ed eventuali altre inadempienze del servizio sanitario pubblico siciliano.
Il numero verde si inserisce nell'insieme di azioni che il comitato porterà avanti sia per migliorare la fruizione dei servizi sanitari siciliani, sia per individuare le cause che impediscono una regolare ed efficiente erogazione delle prestazioni pubbliche.
"Le lamentele che pervengono alle associazioni sono talmente numerose - afferma Tanasi - che il Comitato è un successo già adesso che è appena nato. Oggi - denuncia Tanasi - in alcune province ci vogliono 2 anni per una mammografia, 400 giorni per un ECG; 200 409 giorni per una visita oculistica, senza poi considerare l'impossibilità di moltissime famiglie siciliane nel far fronte, a propri spese, a controlli o visite specifiche presso strutture private. Disagio che si trasforma, nella maggior parte dei casi, nella rinuncia alla prevenzione".
Di seguito l'elenco delle sedi Codacons a cui è possibile rivolgersi per aderire al Comitato:
CATANIA
Via Passo Gravina, 10 - 95125
Avv. Giovanni PETRONE
AGRIGENTO
Via Imera, 50 - 92100
Avv. Pier Luigi CAPPELLO
CALTANISSETTA
V.le Stefano Candura, 20/b - 93100
Avv. Silvia DI BLASI PETRANTONI
ENNA
Via Marchese Mario Grimaldi, 8 - 94100
Avv. Concetta POTENZONE
MESSINA
Via San Filippo Bianchi, 54
Avv. Antonio CARDILE
PALERMO
Via Maestri del Lavoro, 38 - 90124
Avv. Paolo DI STEFANO
RAGUSA
Viale Napoleone Colajanni, 29
Avv. Alessandra LEONARDI
SIRACUSA
Viale Scala Greca, 199/C - 96100
Avv. Giuseppe CANONICO
TRAPANI
Via Rocco Solina, 2 - 91100
Avv. Danilo FRATTAGLI
FONTE: Siciliatoday.net
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Il Comitato, presente in tutta la Sicilia con varie sedi, promuoverà la più importante azione collettiva di risarcimento a tutela del diritto alla salute dei siciliani contro le lunghe liste d'attesa di ASL e Ospedali che costringono i cittadini a non curarsi o a pagare, anche se esenti, le prestazioni sanitarie.
"Il diritto alla salute – afferma Tanasi, segretario nazionale Codacons - è riconosciuto dall'art. 32 della Costituzione italiana, diritto che viene negato dalle assurde lungaggini della sanità pubblica siciliana. E' impensabile infatti che per esami importanti si debba aspettare molti mesi se non addirittura anni, con evidenti danni esistenziali per i cittadini che necessitano di controlli medici e proprio perché le lamentele in questo senso sono davvero numerosissime agiremo con celerità per trovare delle risposte".
Il Comitato invita inoltre tutti i cittadini a contattare il numero verde 800.955544 per segnalare i tempi lunghi e snervanti delle liste d'attesa ed eventuali altre inadempienze del servizio sanitario pubblico siciliano.
Il numero verde si inserisce nell'insieme di azioni che il comitato porterà avanti sia per migliorare la fruizione dei servizi sanitari siciliani, sia per individuare le cause che impediscono una regolare ed efficiente erogazione delle prestazioni pubbliche.
"Le lamentele che pervengono alle associazioni sono talmente numerose - afferma Tanasi - che il Comitato è un successo già adesso che è appena nato. Oggi - denuncia Tanasi - in alcune province ci vogliono 2 anni per una mammografia, 400 giorni per un ECG; 200 409 giorni per una visita oculistica, senza poi considerare l'impossibilità di moltissime famiglie siciliane nel far fronte, a propri spese, a controlli o visite specifiche presso strutture private. Disagio che si trasforma, nella maggior parte dei casi, nella rinuncia alla prevenzione".
Di seguito l'elenco delle sedi Codacons a cui è possibile rivolgersi per aderire al Comitato:
CATANIA
Via Passo Gravina, 10 - 95125
Avv. Giovanni PETRONE
AGRIGENTO
Via Imera, 50 - 92100
Avv. Pier Luigi CAPPELLO
CALTANISSETTA
V.le Stefano Candura, 20/b - 93100
Avv. Silvia DI BLASI PETRANTONI
ENNA
Via Marchese Mario Grimaldi, 8 - 94100
Avv. Concetta POTENZONE
MESSINA
Via San Filippo Bianchi, 54
Avv. Antonio CARDILE
PALERMO
Via Maestri del Lavoro, 38 - 90124
Avv. Paolo DI STEFANO
RAGUSA
Viale Napoleone Colajanni, 29
Avv. Alessandra LEONARDI
SIRACUSA
Viale Scala Greca, 199/C - 96100
Avv. Giuseppe CANONICO
TRAPANI
Via Rocco Solina, 2 - 91100
Avv. Danilo FRATTAGLI
FONTE: Siciliatoday.net
Ginnastica estenuante e prolungata? No, bastano tre minuti...
Le attuali linee guida suggeriscono che le persone dovrebbero svolgere attività fisica aerobica da moderata a intensa per molte ore alla settimana. Un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori della "Heriot-Watt University" e pubblicato sulla rivista "Bmc Endocrine Disorders" ha rivelato come basterebbero giusto tre minuti di attività fisica intensa per migliorare il proprio metabolismo. Quindi l'attività fisica farebbe bene quando è breve ma intensa, piuttosto che prolungata ed estenuante. I ricercatori hanno studiato gli effetti del cosiddetto "high-intensity interval training (hit)" sul buon funzionamento metabolico di sedici volontari maschi sedentari. Come spiega James Timmons, coordinatore dello studio, "Ciò che abbiamo trovato è che anche svolgendo pochi ma intensi esercizi, della durata di trenta secondi circa ciascuno per una serie di circa tre minuti, si migliora sensibilmente il metabolismo di una persona in sole due settimane".
"Il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e diabete di tipo 2 e' sostanzialmente ridotto grazie alla regolare attivita' fisica. Sfortunatamente, molte persone semplicemente non hanno il tempo di seguire le attuali linee guida sull'esercizio fisico. L'allenamento a basso volume e ad alta intensita' utilizzato nel nostro studio - spiega Timmons - ha migliorato sostanzialmente l'azione dell'insulina e l'eliminazione del glucosio in soggetti di sesso maschile altrimenti sedentari e ciò indica che non abbiamo ancora valutato appieno la tradizionale connessione tra esercizio e diabete".
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"Il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e diabete di tipo 2 e' sostanzialmente ridotto grazie alla regolare attivita' fisica. Sfortunatamente, molte persone semplicemente non hanno il tempo di seguire le attuali linee guida sull'esercizio fisico. L'allenamento a basso volume e ad alta intensita' utilizzato nel nostro studio - spiega Timmons - ha migliorato sostanzialmente l'azione dell'insulina e l'eliminazione del glucosio in soggetti di sesso maschile altrimenti sedentari e ciò indica che non abbiamo ancora valutato appieno la tradizionale connessione tra esercizio e diabete".
Cancro alla cervice: che cos’è il “Progetto ASSIST”, finanziato dalla UE
Il cancro della cervice è la forma tumorale più comune a livello mondiale. Ogni anno viene diagnosticato in circa 60.000 donne e in più o meno nella metà di esse è causa di decesso. Bloccare il problema sul nascere è un'impresa difficile se la malattia non viene scoperta e curata in uno stadio sufficientemente precoce. Il progetto ASSIST ("Association studies assisted by inference and semantic technologies"), finanziato dall'UE con 2,63 milioni di euro, aveva l'obiettivo di risolvere questo problema attraverso la creazione di collegamenti tecnologici tra centri medici specializzati nella diagnosi e nel trattamento del cancro della cervice, nonché di aumentare lo scambio dei dati e la creazione di maggiori quantità di dati.
Mentre gli scienziati accettato il fatto che il papillomavirus (HPV) rappresenta il maggiore rischio per il cancro della cervice, essi riconoscono anche che l'HPV non è l'unico responsabile. I ricercatori hanno valutato il ruolo dei fattori genetici e ambientali specifici nella determinazione della persistenza dell'HPV e la conseguente progressione della malattia. Studi precedenti avevano suggerito meccanismi patogenici che avrebbero potuto fornire nuovi marcatori del rischio, diagnosi e prognosi e avrebbero condotto a potenziali nuovi trattamenti.
Il progetto ASSIST intendeva combinare i diversi tipi di dati raccolti dai ricercatori, automatizzare il processo di valutazione delle ipotesi mediche, fornire un motore di inferenza capace di valutare il materiale statisticamente, riunire le cartelle cliniche dei pazienti delle istituzioni partecipanti, e sviluppare strumenti grafici espressivi per i ricercatori medici dove indirizzare i loro quesiti.
I ricercatori medici usano studi associativi per individuare i fattori comuni presenti nelle varie malattie. Essi valutano i dati clinici dei test ospedalieri, dati sullo stile di vita (come il fumo o le abitudini alimentari) e dati genetici. I ricercatori confrontano anche i dati dei pazienti con quelli di soggetti sani.
"Quello che cerchiamo di fare è di permettere ai ricercatori medici impegnati negli ospedali e nei centri medici specializzati di usare i dati reciproci e di combinarli in un contesto più ampio", ha detto il professor Pericles Mitkas del Centro per la ricerca e la tecnologia - Hellas, Informatics and Telematics Institute, in Grecia. "Il problema è che ogni ospedale usa formati diversi, regole diverse per la conservazione dei dati, anche se si tratta di esattamente lo stesso test," ha detto il coordinatore del progetto. "Perfino nello stesso ospedale, ogni medico potrebbe avere il suo modo particolare di fare le cose."
Il prof. Mitkas ha fatto notare che il più grande successo raggiunto da ASSIST è stato quello di rafforzare il dialogo tra medici, biologi molecolari e esperti informatici. "Finalmente si parlano e capiscono il rispettivo 'linguaggio tecnico'," ha spiegato.
Tre ospedali in Belgio, Germania e Grecia hanno partecipato alla prima parte del progetto. Dopo essersi trovati d'accordo sulla terminologia e sulla rappresentazione e consultazione dei dati, il team di ricerca ha sviluppato una piattaforma software prototipo che assicura ai ricercatori la ricezione dei dati nel formato richiesto. "Lo facciamo usando la rappresentazione semantica, il ché significa che assegniamo un'interpretazione ad ogni valore per aiutare il computer a capire a cosa si riferisce un determinato dato," ha spiegato il capo del progetto.
Facilitiamo anche l'interpretazione di valori soggettivi come "alto rischio" o "basso rischio", "caso serio" e "caso non serio", e usiamo tecniche inferenti basate su una serie di norme mediche fornite dai medici per dire al computer quali risultati sono più validi," ha detto. "I risultati delle biopsie, ad esempio, sono più attendibili dei risultati del Pap test e potrebbero indicare uno stato precanceroso che il Pap test non ha rivelato."
La piattaforma prototipo ASSIST ha offerto ai ricercatori accesso ai dati dei pazienti dei reparti di ginecologia e ostetricia dei tre ospedali. "Man mano che andiamo avanti, aggiungiamo funzionalità, ma almeno ora i medici hanno tra le mani qualcosa con cui lavorare e valutare," ha detto il prof. Mitkas.
"Più in là, capire il percorso della malattia e i fattori che influiscono su di essa, aiuterà i singoli medici a diagnosticarla più precocemente, prevenirla dando indicazioni alle loro pazienti, e sviluppare farmaci o procedure per curare la malattia," ha detto. "Ma ASSIST è soprattutto uno strumento per i ricercatori, che attraverso i risultati delle loro ricerche potranno aiutare tutte le donne.
FONTE: Cordis & MOLECULARLAB.IT
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Mentre gli scienziati accettato il fatto che il papillomavirus (HPV) rappresenta il maggiore rischio per il cancro della cervice, essi riconoscono anche che l'HPV non è l'unico responsabile. I ricercatori hanno valutato il ruolo dei fattori genetici e ambientali specifici nella determinazione della persistenza dell'HPV e la conseguente progressione della malattia. Studi precedenti avevano suggerito meccanismi patogenici che avrebbero potuto fornire nuovi marcatori del rischio, diagnosi e prognosi e avrebbero condotto a potenziali nuovi trattamenti.
Il progetto ASSIST intendeva combinare i diversi tipi di dati raccolti dai ricercatori, automatizzare il processo di valutazione delle ipotesi mediche, fornire un motore di inferenza capace di valutare il materiale statisticamente, riunire le cartelle cliniche dei pazienti delle istituzioni partecipanti, e sviluppare strumenti grafici espressivi per i ricercatori medici dove indirizzare i loro quesiti.
I ricercatori medici usano studi associativi per individuare i fattori comuni presenti nelle varie malattie. Essi valutano i dati clinici dei test ospedalieri, dati sullo stile di vita (come il fumo o le abitudini alimentari) e dati genetici. I ricercatori confrontano anche i dati dei pazienti con quelli di soggetti sani.
"Quello che cerchiamo di fare è di permettere ai ricercatori medici impegnati negli ospedali e nei centri medici specializzati di usare i dati reciproci e di combinarli in un contesto più ampio", ha detto il professor Pericles Mitkas del Centro per la ricerca e la tecnologia - Hellas, Informatics and Telematics Institute, in Grecia. "Il problema è che ogni ospedale usa formati diversi, regole diverse per la conservazione dei dati, anche se si tratta di esattamente lo stesso test," ha detto il coordinatore del progetto. "Perfino nello stesso ospedale, ogni medico potrebbe avere il suo modo particolare di fare le cose."
Il prof. Mitkas ha fatto notare che il più grande successo raggiunto da ASSIST è stato quello di rafforzare il dialogo tra medici, biologi molecolari e esperti informatici. "Finalmente si parlano e capiscono il rispettivo 'linguaggio tecnico'," ha spiegato.
Tre ospedali in Belgio, Germania e Grecia hanno partecipato alla prima parte del progetto. Dopo essersi trovati d'accordo sulla terminologia e sulla rappresentazione e consultazione dei dati, il team di ricerca ha sviluppato una piattaforma software prototipo che assicura ai ricercatori la ricezione dei dati nel formato richiesto. "Lo facciamo usando la rappresentazione semantica, il ché significa che assegniamo un'interpretazione ad ogni valore per aiutare il computer a capire a cosa si riferisce un determinato dato," ha spiegato il capo del progetto.
Facilitiamo anche l'interpretazione di valori soggettivi come "alto rischio" o "basso rischio", "caso serio" e "caso non serio", e usiamo tecniche inferenti basate su una serie di norme mediche fornite dai medici per dire al computer quali risultati sono più validi," ha detto. "I risultati delle biopsie, ad esempio, sono più attendibili dei risultati del Pap test e potrebbero indicare uno stato precanceroso che il Pap test non ha rivelato."
La piattaforma prototipo ASSIST ha offerto ai ricercatori accesso ai dati dei pazienti dei reparti di ginecologia e ostetricia dei tre ospedali. "Man mano che andiamo avanti, aggiungiamo funzionalità, ma almeno ora i medici hanno tra le mani qualcosa con cui lavorare e valutare," ha detto il prof. Mitkas.
"Più in là, capire il percorso della malattia e i fattori che influiscono su di essa, aiuterà i singoli medici a diagnosticarla più precocemente, prevenirla dando indicazioni alle loro pazienti, e sviluppare farmaci o procedure per curare la malattia," ha detto. "Ma ASSIST è soprattutto uno strumento per i ricercatori, che attraverso i risultati delle loro ricerche potranno aiutare tutte le donne.
FONTE: Cordis & MOLECULARLAB.IT
25 gennaio, 2009
Considerazioni sulla Fivet
Negli Stati Uniti e all'estero la fecondazione in vitro (fivet) ha successo, garantendo la possibilita' di avere un bambino al 65-86% delle donne giovani, e al 23-42% nelle ultraquarantenni. Lo dice un ampio studio del Boston IVF e del Beth Israel Deaconess Medical Center condotto su piu' di 6000 donne, riportato dal New England Journal of Medicine. In Italia invece le chance di successo, nonostante il progredire delle tecniche, continuano a calare, ben del 3,6% rispetto al 2003. Un prezzo significativo che secondo il ginecologo Carlo Flamigni si sta pagando alla legge 40.
I risultati dello studio statunitense-israeliano parlano chiaro. A 30 dalla nascita della prima bambina in provetta e oltre un milione di bambini concepiti cosi', la fivet, con cui l'ovulo e lo spermatozoo vengono fecondati in laboratorio e poi impianti nell'utero materno, ha successo. I ricercatori hanno calcolato il tasso cumulativo di nascite nella popolazione, includendo tutte le pazienti sottoposte a fecondazione in vitro nonche' i cicli con embrioni congelati, raddoppiati negli ultimi anni.
Tradizionalmente si riportavano le gravidanze per ogni ciclo di fivet - spiega Beth Malizia, coordinatrice dello studio - ma si trattava di calcoli difficili da capire e potenzialmente fuorvianti'. Come spiega Flamigni, 'la fertilita' nell'uomo e' modesta, e fare i calcoli per ciclo in vitro o ciclo mestruale e' punitivo, visto che le probabilita' sono basse. E' piu' di buon senso ragionare come si e' fatto nello studio, considerando il successo nell'arco di sei cicli di trattamento'. Il risultato cosi' calcolato e' che le chance di successo vanno dal 65% all'86% per le donne piu' giovani, e dal 23% al 42% per quelle dai 40 anni in su.
Delle 3.126 nascite avute, la maggior parte era di bambini singoli, mentre il 27% era rappresentato da gemelli e il 2% da parti trigemellari. In Italia le cifre sono ben diverse, e meno esaltanti. Un bambino su 100 nasce con tecniche di fecondazione artificiale, contro un bambino su 30 in Europa. Secondo il Registro nazionale sulla fecondazione assistita i nati in provetta in Italia sono stati 7.514 nel 2006 su un totale di 554.744 nuovi nati. 'Considerando comunque che da noi poche donne fanno sei cicli - continua Flamigni - le percentuali di successo della fivet per le under 35 sono inferiori al 50%, e molto meno per le ultra quarantenni.
Se in tutto il mondo, ogni anno aumentano un po' di piu' le probabilita' di successo, grazie all'avanzare delle tecniche, in Italia avviene il contrario'. Rispetto al 2003 si e' registrato un -3,6% di successi, che 'significano un 13% in meno di gravidanze, che non e' poco - prosegue - Significa che se nascevano 10mila bambini l'anno, ora ce ne sono 1.300 in meno'.
Senza contare che c'e' stato un piccolo 'aumento dell'abortivita' e un aumento dei parti multipli del 2% nelle donne giovani, per l'obbligo di impiantare i tre embrioni - conclude - Un prezzo significativo che paghiamo alla legge'.
FONTE: ADUC Salute
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I risultati dello studio statunitense-israeliano parlano chiaro. A 30 dalla nascita della prima bambina in provetta e oltre un milione di bambini concepiti cosi', la fivet, con cui l'ovulo e lo spermatozoo vengono fecondati in laboratorio e poi impianti nell'utero materno, ha successo. I ricercatori hanno calcolato il tasso cumulativo di nascite nella popolazione, includendo tutte le pazienti sottoposte a fecondazione in vitro nonche' i cicli con embrioni congelati, raddoppiati negli ultimi anni.
Tradizionalmente si riportavano le gravidanze per ogni ciclo di fivet - spiega Beth Malizia, coordinatrice dello studio - ma si trattava di calcoli difficili da capire e potenzialmente fuorvianti'. Come spiega Flamigni, 'la fertilita' nell'uomo e' modesta, e fare i calcoli per ciclo in vitro o ciclo mestruale e' punitivo, visto che le probabilita' sono basse. E' piu' di buon senso ragionare come si e' fatto nello studio, considerando il successo nell'arco di sei cicli di trattamento'. Il risultato cosi' calcolato e' che le chance di successo vanno dal 65% all'86% per le donne piu' giovani, e dal 23% al 42% per quelle dai 40 anni in su.
Delle 3.126 nascite avute, la maggior parte era di bambini singoli, mentre il 27% era rappresentato da gemelli e il 2% da parti trigemellari. In Italia le cifre sono ben diverse, e meno esaltanti. Un bambino su 100 nasce con tecniche di fecondazione artificiale, contro un bambino su 30 in Europa. Secondo il Registro nazionale sulla fecondazione assistita i nati in provetta in Italia sono stati 7.514 nel 2006 su un totale di 554.744 nuovi nati. 'Considerando comunque che da noi poche donne fanno sei cicli - continua Flamigni - le percentuali di successo della fivet per le under 35 sono inferiori al 50%, e molto meno per le ultra quarantenni.
Se in tutto il mondo, ogni anno aumentano un po' di piu' le probabilita' di successo, grazie all'avanzare delle tecniche, in Italia avviene il contrario'. Rispetto al 2003 si e' registrato un -3,6% di successi, che 'significano un 13% in meno di gravidanze, che non e' poco - prosegue - Significa che se nascevano 10mila bambini l'anno, ora ce ne sono 1.300 in meno'.
Senza contare che c'e' stato un piccolo 'aumento dell'abortivita' e un aumento dei parti multipli del 2% nelle donne giovani, per l'obbligo di impiantare i tre embrioni - conclude - Un prezzo significativo che paghiamo alla legge'.
FONTE: ADUC Salute
La vitamina D? Un toccasana per il cervello
La vitamina D puo' contribuire a ridurre il declino mentale della terza eta'. E' quanto indica uno studio condotto da ricercatori britannici e statunitensi su 2mila persone di 65 anni e oltre, secondo il quale i soggetti che mostravano livelli di vitamina D piu' bassi avevano il doppio di probabilita' di accusare disturbi cognitivi. La scoperta potrebbe avere conseguenze significative nella terapia dell'Alzheimer e di altre forme di demenza; la vitamina D serve a mantenere la funzionalita' del sistema osseo, favorisce l'assorbimento di calcio e fosforo e rafforza il sistema immunitario.
La vitamina D è un gruppo di pro-ormoni liposolubili; il Gruppo si presenta sotto due forme principali dall'attività biologica molto simile: il colecalciferolo (D3), derivante dal colesterolo e sintetizzato negli organismi animali, e l'ergocalciferolo (D2), di provenienza vegetale (ergosterolo).
Pochi alimenti contengono quantità apprezzabili di vitamina D. Un alimento particolarmente ricco è l’olio di fegato di merluzzo. Seguono, poi, i pesci grassi (come il salmoni e le aringhe), il latte ed i suoi derivati, le uova, il fegato e le verdure verdi.
Le prime alterazioni, in caso di deficienza di vitamina D, consistono in: diminuzione dei livelli sierici di calcio e fosforo con conseguente iperparatiroidismo secondario ed aumento della concentrazione di fosfatasi alcalina.
Successivamente si hanno alterazione dei processi di mineralizzazione con rachitismo (nel bambino) ed osteomalacia (nell’adulto) e debolezza muscolare, deformazione ossea e dolori. Alcuni Studi del 2006 hanno portato alla luce come la carenza di vitamina D possa essere collegata con la sindrome influenzale.
La storia della scoperta della vitamina D parte nel 1919 quando venne evidenziato, da Huldschinsky, che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce ultravioletta. Un risultato simile lo si ottenne nel 1922 da A.F. Hess e H.B. Gutman usando, però, la luce solare e nello stesso periodo venne ipotizzata da Mc Collum l’esistenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l’azione antirachitica dell’olio di fegato di pesce dal quale riuscì ad identificare una componente attiva. Già nel 1919-1920 Sir Edward Mellanby era pervenuto ad un’ipotesi simile studiando cani cresciuti sempre al chiuso. Nel 1923 Goldblatt e Soames riuscirono a dimostrare che quando il 7-deidrocolesterolo, presente nella pelle, viene colpito dai raggi ultravioletti esso dà origine ad un composto avente la stessa attività biologica del composto lipofilo di Mc Collum. La struttura della vitamina D venne identificata nel 1930 da A. Windaus.
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La vitamina D è un gruppo di pro-ormoni liposolubili; il Gruppo si presenta sotto due forme principali dall'attività biologica molto simile: il colecalciferolo (D3), derivante dal colesterolo e sintetizzato negli organismi animali, e l'ergocalciferolo (D2), di provenienza vegetale (ergosterolo).
Pochi alimenti contengono quantità apprezzabili di vitamina D. Un alimento particolarmente ricco è l’olio di fegato di merluzzo. Seguono, poi, i pesci grassi (come il salmoni e le aringhe), il latte ed i suoi derivati, le uova, il fegato e le verdure verdi.
Le prime alterazioni, in caso di deficienza di vitamina D, consistono in: diminuzione dei livelli sierici di calcio e fosforo con conseguente iperparatiroidismo secondario ed aumento della concentrazione di fosfatasi alcalina.
Successivamente si hanno alterazione dei processi di mineralizzazione con rachitismo (nel bambino) ed osteomalacia (nell’adulto) e debolezza muscolare, deformazione ossea e dolori. Alcuni Studi del 2006 hanno portato alla luce come la carenza di vitamina D possa essere collegata con la sindrome influenzale.
La storia della scoperta della vitamina D parte nel 1919 quando venne evidenziato, da Huldschinsky, che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce ultravioletta. Un risultato simile lo si ottenne nel 1922 da A.F. Hess e H.B. Gutman usando, però, la luce solare e nello stesso periodo venne ipotizzata da Mc Collum l’esistenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l’azione antirachitica dell’olio di fegato di pesce dal quale riuscì ad identificare una componente attiva. Già nel 1919-1920 Sir Edward Mellanby era pervenuto ad un’ipotesi simile studiando cani cresciuti sempre al chiuso. Nel 1923 Goldblatt e Soames riuscirono a dimostrare che quando il 7-deidrocolesterolo, presente nella pelle, viene colpito dai raggi ultravioletti esso dà origine ad un composto avente la stessa attività biologica del composto lipofilo di Mc Collum. La struttura della vitamina D venne identificata nel 1930 da A. Windaus.
Un robot? In sala operatoria è bravo quanto un umano...
Usare un robot per guidare una telecamera nelle operazioni per la rimozione della cistifellea è altrettanto sicuro che lavorare col metodo classico, interamente affidato alla mano e all'occhio umano, secondo un team di ricerca britannico. Il loro studio conferma che oggi usare i robot in chirurgia e' una procedura molto efficace e senza rischi. Ovviamente i robot non sono in grado di sostituire completamente l'uomo ma possono effettuare una vasta gamma di operazioni, tra cui assistere il chirurgo come una vera infermiera. In questo modo il medico non deve aspettare che si liberi un assistente in carne ed ossa e puo' effettuare interventi di urgenza senza perdere tempo, scrivono Kurinchi Gurusamy del Royal Free Hospital di Londra e i colleghi sulla rivista Cochrane Review. I ricercatori hanno analizzato l'efficacia della chirurgia laparoscopica, in cui l'assistente, che sia un robot o un infermiere, si occupa di inserire la telecamera attraverso cui il chirurgo "vede" la parte da operare e che guida il medico alla rimozione della cistifellea. L'analisi del team inglese, che ha passato in rassegna 5 studi precedenti per un totale di 453 pazienti coinvolti, ha messo a confronto gli interventi con e senza robot e non ha trovato differenze a livello di mortalita', complicazioni, durata dell'intervento o della degenza del paziente dopo l'operazione. I robot vengono gia' usati in decine di migliaia di interventi diversi ogni anno e gli esperti prevedono che le macchine assumeranno ruoli sempre maggiori in sala operatoria.
FONTE: Agi.com
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FONTE: Agi.com
Individuati 7 geni implicati nell'insorgenza della psoriasi
Un gruppo di ricercatori dell'Università del Michigan ha individuato sette geni implicati in qualche misura nell'insorgenza della psoriasi. Lo studio, pubblicato sul giornale "Nature Genetics", ha passato al setaccio il patrimonio genetico di 1.409 soggetti affetti da psoriasi e di 1.436 individui sani con antenati europei. Lo scopo era scoprire variazioni rivelatrici nei geni-chiave. I ricercatori, guidati dal professor James Elder, della facoltà di Dermatologia dell'università, hanno poi esteso l'osservazione a 21 delle più interessanti sequenze del Dna di altri 5.048 psoriasici e delle sequenze di altri 5.041 soggetti sani. Le variazioni in almeno sette geni hanno indicato il rischio di una risposta immune incontrollata che scatena la psoriasi. Alcuni dei geni osservati sono gia' obiettivo di terapie efficaci contro la psoriasi; altri potrebbero esserlo in futuro.
La psoriasi è una delle più comuni forme di dermatite cronica nel mondo.
Viene riscontrata nel 1-2% della popolazione generale, nel 2% della popolazione della Gran Bretagna, nel 2,6% della popolazione USA e in percentuali minori nei paesi dell’Africa occidentale e del Giappone. È una malattia infiammatoria della pelle, non infettiva, solitamente di carattere cronico e recidivante (per questo un soggetto affetto da psoriasi non sarà mai completamente guarito, ma avrà momenti in cui gli effetti della malattia sono meno incisivi).
Può presentarsi a qualunque età, ma è più comune dai 10 ai 40 anni, e in particolare al momento della pubertà e della menopausa.
Le manifestazioni più comuni sono papule e placche eritematose ben delimitate ricoperte di scaglie argentee o opalescenti. Le lesioni sono di varie dimensioni e la severità può variare da pochi punti di desquamazione di tipo forforoso a dermatosi generali con artrite (artrite psoriasica), esfoliazioni ed eruzioni debilitanti. Nonostante il nome significhi "condizione pruriginosa" il prurito non è sempre presente; in alcuni casi i pazienti si grattano così tanto da portare a una superimposizione di lichen simplex cronico.
I siti più comuni per le lesioni sono lo scalpo (inclusa la zona retroauricolare), le zone di estensione di gomito e ginocchio e la zona lombo-sacrale, ma in alcune sue forme si trova nelle zone di flessione, sui genitali e sulla pianta dei piedi e il palmo delle mani. Le lesioni guariscono senza lasciare cicatrici e senza disturbare la crescita dei peli.
Il 30-50% dei soggetti presenta degenerazioni delle unghie, con ipercheratosi, ispessimento, detrito subunguale, onicolisi, distorsione. Nella fase eruttiva un trauma può causare la comparsa di lesioni lineari (fenomeno di Koebner).
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La psoriasi è una delle più comuni forme di dermatite cronica nel mondo.
Viene riscontrata nel 1-2% della popolazione generale, nel 2% della popolazione della Gran Bretagna, nel 2,6% della popolazione USA e in percentuali minori nei paesi dell’Africa occidentale e del Giappone. È una malattia infiammatoria della pelle, non infettiva, solitamente di carattere cronico e recidivante (per questo un soggetto affetto da psoriasi non sarà mai completamente guarito, ma avrà momenti in cui gli effetti della malattia sono meno incisivi).
Può presentarsi a qualunque età, ma è più comune dai 10 ai 40 anni, e in particolare al momento della pubertà e della menopausa.
Le manifestazioni più comuni sono papule e placche eritematose ben delimitate ricoperte di scaglie argentee o opalescenti. Le lesioni sono di varie dimensioni e la severità può variare da pochi punti di desquamazione di tipo forforoso a dermatosi generali con artrite (artrite psoriasica), esfoliazioni ed eruzioni debilitanti. Nonostante il nome significhi "condizione pruriginosa" il prurito non è sempre presente; in alcuni casi i pazienti si grattano così tanto da portare a una superimposizione di lichen simplex cronico.
I siti più comuni per le lesioni sono lo scalpo (inclusa la zona retroauricolare), le zone di estensione di gomito e ginocchio e la zona lombo-sacrale, ma in alcune sue forme si trova nelle zone di flessione, sui genitali e sulla pianta dei piedi e il palmo delle mani. Le lesioni guariscono senza lasciare cicatrici e senza disturbare la crescita dei peli.
Il 30-50% dei soggetti presenta degenerazioni delle unghie, con ipercheratosi, ispessimento, detrito subunguale, onicolisi, distorsione. Nella fase eruttiva un trauma può causare la comparsa di lesioni lineari (fenomeno di Koebner).
22 gennaio, 2009
Scandalo "Melamina": due condanne a morte in Cina e un ergastolo
Termina, almeno a livello giudiziario, il grave scandalo del latte alla Melamina che ha scosso le cronache questa estate. Due persone sono state ritenute responsabili dall'autorità cinese e sono stati condannati a morte dal tribunale di Shijiazhuang nel processo per lo scandalo del latte alla melamina, che ha provocato la morte di almeno sei bambini e ne ha fatti ammalare quasi 300mila in tutta la Cina. Il primo condannato è Zhang Yujun, che ha prodotto e venduto latte in polvere killer. Il secondo condannato è Geng Jinping, che ha distribuito alle varie compagnie che vendono latte in polvere il prodotto contaminato. A Tian Wenhua, la ex-presidente della Sanlu, l'impresa al centro dello scandalo, è stata inflitta una condanna a morte ma l'esecuzione è stata sospesa, cioè potrebbe essere tramutata in ergastolo. Il tribunale ha emesso inoltre condanne ad altri tre imputati a pene minori. Intanto, è notizia recente di come sia stato messo a punto un sistema rapido per rilevare la presenza della melamina. Renato Zanobi, del laboratorio di chimica organica del Politecnico di Zurigo e i suoi colleghi, hanno elaborato un procedimento che consente d'avere il risultato in 30 secondi, anzichè in 20-60 minuti. Il metodo si basa sulla spettrometria di massa e gli ultrasuoni.
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21 gennaio, 2009
I pericoli del Radon: incolore, inodore, cancerogeno.
Il Radon è un gas radioattivo: non ha odore, non ha colore, non ha sapore, produce particelle ionizzanti che, una volta inalate, si depositano nei bronchi e possono danneggiare il DNA delle cellule. Favorendo la comparsa del cancro al polmone: secondo una ricerca condotta in Inghilterra, appena pubblicata online dal British Medical Journal, ogni anno in Europa 18 mila decessi per questo tumore sarebbero provocati dall'esposizione al radon. In 6 casi su 7 si tratta di fumatori o ex fumatori: su di loro l'effetto del radon è maggiore perché il gas fa schizzare alle stelle il rischio, già assai elevato, di chi cede alle sigarette. Ciò che colpisce ancora di più, però, è scoprire che nel Regno Unito solo il 4% dei casi si registra in chi abita in case con concentrazioni di radon superiori ai 200 becquerel per metro cubo, il limite indicato dalla raccomandazione europea del 1990 per i nuovi edifici (per quelli esistenti la soglia oltre cui sono consigliati interventi di bonifica sale a 400 Bq/m3). In Inghilterra il 70% dei tumori polmonari attribuibili al radon, scrivono gli autori, si manifesta in abitazioni dove il gas è inferiore a 50 Bq/m3(in Italia la media è 70): che i limiti siano da rivedere?
«Non abbiamo evidenze dell'esistenza di una “soglia”, cioè di un valore al di sotto del quale non c'è rischio: la probabilità di tumore polmonare cresce all'aumentare della concentrazione di radon e del tempo di esposizione. I valori di riferimento europei sono un compromesso, fra i tanti possibili, tra diminuzione del pericolo e costo e fattibilità degli interventi per ridurre il rischio — spiega Francesco Bochicchio dell'Istituto Superiore di Sanità, coordinatore del Piano Nazionale Radon . Detto ciò, i dati si spiegano perché gran parte della gente vive in abitazioni dove i livelli di radon sono medio- bassi: in generale, perciò, il numero di tumori polmonari fra chi vive in edifici con tanto radon è comunque più basso rispetto alla quota di casi che si verificano nel resto della popolazione». Di sicuro è bene ridurre l'esposizione: secondo i dati del Piano Nazionale Radon, che a breve diffonderà alcune raccomandazioni, ogni anno circa 3.000 italiani (in gran parte fumatori) muoiono per un tumore al polmone attribuibile al radon. Difendersi a prima vista non pare facilissimo: secondo lo studio inglese, però, basterebbero interventi tutto sommato poco costosi per mettere in sicurezza le case e ridurre il numero di vittime di cancro al polmone. «Misurare il radon costa qualche decina di euro, i rimedi per ridurne l'ingresso (azzerarlo è impossibile) poche centinaia di euro: è bene diffidare di chi propone interventi a prezzi esagerati — specifica Bochicchio —. È possibile intervenire anche sulle case esistenti, ma arginare il radon nei nuovi edifici è di certo più semplice. Nessuno oggi costruisce in funzione dei livelli di radon misurati nel terreno: è difficile quantificarli perché variano molto ed è impossibile prevedere la concentrazione che ci sarà in ciascuna casa. Tra un paio di mesi sarà approvato il documento tecnico del Piano Nazionale Radon con le indicazioni da seguire per le nuove costruzioni» conclude Bochicchio.
FONTE: Corriere della sera "Salute"
AUTRICE: Elena Meli
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«Non abbiamo evidenze dell'esistenza di una “soglia”, cioè di un valore al di sotto del quale non c'è rischio: la probabilità di tumore polmonare cresce all'aumentare della concentrazione di radon e del tempo di esposizione. I valori di riferimento europei sono un compromesso, fra i tanti possibili, tra diminuzione del pericolo e costo e fattibilità degli interventi per ridurre il rischio — spiega Francesco Bochicchio dell'Istituto Superiore di Sanità, coordinatore del Piano Nazionale Radon . Detto ciò, i dati si spiegano perché gran parte della gente vive in abitazioni dove i livelli di radon sono medio- bassi: in generale, perciò, il numero di tumori polmonari fra chi vive in edifici con tanto radon è comunque più basso rispetto alla quota di casi che si verificano nel resto della popolazione». Di sicuro è bene ridurre l'esposizione: secondo i dati del Piano Nazionale Radon, che a breve diffonderà alcune raccomandazioni, ogni anno circa 3.000 italiani (in gran parte fumatori) muoiono per un tumore al polmone attribuibile al radon. Difendersi a prima vista non pare facilissimo: secondo lo studio inglese, però, basterebbero interventi tutto sommato poco costosi per mettere in sicurezza le case e ridurre il numero di vittime di cancro al polmone. «Misurare il radon costa qualche decina di euro, i rimedi per ridurne l'ingresso (azzerarlo è impossibile) poche centinaia di euro: è bene diffidare di chi propone interventi a prezzi esagerati — specifica Bochicchio —. È possibile intervenire anche sulle case esistenti, ma arginare il radon nei nuovi edifici è di certo più semplice. Nessuno oggi costruisce in funzione dei livelli di radon misurati nel terreno: è difficile quantificarli perché variano molto ed è impossibile prevedere la concentrazione che ci sarà in ciascuna casa. Tra un paio di mesi sarà approvato il documento tecnico del Piano Nazionale Radon con le indicazioni da seguire per le nuove costruzioni» conclude Bochicchio.
FONTE: Corriere della sera "Salute"
AUTRICE: Elena Meli
IRCCS: quasi un bambino su 10 in Italia offre di un disagio mentale
Secondo uno studio italiano nella città di grandi e medie dimensioni è diventata allarmante la diffusione dei disturbi mentali fra i bambini. Quasi 1 su 10 fra gli 11 e i 14 anni ne soffre. E a Milano nasce una task force per contrastarli. Ansia, depressione, iperattività patologica, anoressia, disturbo ossessivo. In Italia quasi un bambino su 10 fra gli 11 e i 14 anni soffre di un disagio mentale. A lanciare l'allarme sono gli esperti dell'Irccs "Eugenio Medea" di Lecco, che hanno promosso e coordinato il primo studio epidemiologico italiano realizzato per valutare la diffusione delle patologie psichiche nei pre-adolescenti delle zone urbane. Una ricerca presentata mercoledì 21 gennaio a Milano, con il lancio di una task force interdisciplinare dedicata alla salute mentale dei più piccoli. I dati, in corso di pubblicazione sulla rivista «European Child and Adolescent Psychiatry», sono stati raccolti con la collaborazione di 7 strutture italiane, su un campione di 3.418 ragazzi reclutati sia nelle metropoli che in città medio-piccole. Milano, Roma, Lecco, Pisa, Rimini, Cagliari, Conegliano Veneto i centri coinvolti nella ricerca, iniziata 4 anni fa e chiusa nel 2007. I dati raccolti indicano che l'8,2% degli 11-14enni mostra segnali riconducibili a disturbi mentali clinicamente. Se si aggiungono i casi di disagio emozionale (che non sempre sfociano in un disturbo clinico conclamato), la percentuale sale a 9,8%.
«La preoccupazione non è dovuta a numeri da record», rassicura Massimo Molteni, responsabile dell'Unità di neuroriabilitazione e servizio di psicologia dell'educazione nel polo di Bosisio Parini dell'Irccs Medea. «L'Italia rispetto al resto del mondo si colloca nelle posizioni basse della classifica, ma qui riscontriamo la difficoltà di intervento. Sappiamo che la sofferenza nei bambini è in aumento. Con il calo demografico che incombe, ci sembra doveroso riuscire a preservare quanti più bimbi possibile». Molteni incalza: «La situazione è preoccupante. Anche in una delle Regioni più avanzate come la Lombardia, che ha approvato una delibera sui servizi di psichiatria infantile e ha un sistema che funziona, si riesce a intercettare solo il 5% dei casi».
Con questo spirito a Milano una sessantina di professionisti (medici, psichiatri, psicologi e pediatri, ma anche avvocati, notai, ingegneri, politici, industriali, esperti informatici, sportivi) hanno deciso di dare vita a un piano strategico. Gli obiettivi sono: promuovere ricerche epidemiologiche per calibrare gli interventi, battere la strada della prevenzione stimolando servizi che seguano i minori nel loro percorso di crescita, dare vita a una «città del sorriso.
FONTE: Corriere della Sera "Salute"
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«La preoccupazione non è dovuta a numeri da record», rassicura Massimo Molteni, responsabile dell'Unità di neuroriabilitazione e servizio di psicologia dell'educazione nel polo di Bosisio Parini dell'Irccs Medea. «L'Italia rispetto al resto del mondo si colloca nelle posizioni basse della classifica, ma qui riscontriamo la difficoltà di intervento. Sappiamo che la sofferenza nei bambini è in aumento. Con il calo demografico che incombe, ci sembra doveroso riuscire a preservare quanti più bimbi possibile». Molteni incalza: «La situazione è preoccupante. Anche in una delle Regioni più avanzate come la Lombardia, che ha approvato una delibera sui servizi di psichiatria infantile e ha un sistema che funziona, si riesce a intercettare solo il 5% dei casi».
Con questo spirito a Milano una sessantina di professionisti (medici, psichiatri, psicologi e pediatri, ma anche avvocati, notai, ingegneri, politici, industriali, esperti informatici, sportivi) hanno deciso di dare vita a un piano strategico. Gli obiettivi sono: promuovere ricerche epidemiologiche per calibrare gli interventi, battere la strada della prevenzione stimolando servizi che seguano i minori nel loro percorso di crescita, dare vita a una «città del sorriso.
FONTE: Corriere della Sera "Salute"
Ricerca sul G-CSF e Mozobil per accelerare la riparazione dei tessuti umani
Alcuni ricercatori finanziati dall'UE sono riusciti ad ingannare il midollo osseo in modo da far rilasciare un numero maggiore di cellule staminali adulte nel flusso sanguigno. Gli scienziati sperano che le loro scoperte, pubblicate sulla rivista Cell Stem Cell, porteranno allo sviluppo di nuove terapie per accelerare la cura delle malattie cardiache e delle fratture ossee. Il sostegno dell'UE a questo studio è giunto dal progetto INNOCHEM ("Approcci terapeutici innovativi basati sulle chemochine per l'autoimmunità e le infiammazioni croniche"), finanziato nell'ambito dell'area tematica "Biologia, genomica e biotecnologia per la salute" del Sesto programma quadro (6°PQ).
Quando siamo ammalati o abbiamo una ferita, il nostro midollo osseo aumenta la produzione di diversi tipi di cellule staminali per riparare il nostro corpo. "Il corpo si ripara continuamente," ha spiegato la dott.ssa Sara Rankin del National Heart and Lung Institute dell'Imperial College di Londra, nel Regno Unito. "Sappiamo che la pelle si risana quando ci tagliamo e, allo stesso modo, all'interno del corpo ci sono cellule staminali che vigilano e eseguono riparazioni dove necessario. Quando il danno è grave, però, ci sono dei limiti a ciò che il corpo può fare spontaneamente. Una strategia per aumentare il numero di queste cellule staminali nel sangue è quella di raccoglierle, aumentare il loro numero in laboratorio e reinserirle nel corpo. Questa tecnica, però, comporta una serie di complicazioni pratiche e tecniche.
L'altra possibilità consiste nell'usare farmaci per aumentare la produzione di queste cellule da parte del midollo osseo. Questa tecnica viene già usata nei donatori di midollo osseo per aumentare il numero di cellule staminali ematopoietiche in circolo nel loro sangue. Le cellule staminali ematopoietiche si trasformano alla fine in cellule del sangue. In questo recentissimo studio, gli scienziati hanno trattato topi sani con uno o due fattori di crescita, VEGF o G-CSF. Ai topi è stato quindi somministrato un nuovo farmaco chiamato Mozobil.
Quando i topi venivano trattati con VEGF e Mozobil, il loro midollo osseo rilasciava un numero 100 volte maggiore di cellule staminali endoteliali e mesenchimali nel sangue rispetto ai topi non trattati. Le cellule staminali endoteliali possono produrre vasi sanguigni e quindi potrebbero essere usate per riparare i danni al cuore. Le cellule mesenchimali possono trasformarsi in tessuto osseo e cartilagine, e inoltre reprimono il sistema immunitario; il che significa che potrebbero essere usate per curare le malattie autoimmuni (come l'artrite reumatoide) nelle quali il sistema immunitario entra in overdrive. Questo gruppo è il primo a mobilitare in modo selettivo questi due tipi di cellule staminali nel midollo osseo. I topi trattati con G-CSF e Mozobil hanno mobilitato un gran numero di cellule staminali ematopoietiche; questo trattamento è già usato nei trapianti di midollo osseo.
Il prossimo passo che gli scienziati dovranno compiere sarà quello di studiare se queste cellule staminali in più nel sangue accelerano effettivamente la velocità di rigenerazione dei tessuti nei topi che hanno avuto un infarto. Se questi studi avranno un esito positivo, il team spera di provare la nuova combinazione di farmaci in esperimenti clinici su esseri umani entro i prossimi dieci anni. I ricercatori desiderano anche saggiare l'impatto delle malattie e dell'invecchiamento sulla capacità del midollo osseo di produrre diversi tipi di cellule staminali adulte.
"Speriamo che rilasciando più cellule staminali, come siamo riusciti a fare nel nostro nuovo studio, potremo potenzialmente richiedere un numero maggiore di qualunque tipo di cellule staminali si rendano necessarie al corpo per aumentare la propria capacità di ripararsi e accelerare il processo di guarigione," ha commentato la dott.ssa Rankin. "In seguito, il nostro lavoro potrebbe condurre verso nuovi trattamenti per combattere varie malattie e ferite che funzionino mettendo in moto le cellule staminali di una persona dall'interno."
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Quando siamo ammalati o abbiamo una ferita, il nostro midollo osseo aumenta la produzione di diversi tipi di cellule staminali per riparare il nostro corpo. "Il corpo si ripara continuamente," ha spiegato la dott.ssa Sara Rankin del National Heart and Lung Institute dell'Imperial College di Londra, nel Regno Unito. "Sappiamo che la pelle si risana quando ci tagliamo e, allo stesso modo, all'interno del corpo ci sono cellule staminali che vigilano e eseguono riparazioni dove necessario. Quando il danno è grave, però, ci sono dei limiti a ciò che il corpo può fare spontaneamente. Una strategia per aumentare il numero di queste cellule staminali nel sangue è quella di raccoglierle, aumentare il loro numero in laboratorio e reinserirle nel corpo. Questa tecnica, però, comporta una serie di complicazioni pratiche e tecniche.
L'altra possibilità consiste nell'usare farmaci per aumentare la produzione di queste cellule da parte del midollo osseo. Questa tecnica viene già usata nei donatori di midollo osseo per aumentare il numero di cellule staminali ematopoietiche in circolo nel loro sangue. Le cellule staminali ematopoietiche si trasformano alla fine in cellule del sangue. In questo recentissimo studio, gli scienziati hanno trattato topi sani con uno o due fattori di crescita, VEGF o G-CSF. Ai topi è stato quindi somministrato un nuovo farmaco chiamato Mozobil.
Quando i topi venivano trattati con VEGF e Mozobil, il loro midollo osseo rilasciava un numero 100 volte maggiore di cellule staminali endoteliali e mesenchimali nel sangue rispetto ai topi non trattati. Le cellule staminali endoteliali possono produrre vasi sanguigni e quindi potrebbero essere usate per riparare i danni al cuore. Le cellule mesenchimali possono trasformarsi in tessuto osseo e cartilagine, e inoltre reprimono il sistema immunitario; il che significa che potrebbero essere usate per curare le malattie autoimmuni (come l'artrite reumatoide) nelle quali il sistema immunitario entra in overdrive. Questo gruppo è il primo a mobilitare in modo selettivo questi due tipi di cellule staminali nel midollo osseo. I topi trattati con G-CSF e Mozobil hanno mobilitato un gran numero di cellule staminali ematopoietiche; questo trattamento è già usato nei trapianti di midollo osseo.
Il prossimo passo che gli scienziati dovranno compiere sarà quello di studiare se queste cellule staminali in più nel sangue accelerano effettivamente la velocità di rigenerazione dei tessuti nei topi che hanno avuto un infarto. Se questi studi avranno un esito positivo, il team spera di provare la nuova combinazione di farmaci in esperimenti clinici su esseri umani entro i prossimi dieci anni. I ricercatori desiderano anche saggiare l'impatto delle malattie e dell'invecchiamento sulla capacità del midollo osseo di produrre diversi tipi di cellule staminali adulte.
"Speriamo che rilasciando più cellule staminali, come siamo riusciti a fare nel nostro nuovo studio, potremo potenzialmente richiedere un numero maggiore di qualunque tipo di cellule staminali si rendano necessarie al corpo per aumentare la propria capacità di ripararsi e accelerare il processo di guarigione," ha commentato la dott.ssa Rankin. "In seguito, il nostro lavoro potrebbe condurre verso nuovi trattamenti per combattere varie malattie e ferite che funzionino mettendo in moto le cellule staminali di una persona dall'interno."
Livorno, infermiera manometteva referti oncologici
Manometteva i referti del Corat di Livorno, il centro di raccolta degli esami oncologici della Asl, e poi li spediva ai pazienti. E' l'accusa per la quale un'infermiera è stata arrestata, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari. I referti manomessi sarebbero stati più di 400, 33 pap test e 368 al colon retto, e questo avrebbe provocato ritardi nella diagnosi di 18 casi di tumore al colon.
L'infermiera, S. F., 49 anni, è accusata di lesioni personali aggravate, falsità materiale commessa da dipendente pubblico incaricata di pubblico servizio e abuso d'ufficio. Gli inquirenti temono che i casi di tumore diagnosticato in ritardo possano essere superiori ai 18 già scoperti e per questo la procura ha dato incarico a un medico di svolgere una consulenza tecnica sui referti manomessi. L'Asl, però, rassicura: "Nei mesi scorsi - ha spiegato il direttore sanitario, Danilo Zuccherelli - abbiamo già contattato tutti i pazienti vittime della manomissione di referti e verificato il loro stato di salute, riavviandoli dentro un corretto percorso assistenziale". L'infermiera, prima spostata di incarico, attualmente in ferie, sarà sospesa dal lavoro.
Le indagini degli inquirenti Le indagini, coordinate dai pm Paola Rizzo e Giuseppe Rizzo e condotte dalla squadra mobile guidata da Marco Staffa, sono scattate a luglio, dopo una denuncia della Asl, e hanno riguardato i test svolti dal 2006 al 5 luglio 2008, relativi al colon retto e alla cervice dell'utero. Secondo gli investigatori, l'infermiera avrebbe falsificato i referti attraverso un articolato lavoro di fotocopiatura, sostituendo e manomettendo gli originali. Poi avrebbe spedito a casa dei pazienti i referti alterati, inserendo nella banca dati del Corat i risultati falsificati. Ancora poco chiaro, invece, il movente del sabotaggio. Gli inquirenti non escludono che la donna abbia agito per "rappresaglia" contro l'efficienza del Corat o che l'abbia fatto per "snellire" il proprio lavoro e dunque evitare di richiamare quei pazienti sottoposti allo screening per i quali erano necessari ulteriori approfondimenti clinici. La procura ha chiesto e ottenuto l'arresto temendo la reiterazione del reato (l'infermiera non aveva subito provvedimenti disciplinari; l'Asl ha avviato le procedure dopo il provvedimento dei magistrati) e l'inquinamento delle prove. Nella perquisizione domiciliare, gli inquirenti, tra l'altro, hanno trovato un ricettario sottratto a un medico che lavora in un altro reparto dell'ospedale. Sono in corso accertamenti per stabilire se l'infermiera abbia redatto anche false ricette.
L'Asl corre ai ripari "Abbiamo già contattato, nei mesi scorsi, tutti i pazienti vittime della manomissione di referti e verificato il loro stato di salute, riavviandoli all'interno di un corretto percorso assistenziale", ha detto Danilo Zuccherelli, direttore sanitario dell'Asl livornese, aggiungendo che la situazione "ha determinato un ritardo nell'espressione della diagnosi tardiva a carico di 18 pazienti". Zuccherelli ha, poi, ricordato che "si tratta di test preventivi, di screening su soggetti a rischio, sui quali sono state compiute le manomissioni che, in qualche caso, hanno ritardato la corretta diagnosi". "Del resto - ha aggiunto Zuccherelli - lo scopo degli screening è proprio quello di selezionare tra i cittadini i soggetti che sono positivi a un determinato test per sottoporli a ulteriori approfondimenti clinici. E solo a una piccola percentuale dei positivi viene diagnosticata una patologia neoplastica".
FONTE: Ilgiornale.it
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L'infermiera, S. F., 49 anni, è accusata di lesioni personali aggravate, falsità materiale commessa da dipendente pubblico incaricata di pubblico servizio e abuso d'ufficio. Gli inquirenti temono che i casi di tumore diagnosticato in ritardo possano essere superiori ai 18 già scoperti e per questo la procura ha dato incarico a un medico di svolgere una consulenza tecnica sui referti manomessi. L'Asl, però, rassicura: "Nei mesi scorsi - ha spiegato il direttore sanitario, Danilo Zuccherelli - abbiamo già contattato tutti i pazienti vittime della manomissione di referti e verificato il loro stato di salute, riavviandoli dentro un corretto percorso assistenziale". L'infermiera, prima spostata di incarico, attualmente in ferie, sarà sospesa dal lavoro.
Le indagini degli inquirenti Le indagini, coordinate dai pm Paola Rizzo e Giuseppe Rizzo e condotte dalla squadra mobile guidata da Marco Staffa, sono scattate a luglio, dopo una denuncia della Asl, e hanno riguardato i test svolti dal 2006 al 5 luglio 2008, relativi al colon retto e alla cervice dell'utero. Secondo gli investigatori, l'infermiera avrebbe falsificato i referti attraverso un articolato lavoro di fotocopiatura, sostituendo e manomettendo gli originali. Poi avrebbe spedito a casa dei pazienti i referti alterati, inserendo nella banca dati del Corat i risultati falsificati. Ancora poco chiaro, invece, il movente del sabotaggio. Gli inquirenti non escludono che la donna abbia agito per "rappresaglia" contro l'efficienza del Corat o che l'abbia fatto per "snellire" il proprio lavoro e dunque evitare di richiamare quei pazienti sottoposti allo screening per i quali erano necessari ulteriori approfondimenti clinici. La procura ha chiesto e ottenuto l'arresto temendo la reiterazione del reato (l'infermiera non aveva subito provvedimenti disciplinari; l'Asl ha avviato le procedure dopo il provvedimento dei magistrati) e l'inquinamento delle prove. Nella perquisizione domiciliare, gli inquirenti, tra l'altro, hanno trovato un ricettario sottratto a un medico che lavora in un altro reparto dell'ospedale. Sono in corso accertamenti per stabilire se l'infermiera abbia redatto anche false ricette.
L'Asl corre ai ripari "Abbiamo già contattato, nei mesi scorsi, tutti i pazienti vittime della manomissione di referti e verificato il loro stato di salute, riavviandoli all'interno di un corretto percorso assistenziale", ha detto Danilo Zuccherelli, direttore sanitario dell'Asl livornese, aggiungendo che la situazione "ha determinato un ritardo nell'espressione della diagnosi tardiva a carico di 18 pazienti". Zuccherelli ha, poi, ricordato che "si tratta di test preventivi, di screening su soggetti a rischio, sui quali sono state compiute le manomissioni che, in qualche caso, hanno ritardato la corretta diagnosi". "Del resto - ha aggiunto Zuccherelli - lo scopo degli screening è proprio quello di selezionare tra i cittadini i soggetti che sono positivi a un determinato test per sottoporli a ulteriori approfondimenti clinici. E solo a una piccola percentuale dei positivi viene diagnosticata una patologia neoplastica".
FONTE: Ilgiornale.it
19 gennaio, 2009
In progetto una gomma da masticare "all'insulina" (sugar-free?)
Dopo il fallimento dell'insulina inalatoria, ritirata dal mercato statunitense nel 2007, una nuova formulazione dell'ormone potrebbe sostituire la via iniettabile. Robert Doyle, chimico alla Syracuse University di New York, ha depositato un brevetto per la realizzazione di una gomma da masticare contenente insulina legata alla vitamina B12 che, quando masticata, rilascia l'ormone. A parlarne è stata la rivista New Scientist.
L'insulina, quando viene assunta per bocca, risulta inefficace per via di enzimi digestivi che rompono la sua molecola. Secondo Doyle, invece, grazie ad una proteina presente nella saliva, il legame con la vitamina B12 la renderebbe stabile, facendo arrivare la molecola dell'insulina intera nel flusso sanguigno. Esperimenti condotti su animali da laboratorio hanno dato buoni risultati, almeno per quanto riguarda le concentrazioni dell'ormone raggiunte nell'organismo.
L'associazione vitamina B12-insulina è stata testata solo in forma liquida, ma ci si aspetta che nell'uomo funzioni meglio come gomma da masticare perchè in questa modo sarebbe assicurata una buona dose di saliva.
La vitamina B12 è una sostanza di colore rosso, cristallina, igroscopica, fotosensibile ed altamente solubile in acqua; è formata da un anello corrinico (composto da 4 anelli pirrolici e tre ponti metinici) con al centro un atomo di cobalto coordinato da quattro atomi di azoto.
L'elevata solubilità in acqua della vitamina B12 le rende pressoché impossibile il passaggio attraverso la membrana cellulare. Per permettere, quindi, l'assorbimento, si utilizza un processo diviso in più parti.
Nello stomaco, l'ambiente acido e la pepsina staccano la cobalamina dalle proteine cui si trova associata ed essa, poi, si lega alla cobalofillina, proteina che viene secreta nella saliva. Nel duodeno, l'azione delle proteasi provenienti dal pancreas determina la degradazione della cobalofillina e la cobalamina, aiutata dall'ambiente alcalino, si lega ad una glicoproteina che viene rilasciata dalle cellule parietali dello stomaco: il fattore intrinseco.
Il complesso vitamina-fattore intrinseco viene riconosciuto da uno specifico recettore, situato sugli enterociti dell'ileo, che lega il tutto e, tramite un processo di endocitosi, ne permette il trasporto all'interno della cellula. La vescicola così formata raggiunge la parte opposta dell'enterocita e, fondendosi con la membrana basolaterale, libera il tutto all'esterno. Durante questo processo, la cobalamina si stacca dal fattore intrinseco (forse per azione delle vescicole lisosomiali) ed una volta all'esterno viene legata da due proteine di trasporto che portano la vitamina ai tessuti: la transcobalamina I e la transcobalamina II. Il complesso che si forma con tali proteine viene riconosciuto da un recettore specifico che permette l'ingresso della vitamina nelle cellule, ancora una volta per endocitosi.
La vitamina B12 viene sintetizzata, in natura, solo da alcune specie di batteri ed in alcune alghe. Nell'intestino umano esistono batteri sintetizzanti cobalamina ma sono situati in zone dove il fattore intrinseco non arriva per cui l'assorbimento di quest'ultima è piuttosto scarso. Le fonti di vitamina B12 sono quelle soprattutto di origine animale, in particolare a livello del fegato. Gli alimenti di origine vegetale non contengono cobalamina, tranne nel caso che abbiano subito una contaminazione microbica (come il Tempeh). Le alghe sono spesso contaminate da microbi per cui la loro assunzione può essere fonte di cobalamina anche se è da tenere presente che la specie spirulina, alga unicellulare molto comune, produce una forma di cobalamina non utilizzabile dall'uomo.
Stati di carenza di vitamina B12 si verificano per lo più a seguito di processi patologici interessanti le cellule parietali dello stomaco o per resezione delle parti di quest'organo che secernono fattore intrinseco (cardias e fondo). A rischio di stati carenziali sono anche le diete strettamente vegetariane per cui si consiglia di utilizzare opportuni integratori. Poiché le riserve dell'organismo di vitamina B12 sono ampie e circa l'80% di quella che viene escreta giornalmente con la bile viene riassorbita dal circolo enteroepatico, ne consegue che passa molto tempo prima che compaiano le alterazioni dovute alla carenza di cobalamina.
Il deficit di cobalamina provoca la comparsa di anemia perniciosa, malattia caratterizzata da: anemia megaloblastica e disturbi del sistema nervoso. È sempre importante, in questi casi, valutare la concentrazione di cobalamina ed acido folico in quanto anche la carenza di quest'ultimo provoca un quadro di anemia megaloblastica senza, però, interessamento nervoso. L'aggiunta di acido folico in una situazione di anemia perniciosa migliora il quadro anemico ma non ha nessun effetto sui disturbi del sistema nervoso che, anzi, continuano a peggiorare.
È stato visto che l'assunzione di alte quantità di vitamina C (>1 g) possono, col tempo, generare stati carenziali di cobalamina. Ciò avviene in quanto, in alte dosi, la vitamina C, in presenza di ferro, si può comportare da ossidante e formare radicali liberi che danneggiano la cobalamina ed il fattore intrinseco.
Attualmente si consiglia di assumere 2 μg/die di cobalamina. Poiché durante la gravidanza e l'allattamento il fabbisogno individuale di vitamina B12 aumenta, rispettivamente, del 20% e del 50%, in genere ben soddisfatti dai 2 μg al giorno, si consiglia a tutte le donne vegetariane che si trovano in queste situazioni di implementare la dose assunta tramite supplementi. Si ritiene che vi possa essere qualche rischio di tossicità a seguito dell'assunzione di quantità di cobalamina superiori ai 200 μg.
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L'insulina, quando viene assunta per bocca, risulta inefficace per via di enzimi digestivi che rompono la sua molecola. Secondo Doyle, invece, grazie ad una proteina presente nella saliva, il legame con la vitamina B12 la renderebbe stabile, facendo arrivare la molecola dell'insulina intera nel flusso sanguigno. Esperimenti condotti su animali da laboratorio hanno dato buoni risultati, almeno per quanto riguarda le concentrazioni dell'ormone raggiunte nell'organismo.
L'associazione vitamina B12-insulina è stata testata solo in forma liquida, ma ci si aspetta che nell'uomo funzioni meglio come gomma da masticare perchè in questa modo sarebbe assicurata una buona dose di saliva.
La vitamina B12 è una sostanza di colore rosso, cristallina, igroscopica, fotosensibile ed altamente solubile in acqua; è formata da un anello corrinico (composto da 4 anelli pirrolici e tre ponti metinici) con al centro un atomo di cobalto coordinato da quattro atomi di azoto.
L'elevata solubilità in acqua della vitamina B12 le rende pressoché impossibile il passaggio attraverso la membrana cellulare. Per permettere, quindi, l'assorbimento, si utilizza un processo diviso in più parti.
Nello stomaco, l'ambiente acido e la pepsina staccano la cobalamina dalle proteine cui si trova associata ed essa, poi, si lega alla cobalofillina, proteina che viene secreta nella saliva. Nel duodeno, l'azione delle proteasi provenienti dal pancreas determina la degradazione della cobalofillina e la cobalamina, aiutata dall'ambiente alcalino, si lega ad una glicoproteina che viene rilasciata dalle cellule parietali dello stomaco: il fattore intrinseco.
Il complesso vitamina-fattore intrinseco viene riconosciuto da uno specifico recettore, situato sugli enterociti dell'ileo, che lega il tutto e, tramite un processo di endocitosi, ne permette il trasporto all'interno della cellula. La vescicola così formata raggiunge la parte opposta dell'enterocita e, fondendosi con la membrana basolaterale, libera il tutto all'esterno. Durante questo processo, la cobalamina si stacca dal fattore intrinseco (forse per azione delle vescicole lisosomiali) ed una volta all'esterno viene legata da due proteine di trasporto che portano la vitamina ai tessuti: la transcobalamina I e la transcobalamina II. Il complesso che si forma con tali proteine viene riconosciuto da un recettore specifico che permette l'ingresso della vitamina nelle cellule, ancora una volta per endocitosi.
La vitamina B12 viene sintetizzata, in natura, solo da alcune specie di batteri ed in alcune alghe. Nell'intestino umano esistono batteri sintetizzanti cobalamina ma sono situati in zone dove il fattore intrinseco non arriva per cui l'assorbimento di quest'ultima è piuttosto scarso. Le fonti di vitamina B12 sono quelle soprattutto di origine animale, in particolare a livello del fegato. Gli alimenti di origine vegetale non contengono cobalamina, tranne nel caso che abbiano subito una contaminazione microbica (come il Tempeh). Le alghe sono spesso contaminate da microbi per cui la loro assunzione può essere fonte di cobalamina anche se è da tenere presente che la specie spirulina, alga unicellulare molto comune, produce una forma di cobalamina non utilizzabile dall'uomo.
Stati di carenza di vitamina B12 si verificano per lo più a seguito di processi patologici interessanti le cellule parietali dello stomaco o per resezione delle parti di quest'organo che secernono fattore intrinseco (cardias e fondo). A rischio di stati carenziali sono anche le diete strettamente vegetariane per cui si consiglia di utilizzare opportuni integratori. Poiché le riserve dell'organismo di vitamina B12 sono ampie e circa l'80% di quella che viene escreta giornalmente con la bile viene riassorbita dal circolo enteroepatico, ne consegue che passa molto tempo prima che compaiano le alterazioni dovute alla carenza di cobalamina.
Il deficit di cobalamina provoca la comparsa di anemia perniciosa, malattia caratterizzata da: anemia megaloblastica e disturbi del sistema nervoso. È sempre importante, in questi casi, valutare la concentrazione di cobalamina ed acido folico in quanto anche la carenza di quest'ultimo provoca un quadro di anemia megaloblastica senza, però, interessamento nervoso. L'aggiunta di acido folico in una situazione di anemia perniciosa migliora il quadro anemico ma non ha nessun effetto sui disturbi del sistema nervoso che, anzi, continuano a peggiorare.
È stato visto che l'assunzione di alte quantità di vitamina C (>1 g) possono, col tempo, generare stati carenziali di cobalamina. Ciò avviene in quanto, in alte dosi, la vitamina C, in presenza di ferro, si può comportare da ossidante e formare radicali liberi che danneggiano la cobalamina ed il fattore intrinseco.
Attualmente si consiglia di assumere 2 μg/die di cobalamina. Poiché durante la gravidanza e l'allattamento il fabbisogno individuale di vitamina B12 aumenta, rispettivamente, del 20% e del 50%, in genere ben soddisfatti dai 2 μg al giorno, si consiglia a tutte le donne vegetariane che si trovano in queste situazioni di implementare la dose assunta tramite supplementi. Si ritiene che vi possa essere qualche rischio di tossicità a seguito dell'assunzione di quantità di cobalamina superiori ai 200 μg.
Scozia: al via un test per riparare il cervello con staminali
Tra qualche mese iniziera' in Scozia il primo test per verificare se le cellule staminali embrionali iniettate direttamente nel cervello dei pazienti colpiti da ictus sono in grado di rigenerare le aree cerebrali danneggiate. Un team del Southern General Hospital di Glasgow ha selezionato quattro gruppi di tre pazienti che nel corso dei prossimi due anni saranno trattati con la terapia sperimentale. I pazienti riceveranno inizialmente una dose iniziale di due milioni di staminali embrionali. Il quantitativo sara' gradualmente portato fino a 20 milioni di cellule, un quantitativo che i dottori ritengono possa essere sufficiente a innescare i processi rigenerativi. La dottoressa Keith Muir, che guidera' la ricerca, si e' detta "molto eccitata" perche' "se funzionera' come ha fatto sugli animali potrebbe consentire di crescere nuove cellule nervose o rigenerare i neuroni in modo da far recuperare ai soggetti colpiti dall'ictus quelle funzioni che altrimenti non potrebbero mai riottenere in altro modo". Mentre solo un terzo dei soggetti sopravvissuti all'ictus infatti si riprende bene, gli altri riportano infermita' permanenti per i danni che il loro cervello ha subito. Al momento l'unico trattamento palliativo e' la fisioterapia per recuperare alcuni movimenti. La societa' che ha sviluppato le staminali e' la Reneuron che inizialmente aveva presentato domanda per effettuare i test due anni fa negli Stati Uniti. Qui' pero' la Food and Drug Administration li ha bloccati. Ora riproveranno in Gran Bretagna dove le regole sulla ricerca sulle staminali sono meno restrittive.
FONTE: Agi.com
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Sardegna: scoperto il batterio Map probabile responsabile del Diabete di tipo 1
Importantissima scoperta dedotta da una ricerca compiuta in Sardegna in merito all'elevata percentuale di pazienti sofferenti di diabete di tipo 1 o diabete giovanile insulino dipendente. All'origine della gran parte dei casi ci sarebbe il MAP, sigla che indica il "Mycobacterium avium paratuberculosis", un batterio appartenente alla famiglia dei micobatteri responsabili di patologie come lebbra e Tbc, e già noto in passato come batterio a cui era stata attribuita la patogenesi di numerosi casi di malattia di Crohn e di sindrome dell'intestino irritabile.
Come riporta il nuovo numero del mensile Focus, la ricerca condotta da un gruppo di microbiologi sardi dell'Universita' di Sassari afferma come nel 70% dei casi di diabete sardi e inglesi e nel 40% di quelli lombardi è coinvolto tale batterio.
Spiega a Focus il prof. Leonardo Sechi, docente di microbiologia dell'Università di Sassari "A seconda della predisposizione genetica dei pazienti, una persona incontrando il Map sviluppa il diabete, un'altra l'intestino irritabile e un'altra ancora il Crohn. Nei diabetici in cui non c'e' il Map i responsabili sono probabilmente altri patogeni intestinali".
Questo particolare tipo di batterio, che vive all'interno delle cellule che infetta e ha una lunghissima incubazione, viene trasmesso ai bambini con il latte: lo si può trovare nel latte in polvere per neonati, nel latte materno (se la madre è infetta) nei latticini provenienti da animali infetti, e sarebbe persino in grado di resistere alla pastorizzazione.
La ricerca dell'Università di Sassari, attribuendo la stessa origine al Crohn e al diabete, apre dunque alla speranza che per prevenire l'insorgenza del diabete possa essere sufficiente un antibiotico. Come ricorda Focus, in tutto il mondo l'incidenza del diabete-1 aumenta del 3anno, e in Sardegna raggiunge un'incidenza elevatissima: circa 40 casi su 100 mila bimbi.
I micobatteri (Mycobacteryum) sono un genere di bacilli Gram-positivi. Sono caratterizzati dalla presenza di una parete cellulare insolitamente spessa e dalla struttura insolita. Contrariamente a quelle degli altri batteri, formate di solo peptidoglicano (seppure disposto in più o meno strati nelle diverse specie), la parete dei micobatteri presenta uno strato relativamente sottile di peptidoglicano legato ad una serie di molecole composta rispettivamente da arabino-galattani, acidi micolici e glicolipidi fenolici.
Questa parete cellulare così complessa conferisce ai micobatteri il vantaggio di essere completamente impermeabili ad alcune delle sostanze più utilizzate nella terapia medica, compresi alcuni degli antibiotici più comuni: i micobatteri sono infatti sensibili solo alla rifampicina e ad alcuni derivati dell'isoniazide, come l'etanbutolo. D'altro canto, la comprensibile lentezza negli scambi metabolici fra la cellula e l'ambiente esterno, giustificata dalla grande quantità di involucri che i metaboliti devono attraversare per raggiungere la membrana cellulare, dà una spiegazione della caratteristica lentezza di replicazione dei micobatteri nei terreni di coltura artificiali utilizzati in microbiologia.
I micobatteri in medicina vengono tradizionalmente suddivisi in diversi gruppi, a seconda del loro potere patogeno.
Un primo gruppo comprende i cosiddetti micobatteri tubercolari, ossia capaci di scatenare la tubercolosi nell'ospite animale. Questo gruppo è costituito dai tre batteri del cosiddetto Mycobacterium tuberculosis complex: Mycobacterium tuberculosis (responsabile della tubercolosi umana), Mycobacterium africanum (correlato alla stessa patologia del M. tuberculosis, seppure leggermente differente sotto il profilo biochimico ed isolato con maggiore frequenza in Africa) e Mycobacterium bovis (responsabile della tubercolosi bovina, zoonosi trasmissibile all'uomo per via alimentare).
Un altro gruppo, il più nutrito in assoluto, è costituito dai micobatteri non tubercolari, ossia da micobatteri che causano una serie di patologie diverse dalla tubercolosi nell'ospite umano, ma solo in concomitanza di particolari condizioni che abbassino le difese immunitarie dell'organismo colonizzato (si configurano perciò come parassiti opportunisti).
Una classificazione a parte viene fatta per il Mycobacterium leprae, agente etiologico della lebbra, il quale, pur essendo assimilabile al gruppo dei micobatteri non tubercolari, presenta caratteristiche cliniche e biologiche assolutamente peculiari.
Alcuni micobatteri si comportano infine come saprofiti, assolutamente innocui per gli altri organismi, che possono occasionalmente colonizzare l'ospite umano senza però dare luogo a patologie di alcun tipo: un esempio è il Mycobacterium smegmatis.
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Come riporta il nuovo numero del mensile Focus, la ricerca condotta da un gruppo di microbiologi sardi dell'Universita' di Sassari afferma come nel 70% dei casi di diabete sardi e inglesi e nel 40% di quelli lombardi è coinvolto tale batterio.
Spiega a Focus il prof. Leonardo Sechi, docente di microbiologia dell'Università di Sassari "A seconda della predisposizione genetica dei pazienti, una persona incontrando il Map sviluppa il diabete, un'altra l'intestino irritabile e un'altra ancora il Crohn. Nei diabetici in cui non c'e' il Map i responsabili sono probabilmente altri patogeni intestinali".
Questo particolare tipo di batterio, che vive all'interno delle cellule che infetta e ha una lunghissima incubazione, viene trasmesso ai bambini con il latte: lo si può trovare nel latte in polvere per neonati, nel latte materno (se la madre è infetta) nei latticini provenienti da animali infetti, e sarebbe persino in grado di resistere alla pastorizzazione.
La ricerca dell'Università di Sassari, attribuendo la stessa origine al Crohn e al diabete, apre dunque alla speranza che per prevenire l'insorgenza del diabete possa essere sufficiente un antibiotico. Come ricorda Focus, in tutto il mondo l'incidenza del diabete-1 aumenta del 3anno, e in Sardegna raggiunge un'incidenza elevatissima: circa 40 casi su 100 mila bimbi.
I micobatteri (Mycobacteryum) sono un genere di bacilli Gram-positivi. Sono caratterizzati dalla presenza di una parete cellulare insolitamente spessa e dalla struttura insolita. Contrariamente a quelle degli altri batteri, formate di solo peptidoglicano (seppure disposto in più o meno strati nelle diverse specie), la parete dei micobatteri presenta uno strato relativamente sottile di peptidoglicano legato ad una serie di molecole composta rispettivamente da arabino-galattani, acidi micolici e glicolipidi fenolici.
Questa parete cellulare così complessa conferisce ai micobatteri il vantaggio di essere completamente impermeabili ad alcune delle sostanze più utilizzate nella terapia medica, compresi alcuni degli antibiotici più comuni: i micobatteri sono infatti sensibili solo alla rifampicina e ad alcuni derivati dell'isoniazide, come l'etanbutolo. D'altro canto, la comprensibile lentezza negli scambi metabolici fra la cellula e l'ambiente esterno, giustificata dalla grande quantità di involucri che i metaboliti devono attraversare per raggiungere la membrana cellulare, dà una spiegazione della caratteristica lentezza di replicazione dei micobatteri nei terreni di coltura artificiali utilizzati in microbiologia.
I micobatteri in medicina vengono tradizionalmente suddivisi in diversi gruppi, a seconda del loro potere patogeno.
Un primo gruppo comprende i cosiddetti micobatteri tubercolari, ossia capaci di scatenare la tubercolosi nell'ospite animale. Questo gruppo è costituito dai tre batteri del cosiddetto Mycobacterium tuberculosis complex: Mycobacterium tuberculosis (responsabile della tubercolosi umana), Mycobacterium africanum (correlato alla stessa patologia del M. tuberculosis, seppure leggermente differente sotto il profilo biochimico ed isolato con maggiore frequenza in Africa) e Mycobacterium bovis (responsabile della tubercolosi bovina, zoonosi trasmissibile all'uomo per via alimentare).
Un altro gruppo, il più nutrito in assoluto, è costituito dai micobatteri non tubercolari, ossia da micobatteri che causano una serie di patologie diverse dalla tubercolosi nell'ospite umano, ma solo in concomitanza di particolari condizioni che abbassino le difese immunitarie dell'organismo colonizzato (si configurano perciò come parassiti opportunisti).
Una classificazione a parte viene fatta per il Mycobacterium leprae, agente etiologico della lebbra, il quale, pur essendo assimilabile al gruppo dei micobatteri non tubercolari, presenta caratteristiche cliniche e biologiche assolutamente peculiari.
Alcuni micobatteri si comportano infine come saprofiti, assolutamente innocui per gli altri organismi, che possono occasionalmente colonizzare l'ospite umano senza però dare luogo a patologie di alcun tipo: un esempio è il Mycobacterium smegmatis.
18 gennaio, 2009
Staminali e cordone ombelicale: è polemica sulla FIMP
Lasciate il sangue del cordone ombelicale criocongelato a una biobanca svizzera, "per aggiungere serenita' ai vostri bambini" grazie all'eventuale donazione autologa di staminali. E' l'invito che i pediatri della Fimp (federazione italiana medici pediatri), sezione Verbano Cusio Ossola, rivolgono alle mamme dal sito ufficiale dell'associazione. Un invito singolare, visto che la donazione autologa delle staminali embrionali in Italia e' vietata (non a caso ci si rivolge alla Svizzera) e soprattutto che e', stando alle piu' attendibili evidenze scientifiche, del tutto inutile.
Senza contare un'anomalia, per cosi' dire, deontologica: i pediatri di fatto sponsorizzano una biobanca privata, la Genico (con tanto di link sul sito), invitando le mamme a sostenere a pagamento una pratica discutibile. Il sangue del cordone, spiega il segretario provinciale della Fimp, Fabrizio Comaita, "rappresenta la miglior fonte possibile di cellule dalle quali, in laboratorio, risulta ormai possibile trarre speranza nella cura di molte malattie". I pediatri addirittura sconsigliano esplicitamente la donazione, che "non e' in grado di dare garanzie", e invitano i genitori alla conservazione autologa, che "offre un grande vantaggio per tutelare la vita del piccolo che viene alla luce".
Invitando infine, con tanto di intervista al presidente della biobanca, a richiedere le "salate" prestazioni della Genico, il cui servizio, si riporta fedelmente nel sito, e' "unico al mondo". Un'iniziativa quantomeno "discutibile", commenta il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, "soprattutto perche' medicalmente inutile. L'invito dei pediatri e' curioso, visto che tutte le evidenze scientifiche dimostrano l'inutilita' della conservazione autologa. I pediatri promuovono una crioconservazione a pagamento all'estero, quando in Italia ci sono ottime banche per la donazione del ordone, a cui in numerosi casi si fa ricorso anche da paesi stranieri. Ci dovrebbero spiegare - attacca il sottosegretario - il perche' di questa iniziativa, o perlomeno ci forniscano i dati e ci citino una letteratura adeguata a riprova che quello che suggeriscono alle mamme e' davvero utile".
Prende le distanze anche Giuseppe Mele, presidente nazionale della Fimp: "E' un'iniziativa che ha preso una sezione locale - spiega - ma noi non condividiamo. E l'ho anche detto a loro: state attenti a iniziative pericolose di questo genere". Tuttavia, la notizia, datata 16 dicembre, e' sul sito nazionale Fimp da un mese: "Va tolta, lunedi' mi attivo io per farla cancellare".
FONTE: Aduc
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Senza contare un'anomalia, per cosi' dire, deontologica: i pediatri di fatto sponsorizzano una biobanca privata, la Genico (con tanto di link sul sito), invitando le mamme a sostenere a pagamento una pratica discutibile. Il sangue del cordone, spiega il segretario provinciale della Fimp, Fabrizio Comaita, "rappresenta la miglior fonte possibile di cellule dalle quali, in laboratorio, risulta ormai possibile trarre speranza nella cura di molte malattie". I pediatri addirittura sconsigliano esplicitamente la donazione, che "non e' in grado di dare garanzie", e invitano i genitori alla conservazione autologa, che "offre un grande vantaggio per tutelare la vita del piccolo che viene alla luce".
Invitando infine, con tanto di intervista al presidente della biobanca, a richiedere le "salate" prestazioni della Genico, il cui servizio, si riporta fedelmente nel sito, e' "unico al mondo". Un'iniziativa quantomeno "discutibile", commenta il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, "soprattutto perche' medicalmente inutile. L'invito dei pediatri e' curioso, visto che tutte le evidenze scientifiche dimostrano l'inutilita' della conservazione autologa. I pediatri promuovono una crioconservazione a pagamento all'estero, quando in Italia ci sono ottime banche per la donazione del ordone, a cui in numerosi casi si fa ricorso anche da paesi stranieri. Ci dovrebbero spiegare - attacca il sottosegretario - il perche' di questa iniziativa, o perlomeno ci forniscano i dati e ci citino una letteratura adeguata a riprova che quello che suggeriscono alle mamme e' davvero utile".
Prende le distanze anche Giuseppe Mele, presidente nazionale della Fimp: "E' un'iniziativa che ha preso una sezione locale - spiega - ma noi non condividiamo. E l'ho anche detto a loro: state attenti a iniziative pericolose di questo genere". Tuttavia, la notizia, datata 16 dicembre, e' sul sito nazionale Fimp da un mese: "Va tolta, lunedi' mi attivo io per farla cancellare".
FONTE: Aduc
Nuove speranze per i malati di microcitoma
Aumentano le armi per combattere il microcitoma, la forma più maligna di tumore polmonare, che rappresenta poco meno del 15% dei 35-40.000 casi di carcinoma ai polmoni diagnosticati ogni anno in Italia. Attualmente si può dire che il microcitoma (definito da molti come il “tumore della sigaretta”) risulta meno diffuso, più pericoloso, meno maschile, e più trattabile rispetto a qualche tempo fa. Questo tumore è direttamente legato al fumo, e, pur se l’incidenza globale è in diminuzione per il progressivo abbandono della sigaretta da parte della popolazione maschile, si registra una tendenza alla crescita tra le donne.
Una nuova arma sarebbe presto a disposizione grazie alla scoperta del MAGE A3, un antigene che solo le cellule tumorali espongono sulla loro superficie e la sua scoperta potrebbe guidare allo sviluppo di un vaccino terapeutico che mira a far riconoscere le unità cancerose per farle distruggere dall'apparato difensivo del malato. Questo vaccino antitumorale, messo a punto dai ricercatori di GlaxoSmithKline e reso più "forte" dalla combinazione di un sistema immunologico adiuvante, cioè di un composto che ne amplifica l'azione sul sistema immunitario è al centro dell'attenzione di un convegno che vede riuniti oggi all'Auditorium GSK di Verona i massimi esperti italiani della materia.
Il nuovo vaccino è attualmente in fase di studio in diversi Paesi del mondo per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule, il più diffuso con l'80% delle diagnosi, e del melanoma, tumore maligno della pelle, e si propone come un'arma in più, a fianco di radio e chemioterapia, per fronteggiare questa gravissima forma di cancro. "Per quantificare il beneficio registrato finora - spiega il dott. Luca Marini, direttore medico oncologia di GSK - posso dire che nella seconda fase dei test clinici, si è registrata una riduzione del 27% del rischio di ricomparsa della malattia nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, che avevano ricevuto il vaccino dopo l'intervento. Nei malati in cui sono stati selezionati set di geni chiave per predire la risposta al trattamento, la riduzione del rischio di ricaduta di malattia è risultata pari al 43%.
La successiva fase di sperimentazione coinvolgerà 2.270 pazienti risultati positivi all'antigene tumorale Mage-A3". "Il microcitoma, conosciuto anche come carcinoma polmonare a piccola cellule, è un tumore molto aggressivo, che spesso si manifesta con la comparsa di numerosi sintomi quali tosse, difficoltà respiratoria, dolore toracico, debolezza e calo dell'appetito - afferma il prof. Andrea Ardizzoni, direttore della struttura complessa di oncologia medica dell'azienda ospedaliera universitaria di Parma".
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Una nuova arma sarebbe presto a disposizione grazie alla scoperta del MAGE A3, un antigene che solo le cellule tumorali espongono sulla loro superficie e la sua scoperta potrebbe guidare allo sviluppo di un vaccino terapeutico che mira a far riconoscere le unità cancerose per farle distruggere dall'apparato difensivo del malato. Questo vaccino antitumorale, messo a punto dai ricercatori di GlaxoSmithKline e reso più "forte" dalla combinazione di un sistema immunologico adiuvante, cioè di un composto che ne amplifica l'azione sul sistema immunitario è al centro dell'attenzione di un convegno che vede riuniti oggi all'Auditorium GSK di Verona i massimi esperti italiani della materia.
Il nuovo vaccino è attualmente in fase di studio in diversi Paesi del mondo per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule, il più diffuso con l'80% delle diagnosi, e del melanoma, tumore maligno della pelle, e si propone come un'arma in più, a fianco di radio e chemioterapia, per fronteggiare questa gravissima forma di cancro. "Per quantificare il beneficio registrato finora - spiega il dott. Luca Marini, direttore medico oncologia di GSK - posso dire che nella seconda fase dei test clinici, si è registrata una riduzione del 27% del rischio di ricomparsa della malattia nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, che avevano ricevuto il vaccino dopo l'intervento. Nei malati in cui sono stati selezionati set di geni chiave per predire la risposta al trattamento, la riduzione del rischio di ricaduta di malattia è risultata pari al 43%.
La successiva fase di sperimentazione coinvolgerà 2.270 pazienti risultati positivi all'antigene tumorale Mage-A3". "Il microcitoma, conosciuto anche come carcinoma polmonare a piccola cellule, è un tumore molto aggressivo, che spesso si manifesta con la comparsa di numerosi sintomi quali tosse, difficoltà respiratoria, dolore toracico, debolezza e calo dell'appetito - afferma il prof. Andrea Ardizzoni, direttore della struttura complessa di oncologia medica dell'azienda ospedaliera universitaria di Parma".
15 gennaio, 2009
Briciole di Medicina (1° Puntata) - L'Elettrocardiogramma o ECG
Come primo "articolo" di una lunga serie di appunti ricavati dal mio pc o presi in giro dalla rete, e che ho deciso di pubblicare sul sito, ecco a voi una breve d esauriente disamina dell'Elettrocardiogramma visto dal punto di vista fisiologico. Breve disgressione storica e spiegazione essenziale su uno degli strumenti diagnostici più comunemente conosciuti. Le fonti, a cui vanno i miei ringraziamenti, sono la sempre inesauribile Wikipedia e alcuni libri di Fisiologia per medicina (Rindi, Guyton). Di seguito un breve elenco in paragrafi. Buona lettura.
1- Introduzione all’Elettrocardiogramma
2- Tracciato dell'elettrocardiogramma
3- Descrizione dell’elettrogramma unipolare
4- Il dipolo cardiaco
5- Descrizione del modello a dipolo mediante vettori elettrici
6- Limiti di efficienza del modello a dipolo
7- Postulati di Einthoven
8- Derivazioni Elettrocardiografiche
9- Derivazioni Bipolari
10- Derivazioni unipolari aumentate
11- Derivazioni precordiali
12- Derivazioni ortogonali o di Frank e Vettorcardiografia
13- Analisi del vettore dipolo del cuore sul piano frontale
14- Asse cardiaco
15- Anomalie cardiache e ECG
16- Ritmi sinusali anormali
17- Ritmi anormali dovuti a blocco della conduzione degli impulsi
18- Ritmi anormali dovuti a patologie cardiocircolatorie
1. Introduzione all’elettrocardiogramma
L'elettrocardiogramma, ECG. L'ECG è l'attività del cuore, espressa attraverso le correnti elettriche che esso produce, ma necessariamente osservata da diversi punti di vista, che nel caso dell'ECG si chiamano derivazioni. L'ECG completo è composto da 12 derivazioni. E' come vedere l'attività del cuore, espressa elettricamente, da 12 punti di vista.
Ci sono 6 derivazioni, dette standard: I, II, II, AVR, AVL, AVF.
Ci sono 6 derivazioni precordiali: V1, V2, V3, V4, V5, V6.
L’elettrocardiografia è la branca della fisiologia che si occupa della registrazione, analisi e interpretazione dei fenomeni elettrici che si verificano nel cuore durante la sua attività. Nel XIX secolo divenne chiaro che il cuore generava elettricità: l’oscillazione del potenziale all’interno della cellula determinava una oscillazione anche all’esterno dell’ordine di pochi millivolt. La depolarizzazione cellulare determina la creazione di un campo elettrico in cui vi sono delle differenze di potenziale che possono essere registrate superficialmente. La registrazione dei potenziali elettri ci viene fatta con appositi strumenti detti elettrocardiografi e il tracciato risultante è l’elettrocardiogramma che può essere registrato con elettrodi posti direttamente sulla superficie cardiaca (derivazione diretta) o con elettrodi posti sulla superficie cutanea (derivazione indiretta).
Il primo sistematico approccio al cuore dal punto di vista elettrico fu fatto da Augustus Waller, nel 1911 si poterono apprezzare le prime applicazioni cliniche derivate dal suo lavoro. Il passo avanti venne fatto da Willem Einthoven con il suo galvanometro, il quale era molto più preciso del galvanometro usato da Waller. Einthoven assegnò le lettere P, Q, R, S e T alle varie onde e descrisse i tracciati elettrocardiografici di molte malattie cardiovascolari. Per questa scoperta fu insignito del premio Nobel per la Medicina nel 1924.
Studi sempre più accurati a partire dagli anni '40 e '50 negli U.S.A. hanno dimostrato che il comportamento elettrico del cuore è più simile ad un multipolo che ad un dipolo. Il lavoro di Nelson e Gabor punta sul fatto che la teoria del dipolo è inadeguata e vale solo come approssimazione per grandi distanze dalle regioni dove sono situati i dipoli. Per questo motivo hanno introdotto modelli più sofisticati per considerare i pattern del potenziale di superficie ed hanno stabilito che è necessario utilizzare un numero di curve ECG sul torace più grande di tre per ottenere informazioni riguardo all’insieme di tutti i dipoli.
2. Tracciato dell'elettrocardiogramma
Il principio su cui si basa la misurazione dell'attività elettrica del cuore è prettamente fisiologico: l'insorgere degli impulsi nel miocardio porta alla generazione di differenze di potenziale, che variano nello spazio e nel tempo e che possono essere registrate tramite degli elettrodi. La registrazione della variazione di potenziale da parte di elettrodi posti sulla superficie corporea avviene grazie alla conducibilità dei liquidi interstiziali del corpo umano. Il normale tracciato ECG presenta un aspetto caratteristico che varia soltanto in presenza di problemi. Il tracciato è caratterizzato da diverse onde, positive e negative, che si ripetono ad ogni ciclo cardiaco. L’ampiezza delle singole onde è relativa alla massa relativa di tessuto cardiaco coinvolta, infatti per esempio il tessuto ventricolare è responsabile del tracciato più ampio (cioè del complesso QRS) mentre il tessuto nodale, seppur importantissimo, non è praticamente rappresentato.
Onda P: è la prima onda che si genera nel ciclo, corrisponde alla depolarizzazione degli atri. La lettera fu assegnata dal termine “Presistole”, perché è appunto descrittivo di un avvenimento che precede la sistole ventricolare. È di piccole dimensioni, poiché la contrazione degli atri non è cosi potente. La sua durata varia tra i 60 e i 120 millisecondi. L’ampiezza è da 0,2 a 0,4 Millivolt. La ripolarizzazione atriale normalmente non è rappresentata nell’ECG in quanto è simultanea alla depolarizzazione ventricolare, sicchè il relativo evento elettrico è coperto dal complesso QRS, tuttavia nel caso di allungamento notevole dell’intervallo P-R (ad esempio nel blocco cardiaco) si può registrare una prolungata deflessione negativa, cioè l’Onda Ta, espressione appunto della ripolarizzazione atriale. Il fatto che Ta sia negativa e P positiva, indica che il processo di ripolarizzazione atriale ha un andamento opposto.
Complesso QRS: si tratta di un insieme di tre onde che si susseguono l'una all'altra e corrisponde alla depolarizzazione dei ventricoli. L'onda Q è negativa e di piccole dimensioni; la R è un picco molto alto positivo; la S è una onda negativa anch'essa di piccole dimensioni. La durata dell'intero complesso è compresa tra i 60 e i 90 millisecondi. L’ampiezza varia da 1 a 2 mV.
Onda T: è l'ultima onda ad apparire e rappresenta la ripolarizzazione dei ventricoli. Non sempre è identificabile, perché può anche essere di valore molto piccolo. Ha una durata da 180 a 200 millisecondi. Ha un’ampiezza da 0,4 a 0,5 mV. Su strisce di tessuto ventricolare l’onda T ha una direzione opposta all’onda R. Al contrario, nel ventricolo in situ l’onda T ha lo stesso senso dell’onda R, questo significa che la depolarizzazione si compie in direzione endocardio-epicardio mentre la ripolarizzazione si compie in direzione epicardio-endocardio. Cioè, le regioni ventricolari eccitate più tardi sono anche le stesse che si ripolarizzano prima. Ciò dipende dal fatto che la durata dei potenziali d’azione delle cellule della superficie epicardica dei ventricoli è inferiore (di 20 millisecondi circa) a quella delle cellule della superficie endocardica.
Onda U: è un'onda che non sempre è possibile apprezzare in un tracciato, dovuta alla ripolarizzazione dei muscoli papillari. E’ una deflessione negativa con una durata di 80 millisecondi.
Infine vi sono degli intervalli molto importanti da considerare:
Intervallo R-R: durata del ciclo cardiaco. Durata 0,8 secondi.
Intervallo Q-T: durata della sistole ventricolare. Durata 0,4 secondi.
Intervallo S-T: durata della ripolarizzazione ventricolare. Durata 0,3 secondi.
Intervallo P-R: tempo della conduzione atrioventricolare. Durata 0,2 secondi.
Il tracciato ECG viene compilato su carta millimetrata, la stessa carta scorre nell'elettrocardiografo ad una velocità di 25 mm al secondo, quindi cinque quadrati da 5 mm rappresentano 1 secondo. È quindi facile immaginare come si può immediatamente ricavare la frequenza cardiaca, valutando quanto tempo passa tra un ciclo e l'altro (si misura il tempo intercorso tra due complessi QRS).
3. Descrizione dell’elettrogramma unipolare
Un’idea delle relazioni tra evento elettrico intracellulare e variazione elettriche sulla superficie del tessuto cardiaco può aversi registrando il potenziale d’azione intracellulare di una singola cellula e i potenziali superficiali generatisi durante l ‘eccitamento. Per far ciò si utilizza una striscia di tessuto ventricolare sulla metà del quale si pone un piccolo elettrodo superficiale B collegato a un sistema di registrazione, e in vicinanza di esso si impala una cellula miocardia con un microelettrodo A. L’elettrodo superficiale misura le variazioni di potenziale superficiali, mentre il microelettrodo misura le differenze di potenziale intracellulari in una delle cellule poste allo stesso livello di quelle sottostanti. Stimolando in C, l’eccitamento si propaga gradualmente. Il microelettrodo registra l’arrivo del tipico potenziale d’azione cardiaco con una ampiezza di circa 120 millivolt. L’elettrodo superficiale registra potenziali più bassi, pochi millivolt (1 o 2 millivolt) di ampiezza, generati da una popolazione di cellule (quindi non da una sola cellula) e il cui insieme costituisce il cosiddetto elettrogramma a registrazione unipolare. Questo grafico è formato da una linea avente:
1) ONDA R: una lenta e lieve deflessione seguita da un’onda alta e acuta positiva-negativa, sincrona con la fase di depolarizzazione dovuta al potenziale d’azione. Il sincronismo indica che i due eventi sono contemporanei. La forma dell’onda è espressione dell’avvicinarsi dell’onda d’eccitamento, del passare sotto l’elettrodo e del suo allontanarsi dall’elettrodo stesso. Il quale perciò viene a essere prima positivo (poiché posto su superficie ancora inattiva, cioè carica positivamente) e poi negativo (in quanto la superficie diviene attiva, cioè carica negativamente, al passare dell’onda depolarizzante).
2) TRATTO ISOELETTRICO: è un tratto sincrono con il plateau del potenziale d’azione intracellulare, è espressione del fatto che le cellule sotto l’elettrodo stanno ripolarizzando lentamente.
3) ONDA T: è un’onda sincrona con la fase di ripolarizzazione rapida terminale del potenziale d’azione intracellula, è una onda negativa-positiva, avente cioè un andamento opposto rispetto all’onda R, inoltre è più lenta e più bassa di R ed è espressione dei potenziali elettrici superficiali che insorgono durante la ripolarizzazione.
Forma e ampiezza delle onde R e T dipendono dalla dispersione nel tempo dei potenziali d’azione delle singole cellule costituenti la popolazione e dalla loro diversa forma. La depolarizzazione del tessuto miocardio è nel suo insieme un evento ordinato mentre la ripolarizzazione è meno ordinata e più dispersa nel tempo. La differente altezza delle due onde è espressione della differente velocità della depolarizzazione rispetto alla ripolarizzazione. L’essere T più bassa indica maggiore lentezza della ripolarizzazione (tipica delle fibre cardiache) nonché più dispersione temporale del fenomeno e minor sincronismo tra le cellule.
4. Il dipolo cardiaco
Dal punto di vista elettrico possiamo considerare il cuore come un dipolo. Prendiamo una fibra miocardica, isoliamola, poniamo due elettrodi (A e B) all'inizio e alla fine della fibra; gli elettrodi vengono collegati ad un voltmetro per misurare la differenza di potenziale. Quando siamo in condizioni di riposo, il voltmetro non segnerà nulla: questo accade perché la fibra è isopotenziale all'esterno e non essendoci nulla a mutare questa condizione, si avranno cariche positive all'esterno e negative all'interno.
Eccitiamo ora la fibra, siamo nella condizione in cui un potenziale d'azione comincia a diffondersi. Dove il potenziale d'azione si propaga, la differenza tra esterno ed interno si annulla, l'elettrodo che è posto sulla parte interessata dalla depolarizzazione leggerà un valore negativo, nonostante sia posto all'esterno della fibra. Nel nostro caso è l'elettrodo A che viene investito per primo dal potenziale d'azione, esso sarà negativo se confrontato con l'elettrodo B, che sta ancora in una parte di fibra a riposo. Desumiamo che: l'elettrodo che vede il fronte d'onda avvicinarsi, diventa positivo rispetto a quello che lo vede allontanarsi. Nel caso invece in cui si pongano due elettrodi A e A°, perpendicolari al propagarsi dell'impulso, la misurazione del voltmetro sarà nulla, perché il fronte d'onda investe i due elettrodi contemporaneamente.
Per rappresentare meglio tale situazione possiamo usare un artifizio matematico, cioè utilizziamo il vettore dipolo, che è un vettore che ha verso che va dall'elettrodo negativo al positivo, direzione parallela alla congiungente degli elettrodi e modulo proporzionale alla differenza di potenziale che si genera tra gli elettrodi. Gli elettrodi rilevano la proiezione del vettore dipolo sulla propria congiungente, di conseguenza due elettrodi paralleli al vettore misurano la differenza di potenziale massima, due elettrodi perpendicolari non misurano nulla. Chiamiamo la congiungente degli elettrodi derivazione.
È necessario introdurre più di una derivazione ed è necessario che esse abbiano posizioni diverse; infatti se consideriamo che la fibra può presentare flessioni, questo significa che il vettore dipolo ruoterà e se poco prima una derivazione bastava a studiarlo, subito dopo se ne rendono necessarie almeno due non parallele tra loro.
Il discorso fatto finora è una semplificazione, poiché abbiamo considerato una sola fibra cardiaca; nella realtà la massa cardiaca si comporta sincinzialmente anche a livello elettrico e ogni fibra produce un proprio vettore dipolo. La registrazione, quindi, non avviene per singola fibra, ma considerando il miocardio tutto insieme; per questo motivo il vettore dipolo del cuore è la risultante dei vettori delle singole fibre. La registrazione di questo vettore risultante e la sua evoluzione nel tempo si chiama vettorcardiogramma.
5. Descrizione del modello a dipolo mediante vettori elettrici
Per comprendere meglio il modello del dipolo cardiaco si devono prendere in considerazione ora le differenze di potenziale che compaiono quando una semplice striscia rettangolare di muscolo cardiaco viene depolarizzata.
Nella cellula a riposo, in cui tutte le parti della superficie cellulare sono cariche positivamente, non si registrano differenze di potenziale, quindi l’ECG bipolare rimane isoelettrico. Se la striscia del miocardio viene stimolata dal lato sinistro, un’onda di depolarizzazione si propaga da sinistra verso destra. Quando quest’onda di depolarizzazione passa attraverso la superficie del miocardio, compare una differenza di potenziale fra gli elettrodi A e B. Se si stabilisce che l’elettrodo A rappresenta il potenziale zero, l’elettrodo B registrerà un potenziale positivo rispetto all’elettrodo A. Se la polarità del sistema di derivazione è regolata in modo da registrare una deflessione verso l’alto quando B è positivo rispetto ad A, quest’onda di depolarizzazione farà comparire sull’ECG una deflessione verso l’alto. Con il progredire dell’onda di depolarizzazione lungo la striscia del miocardio, la differenza del potenziale cresce e poi diminuisce, raggiungendo il massimo quando metà della striscia è depolarizzata. La differenza di potenziale fra gli elettrodi A e B torna nuovamente a zero quando tutta la striscia è depolarizzata, poiché in questo momento entrambi gli elettrodi registrano uno stesso grado di elettronegatività. Se la ripolarizzazione inizia dallo stesso punto della striscia del miocardio da cui era iniziata l’onda propagata di depolarizzazione, si registra una differenza di potenziale di polarità opposta a quella registrata durante la ripolarizzazione. Alla fine della fase di ripolarizzazione tutta quanta la striscia è completamente ripolarizzata e quindi non si registra più alcuna differenza di potenziale.
Si registrerà un potenziale positivo, quando l’onda di depolarizzazione si avvicina alla derivazione, viceversa si registrerà un potenziale negativo se l’onda si allontana dalla derivazione. Per semplificare, questo comportamento viene descritto tramite vettori elettrici. La grandezza del momento di dipolo durante la depolarizzazione ventricolare è massima quando circa metà della massa ventricolare è stata depolarizzata. La posizione del dipolo cardiaco è legata a quella dei due poli, positivo e negativo, nel corpo. Poniamo ora gli elettrodi A e B rispettivamente sul braccio destro e sinistro. Se il dipolo è orientato trasversalmente rispetto al corpo, l’elettrodo A registra un potenziale negativo, perché “vede” l’onda di depolarizzazione allontanarsi e propagarsi verso sinistra e pertanto l’elettrodo B registra un potenziale positivo. Nel caso del cuore c’è la convenzione di porre il verso del vettore dipolo rivolto verso il polo positivo (quindi nel caso di cui sopra verso l’elettrodo B). E’ necessario tenere presente che molte regioni del ventricolo si attivano contemporaneamente, pertanto in ogni istante della diffusione dell’onda di depolarizzazione attraverso i ventricoli vi sono numerosi vettori elettrici. Se si sommano tutti i vettori elettrici presenti in un dato momento si ottiene un vettore elettrico medio. Durante il periodo di depolarizzazione ventricolare compare una serie di questi vettori elettrici medi. La loro sequenza è registrata sull’ECG, quindi le deflessioni che compaiono su quest'ultimo durante l’iscrizione del complesso QRS rappresentano i cambiamenti di direzione e di ampiezza del vettore elettrico medio durante l’attivazione ventricolare. Il vettore elettrico normale, nel piano frontale del corpo, è compreso tra –30° e +90°, quando l’asse della derivazione I è considerato come 0°. Quando il vettore elettrico è considerato maggiore di +90° si parla di deviazione assiale destra. Quando il vettore elettrico è minore di – 30° si parla di deviazione assiale sinistra.
6. Limiti di efficienza del modello a dipolo
L’analisi del quadro elettrocardiografico ha spesso natura empirica. Questo è dovuto al fatto che di solito un ECG registra meno del 10% dell’attività elettrica del cuore. Questo avviene per un fenomeno noto come mutua cancellazione dei vettori elettrici. In pratica può succedere che diverse regioni del cuore siano attivate in direzioni opposte. Il momento di dipolo totale è la somma dei singoli momenti di dipolo. Se alcuni di questi sono opposti, il loro contributo complessivo è nullo, quindi una parte dell’attività elettrica cardiaca non è registrata perché alcuni vettori elettrici interagiscono annullando reciprocamente i rispettivi contributi al momento di dipolo totale. Una significativa cancellazione delle onde di depolarizzazione inizia non dalla superficie esterna dei ventricoli, ma dalla loro superficie endocardica. Poiché le fibre di Purkinje penetrano nel terzo interno della parete ventricolare, l’attivazione del miocardio ventricolare inizia come una sfera di tessuto depolarizzato all’interno della parete ventricolare. Finché una parte di questa sfera di depolarizzazione in espansione non raggiunge la superficie del ventricolo, gli elettrodi posti davanti alle varie regioni del cuore non registrano alcuna deflessione. Questo è dovuto al fatto che non esiste alcuna differenza di potenziale tra gli elettrodi posti al di fuori del ventricolo e quindi gran parte dell’attività elettrica non può essere registrata dagli elettrodi posti sulla superficie del corpo.
7. Postulati di Einthoven
L’onda di attivazione può essere rappresentata come un dipolo mobile avente il polo positivo nel senso dello spostamento. Il dipolo è una quantità vettoriale caratterizzata da una direzione (asse del dipolo), da un verso (senso del suo spostamento) e da una grandezza corrispondente al numero che esprime il momento dipolare (carica per distanza), Perciò, il dipolo può essere rappresentato con un vettore.
La relazione tra il vettore cardiaco e la differenza di potenziale che si misurano nell’ECG può essere chiarita in termini facili solo se si introduce un caso ideale in cui è possibile usare correttamente le proprietà dei vettori e il calcolo vettoriale. Il caso ideale prevede la sezione longitudinale di una sfera, passante per il suo centro, e in cui si uniscono i tre punti equidistanti tra loro e giacenti sul piano della sezione. Si ottiene un triangolo equilatero iscritto nella sfera e disposto verticalmente. Se ora si pone al centro del triangolo un vettore dipolare, in queste condizioni le proiezioni del vettore sui singoli lati del triangolo sono proporzionali al coseno dell’angolo formato dal vettore con i lati stessi. Sono cioè la rappresentazione in scala del vettore sul singolo lato. Einthoven ebbe una concezione che prevede, in ogni istante, che le forze elettromotrici del cuore possano essere rappresentate da un unico vettore risultante, centrato in un triangolo equilatero orientato nel piano frontale dell’organismo.
Per avvicinare al caso ideale le condizioni che secondo la sua concezione si verificano nell’organismo, Einthoven introdusse alcuni postulati:
1- Il torace è un conduttore sferico omogeneo
2- Tutte le forze elettriche cardiache rappresentate dai potenziali hanno origine in un punto al centro di tale conduttore sferico omogeneo
3- La risultante di tali forze può essere rappresentata da un solo vettore
4- I punti di unione degli arti con il tronco (gamba = arto unico attaccato al pube) sono equidistanti fra loro e sullo stesso piano verticale.
In base a questi postulati si conclude che l’ampiezza delle singole onde dell’ECG è la proiezione su ognuno dei tre lati del triangolo del vettore che rappresenta l’attivazione atriale, l’attivazione ventricolare e il recupero ventricolare. Tali proiezioni sono quantità scalari, in quanto caratterizzate solo da un numero: la loro ampiezza. Perciò il tracciato dell’andamento temporale delle differenze di potenziale tra due elettrodi posti sulla cute è un elettrocardiogramma scalare.
8. Le derivazioni elettrocardiografiche
Come già detto, per registrare un elettrocardiogramma è necessario disporre di elettrodi posti sulla superficie corporea, formando delle derivazioni sistemate in maniera tale da poter analizzare bene le variazioni del vettore dipolo del cuore.
9. Derivazioni Bipolari
Il Triangolo di Einthoven è il principio fisiologico sul quale si basa l'elettrocardiogramma.
È stato proposto ai primi del 1900 dal medico fisiologo Willem Einthoven.
Si considera un uomo con le braccia estese e si individua un triangolo equilatero, dove un lato è la distanza tra i due polsi e gli altri due la distanza tra i polsi e le caviglie unite.
La distanza di un punto dagli altri due, considerati insieme, è la misura della corrente di quel punto.
L'utilità di tale triangolo consiste nel fatto che una forza elettrica che origina a livello cardiaco può essere rappresentata come un vettore che viene guardato dalle diverse angolazioni.
Le tre derivazioni bipolari (questo il nome dei nostri tre punti: polso destro, polso sinistro, caviglie) registrano quindi l'attività elettrica cardiaca da come questa risulta dalla sua proiezione sul lato del triangolo. Quindi:
• la derivazione I (polso destro) è uguale alla somma tra la derivazione II e la derivazione III,
• la derivazione II (polso sinistro) è uguale a III+I
• la derivazione III (caviglie) è uguale a I+II.
Si usano tre elettrodi posizionati rispettivamente sulla spalla sinistra, sulla spalla destra e sull'osso pubico. Poiché dal punto di vista elettrico gli arti sono da considerarsi come conduttori, per facilitare il posizionamento degli elettrodi stessi, questi vengono posti sui polsi sinistro e destro e sulla caviglia sinistra. Abbiamo formato, con gli elettrodi un triangolo equilatero: il triangolo di Einthoven, che ha al suo centro il cuore. Ponendo tre elettrodi abbiamo altrettante derivazioni:
• la I derivazione tra spalla sinistra e destra,
• la II derivazione tra gamba sinistra e spalla destra,
• la III derivazione tra gamba sinistra e spalla sinistra.
Per queste derivazioni è necessario porre delle convenzioni tali per cui:
• in I derivazione il tracciato va verso l'alto quando la spalla sinistra è positiva rispetto alla destra
• in II derivazione il tracciato va verso l'alto quando la gamba sinistra è positiva rispetto alla spalla destra
• in III derivazione il tracciato va verso l'alto quando la gamba sinistra è positiva rispetto alla spalla sinistra
Considerando che si hanno a questo punto 3 derivazioni e che il piano frontale su cui noi dobbiamo analizzare il vettore dipolo è di 360°, deduciamo che si ha una divisione del piano in tre parti da 120° ciascuna. Questo tuttavia non è sufficiente per registrare in maniera adeguata gli eventuali cambiamenti del vettore; è necessario, di conseguenza, avere altre derivazioni.
10. Derivazioni unipolari aumentate
L'idea è quella di aggiungere altre tre derivazioni, che esplorino il piano frontale lungo le bisettrici degli angoli del triangolo di Einthoven: collegando gli estremi di ciascuna derivazione con due resistenze uguali e utilizzando la giunzione tra di esse come riferimento, rispetto all'elettrodo posto sul vertice opposto del triangolo, ottengo la registrazione lungo altre tre direttrici, corrispondenti appunto alle bisettrici del triangolo stesso. In questo modo, considerando la giunzione delle due resistenze come l'elettrodo di riferimento e come gli elettrodi su spalla sinistra e destra e gamba sinistra come elettrodi esploranti, si ottengono le tre derivazioni unipolari degli arti. Esse sono chiamate:
• Vfoot (Vf) fra punto centrale delle spalle e la gamba sinistra,
• Vright (Vr) tra punto centrale spalla sinistra-gamba e spalla destra e
• Vleft (Vl) tra punto centrale spalla destra-gamba e spalla sinistra.
Anche in questo caso è necessario dare delle convenzioni:
• innanzi tutto i valori ottenuti vengono amplificati, in modo da poter essere raffrontati con quelli delle derivazioni bipolari, in questo modo i valori si indicano con aVr, aVl e aVf.
• per convenzione il pennino va verso l'alto quando l'elettrodo esplorante diviene positivo rispetto a quello di riferimento,ovvero quando l'onda di depolarizzazione va verso l'elettrodo esplorante.
• poiché nella derivazione aVr, il tracciato diviene negativo, per facilitare la lettura si moltiplica questo segnale per -1 (questa è una operazione che la macchina elettrocardiografica attua automaticamente).
Riassumendo siamo arrivati ad esplorare l'attività cardiaca con 6 derivazioni che ci permettono di dividere il piano frontale in zone da 60° l'una, dandoci un dettaglio abbastanza accurato.
11. Derivazioni precordiali
Per concludere e per avere una maggior definizione dell'attività cardiaca è necessario avere degli elettrodi che siano abbastanza vicini al cuore, al contrario di quelli delle derivazioni uni e bipolari che si trovano lontane. In particolare questi nuovi elettrodi serviranno per identificare e localizzare, in maniera molto precisa, delle lesioni che potrebbero sfuggire con l'uso delle altre derivazioni, e per analizzare il vettore della depolarizzazione cardiaca su un piano diverso da quello frontale. Si usa allora un elettrodo di riferimento ottenuto come in precedenza ma utilizzando una resistenza in più e sei elettrodi esploranti posti rispettivamente:
• V1: nel 4° spazio intercostale sul margine sternale destro
• V2: nel 4° spazio intercostale sul margine sternale sinistro
• V3: tra V2 e V4
• V4: nel 5° spazio intercostale sulla linea emiclaveare
• V5: nel 5° spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore
• V6: nel 5° spazio intercostale sulla linea ascellare media
Le derivazioni precordiali forniscono dati utili sulla posizione del dipolo cardiaco nel piano orizzontale del corpo. L’analisi del vettore elettrico in questo piano è però di solito meno rigorosa di quella sul piano frontale. V1 e V2 registrano prevalentemente ciò che accade nel ventricolo destro. V3 è detto di transizione, essendo intermedio tra posizioni in cui si registra prevalentemente negatività (V1-V2) e posizioni in cui si registra prevalentemente positività (V4-V6). V4 e V6 registrano prevalentemente gli eventi del ventricolo sinistro.
In tutto eccoci arrivati ad avere 12 derivazioni che permettono una completa e particolare analisi dell'attività cardiaca del cuore sia localmente che generalmente.
12. Derivazioni ortogonali o di Frank e Vettorcardiografia
Ci si è posto il problema di passare dalle differenze di potenziali misurate dagli elettrodi alla proiezione del dipolo elettrico equivalente sui tre assi principali. Si pongono 5 elettrodi sul torace, uno sulla caviglia sinistra e un altro per determinare un potenziale di riferimento. Grazie a una rete di correzione che tiene conto del mezzo di conduzione si possono ottenere le proiezioni del dipolo cardiaco sui tre assi ortogonali diretti come le tre direzioni principali: testa-piedi, torace-schiena, spalla dx-sx. Uno dei vantaggi dell'utilizzo delle derivazioni ortogonali consiste nel registrare tre diverse misurazioni, linearmente indipendenti, da cui è possibile ottenere proiezioni in ogni possibile direzione. Ad esempio si possono ricavare le 12 derivazioni standard.
La vettorcardiografia si occupa della registrazione delle variazioni continue dei vettori cardiaci istantanei durante il ciclo cardiaco in ciascuno dei tre piani dello spazio. La fotografia della loro traccia sullo schermo di un oscilloscopio a raggi catodici è detta vettorcardiogramma. Questi si attua mediante una disposizione degli elettrodi sul torace con un sistema “a cubo” in cui quattro elettrodi sono disposti:
1) Il primo sulla superficie posteriore della spalla destra
2) Il secondo poco sotto a V1
3) Il terzo sulla schiena a sinistra e allo stesso livello del secondo
4) Il quarto sul torace anteriormente e allo stesso del secondo.
Il “sistema a cubo” prevede la costituzione di tre assi di derivazione, Asse X, Asse Y e Asse Z. Unendo a coppie gli elettrodi opportunamente scelti è possibile registrare il vettore cardiaco istantaneo nel piano definito dai relativi assi. Nello schermo oscillografico appariranno tre anse differenti corrispondenti alle onde P, QRS e T.
13. Analisi del vettore dipolo del cuore sul piano frontale
Per ogni istante della propagazione dell'impulso attraverso il cuore, il vettore dipolo varia direzione, verso e modulo. Aiutandoci con una figura analizziamo le varie fasi della propagazione dell'impulso in relazione al vettore dipolo.
1) Lo stimolo parte dal nodo seno-atriale, qui il vettore è il vettore della depolarizzazione atriale; poiché l'impulso viaggia verso il nodo atrio-ventricolare è chiaro che la direzione del vettore è la congiungente dei due nodi e il verso va dal nodo seno-atriale a quello atrio-ventricolare. Il vettore sarà quindi inclinato leggermente verso sinistra e diretto verso il basso. Proiettando il vettore sulla I derivazione otteniamo un'onda positiva, l'onda P.
2) Arrivato al nodo atrio-ventricolare, l'impulso arriva al setto attraverso il fascio di His. La diffusione dell'impulso avviene, in questa parte del cuore, secondo la direzione endocardio-linea mediana. nel setto si hanno due depolarizzazioni, una riguarda la parte sinistra, l'altra la parte destra; poiché per l'attività elettrica della parte sinistra è maggiore, le depolarizzazioni non si elidono, ma prevale quella sinistra. il vettore ha direzione della linea endocario-linea mediana e verso che va da sinistra verso destra. Proiettando il vettore così ottenuto sulla I derivazione otteniamo un'onda di segno negativo, l'onda Q.
3) Lo stimolo è arrivato all'apice del cuore, qui il vettore dovuto alla parte sinistra ha lo stesso verso di quello di destra, conseguentemente si ha la massima estensione del vettore lungo la linea parallela al setto. In questo caso avremo quindi un vettore inclinato verso sinistra e diretto verso il basso con un modulo molto elevato, questo produce in I derivazione un'onda positiva molto ampia, l'onda R.
4) Lo stimolo ha raggiunto le pareti dei ventricoli, anche qui è la parte sinistra che prevale su quella destra, il verso tende quindi a sinistra, mentre il modulo è leggermente diminuito perché, appunto, la parte destra esercita una diminuzione del vettore. In questo caso, in I derivazione, avremo una maggiore escursione dell'onda R. Per apprezzare invece singolarmente questa fase, possiamo vedere che in III derivazione abbiamo una piccola onda negativa, l'onda S.
5) Per ultimo ecco arrivare il vettore della ripolarizzazione dei ventricoli che ha un andamento simile a quello della depolarizzazione. Risulterà quindi in I derivazione una piccola onda positiva, l'onda T.
14. Asse cardiaco
Partendo dalle registrazioni dell’andamento dell’onda di depolarizzazione delle sei derivazioni degli arti si può ottenere il vettore complessivo dell’andamento di tale onda sul piano frontale. Questo si ottiene facendo la somma dei vettori ottenuti nella registrazione di ogni onda da parte delle sei derivazioni. Perciò si otterrà prima il vettore che esprime la risultante (somma) dei valori ottenuti dalle sei derivazioni durante l'onda Q, poi il vettore registrato durante l'onda R e poi S. Si prendono in considerazione le onde del complesso QRS in quanto registrano gli eventi elettrici causati dai ventricoli che rappresentano la maggior parte della massa muscolare cardiaca e che perciò sono indicativi dell'asse complessivo. In tal modo si otterrà l’asse cardiaco, un parametro delle caratteristiche fisiologiche del cuore, che solitamente corrisponde all’asse anatomico del cuore.
Durante l’eccitamento del miocardio l’onda di attivazione varia di direzione in ogni istante mentre si propaga. Varia anche la sua rappresentazione vettoriale. Il vettore risultante, calcolato con la regola del poligono dei singoli vettori, è detto asse elettrico istantaneo medio del cuore. Esso indica la direzione media che l’onda di eccitamento prende in un determinato istante.
E’ detto asse elettrico cardiaco medio la risultante di tutti gli assi elettrici cardiaci istantanei riferentesi ad un dato evento cardiaco. Frequentemente tale asse viene calcolato per l’eccitamento ventricolare, cioè in relazione al complesso QRS. Esso rappresenta quindi la direzione media dell’onda di eccitamento durante l’attivazione dei ventricoli. Per il calcolo dell’asse elettrico cardiaco medio a partire dalle differenze di potenziale misurate sull’ECG, si compie graficamente la nota operazione di risalire dalle proiezioni al relativo vettore. Volendo calcolare l’asse elettrico durante l’attivazione ventricolare, si misura sull’ECG l’altezza algebrica del complesso QRS (altezza in mm di R meno la somma delle altezze in mm di Q e S) in due derivazioni. Tale altezza si riporta con il suo segno sui corrispondenti lati di un triangolo equilatero, a partire dal loro punto medio. Dall’estremità dei tratti così ottenuti si tirano le perpendicolari verso il centro del triangolo. L’intersezione tra le perpendicolari determina due punti la cui unione dà l’asse elettrico cardiaco medio per il complesso QRS, orientato nel piano frontale dell’organismo. L’asse così calcolato rappresenta il vettore di cui il complesso QRS è la proiezione sui lati del triangolo di Einthoven.
L’asse elettrico cardiaco medio del complesso QRS viene rappresentato con un sistema di coordinate polari aventi lo zero a destra di una linea orizzontale, al di sopra e al di sotto della quale sono posti rispettivamente i valori negativi e positivi. Esso perciò viene indicato con un angolo che, per quel che si è detto, corrisponde all’angolo d’inclinazione del vettore rappresentante il dipolo cardiaco durante l’eccitamento ventricolare.
Il significato dell’asse cardiaco medio è essenzialmente di ordine pratico, in quanto esso risulta compreso entro determinati valori angolari. Nell’uomo normale esso è compreso tra i -30° e i +110°. I suoi spostamenti oltre +110° in senso orario sono detti deviazioni a destra mentre i spostamenti in senso antiorario oltre i -30° sono detti deviazioni a sinistra. Questo asse è influenzato da vari fattori quali la posizione del cuore, le modificazioni della massa di miocardio funzionante, la via percorsa dal processo di attivazione e le modificazioni del mezzo che circonda il cuore. Solitamente, in clinica, l’asse si sposta verso una zona di miocardio ipertrofico e si allontana da una zona di miocardio infartuata.
15. Anomalie cardiache e ECG
Risulta evidente, per tutto quello detto finora, l'utilità dell'ECG nel monitoraggio o nella diagnosi medica; sia per quanto riguarda situazioni normali, sia per quanto riguarda situazioni patologiche derivanti da cause fisiche e fisiologiche. L'elettrocardiogramma in situazioni normali presenta un'onda P iniziale, un caratteristico complesso QRS e un'onda T finale. Abbiamo visto che il ritmo fisiologico normale del cuore sano è di 70-80 battiti per minuto. Tutti questi parametri vengono alterati, più o meno fortemente, quando esiste qualche problema di natura cardiaca. È importante, per colui che interpreta il tracciato, sapere quali variazioni possono esistere, come fare per ricercarle e conoscerne il significato.
16. Ritmi sinusali anormali
Tachicardia Ventricolare
Si parla di tachicardia quando notiamo una frequenza del battito cardiaco che supera i 100 battiti al minuto. In questo caso l'ECG risulta perfettamente normale, ad eccezione della frequenza del battito. La frequenza del battito è rilevabile dalla distanza temporale di due complessi QRS. Le cause che portano alla tachicardia possono essere fisiologiche (una risposta allo sforzo, alla temperatura corporea, alla stimolazione delle fibre ortosimpatiche) o patologiche (una spia di un'insufficienza cardiaca). Le onde P possono non essere visibili durante tachicardia ventricolare anche se l'attività atriale dissociata da quello ventricolare non viene influenzata. Il complesso QRS ha una durata maggiore di 0,12 s ed è di forma bizzarra. L'onda T può non essere distinguibile dal complesso QRS.
Bradicardia
Il termine bradicardia indica una ridotta frequenza del battito cardiaco, di norma si indica con questo termine un ritmo al di sotto dei 60 battiti al minuto. Come nel caso della tachicardia il tracciato dell'ECG risulta normale, ma con una ridotta frequenza temporale del complesso QRS. La bradicardia può essere una condizione normale, soprattutto per quanto riguarda il cuore degli atleti che possono avere frequenze molto basse dovute appunto ad un costante allenamento.
Aritmia sinusale
Se tutti i complessi QRS sono normali, ma la frequenza in condizioni di riposo non è regolare, viene diagnosticata una aritmia sinusale. Si pensa che, questa condizione possa essere causata da un conflitto di diversi tipi di riflessi circolatori atti ad alternare l'intervento del sistema ortosimpatico e parasimpatico sul nodo seno-atriale, nella maggior parte dei casi questa aritmia è sincrona con gli atti respiratori: parliamo di aritmia respiratoria. Si è verificato che questa condizione può risultare non patologia nei giovani e nei bambini, nei quali può addirittura diventare la regola, piuttosto che l'eccezione. Nelle persone anziane invece, l'aritmia sinusale può essere il segno di una malattia degenerativa del nodo seno-atriale.
17. Ritmi anormali dovuti a blocco della conduzione degli impulsi
Blocco seno-atriale
In alcuni casi può capitare che l'impulso che si origina nel nodo seno-atriale non possa diffondersi completamente nel resto del miocardio. Questa condizione, nonostante possa sembrare molto pericolosa, è compatibile con la vita a causa di un sistema di sicurezza del cuore. Infatti in mancanza di conduzione (o di generazione) degli impulsi da parte del nodo seno-atriale, è il nodo atrio-ventricolare che prende il controllo del ritmo cardiaco. Nel tracciato elettrocardiografico questo è facilmente riconoscibile a causa di una diminuzione della frequenza cardiaca e della scomparsa dell'onda P, dovuto all'annullamento delle funzioni atriali. Il complesso QRS-T non viene influenzato, poiché il ventricolo viene guidato dal nodo atrio-ventricolare.
Blocco atrio-ventricolare
In condizioni di frequenza normale. il tempo che intercorre tra l'onda P e l'inizio del complesso QRS è di circa 0,16 secondi. Se in condizioni normali, questo intervallo supera gli 0,2 secondi, allora si parla di blocco incompleto di primo grado. Si tratta di un problema che riguarda il trasferimento degli impulsi dagli atri ai ventricoli.
Se l'intervallo P-R raggiunge una durata di 0,25 - 0,45 secondi i potenziali d'azione che investono il nodo atrio-ventricolare non sempre riescono ad oltrepassarlo, in questa condizione accade che i ventricoli "saltino" qualche battito rispetto agli atri. È il caso del blocco incompleto di secondo grado.
La condizione più grave si verifica quando la conduzione degli impulsi nel nodo A-V è completamente impedita e si verifica un blocco completo tra atri e ventricoli. Nel tracciato elettrocardiografico questa condizione si evidenzia dal fatto che le onde P risultano completamente dissociate dai complessi QRS-T. Gli atri e i ventricoli hanno un ritmo indipendente.
Extrasistole ventricolare
In una extrasistole ventricolare manca l'onda P, in quanto lo stimolo non è risalito fino agli atri. L'onda R è allargata e uncinata (lo stimolo impiega un tempo maggiore per diffondersi e si ha l'eccitamento prima di un ventricolo e successivamente dell'altro). Segue un intervallo più lungo del normale: la pausa compensatoria.
18. Ritmi anormali dovuti a patologie cardiocircolatorie
Ischemia e infarto miocardico
Quando si verifica una insufficiente irrorazione sanguigna del miocardio, questo deprime i suoi processi metabolici in quanto: c'è mancanza di ossigeno, si produce un eccesso ristagnante di anidride carbonica e il materiale nutritizio viene a mancare. In questi casi, dapprima il tessuto miocardico limita le proprie prestazioni (ischemia), ma se l'apporto di nutrizione si prolunga nel tempo si arriva alla morte del tessuto miocardico (infarto). In questi casi la ripolarizzazione delle membrane si verifica solo parzialmente o non si verifica più. Sul tracciato ECG l'infarto e l'ischemia sono caratterizzati da anomalie riguardanti le onde Q, i segmenti ST e le onde T.
In condizioni normali abbiamo onde Q molto piccole, che sono dovute alla depolarizzazione del setto interventricolare che si verifica da sinistra verso destra, quindi le forze elettriche sono in allontanamento dal ventricolo sinistro (la penna si muove verso il basso). Poiché il setto è sottile, le forze che si generano sono di breve durata (0,04 secondi) e di piccola ampiezza (profondità inferiore al 25% dell'altezza dell'onda R). In caso di miocardio infartuato, esso non produce potenziali elettrici, pertanto le forze elettriche che si dirigono verso l'elettrodo (e che producono movimenti della penna verso l'alto) sono molto ridotte o assenti. La zona non infartuata, in questo modo, ha un'attività più preponderante che tende ad allontanarsi dall'elettrodo, che quindi registra forti potenziali negativi, che si traducono in un'ampia onda Q. Un'onda Q significativa, indicante un probabile infarto, ha una durata maggiore di 0,04 secondi e/o una profondità maggiore di un quarto dell'ampiezza dell'onda R corrispondente.
L’ischemia produce un sottoslivellamento del segmento ST, associato talvolta all'inversione dell'onda T, il tutto dovuto ad anormalità nell'iperpolarizzazione.
Fibrillazione ventricolare
La fibrillazione ventricolare è causata da impulsi cardiaci che si scatenano all'interno del miocardio, che portano, dapprima all'eccitazione di una parte del miocardio e poi ad una continua e progressiva rieccitazione delle parti ventricolari che precedentemente erano state eccitate. In questo modo è impossibile che si verifichi una contrazione coordinata della massa cardiaca e questo impedisce che il sangue possa essere pompato in maniera opportuna. Le camere ventricolari non si riempiono, né si svuotano, rimanendo in uno stato di contrazione parziale. Il perdurare di questa condizione per un periodo superiore ai 4-5 secondi, a causa della mancanza di flusso ematico a livello cerebrale, porta alla perdita di coscienza; dopo pochi minuti i tessuti vanno in ischemia e sopraggiunge la morte. Il tracciato ECG della fibrillazione ventricolare è caratterizzato da complessi QRS organizzati, ma non c'è mai un ritmo regolare. nelle prime fasi del fenomeno, il miocardio tende a contrarsi in maniera simultanea, portando onde irregolari, dopo pochi minuti l'ECG mostra onde molto irregolari a basso voltaggio.
Asistolia
L'asistolia è un'eventualità più grave della fibrillazione, poiché quest'ultima è a volte espressione di un evento elettrico casuale e risulta compatibile con la vita se trattata immediatamente. L'asistolia invece si associa ad un danno miocardico massiccio, in questo caso nessun ritmo può essere generato o sostenuto dai ventricoli; si verifica quando l'attività fibrillatoria è insostenibile a causa del mancato apporto di sostanze che provvedano al nutrimento del miocardio. Il tracciato dell'ECG presenta solamente le onde P, mentre il resto del tracciato è una linea piatta, ciò indica ancora un'attività residua degli atri, ma una totale assenza di attività da parte dei ventricoli. È una condizione che determina, in breve tempo, arresto cardiaco e decesso molto rapido.
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