Gary Small e Gigi Vorgan, docenti al “Semel Institute di neuroscienza e di comportamento umano” alla Ucla University (California), sono gli autori del libro "iBrain", nella quale illustrano i risultati di una ricerca che ha messo a confronto un gruppo di "digital natives”, cioè di persone nati e cresciuti con il computer, l’iPod e la telefonia mobile, con un gruppo di “digital immigrants”, cioè persone che sono arrivate in ritardo a conoscere le nuove tecnologie.
Quando ad entrambi i gruppi è stato dato qualcosa da leggere su carta, si sono attivate le aree della corteccia cerebrale predisposte al linguaggio e alla lettura, e non c’era alcuna differenza tra la reazione dei due campioni. Ma quando si è passati a una ricerca online con Google, tutto è cambiato. Una volta preso il mouse e la tastiera fra le mani, le persone con già una buona esperienza di navigazione hanno subito attivato in modo massiccio la parte frontale del cervello, in particolare le aree che controllano la capacità di prendere decisioni e di ragionare in modo complesso, mentre la reazione del secondo gruppo di persone, non abituate all’uso del pc, è stata molto più lenta. Dopo una settimana di regolare uso di Internet, anche il gruppo meno abituato a effettuare ricerche online ha mostrato però lo stesso livello di attivazione cerebrale, a dimostrazione che l'adattamento può essere raggiunto in modo rapido ma mai allo stesso livello del gruppo primario.
Che cosa accade al cervello di un teenager che passa ore al giorno online? In quella fascia di età i lobi frontali non sono ancora completamente sviluppati, così come le capacità di giudizio e decisionali. Il cervello tuttavia si adatta alla necessità di analizzare velocemente numerosi informazioni e attuare decisioni rapide, migliorando la sua capacità di scegliere e filtrare in brevissimo tempo una grande quantità di informazioni. Inoltre i cervelli dei ragazzi sono più malleabili, plastici e disponibili ad adattarsi di quelli delle persone anziane, per nulla attratti da novità troppo complesse.
I risultati dello studio, il primo del suo tipo nello stimare l’impatto che l’utilizzo di internet può avere nelle prestazioni cerebrali, saranno presto pubblicati sul prossimo numero della rivista americana “Journal of Geriatric Psychiatry”. Come affermato da uno dei ricercatori, Dr. Gary Small, “I risultati sono incoraggianti, da questi emerge l’idea che le tecnologie computerizzate potrebbero avere un effetto psicologico potenzialmente benefico sia sui giovani che sugli adulti. Le ricerche su internet favoriscono l’attuazione di una attività cerebrale piuttosto complicata che potrebbe essere di aiuto a esercitare e migliorare le funzioni cerebrali. L’utilizzo delle tecnologie potrebbe dunque avere anche un ruolo favorevole nel ritardare quei cambiamenti a livello cellulare e tissutale che favoriscono la diminuizione, specialmente in età senile, delle facoltà mentali”.
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