Grazie a un innovativo strumento, sperimentato per la prima volta in Italia al Gemelli su pazienti ginecologiche, si studia un nuovo approccio mini-invasivo per operare senza lasciare brutti segni addosso. Un articolo, in uscita per la rivista internazionale "Fertility and Sterility", descrive il successo dei primi tre casi. Oggi l’approccio dei chirurghi è sempre più attento anche all’aspetto estetico e alla qualità della vita del paziente. Le tecniche endoscopiche, quelle che consentono di operare senza usare il bisturi attraverso piccole aperture praticate sulla cute, hanno preso sempre più piede, con conseguente miglioramento del controllo anche del dolore post operatorio. L’ultima frontiera di questo approccio si chiama tecnica mini-laparoscopica, che prende il suggestivo nome di Less (che in inglese significa “meno, ma è anche l’acronimo di Laparo - endoscopic single-site surgery, chirurgia laparoendoscopica attraverso un solo accesso). Meno tagli, e meno dolore, come spiega Giovanni Scambia, direttore del Dipartimento per la Tutela della salute della donna e della vita nascente del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma: “Utilizziamo uno strumento speciale, che attraverso un’unica apertura di circa un centimetro di diametro, riesce a inserire nel corpo della paziente sia una parte ottica - una minitelecamera che ci serve per vedere cosa stiamo facendo - sia gli strumenti necessari all’operazionè. L’aspetto di questo strumento è quello di un tubo trasparente di plastica morbida all’interno del quale è contenuto tutto il necessario perchè i chirurghi possano portare a termine l’operazione di volta in volta necessaria. Anna Fagotti, ginecologa dello stesso Dipartimento, è la prima firmataria di un articolo che sta per uscire sulla rivista internazionale Fertility and Sterility che descrive come la tecnica sia stata utilizzata in tre casi di donne sottoposte ad interventi per asportare cisti ovariche. “Dallo scorso gennaio che nel nostro Dipartimento abbiamo iniziato a sperimentare questa tecnica. Finora, oltre ai tre casi descritti nell’articolo, abbiamo operato altre patologie tubo-ovariche benigne, per un totale di circa una ventina di casi. Questa è la prima volta nel mondo che si usa questa tecnica in ambito ginecologico e finora la cosa che ci fa più piacere è che tutte le pazienti si sono dette molto soddisfatte dei risultati”, spiega Fagotti. Rispetto alle tecniche endoscopiche tradizionali, per le quali erano necessari tre o quattro “buchi”, grazie a questo nuovo strumento è possibile utilizzare un unico accesso, che di solito viene praticato attraverso l’ombelico: una cicatrice naturale che dunque garantisce un risultato estetico senza precedenti, oltre che un controllo eccezionale del dolore post operatorio. “Manca ancora una valutazione obiettiva e scientificamente solida di questo parametrò, spiegano ancora Scambia e Fagotti, “e noi ci stiamo lavorando. Ma dai dati che abbiamo raccolto sinora con le nostre pazienti, il dolore sembra decisamente meno e il recupero migliore. Appare ragionevole pensare, infatti, che la causa del dolore sia associata al numero di incisioni a livello peritoneale: visto che noi ne facciamo una sola, è senz’altro probabile che il dolore sia effettivamente inferiore che nelle pazienti operate con tecniche endoscopiche tradizionali e il recupero più rapido”.
FONTE: Agi.it Salute
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