Riassuntiva rassegna delle tecniche immunodiagnostiche più comunemente utilizzate in ambito immunologico. Per informazioni più precise consultare dei libri di testo quale l'Abbas o il Janeway o l'antichissimo ma sempre attuale Miserafi-Jirillo (che hanno fatto un pò da fonti ufficiali per scrivere questo post). Buona lettura.
1) DIALISI IN EQUILIBRIO: è un test utilizzato per determinare i valori di affinità fra un anticorpo e un antigene di piccole dimensioni (es: aptene) che può oltrepassare una barriera di dialisi. Con questo metodo si determina l’equilibrio delle concentrazioni dell’antigene legato e libero, a concentrazioni costanti di anticorpo. L’antigene viene fatto equilibrare fra due camere di cui una camera B contenente l’anticorpo che non può penetrare nella camera A laddove è contenuto l’antigene, mentre al contrario l’antigene contenuto nella camera A può superare la barriera e penetrare nella camera B legandosi all’anticorpo. Dopo un certo periodo sufficiente affinché si raggiunga l’equilibrio si potrà calcolare la quota di antigene legata all’anticorpo che risulta calcolata usando la differenza tra la concentrazione degli antigeni nelle due camere mentre la concentrazione libera di antigene è rappresentata dalla quantità di molecole antigeniche rimanenti nella camera A.
2) REAZIONE DI PRECIPITAZIONE: è una tecnica che utilizza la formazione di sedimento in una piastra su cui si dispone un substrato il quale corrisponde solitamente all’agarosio e in cui si scavano mediante punzone delle cavità (pozzetti di Petri). Questa tecnica si basa sulla creazione di precipitato visibile che si forma nella formazione di immunocomplessi per incontro fra antigene e anticorpo specifico per l’antigene esaminato. E’ stata la prima tecnica usata per verificare la produzione di anticorpi e per il dosaggio di Immunoglobuline ma la sua applicazione è attualmente molto ridotta e viene usata per misurare una quantità di anticorpo (in relazione a una quantità fissa di antigene) o per verificare la valenza di un antigene. Esistono due tipi di reazione di precipitazione in agarosio quali la diffusione semplice di Mancini – Carbonara – Heremans e la diffusione doppia di Outcherlony.
3) REAZIONE DI PRECIPITAZIONE SEMPLICE DI MANCINI-CARBONARA-HEREMANS: è una tecnica utilizzata per il dosaggio semiquantitativo delle immunoglobuline e dei fattori del complemento. Su di una piastra si pone l’agarosio miscelato ad anticorpi e si scavano nella piastra dei pozzetti periferici in cui si pongono gli antigeni da esaminare. Se per esempio si vogliono dosare le IgG seriche di un individuo, si effettua un prelievo di siero e in una piastra già contenente antisiero anti-IgG (cioè un siero presentante immunoglobuline espresse contro le IgG) si depositano nei pozzetti periferici delle quantità a concentrazione nota (standard) di IgG e in pozzetti contigui il siero in esame. La reazione fra antigene e anticorpo comporterà la formazione di precipitato di forma anulare attorno ai pozzetti. Misurando il diametro del pozzetto per mezzo di un oculare millimetrato e confrontandolo con la scala di taratura riferita per gli standard quantitativi si potrà risalire alla concentrazione di IgG del campione in milligrammi%.
4) REAZIONE DI PRECIPITAZIONE DOPPIA DI OUTCHERLONY: è una tecnica utilizzata per definire se due o più antigeni sono identici o simili e se possono reagire con l’anticorpo utilizzato. Su di una piastra di agarosio sono scavati una corona di pozzetti periferici e un pozzetto centrale. Nei pozzetti periferici viene posto l’antigene o gli antigeni in esame, mentre nel pozzetto centrale è posto l’anticorpo. Quando l’antigene e l’anticorpo si incontrano formano lungo la linea di incontro una banda di precipitazione visibile mascoscopicamente e abbastanza lineare. Se in due pozzetti contigui periferici si depongono due antigeni del tutto identici si avrà due linee di precipitazione inosculate fra loro (reazione di identità). Al contrario se gli antigeni sono dissimili i due archi di precipitazione si incroceranno a X (reazione di non-identità). Infine, se l’identità è parziale si avrà la formazione di un prolungamento dei segmenti (reazione di semi-identità).
5) IMMUNOELETTROFORESI: è una tecnica molto utilizzata per la diagnosi sierologica di paraproteinemia in individui con Mieloma Multiplo (IgG, IgA, IgD e IgE) o affetti da Macroglobulineamia di Walderstrom (IgM). La paraproteina è morfologicamente deformata per cui reagisce con una sola delle due catene leggere presenti nel siero (o la kappa o la lambda). La IEF si basa su due principi quali la capacità delle proteine di migrare se poste all’interno di un campo elettrico e la precipitazione fornita per incontro della proteina antigenica con la proteine anticorpale. Su di una striscia di acetato (o nitrato) di cellulosa oppure all’interno di un pozzetto scavato in un piastra coperta da agarosio, si pone una goccia di siero umano da analizzare e quindi tale striscia o piastra verrà sottoposta a un campo elettrico e infine si pone l’antisiero per provocare la precipitazione. Avvenuta la reazione si identifica la banda delle albumine posta vicino all’anodo e la banda più lenta delle gammaglobuline posta vicina al catodo.
6) REAZIONE DI EMOAGGLUTINAZIONE: è una tecnica che prevede la formazione di un immunocomplesso in cui l’antigene è di tipo corpuscolato quale ad esempio un eritrocita. Utilizzando una reazione con emazie di montone e IgM emolisine si osserva sul fondo dei pozzetti della piastra dei piccoli bottoncini colorati corrispondenti alle emazie intrappolate nella rete formata dalle IgM. Una variante è la Emoagglutinazione Passiva in cui l’antigene viene associate alle emazie le quali sono utilizzate come un sistema rivelatore. Tale variante può servire per svelare la presenza nel siero di anticorpi espressi nei confronti di batteri, funghi, protozoi o virus copulati con le emazie. Questo test è usato anche per determinare rapidamente il gruppo sanguigno di un paziente donatore o ricevente sangue AB0: si ha l’agglutinazione a causa dell’espressione di anticorpi anti-A o anti-B. La reazione dimostra che ogni immunoglobulina presenta almeno due siti identici per legare l’antigene poiché durante questa aggregazione si ha un cross-linking delle cellule del sangue a causa del legame simultaneo di anticorpi e antigeni identici presenti su cellule differenti.
7) REAZIONE DI EMOLISI PASSIVA: è una tecnica che utilizza lo stesso principio della emoagglutinazione, prevede l’aggiunta al sistema di fattori del complemento, si ha cioè una fissazione del complemento (o deviazione del complemento) che, attivandosi a causa della formazione dei complessi antigene-anticorpo, provoca la lisi degli eritrociti utilizzati per marcare l’antigene considerato nella reazione.
8) TEST DI COOMBS: è una tecnica scoperta e sviluppata da Robert Coombs e utilizzata per la diagnosi di incompatibilità materno-fetale del fattore Rh (Fattore Rhesus). Questa reazione si verifica quando la madre possiede globuli rossi Rh- mentre il feto possiede globuli rossi Rh+ a causa del gene ereditato dal padre. La prima gravidanza comporta la penetrazione in circolo dei globuli rossi del feto e l’espressione di antigeni verso il fattore Rh+ del feto da parte delle plasmacellule della donna gravida, tuttavia solitamente la prima gravidanza viene portata a termine prima che gli anticorpi espressi possano causare danni al feto. La seconda gravidanza comporta la penetrazione di eritrociti e l’immediata reazione immunitaria da parte del sistema immunitario materno già sensibilizzato da cui si ha una lisi dei globuli rossi del feto (Eritroblastosi fetale) e danni che vanno dall’ittero emolitico alla morte per idrope o anasarca fetale. Esistono due tipi di Test di Coombs: diretto e indiretto. Il test diretto è una reazione in cui i costituenti sono rappresentati dalle emazie fetali e da un antisiero anti-gamma globuline che provocherà l’agglutinazione del sistema, è chiamato diretto poiché si pone in evidenza direttamente gli anticorpi legati alla superficie degli eritrociti. Nel test indiretto il siero della madre è incubato in presenza di globuli rossi Rh+ ai quali si aggiunge in seguito l’antisiero anti-gammaglobuline umano. L’agglutinazione svelerà nel siero materno la presenza di IgG anti emazie Rh. Le IgG anti Rh non fissano il complemento ma in vitro possono causare lisi cellulare. Normalmente le IgG materne penetrano nel feto attraverso la placenta per fornire protezione. Il test di Coombs è stato di recente utilizzato anche per valutare l’eventuale attività emolitica di un farmaco verso il siero di un paziente e quindi la possibile reazione immunitaria alla somministrazione del farmaco.
9) REAZIONE IMMUNOENZIMATICA ELISA: è una tecnica che prevede l’evidenziazione dell’immunocomplesso attraverso l’aggiunta di un enzima che agisce con un substrato. ELISA è una sigla che sta per “Enzyme Linked Immuno Sorbent Assay”. E’ una tecnica abbastanza diffusa, fu utilizzata all’origine come test di identificazione e attualmente è utilizzata per varie applicazioni fra cui il dosaggio di citochine nei liquidi biologici e per la diagnostica di virus HIV. L’avvento degli anticorpi monoclonali, con la possibilità di ottenere l’antigene e l’anticorpo altamente purificati, hanno reso la reazione immunoenzimatica più sensibile e più specifica. Il test ELISA si presta a numerose variazioni e rappresenta la tecnica sierologica più versatile.Solitamente gli enzimi usati per la reazione di evidenziazione sono la fosfatasi alcalina o la perossidasi, i cui prodotti di reazione sono visibili colorimetricamente attraverso uno spettrofotometro che ne misura la velocità di formazione. L’antigene da svelare viene coniugato a un supporto e lasciato incubare con un anticorpo specifico. A questo punto si aggiunge l’antigene noto coniugato all’enzima e infine il substrato. Se la reazione è positiva significa che l’anticorpo ha reagito con l’antigene coniugato al pozzetto e quindi il complesso antigene-enzima non avendo reagito con l’anticorpo specifico è in grado di attaccarsi al substrato e dare luogo al prodotto della reazione. Al contrario se l’antigene da svelare non reagisce con l’anticorpo, quest’ultimo si legherà all’antigene coniugato all’enzima e quindi il substrato non viene a essere fissato avendosi così una reazione negativa. Il limite di questa tecnica consiste nella impossibilità di misurare quantitativamente un anticorpo o un antigene non conosciuto ma vi è la necessità dell’uso di molecole purificate da associare all’enzima.
10) REAZIONE RADIOIMMUNOLOGICA RIA: è una tecnica che consente il dosaggio di numerose sostanze e sono di largo impiego in medicina per il dosaggio di ormoni e nel settore immunologico per la determinazione di citochine nel siero, nel plasma o nel liquor. La metodica RIA si fonda sul concetto della competizione esistente per l’anticorpo specifico fra l’antigene radiomarcato e l ‘antigene freddo. Gli anticorpi vengono solitamente marcati con isotopo di iodio radioattivo 125 I. Il limite di questa tecnica consiste nella impossibilità di misurare quantitativamente un anticorpo o un antigene non conosciuto ma vi è la necessità dell’utilizzo di molecole purificate.
Il RIST (Radio Immuno Sorbent Test) è usato per la determinazione delle IgE totali nel siero del paziente. I reagenti sono costituiti da anticorpi anti-IgE legati a palline di Sephadex (il nome commerciale di un destrano), IgE del campione e IgE standard marcate. A causa della competizione per il sito di legame, maggiore sarà la radioattivita in cpm dovuta alla fissazione delle IgE marcate al sephadex e minore sarà la concentrazione sierica delle IgE.
Il PRIST (Paper Radio Immuno Sorbent Test) si basa sulla associazione di anticorpi anti-IgE a dischetti di carta su cui si aggiungono le putative IgE contenute nel campione. Si lavano i dischetti per allontanare l’eccesso di IgE non legate e quindi si aggiunge un anticorpo anti-IgE radiomarcato. Quest’ultimo si fissa alle IgE del complesso anti-IgE-IgE e quanto maggiore sarà la radioattività tanto maggiore sarà la concentrazione delle IgE nel campione. E’ usato per il dosaggio delle IgE totali.
Il RAST (Radio Allergo Sorbent Test) è utilizzato per la ricerca di IgE specifiche nei confronti di quel determinato allergene. L’allergene in questione è copulato al sephadex e a questo si aggiunge il siero del paziente. Le IgE legatesi all’allergene sono messe in evidenza con anticorpi anti-IgE radioattivi. E’ usato per il dosaggio delle IgE specifiche.
11) METODICA DI PREPARAZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI: si fonda sulla reazione fra antigeni purificati e cellule immunocompetenti dalle quali si desiderano ottenere anticorpi specifici. La procedura fu scoperta da Kohler e Milstein, si basa sulla formazione di un ibrido cellulare derivante dalla fusione di linfociti splenici di topi immunizzati con un determinato antigene e cellule mielomatose . Queste ultime hanno capacità di replicarsi all’infinito in vitro (poiché sono cellule neoplastiche che hanno perso i fattori di controllo della replicazione cellulare), non secernono anticorpi (per scelta specifica, poiché normalmente le cellule mielomatose producono una grande quantità di anticorpi) e non possiedono l’attività di un enzima, la molecola HGPRT (Ipoxantina-Guanina-FosfoRibosil-Trasferasi). Le cellule spleniche immunizzate vengono messe a contatto con le cellule mielomatose e in presenza di glicol-polietilenico che favorisce la fusione e la formazione di ibridi cellulari. A fusione avvenuta gli ibridi vengono coltivati in terreni contenenti ipoxantina, timidina e aminopterina (un antifolico che blocca l’attività del tetraidrofolato e conseguentemente ferma la capacità di sintesi di purine e pirimidine endogene da parte delle cellule mielomatose) formando così il cosiddetto terreno HAT. Poiché le cellule mielomatose non hanno l’enzima trasferasi HPRT, non possono utilizzare la ipoxantina del terreno per produrre purine e dunque accrescere il proprio DNA se non si fondono con le cellule spleniche dotate invece degli enzimi necessari. Gli ibridomi sopravvissuti vengono clonati in singoli pozzetti di una micropiastra e i pozzetti contenenti anticorpi monoclonali vengono saggiati con metodi immunoenzimatici per determinare la specificità verso l’antigene di partenza. I pozzetti contenenti gli ibridi desiderati vengono a essere poi propagati in vivo o studiati in vitro in agar semisolido. Per ottenere anticorpi monoclonali su larga scala i cloni possono essere iniettati per via intraperitoneale in topi singenici in modo che formino asciti tumorali. Ogni ibridoma è un clone derivato dalla fusione di cellule B così tutte le molecole anticorpali che produce sono identiche nella struttura, incluso il sito di legame. Gli anticorpi monoclonali vengono attualmente usati in moltissimi saggi diagnostici, come sonde diagnostiche o come agenti terapeutici, tuttavia la stessa tecnica applicata nei mielomi umani non ha ancora dato risultati soddisfacenti.
12) TECNICA DI IMMUNOFLUORESCENZA (DIRETTA, INDIRETTA, SANDWICH): con questa tecnica gli anticorpi sono legati con legame covalente ai fluorocromi che sono sostanze dotate della proprietà di emettere, quando siano esposti a raggi ultravioletti, radiazioni della lunghezza d’onda superiore e compresa nello spettro visibile, quindi luce. I siti colorati dai fluorocromi sono resi visibili impiegando un microscopio a fluorescenza. I fluorocromi si legano facilmente alle proteine nella forma di isotiocianato. I fluorocromi più usati sono la fluoresceina (FITC) che emette una fluorescenza verde, la rodamina tetrametilata (TRITC) o la ficoeritrina (PE). E’ possibile anche usare più fluorocromi contemporaneamente. E’ opportuno specificare che il legame deve lasciare la reattività anticorpale immutata.
Nel metodo di immunofluorescenza diretta viene impiegato un anticorpo coniugato al fluorocromi e questi si lega all’antigene cellulare ricercato. Se si impiegano cellule non fissate esso può reagire solo con i determinanti di superficie della cellula. Con questa tecnica è ad esempio possibile identificare facilmente tutte le immunoglobuline espresse alla superficie di una membrana di un linfocita B. Per evitare una falsa colorazione positiva imputabile a un legame dell’anticorpo fluorescente con il recettore Fc dei linfociti è preferibile impiegare in tal caso soltanto i frammenti Fab, ottenuta dopo digestione pepsinica degli antisieri. E’ posibile mettere in evidenza antigeni citoplasmatici solo previa fissazione delle cellule, ad esempio in acetone.
Nel metodo di immunofluorescenza indiretta viene impiegato un anticorpo marcato e espresso come controanticorpo di un anticorpo che a sua volta si lega all’antigene ricercato. Il merito di questa tecnica è che viene emessa una luce più forte e quindi la determinazione sarà più precisa. E’ possibile ad esempio usare questa tecnica per individuare gli anticorpi rivolti contro antigeni di microrganismi.
Nel metodo della immunofluorescenza a sandwich si osserva una reazione che vede un antigene posto a rapporto con due anticorpi fluorescenti. Tale metodo consente di mettere chiaramente in evidenza la presenza di un antigene citofilo cioè legato a una cellula, con tale metodo si ottiene anche un modo per visualizzare i componenti complementari che si adsorbono alla superficie di una cellula.
La tecnica di immunofluorescenza può essere resa almeno 5 volte più sensibile mediante l’uso del complesso avidina-biotina che determina un incremento del numero di legami formabili fra anticorpo e antigene da visualizzare.
13) CITOFLUORIMETRIA A FLUSSO: la citofluorimetria a flusso è una tecnica analitica che consente di analizzare in maniera piuttosto precisa delle soluzioni contenenti un gran numero di elementi cellulari, quali ad esempio il sangue, o un qualsiasi tessuto non sia allo stato stazionario. Permette inoltre di ottenere informazioni relative a dati quali il volume cellulare, il numero di cellule o il numero di antigeni riscontrati.
I citofluorimetri sono degli strumenti che risultano composti un laser e da un FACS, cioè un separatore di cellule attivate in fluorescenza. Un FACS è costituito da un’apparecchiatura in cui le cellule fluorescenti sono disposte in un flusso a piccole goccioline, queste sono forzate ad attraversare un raggio laser dove la luce eccita la sostanza fluorescente che fornisce un segnale maggiore o minore in rapporto alla quantità di anticorpo legato. Le cellule vengono analizzate elettronicamente in base alla deviazione della luce che è in rapporto alla grandezza cellulare e all’intensità della fluorescenza emessa dal fluorocromi. Essere sono caricate elettricamente in un campo elettrico ad alto voltaggio e passando attraverso idonee piastre di deflessione sono separate secondo la fluorescenza posseduta dalle cellule incolori.
14) TECNICA DI IMMUNOPEROSSIDASI DIRETTA, INDIRETTA, PAP: è una tecnica che si basa sull’utilizzo di un enzima perossidasi che coniugato all’anticorpo è in grado di determinare un cambiamento del colore del campione biologico reagendo con un substrato incolore e solubile, trasformandolo in tal modo in un precipitato colorato e insolubile, visibile al microscopio. Per impedire la comparsa di falsi positivi la perossidasi endogena della cellula deve essere previamente eliminata mediante l’utilizzo di una soluzione di perossido di azoto e metanolo. I metodi possono essere diretti o indiretti oppure a tre strati (pap). E’ possibile localizzare contemporaneamente più di un antigene perché la perossidasi è capace di utilizzare più di un substrato. Per esempio è possibile individuare due molecole di natura ormonale in una sezione di tessuto tramite l’uso di due substrati quali la 3-3’-diaminobenzidina (arancione) e naftolo (blu).
15) IMMUNOMICROSCOPIA ELETTRONICA: tecnica che prevede un’analisi molto particolareggiata della struttura cellulare tramite l’utilizzo di un microscopio elettronico avente un potere di risoluzione molto elevato e tramite l’uso di coloranti che sono costituito da molecole grandi e elettrondense quali la ferritina o l’oro colloidale. Tali molecole sono legate ad anticorpi rendendo questa tecnica disponibile a mettere in evidenza praticamente qualsiasi tipo di molecola. Come solito, è possibile impiegare sia un metodo diretto che un metodo indiretto. La ferritina è una proteina di 700kD con un contenuto in ferro del 23% quindi adatta allo scopo. L’oro colloidale sono messe in evidenza al meglio mediante la precipitazione di sali di argento metallico. Usando marcatori diversi è possibile mettere in evidenza più di un antigene a causa della comparsa di una maggior elettrondensità del punto in cui avviene la precipitazione.
16) MICROLINFOCITOTOSSICITA’: è una reazione che viene impiegata per la identificazione sierologia delle specificità HLA sia di classe 1 e sia di classe 2 (soprattutto DR e DQ). Nel caso delle MHC-2 è opportuno attuare una aggiunta di colonne di nylon per permettere ai linfociti di aderire meglio. Il principio di reazione si basa sul fatto che gli allo anticorpi anti-hla sono citotossici in presenza di complemento per i linfociti che esprimono sulla membrana cellulare lo specifico antigene hla. Questo test prevede appunto una reazione che viene in seguito osservata al microscopio invertito a contrasto di fase dopo aggiunta di particolari coloranti quali esosina o trypan blue che permettono di colorare cellule non vitali. Reazioni fortemente positive si riscontrano a causa di una mortalità cellulare dall’80% fino al 100%.
17) TECNICA DI JERNE DELL’EMOLISI A PLACCHE (DIRETTA E INDIRETTA): tecnica ideata da Jerne all’inizio degli anni ’60, il quale ebbe il merito di mettere a punto una tecnica semplice e facilmente riproducibile che consente di valutare la cinetica delle risposte anticorpali a livello cellulare identificando e numerando le singole cellule che producono gli anticorpi in un determinato organo linfoide. La tecnica di Jerne è una tecnica di emolisi localizzata in gel che permette di rilevare gli anticorpi nella loro fase di secrezione in vitro quando essi ritrovano ancora attorno alle plasmacelulle che li hanno prodotti . In questa tecnica le cellule tratte da un tessuto linfoide periferico e immunizzate verso gli antigeni di una cellule (es. emazie di montone) vengono dissociate dal tessuto di origine e mescolate in agarosio fuso a 45° Celsius alle stesse emazie usate per causare l’immunizzazione primaria. Dopo poco la sospensione cellulare viene versata rapidamente su piastra di Petri e si lascia solidificare l’agarosio fino a raggiungere una temperatura di 37° la quale favorisce dopo qualche ora la comparsa degli anticorpi che diffondendo in modo radiale e fissandosi sulle cellule bersaglio causeranno la sintesi di “Placche di Emolisi” ben visibili sul manto di cellule eritrocitarie. L’aggiunta di complemento provoca la lisi localizzata visibile come un alone chiaro di circa mezzo millimetro (PFC Claque-Forming Cell). Il numero di PFC corrisponde al numero delle cellule che producono anticorpi in un dato organo. Questo numero aumenta rapidamente dopo l’immunizzazione e raggiunge valori massimi nel topo dopo quattro giorni dall’immunizzazione primaria. Si può facilmente dimostrare con tale tecnica che ogni cellule produce Ig di una sola specificità isotipica, allotipica e idiotipica. Possono essere utilizzati per l’immunizzazione anche antigeni solubili adsorbiti alla superficie delle emazie che svolgono il ruolo di segnalatori. Usando antigeni solubili si può inibire la comparsa di placche aggiungendo al sistema l’antigene non legato alle emazie. Si può in tal modo studiare l’avidità dell’anticorpo che è in rapporto inversamente proporzionale alla quantità di antigene necessario per inibire il 50% delle placche. Esistono numerose varianti della tecnica di Jerne, per esempio è possibile riempire con la miscela delle sottili camere dette “Camere di Cunningham” costituite da due vetrini portaoggetti sovrapposti e saldati ai lati con paraffina. La tecnica di JHerne classica è detta diretta perché mette in evidenza le cellule che sintetizzano IgM la quale è la classe di anticorpi dotata di più alta efficienza emolitica. Tuttavia tramite la Tecnica di Jerne “Indiretta” si possono evidenziare anche le cellule che producono le altre classi di immunoglobuline dotate di più bassa efficienza emolitica e che formano placche di emolisi solo indirettamente dopo l’aggiunta in vitro di anticorpi anti-immunoglobulina : si ottiene cosi l’effetto di aumentare il numero di molecole anticorpali che si legano a ciascun sito dell’emazia, perché per esempio aggiungendo anticorpi anti-Ig di coniglio si creano degli immunocomplessi che favoriscono l’instaurarsi della citolisi.
18) ROSETTAZIONE E, ME, EA, EAC: una rosetta è un linfocita alla cui superficie abbiano aderito almeno 3 emazie. Le tecniche di rosettazione sono state fra le prime utilizzate al fine di ottenere la valutazione di singole popolazioni o sottopopolazioni leucocitarie in un campione biologico. I linfociti possono aderire direttamente alle emazie di montone (Rosette E), oppure direttamente alle emazie di topo (Rosette ME), oppure possono aderire dopo produzione di anticorpi diretti contro le emazie eterologhe (Rosette EA) e infine possono aderire tramite anticorpi e complemento (Rosette EAC).
La rosettazione si verifica mettendo a stretto contatto i linfociti con le emazie mediante centrifugazione e dopo un opportuno periodo di incubazione.
La rosetta E si forma poichè sulle emazie di monte vi è la presenza di un ligando, l’LFA-3 che si lega al recettore CD2 dei linfociti T e B. Questa tecnica era usata un tempo per individuare i linfociti T, tuttavia si osservò come in tal modo venivano isolate anche le cellule NK che presentano anch’esse il CD2.
La rosetta ME si forma perché sull’eritrocita di topo c’è un ligando che viene riconosciuto da un recettore posto sulla membrana dei linfociti B. Un tempo veniva usata per individuare appunto i linfociti B dal resto delle cellule, tuttavia si osservò come soltanto i 2/3 circa degli elementi cellulari venivano effettivamente legati.
La rosetta EA e EAC possono essere usate per studiare i recettori di membrana per le immunoglobuline (Fc) e i recettori di membrana per i componenti del complemento (CR1, CR2, CR3, CR4). Sensibilizzando emazie di bue con dosi subagglutinanti di IgG anti-emazie di bue, si ottengono rosette EA per un legame del complesso emazia-IgG al recettore dei linfociti per il frammento Fc delle IgG. Tale recettore è localizzato su cellule quali i linfociti T suppressor, i linfociti B e i linfociti NK, oltre che neutrofili e monociti/macrofagi. Usando invece anticorpi IgM anti-emazie di bue per sensibilizzare le emazie si possono mettere in evidenza i recettori Fc per le IgM che sono possedute da una sottopopolazione di linfociti T helper e dai linfociti B. I recettori per frazioni del complemento vengono messe in evidenza con le rosette EAC e si osserva come i linfociti B possono essere studiati per la presenza nella loro membrana dei recettori CR1 e CR2, mentre il recettore CR3 è presente in una sottopopolazione di linfociti T e sulle cellule NK, oltre che sui neutrofili e sui monociti/macrofagi.
19) TECNICA DI IMMUNIZZAZIONE IN VITRO DI MICHELL-DUTTON PER LINFOCITI B: tecnica messa a punto alla fine degli anni ’60 e che permette di studiare più fedelmente la risposta dei linfociti B ad un antigene e la loro attivazione. La tecnica si basa sull’immunizzazione primaria in vitro con emazie di montone di colture di cellule spleniche murine dissociate dal tessuto di origine e mantenute in coltura in alta densità e in opportune condizioni sperimentali. L’anticorpopoiesi è valutata con questo sistema sperimentale tramite la tecnica delle placche di Jerne e raggiunge i valori massimi dopo 4-5 giorni dall’aggiunta dell’antigene. Con tale tecnica si è osservato per esempio che per una risposta immunitaria primaria è necessario che nella coltura vi sia anche la presenza di linfociti T cooperanti Helper e di cellule presentanti l’antigene quali i macrofagi. Con tale metodo è stato possibile anche attuare uno studio relativo all’attività immunomodulante di certi farmaci o di certi ormoni.
20) TECNICA DI IMMUNIZZAZIONE IN VITRO DI LINFOCITI B UMANI DI MISITI-HOFFMANN-WALDMAN: è una tecnica che si rifà sostanzialmente alla tecnica di Michell e Datton, tuttavia in questo caso vengono utilizzati linfociti prelevati dal sangue umano periferico e viene indotta una risposta immunitaria contro le emazie di montone ottenendo una anticorpopoiesi che raggiunge i valori massimi dopo circa 7 giorni.
21) TECNICA DI HOFFMAN CON MODULAZIONE DEI LINFOCITI T TRAMITE CONCANAVALINA A: è una tecnica che si rifà sostanzialmente alla tecnica di Michell e Dutton, laddove tuttavia è possibile studiare aspecificatamente la risposta immunitaria espressa grazie all’uso di sostanze mitogeniche. Ad esempio, Hoffmann ha osservato che mediante l’uso di Concanavalina A a dosi ridotte (submitogeniche) era possibile osservare una attivazione soprattutto dei linfociti T Helper, mentre utilizzando lo stesso mitogeno a dosi elevate (sopramitogeniche) si osservava una risposta che attivava soprattutto linfociti T soppressori.
22) REAZIONE LEUCOCITARIA MISTA: più che una tecnica, in tal caso parliamo di un fenomeno che si verifica fra leucociti isto-incompatibili appartenenti a due diversi soggetti e che vengono mescolati in vitro. In tal caso si osserverà una vera “guerra civile” con i linfociti dell’uno che agiranno contro gli altri e viceversa, a causa della presenza di antigeni transmembranari (soprattutto le molecole MHC di classe 2) che risultano essere reciprocamente immunogeni. Al fine di ottenere una reazione che consenta una valutazione corretta dell’attivazione dei linfociti T, è possibile utilizzare una MLR unidirezionale, cioè si procede a inattivare una delle due popolazioni in studio tramite l’uso di irradiazione o mediante Mitomicina C che blocca la proliferazione. Quindi in questo caso si avrà una popolazione “stimulator” e una popolazione “responder”. La tecnica MLR viene utilizzata per attuare una tipizzazione tissutale cioè per definire la specificità HLA delle cellule di un tessuto e di conseguenza la istocompatibilità. E’ opportuno specificare che in determinate condizioni è possibile evocare persino una MLR autologa, se per esempio vengono fatt proliferare linfociti T in vitro con linfociti B e monociti autologhi.
23) TECNICA DI TIPIZZAZIONE TISSUTALE: è una tecnica che viene attuata utilizzando linfociti di specificità nota, irradiati o tratati con mitomicina, e provenienti da soggetti che hanno ereditato lo stesso allele da ciascun genitore, cioè allo stato omozigote. Essi saranno riconosciuti in coltura dai linfociti T che non possiedono quell’allele (e vale anche per le cellule responder in eterozigosi per quell’allele) e vanno quindi incontro ad attivazione. La tipizzazione per antigeni HLA-DP viene eseguita generalmente a mezzo di colture miste secondarie (PLT) che utilizzano come cellule responder linfociti con identica combinazione di antigeni DR e DQ e già stimolati nel corso di una reazione primaria da un antigene DP incompatibile.
24) TECNICA DI REAZIONE CITOTOSSICA IN VITRO: praticamente è analoga alla tecnica basata sul fenomeno MLR con la differenza che in questo caso si sviluppa una reazione di citotossicità mediata dai linfociti T CD8 che riconosceranno come immunogeni soprattutto gli alleli del complesso HLA-A, B, C. Si valuterà l’effetto citotossico tramite l’uso di Cromo 51 (che viene aggiunto al sistema sottoforma di sale e che penetra all’interno delle cellule) che viene rilasciato dalle cellule in caso di lisi cellulare, si confronta quindi la quantità effettivamente rilasciata dallo scatenarsi della reazione immunitaria citotossica rispetto alla massima quantità potenzialmente riscontrabile.
25) TECNICA DI PRECIPITAZIONE FRAZIONATA: con questo termine ci si riferisce ad un insieme di tecniche che venivano usate in passato per ottenere dei precipitati da cui ricavare le molecole anticorpali. Le proteine possono essere fatte precipitare se trattate con acidi forti, con Sali di metalli pesanti, con solventi disidratanti come gli alcoli o l’acetone. La precipitazione frazionata con Sali sfrutta la diversa solubilità delle proteine in funzione della forza ionica delle soluzione. I Sali più usati sono i solfati di ammonio, di sodio e di zinco. Mettendo in contatto una miscela di proteine con determinate concentrazioni di questi Sali e operando a basse temperature per evitare processi di denaturazione si ottiene la precipitazione di alcune proteine e non di altre. Le proteine precipitate possono esser quindi ottenute mediante centrifugazione e successiva dialisi volta a eliminare i Sali impiegati. Ad esempio le globuline del siero possono essere separate dall’albumina mediante trattamento con ammonio solfato al 50% di saturazione: le globuline precipitano mentre l’albumina resta in soluzione. Un tempo si usava anche attuare una precipitazione delle proteine con soluzioni alcoliche quale ad esempio etanolo ma si tratta di un metodo molto grossolano anche se in passato molto usato.
26) TECNICA DI CROMATOGRAFIA: con il termine cromatografia si indica un gruppo di procedure di separazione che hanno in comune la ridistribuzione delle molecole di una miscela tra una fase stazionaria e una fase mobile che attraversa la fase stazionaria, la quale determina un rallentamento delle molecole presenti nella soluzione mobile consentendone la separazione. La fase stazionaria può essere una resina o dei gel di cellulosa che vengono poste dentro una colonna e che vengono attraversate da una soluzione detta “Eluente”, la quale viene analizzata da un fotometro a lettura continua che consente di valutare l’assorbanza a 280 nanometri (banda del triptofano) dell’eluato ottenendo cosi un parametro di valutazione della concentrazione proteica nell’eluato. Il dispositivo prevede anche un collettore di frazioni automatico e programmabile che permette di porre in recipienti separati le diverse frazioni proteiche presenti nell’eluato mentre queste scendono eluite dalla colonna. Le tecniche di cromatografia vengono attualmente usate per il dosaggio di Ig che siano polivalenti e multimeriche quindi a elevato peso molecolare, quali ad esempio le IgM o le IgA.
La cromatografia “a scambio ionico” si basa sull’impiego di sostanze chiamate “anfotere” che determinano un legame reversibile di tipo ionico con le molecole presentanti delle cariche elettriche. Variando la forza ionica e il pH di una soluzione tampone che attraversa nuovamente l’eluato si ottiene una eluzione delle frazioni molecolari.
La cromatografia “con gel di destrano-sephadex” le molecole vengono separate in base alle differenti dimensioni grazie a una fase stazionaria determinata da un reticolato di molecole destrano (“Sephadex” è il nome commerciale) che crea una porosità molto elevata.
La cromatografia “per affinità” è un’altra variante che prevede l’uso di un gel quale il “Sefarosio” che sia legato a delle molecole in grado di catturare alcune sottoclassi di molecole anticorpali, ad esempio alle molecole di sefarosio vengono legate le proteine A di stafilococco che in tal modo permettono di intercettare le IgG di classe 1, 2 e 4, tralasciando tutte le altre. La proteina A si lega al sefarosio solo se trattata con un agente quale il bromuro di cianogeno (CNBr2) il quale è un potente attivatore.
27) ULTRACENTRIFUGAZIONE: tecnica che consente una separazione delle particelle basandosi sulla massa e sulla differente velocità di precipitazione qualora sottoposte a ultracentrifuga a 50000 G e successiva precipitazione in soluzione di saccarosio che crea un gradiente di galleggiamento. La velocità è espressa in Svedberg.
28) NEFELOMETRIA LASER: tecnica che prevede una analisi tramite laser di una soluzione nella quale si crea una certa “torbidità”, cioè perde trasparenza, a causa della formazione di immunocomplessi. La trasformazione di un liquido da trasparente a torbido a causa della sintesi di immunocomplessi prende il nome di “Fenomeno di Tyndhall”. Il laser analizza una radiazione luminosa a lunghezza d’onda prestabilita e sincronizzata. Con questa tecnica è possibile analizzare immunocomplessi formati da tutte le classi anticorpali eccetto le IgE che non sono dosabili con tale tecnica. Brevità di esecuzione e alta precisione rendono questa una delle tecniche migliori.
29) IMMUNOBLOTTING O WESTERN BLOT: è una tecnica che consente di identificare particolari antigeni in una miscela di proteine che sono state separate fra loro con metodi fisici e trasferite su una membrana in genere di nitrocellulosa. Il metodo viene impiegato per la diagnostica delle infezioni da Hiv e per numerose altre applicazioni. La procedura prevede la separazione elettroforetica della particelle tramite una elettroforesi in gel di poliacrilammide e previo uso di sodio dodecil solfato per neutralizzare i punti isoelettrici, quindi si attua un trasferimento delle molecole su fogli di nitrocellulosa dove costituiscono delle macchie (blotting), tali fogli sono suddivisi in strisce larghe circa 3 millimetri e su ciascuna striscia vengono posti gli anticorpi che costituiscono immunocomplessi con i relativi antigeni da studiare. Le strisce sono quindi lavate con soluzioni tamponate al fine di allontanare le proteine non legate in immunocomplessi e vengono quindi trattate con anticorpi anti-immunoglobline marcati con perossidasi. Si sviluppa quindi una reazione per la perossidasi. Si nota una banda colorata in corrispondenza di ciascuna frazione proteica con la quale hanno reagito gli anticorpi. L’immunoblotting viene impiegato per discriminare eventuali anticorpi diretti contro contaminanti cellulari delle preparazioni di virus impiegati nella diagnostica di screening e di identificare i diversi antigeni virali contro cui si ha una risposta anticorpale.
30) TECNICA DEL SOUTHERN BLOT: è una tecnica inventata da Southern negli anni ’70 ed è stata utilizzata con successo per la studiare la sequenza di numerosi frammenti di DNA e ottenere informazioni relative alla posizione e alla struttura dei geni. Si può dire che costituisce uno dei successi che ha aperto la strada all’avvento della biologia molecolare e allo studio del genoma umano. La tecnica è composta da più passaggi. Il DNA del quale si intende individuare e analizzare un determinato gene viene trattato con uno o più enzimi di enzimi di restrizione, la miscela di frammenti ottenuta viene applicata su di un gel (per esempio su di un manto di agarosio) in modo che i frammenti si separino tra loro in base alle loro dimensioni. I frammenti di DNA separati sono poco utilizzabili perché il gel è fragile e poco maneggevole. Si trasferisce il DNA dal gel su di un foglietto di una membrana di nitrocellulosa o di nylon. Questo processo di trasferimento (che costituisce il Southern blot in senso stretto) sfrutta la capillarità della soluzione tampone che attua un flusso dalla bacinella verso gli strati di nitrocellulosa, trascinando con se i frammenti di DNA dal gel stesso sulla membrana e legandosi a questa. E’ da notare che le posizioni reciproche dei frammenti (determinate nel gel dalle dimensioni di ciascun frammento) rimangono le stesse dopo il trasferimento sulla membrana rispetto al gel. Una volta ottenuto il trasferimento, si ottiene un frammento di Dna complementare al gene o a parte del gene che intendiamo individuare e analizzare, tale frammento viene manipolato con tecniche opportune (quale la più popolare prende il nome di “nick traslation”) e che consentono di introdurre nella struttura del Dna delle molecole di fosforo radioattivo. Il frammento marcato di DNA è denominato sonda. A questo punto si attua una reazione di ibridizzazione tra frammenti di Dna trasferiti sulla membrana e la nostra sonda radioattiva, tra i tanti frammenti la sonda marcata si “ibridizzerà” solo con il frammenti o i frammenti a lui complementari. Dopo aver rimosso l’eccesso di sonda con opportuni lavaggi sulla membrana rimane legata solo la sonda specificatamente ibridizzata al nostro gene. Basta mettere le membrane a contatto con una lastra per autoradiografia che verrà impressionata dall’emissione di particelle radioattive della sonda dando quella che viene detta banda di ibridizzazione e in questa maniere possiamo sapere se il DNA esaminato ha quel determinato gene, oltre che il numero e le dimensioni dei frammenti generati in quel gene dal trattamento con un determinato enzima di restrizione.
31) TECNICA DEL NORTHERN BLOT: analoga alla Southern, sfrutta gli stessi principi e ha la caratteristica di essere applicata per lo studio delle sequenze RNA. Vale la pena ricordare che non esiste alcun dottor Northern, ma il termine è stato coniato per sottolineare il semplice contrasto fra le due tecniche. Anche per il Northern l’acido nucleico viene separato dall’RNA cellulare e purificato mediante frazionamento in gel con elettroforesi, la purificazione richiede precauzioni data la presenza ubiquitaria di RNAsi che degradano rapidamente le sequenze. Sono state quindi sviluppate metodiche più rapide in cui il lisato cellulare viene legato direttamente, senza impiego di elettroforesi, a una membrana di nitrocellulosa o nylon per poi essere ibridizzato con una sonda di interesse (metodo DOT o SLOT BLOT).
32) IBRIDAZIONE IN SITU: tale tecnica consente di identificare la presenza di un dato mRNA in cellule singole mantenendo l’integrità della cellule o dei tessuti Si utilizzano sonde di DNA o RNA complementari all’mRNA che si intende studiare marcate con un radioisotopo, la sonda viene fatta interagire con la sezione istologica del tessuto o con la preparazione cellulare su vetrino, dopo lavaggi appropriati gli eventuali trascritti presenti verranno identificati mediante autoradiografia.
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