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02 settembre, 2008

Il lenalidomide nuova arma per la cura dei linfomi

La lenalidomide può essere una nuova speranza per i malati di linfoma non-Hodgkin. E’ quanto sostenuto dal “Journal of Clinical Oncology”, che ha pubblicato pochi giorni fa i risultati di uno studio clinico di Fase II sul trattamento con lenalidomide di forme aggressive di linfoma non-Hodgkin recidivante o refrattario. In base a questi risultati il farmaco assunto come mono-terapia orale si è dimostrata efficace in pazienti con malattia avanzata, sottoposti precedentemente a quattro o più linee di terapia e con possibilità di cura limitate. Secondo quanto riportato nella pubblicazione, in un campione di 49 pazienti è stata osservata una risposta accertata nel 35% dei casi mentre il 12% ha mostrato una risposta “completa” o completa ma “non confermata”. Particolarmente interessante è la risposta a lenalidomide nel 53% dei pazienti con linfoma mantellare: questi hanno dato esito positivo. La risposta al farmaco è stata notata inoltre anche in altri sottotipi di linfoma, incluso il tipo B diffuso a grandi cellule, follicolare di grado III e trasformato. "Questi dati sono importanti perchè mostrano che lenalidomide è attiva in una patologia aggressiva, attualmente trattabile con opzioni terapeutiche molto limitate" ha affermato Peter S.Wiernik, Direttore del “Montefiore Medical Center-North Division” e primo autore dello studio. I linfomi non Hodgkin sono tumori maligni del tessuto linfatico, con localizzazione primitiva nei linfonodi e che più raramente possono comparire in sede extra-nodale quali cute, ghiandole esocrine, gonadi, apparato gastro-enterico, SNC. Data la somiglianza nell'evoluzione della patologia con le leucemie, che rappresentano il corrispettivo ematologico dei linfomi in ambito oncologico, spesso in fase avanzata diventa difficile, se non impossibile distinguere sottotipi di linfomi da analoghi sottotipi leucemici. In generale i linfomi sono spesso dovuti sia a linfociti di tipo B che T che proliferano in maniera incontrollata in linfonodi e poi in organi linfatici, e alcune varianti, come quelli a piccole cellule o linfoblastici possono diffondersi e assumere carattere sistemico. La diagnosi si effettua su esami di laboratorio, dove oltre l'esame del sangue e l'elettroforesi delle proteine, in cui si rivela un picco di gammaglobuline, per l'aumento degli anticorpi prodotti dal clone linfocitario B iperproliferante (nei linfomi B), resta fondamentale l'esame istologico.

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