Lo scrittore inglese Arthur Conan Doyle creò Sherlock Holmes, icona della letteratura gialla, ispirandosi al medico Joseph Bell di cui fu allievo all'ospedale di Edimburgo quando pensava di intraprendere la carriera medica. Il professor Bell dimostrava una fredda lucidità scientifica, ma anche brillanti abilità deduttive basate sull'osservazione, le stesse qualità con cui l’investigatore Holmes risolveva casi apparentemente insolubili. Nella finzione narrativa le avventure di Holmes erano raccontate dal suo amico John Watson. Lo Sherlock Holmes dei nostri giorni è un medico, il dottor Gregory House, protagonista di una fortunata serie televisiva ambientata in un ospedale del New Jersey. House è, per stessa ammissione dei suoi autori, grandi cultori dei libri di Doyle, la trasposizione medica dei metodi investigativi di Sherlock Holmes: in ogni episodio viene presentato un caso clinico impossibile che House risolve grazie alle sue straordinarie abilità deduttive.
Adesso House ha trovato nella realtà un rivale degno di lui e, per un curioso scherzo del destino, si chiama proprio come Watson, il bistrattato aiutante di Sherlock Holmes (anche se in realtà il suo nome deriva dal fondatore di IBM, Thomas J. Watson). Watson è un super computer IBM capace di confrontare contemporaneamente i dati di tutta la letteratura medica disponibile: analizza 200 milioni di pagine per ogni caso clinico e fornisce la risposta in 3 secondi (guarda). Molti medici non hanno le conoscenze enciclopediche di cui sembra disporre il dottor House televisivo e spesso nella realtà la diagnosi di un paziente con una sintomatologia insolita può richiedere la consultazione di molti testi, l’invio di mail a colleghi, telefonate chilometriche, numerose discussioni e ore di verifiche su internet. Bisogna cercare in una gran massa di dati, ordinarli e selezionarli per costruire pian piano un’ipotesi diagnostica verosimile. Oggi le informazioni mediche raddoppiano ogni 5 anni e a volte le ultime scoperte impiegano da 6 mesi a 1 anno per essere pubblicate e possono passare anche 15 anni perché siano poi tradotte in pratica clinica di routine. Watson invece taglia tutti questi passaggi in pochi secondi e non lo fa per finta come il Dr. House della TV.
Le sue virtù sono state presentate alla conferenza della Healthcare Information and Management Systems Society (HIMSS) di Las Vegas: il primo Watson è entrato da poco in funzione al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York e il suo data base contiene tutte le conoscenze sui tumori oggi disponibili al mondo. I suoi consigli aiutano a giungere più rapidamente a una diagnosi e a individuare i trattamenti più accurati e personalizzati a seconda del paziente. Diversamente dai medici non dimentica mai nulla e presto sarà in grado di apprendere dalle esperienze che gli provengono da ogni nuovo caso e di rispondere anche ai comandi verbali dei medici che potranno fare a meno della tastiera. Nei progetti IBM c’è anche quello di realizzare un modello “bed-side”, cioè un Watson da affiancare al letto del malato capace di monitorarlo attimo per attimo, molto meglio di qualsiasi infermiere o medico di guardia. Il supercomputer Watson è affascinante, ancor più di Gregory House, soprattutto perché si tratta di realtà e non di un film televisivo. Gli mancano però le sette doti che secondo uno studio della Mayo Clinic un buon medico deve possedere per curare bene i suoi pazienti: dare sicurezza, essere comprensivo, umano, empatico, schietto, rispettoso e accurato. Doti che neppure il dottor House possiede tutte. E forse proprio per questo, ricorda tanto il supercomputer Watson.
AUTORE: Cesare Peccarisi
FONTE: Corriere.it
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