AFORISMA DEL GIORNO
05 luglio, 2009
Briciole di Medicina (8° Puntata) – Il sistema HLA e il recettore TCR-CD3
Scoperto da Gorer nel 1936 su studi effettuati in topi non singenici in cui venivano effettuati trapianti di tumore: solo i tumori singenici attecchivano e uccidevano le cavie (topi inbred). L’MHC fu poi confermato sempre in termini di istocompatibilità da Medawar su studi effettuati su cadaveri durante la seconda guerra mondiale. Infine ulteriori conferme provengono da studi effettuati su decessi di individui politrasfusi e donne multigravide in cui venivano espressi anticorpi rivolti verso leucociti del donatore. Inizialmente nei primi esperimenti Gorer formulò l’ipotesi che l’MHC fosse costituito da geni che si attivavano per la resistenza ai tumori. Nel 1933 Haldane scoprì che la risposta immunitaria era rivolta verso gli antigeni tissutali (e non tumorali). Nel 1948 Snell effettuò su topi “quasi singenici” (diversi solo nel cromosoma 17 che nel topo è quello che porta l’MHC) studi che permisero di identificare i loci del complesso H2, la quale ha una organizzazione analoga a quella nell’uomo. Nel topo H2-L, H2-K, H2-D (classe I), H2A e H2E (classe 2).
All’inizio degli anni 1960 Dausset osservò che pazienti che rigettavano trapianti avevano reazioni immunitarie trasfusionali contro i linfociti del donatore dell’organo, Venne introdotto il concetto di alloantisiero, cioè di un siero con anticorpi che riconoscono allo antigeni. La ricerca si indirizzò verso lo studio dei geni responsabili di tale fenomeno usando il siero di soggetti politrasfusi, trapiantati, multigravide, ect. Nel 1970 Zinkelnagel e Doherty scoprirono il fenomeno del riconoscimento con restrizione da MHC.
Complesso HLA => Braccio corto del Cr. 6 da 6p21.1 a 6p21.3, 3500 coppie di basi, circa 50 fra geni e pseudogeni
La regione MHC è lunga 2-3 centimorgan, circa 4 milioni di paia di basi, e vi sono circa 100 geni. Vi sono 3 geni MHC di classe I, e 8 geni di classe 2.
CLASSE 1 (più vicina all’estremità) => Catena α di eterodimeri α/β – 6 locus genici (HLA-A, HLA-B, HLA-C, HLA-E, HLA-5.4, HLA-6.0). Catena α di 44.000 Dalton, Catena β di 11.500 Dalton non polimorfica e codificata da un gene sul Cr. 15
CLASSE 2 (più vicina al centromero) => Catena α/β degli eterodimeri α/β – 1 locus genico (HLA-D) suddivisa in sottoclassi (DN, DP, DZ, DO, DQ, DR), i prodotti sono definiti anche come Antigeni IA (cioè antigeni della risposta immunitaria)
CLASSE 3 (intermedia fra le due classi) => Presenta dei geni che producono particelle solubili quali ad esempio i fattori cel complemento C4A, C4B, C2, B, la 21 idrossilasi per gli steroidi, i geni per il TNFα/β, eccetera
Varianti alleliche:
HLA-A ha 59 alleli,
HLA-B ha 111 alleli,
HLA-C ha 37 alleli.
HLA-DP ha 8 alleli per la catena α e 62 alleli per la catena β.
HLA-DQ ha 16 alleli per la catena α e 25 per la catena β.
HLA-DR ha 1 allele soltanto per la catena α e 122 alleli per la catena β.
MOLECOLE DI CLASSE 1: sono glicoproteine di membrana caratterizzate da un esteso polimorfismo e dalla capacità di presentare antigeni di natura endogena. Sono degli eterodimeri α/β in cui la catena alfa di 44.000 Dalton è codificata dai geni del Cr.6 e la catena beta di 15.500 Dalton è codificata da un gene sul cromosoma 15 e non è polimorfa. Le due catene sono legate mediante ponte disolfuro e nella catena alfa si ha un ulteriore ponte disolfuro intracatenario. La catena β è non polimorfa e non glicosilata, assume il nome di β2-microglobulina. Nell’insieme la molecola è composta da quattro domini ognuno composto da circa 90 amminoacidi e ripartiti come α1, α2, α3 e β1. Nell’analisi cristallografica della struttura tridimensionale si osserva come α1 e α2 partecipano alla formazione di una tasca molecolare impegnando circa 50 amminoacidi nella formazione di 2 gruppi di 8 foglietti β-planare ad andamento antiparallelo e di circa 35 amminoacidi impegnati a formare due segmenti α-elica che formano le pareti della tasca. I domini α3 e β1 sono altamente conservati e reggono questa struttura in cui viene riconosciuto il peptide immunogeno. Tutte le cellule esprimono molecole di classe I, alcuni tipi come i fibroblasti, le cellule muscolari, le cellule nervose li esprimono in quantità ridotta. I linfociti T sembrano esprimere soprattutto HLA-E.
La regione genomica di classe 1 risulta essere localizzata in vicinanza dell’estremità telomerica e presenta 6 locus in cui sono presenti geni completi e codificanti (HLA-A, HLA-B, HLA-C detti questi “geni classici” e inoltre HLA-5.4, HLA-6.0 e HLA-E) e un certo numero di pseudogeni (circa 11 nella linea linfocitaria 721 come riportato a titolo di esempio dal testo).
L’importanza della variabilità concentrata nei domini α1 e α2 è stata confermata da esperimenti di “Exon Shuffling” in cui erano costruiti dei geni ibridi che venivano in seguito trasfettati in cellule che non esprimevano tali geni in modo costitutivo e in seguito veniva effettuata una analisi degli epitopi polimorfi mediante anticorpi monoclonali allogenici ottenendo così informazioni relative alla localizzazione e alle distanze relative fra i determinanti. Mediante l’applicazione di tecniche di mutagenesi diretta contro siti specifici e paragonando le sequenze amminoacidiche di differenti alleli è stato possibile individuare almeno 3 zone di ipervariabilità quali:
1) da 62 a 83 (in α1)
2) da 105 a 116 (in α2)
3) da 117 a 194 (in α2 e α3)
questo perché la gran parte dei mutanti contiene delle sostituzioni multiple sempre raggruppate in determinate zone delle sequenze. Gli alleli differiscono principalmente per i domini α1 e α2. Grazie a meccanismi di diversificazione genetica quali la conversione genica (trasferimento di informazione da un gene minore a un gene di un locus principale) e la mutagenesi esistono altre 100 alleli per i locus di MHC1 e ogni allele, specificato con un numero che segue la lettera, caratterizza l’istotipo dell’individuo. Due forme alleliche dello stesso gene sono sempre co-espresse (Alleli codominanti).
Per quanto riguarda la regolazione dell’espressione dei geni MHC1 una alterazione dei meccanismi di regolazione può determinare una iperespressione così come avviene ad esempio nelle cellule neoplastiche. Per meccanismi regolatori si considerano:
1) Una cis-regolazione che viene attuata mediante la presenza di sequenze di DNA localizzate all’estremità 5’ del gene regolato quali ad esempio la sequenza promotrice “TATA Box” alla distanza di 50 paia di basi dal CAP 5’ o la sequenza “CAAT BOX” localizzata alla distanza di 25 bp. O anche sequenze promotrici tessuto specifiche leggermente differenti da quelle citata (ad esempio vedasi la condizione della HLA-C che solitamente è meno espresso rispetto a tutti gli altri locus)
2) Una transregolazione che viene attuata mediante codifica di fattori molecolari da geni distinti. Questo meccanismo è dimostrato sperimentalmente dal risultato di una fusione di due linee cellulari linfoidi di cui una linea T non esprimente MHC e una linea B normale. E’ inoltre dimostrata dalla variazione positiva che si verifica sul mezzo di coltura per liberazione di molecole quali IFN- α, IFN- β, IFN-γ, che causano un aumento di trascrizione per modulazione della stabilità dell’RNA messaggero.
3) Una transregolazione posttrascrizionale che è stata dimostrata con un esperimento di mutagenesi con raggi gamma in una cellula linfoide e successiva reintroduzione del gene 5 e con esperimenti di trasformazione cellulare mediante adenovirus oncogeno umano che riduce la stabilità dell’RNA messaggero.
La nomenclatura utilizzata per designare i geni e gli alleli di classe 1 è stata decisa nel corso del 10° congresso Workshop internazionale di Istocompatibilità.
L’ipotesi che alla base del polimorfismo allelico vi siano meccanismi di conversione genica è stata confermata da ricerche nel genoma di pseudogeni di sequenze omologhe mediante sonde sintetiche di oligonucleotidi complementari alle sequenze mutate.
La conversione riguarda un quantitativo di basi da 5 a circa 100. Le tecniche di mutagenesi diretta contro siti specifici delle molecole MHC-1 associate con l’analisi delle sequenze amminoacidiche coinvolte nel riconoscimento da parte della cellula linfocitaria CD8 CTL ha fornito un modo preciso per analizzare la struttura e le funzioni di queste molecole. E’ stato osservato come la mutazione indotta in un sito di glicosilazione determina mancato legame del carboidrato corrispondente e della β2-microglobulina con mancata espressione di MHC1 nelle membrane. Alterazioni apportate da 152 a 156 causano mancato riconoscimento del peptide immunogeno da parte delle cellule CTL.
MOLECOLE DI CLASSE 2: tali glicoproteine sono espresse in modo costitutivo su di un ristretto numero di tipi cellulari quali le cellule APC principalmente, i linfociti B periferici, le cellule di Langherans della cute, le cellule dell’epitelio timico, i macrofagi. Sono inoltre espresse nella maggior parte dei precursori delle linee maturative ematopoietiche ma non sono espressi negli eritrociti, nei granulociti o nelle plasmacellule. Le molecole MHC-2 sono eterodimeri α/β in cui la catena α di 33.000 dalton è costituita da due domini e la catena β di 28000 dalton è costituita da due domini, le due catene sono reciprocamente legate da ponte disolfuro, nel citoplasma le due catene sono associate in modo temporaneo a un peptide γ Gamma. I geni di MHC-2 sono costituiti da un solo locus genico HLA-D in cui si distinguono delle sottoclassi in cui i principali sono
1) HLA-DP (distinto allelicamente in DPA1 e DPB1)
2) HLA-DR (distinto allelicamente in DRA, DRB1, DRB3, DRB4.
L’estensione del locus D è di 1100 Kilobasi quasi il doppio dell’omologo murino H-2I. Nell’uomo si hanno inoltre sottolocus HLA-DQ, HLA-DP, HLA-DO, HLA-DN, HLA-DZ.
L’organizzazione della regione MHC-2 è stata definita grazie alle tecniche di mappatura dei cloni genomici in vettori cosmidici o fagici, tuttavia mentre nel DNA di topo tale operazione era facilitata dalle modeste dimensioni, nell’uomo i gruppi di geni erano troppo distanti fra loro a causa della presenza di sequenze ripetute.
Nel genoma di topo si è osservato come le copie per α e β di un singolo gene erano ravvicinante e con una estremità 3’ che era prospiciente, conferendo una disposizione “Tail-to-Tail” che si manteneva anche nell’uomo ad eccezione delle copie del sottolocus DP in cui si aveva una disposizione prospiciente del 5’ “head-to-head”. Mediante tecniche di PGFE e di Southern Blot è stato possibile osservare come i geni di tale locus sono più numerosi delle catene polipeptidiche che scaturiscono dal MHC-2.
Un gene per la catena α contiene 5 esoni quali un dominio segnale, un dominio per α1, un dominio per il dominio idrofobico e un dominio per il dominio intracitoplasmatico, e infine un dominio per parte della regione 3’ non tradotta.
Un gene per la catena β ne contiene 6 (il dominio per il citoplasma è codificato da 2 esoni anziché un solo esone).
Nell’ambito di un gene il dominio più conservato è il terzo esone, la variabilità si concentra in α1 e β2 cioè nel secondo esone. In questo dominio si riscontrano 3 o 4 sequenze ipervariabili. Anche in questo caso si considerano come fonte di variabilità 1) la conversione genica 2) la mutazione puntiforme 3) lo splicing alternativo. E’ stata inoltre scoperta un’elevata frequenza di ricombinazione dovuta alle presenza di un sito genetico “hot spot “ fra i geni della subregione DP e i geni di DQ e DR (fra questi invece vi è una scarsa frequenza di ricombinazione). Lo studio dei geni a livello dei differenti alleli permette di raggruppare alleli simili e costruire alberi evoluzionistici in cui è stato possibile osservare per alcune varianti alleliche di DP e DQ un certo fenomeno di “Linkage Disequilibrium” cioè una associazione preferenziale di determinati alleli nel cromosoma 6.
Riguardo le catene α, i geni meno polimorfi sono il DRα e il suo omologo Eα nel topo, i geni più polimorfi sono il DQα1 e il suo omologo murino Aα.
I geni meno polimorfi riguardo le catene β sono il Doβ nell’uomo e i geni Aβ2 e Eβ2 nel topo.
Le molecole MHC-2 possono essere indotte in elementi cellulari trattati con IFN-Gamma o in cellule neoplastiche. I linfociti T umani possono esprimere MHC-2 in caso di trattamento con mitogeni o in caso di reazione mista leucocitaria in colture (Reazione CML). L’IFN-gamma non è in grado di indurre un aumento di esposizione del MHC-2 se il gene considerato è del sottogruppo DQ. E’ opportuno specificare la differenza fra APC professioniste e non professioniste. Riguardo altri fattori che influenzano il livello di MHC-2 esposto il IL-5 aumenta tale esposizione nei linfociti B a riposo, la prostaglandina PGE riduce l’esposizione nei macrofagi.
Si è osservato che il trattamento con IFN-Gamma determina una maggiore sensibilità della cromatina agli enzimi DNAasi poiché probabilmente si ha una variazione del livello di metilazione che causa il variare dell’esposizione di MHC-2.
Riguardo la regolazione genica, si osserva nei geni codificanti le catene β la presenza delle sequenze promotrici CAAT e TATA, la catene α non le presentano. Inoltre nel confronto fra le sequenze dei due geni si è osservata la presenza di due sequenze non polimorfiche denominate sequenza X e sequenza Y, costituita da 10 e da 14 paia di basi e distanziate reciprocamente da 20 paia di basi in un gene e da 18 paia di basi nell’altro. Queste sequenze sono localizzate a -110 a.a. e da -69 a.a. dal sito di inizio 5’ e sono coinvolte in un meccanismo comune di regolazione della espressione. E’ stata inoltre trovata un’ulteriore sequenza a 600 paia di basi dal 5’ del gene DRA e che causerebbe un aumento correlato all’uso di IFN-Gamma. Questa sequenza sarebbe presente anche a monte di HLA-A3.
Il ruolo di queste sequenze è stato esaminato mediante esprimenti di trasfezione usando dei geni DQB1 deleti nelle propria sequenze fiancheggianti il codice, questi geni sarebbero poi stati trasfettati in fibroblasti e si sarebbe valutata la loro espressione nella cellula in differenti condizioni. Una delezione a monte di 5’cap comporta un aumento della trascrizione (per cui X e Y regolerebbero in modo inibitorio) ma anche una ridotta produzione delle catene e quindi una ridotta esposizione. Delezioni a valle del gene fanno perdere l’inducibilità da IFN-Gamma.
L’esistenza di diverse sequenze fiancheggianti il 5’ presuppone la possibilità di una regolazione basata su fattori prodotti da altri geni e quindi agenti in trans. Tale teoria è stata confermata in alcuni pazienti affetti da SCID in cui i linfociti presentarono una assenza di espressione di DP, DQ, DR, e in tali famiglia il difetto non segregava con il cromosoma 6, ma una riespressione era ottenibile sperimentalmente per fusione di un linfocita SCID con una linea linfocitaria B IA+.
Un ulteriore esperimento ha confermato che la creazione di un ibrido cellulare fra una cellula umana e una cellula murina splenica e la successiva analisi della secrezione di marcatori mostra un fattore “AIR-1” e presente nelle cellule B di topo e che agisce positivamente in trans sulla espressione di MHC-2. Altri fattori agenti in trans sarebbero necessari per l’attività delle linfochine. Mediante esperimenti di attività di legame in estratti cellulari è stato individuato un fattore nucleare che si lega a un ottametro posto a 500 paia di basi e dotato di sequenza “ATTTGTAT”.
Durante la maturazione delle catene nel citoplasma all’eterodimero si associa una catena “γ gamma” P33 codificato da un gene localizzato sul cromosoma 5 e che interviene ancorando la glicoproteina α/β nella membrana del RER. Si è ipotizzato che tale catena sia invertita cioè con una estremità carbossilica posta verso l’esterno della membrana. Essa si stacca prima dell’espressione di α/β. Il gene che codifica questa molecola non è polimorfo e possiede sequenze X e Y al 5’cap.
Le catene dell’eterodimero si associano quasi sempre rispettando il proprio isotipo e nell’ambito dell’isotipo le catene si associano in modo indipendente dall’aplotipo (es una Aα che proviene dal gene DR con una Bα che proviene da DR).. Le molecole dello stesso isotipo si associano grazie al riconoscimento reciproco attuato dai domini non polimorfi. MHC-2 ibride (es. DPA1 con DRB1) sono molto rare e quasi sempre no nvengono espresse. L’associazione può anche essere transallelica (es. Dq1A / Dq7B) anche se l’associazione interalleica è poco rilevante nell’aumentare il polimorfismo.
Esperimenti di “Exon Shuffling” e di Mutagenesi hanno dimostrato come α1 partecipa al legame con l’antigene, β1 è la sede del sito di legame con il TCR del linfocita T.
La β2-microglobulina è composta da circa 100 amminoacidi. Nel MHC-1 le due α-elica della struttura si avvicinano molto e chiudono la tasca. Nel MHC-2 invece le due eliche sono un po’ più distanti e la tasca accoglie frammenti più lunghi (fino a 20 a.a.). Nel MHC-2 i residui terminali hanno minore importanza nel legare il frammento perché la tasca è aperta.
Il recettore dei linfociti T prende il nome di recettore TCR-CD3. Questa molecola è costituita dall’associazione di 2 molecole (7 catene) transmembrana quali il Ti α-β e il CD3.
Il Ti α-β è costituito da una coppia α-β al 95% o da una coppia di catene γ-δ al 5%. Entrambi sono degli eterodimeri clonotipici dal peso molecolare di 90000 Dalton. Queste molecole sono costituite da una parte variabile extracellulare e una parte costante intracellulare e per tale motivo hanno una struttura tipica delle superfamiglia di immunoglobuline. La catena α (o la gamma) si lega all’epitopo dell’antigene. La catena β (o la delta) si lega alla molecola MHC che presenta l’antigene.
La catena α presenta un peso molecolare di 45000 Dalton, è codificata da un locus genico localizzato nel cromosoma 14 in posizione 14q11-12, possiede un singolo gene che trascrive la regione costante e circa 100 geni che codificano la regione variabile, di questi si ha una ripartizione fra segmenti genici V e J (circa 25) mentre non vi sarebbero segmenti D. Attraverso il riarrangiamento C-J-V si ottengono catene α clonospecifiche.
La catena β presenta un p.m. di 55000 Dalton, è codificata da un locus genico localizzato nel cromosoma 7 in posizione 7q35 in cui si osservano due segmenti genici D-J-C. disposti a tandem e all’estremità 5’ si osservano circa 50 geni V. Attraverso il riarrangiamento C-J-D-V si ottiene la clonospecificità per le catene MHC presentanti l’antigene.
L’eterodimero γ-δ possiede la stessa organizzazione nello sviluppo del timociti esso appare prima di α-β e viene esposto nella cellula solo se produttivo. Le cellule trasportanti tale dimero pattugliano gli epiteli e hanno generalmente attività citotossica antineoplastica e sollecitano lo sviluppo dei timociti.
Il CD3 è formato dall’associazione di 5 catene quali γ (gamma di 25 kda), δ (delta di 20 kda), ε (epsilon di 20 kda), η (ni) e ζ (zed di 16 kda). Il legame fra CD3 e TCR è di tipo ionico. γ e δ sono ricchi di serine, ζ è invece ricco di tirosine che se fosforilate permettono la trasmissione del segnale di attivazione.
Il recettore dei linfociti T prende il nome di recettore TCR-CD3. Questa molecola è costituita dall’associazione di 2 molecole (7 catene) transmembrana quali il Ti α-β e il CD3.
Il Ti α-β è costituito da una coppia α-β al 95% o da una coppia di catene γ-δ al 5%. Entrambi sono degli eterodimeri clonotipici dal peso molecolare di 90000 Dalton. Queste molecole sono costituite da una parte variabile extracellulare e una parte costante intracellulare e per tale motivo hanno una struttura tipica delle superfamiglia di immunoglobuline. La catena α (o la gamma) si lega all’epitopo dell’antigene. La catena β (o la delta) si lega alla molecola MHC che presenta l’antigene.
La catena α presenta un peso molecolare di 45000 Dalton, è codificata da un locus genico localizzato nel cromosoma 14 in posizione 14q11-12, possiede un singolo gene che trascrive la regione costante e circa 100 geni che codificano la regione variabile, di questi si ha una ripartizione fra segmenti genici V e J (circa 25) mentre non vi sarebbero segmenti D. Attraverso il riarrangiamento C-J-V si ottengono catene α clonospecifiche.
La catena β presenta un p.m. di 55000 Dalton, è codificata da un locus genico localizzato nel cromosoma 7 in posizione 7q35 in cui si osservano due segmenti genici D-J-C. disposti a tandem e all’estremità 5’ si osservano circa 50 geni V. Attraverso il riarrangiamento C-J-D-V si ottiene la clonospecificità per le catene MHC presentanti l’antigene.
L’eterodimero γ-δ possiede la stessa organizzazione nello sviluppo del timociti esso appare prima di α-β e viene esposto nella cellula solo se produttivo. Le cellule trasportanti tale dimero pattugliano gli epiteli e hanno generalmente attività citotossica antineoplastica e sollecitano lo sviluppo dei timociti.
Il CD3 è formato dall’associazione di 5 catene quali γ (gamma di 25 kda), δ (delta di 20 kda), ε (epsilon di 20 kda), η (ni) e ζ (zed di 16 kda). Il legame fra CD3 e TCR è di tipo ionico. γ e δ sono ricchi di serine, ζ è invece ricco di tirosine che se fosforilate permettono la trasmissione del segnale di attivazione.
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