L’epatite A (dovuta all’infezione da Hav) è tornata ad affacciarsi in Italia nelle scorse settimane e minaccia altri episodi da qui all’estate, anche se il ministero della Salute si è affrettato a precisare che «alla luce della particolare situazione in atto, fino al 31 luglio 2013, le segnalazioni dei nuovi casi e gli eventuali focolai epidemici devono essere avanzate tempestivamente al ministero e all’Istituto Superiore di Sanità». Non è un allarme, ma poco ci manca. D’altronde i numeri registrati dal sistema di sorveglianza Seieva parlano chiaro: in 16 regioni che hanno trasmesso dati aggiornati al 20 maggio 2013, risulta un incremento delle notifiche di epatite A nel periodo marzo-maggio pari al 70% rispetto allo stesso trimestre di un anno fa. L’aumentata incidenza è stata registrata in quattro regioni del centro-nord (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Veneto) e in una del sud (Puglia).
Caratterizzata da un decorso acuto (stanchezza, febbre, disturbi gastrointestinali e ittero) e dalla prevalenza della trasmissione oro-fecale (come l’epatite E) rispetto a quella interumana, l’epatite A è causata da un virus a singolo filamento di Rna diffuso soprattutto attraverso l’acqua contaminata e gli alimenti venuti a contatto con la stessa. Tra i cibi incriminati, finora, c’erano soprattutto le cozze e i vegetali lavati con acqua sporcata da residui fecali. Oggi, invece, sotto osservazione sono finiti i frutti di bosco misti congelati: rintracciati in un cluster familiare del virus individuato in un paziente che aveva consumato una torta guarnita nello scorso mese di aprile.
Le indagini sulla materia prima (probabilmente di origine extraeuropea) non sono ancora terminate, ma finora epidemiologi ed esperti in sicurezza alimentare non avevano mai concentrato i loro sforzi sugli alimenti conservati nel freezer. «È un aspetto nuovo e su cui converrà indagare: sappiamo che il congelamento non uccide i virus, ma non avevamo mai rintracciato l’Hav in un prodotto congelato», spiega Maria Triassi, ordinario di igiene all’università Federico II di Napoli, città in cui nel 2004 si registrò una vasta epidemia italiana: 421 i nuovi casi allora conteggiati tra gennaio e aprile. «Probabilmente si tratta di una contaminazione avvenuta all’origine del prodotto e che il congelamento non è riuscito a debellare». Soltanto la cottura ad alte temperature, infatti, può inattivare il virus. Non è un caso che questa sia la principale raccomandazione fornita dai medici, assieme all’accurato lavaggio con acqua e amuchina di tutti gli alimenti di dubbia provenienza: principalmente molluschi (cozze e vongole) e verdure.
Le indagini condotte a livello europeo hanno evidenziato la presenza di due gruppi di epatite A: uno tra gli abitanti dei Paesi nordeuropei, l’altro in un gruppo di turisti rientranti dall’Egitto. Se il primo caso potrebbe essere ricondotto al consumo dei frutti di bosco congelati, diversa è l’origine del secondo: quasi certamente dovuto alle scarse condizioni igienico-sanitarie dello Stato nordafricano. «Ai nostri connazionali che non hanno avuto l’infezione durante l’infanzia (dunque non hanno sviluppato immunità a lungo termine, ndr) e organizzano le vacanze in paesi africani, orientali e dell’America Latina, consiglio sempre di vaccinarsi almeno tre mesi prima della partenza», afferma Antonio Picardi, responsabile dell’unità operativa di epatologia del Campus Biomedico di Roma. «Dopo venti giorni va effettuato un richiamo: così si assicura una protezione pari al 90%. Chi non ha modo di pianificare un viaggio con largo anticipo può ricorrere alla profilassi passiva: gli anticorpi iniettati assicurano una difesa per 5-6 settimane». A tavola, a queste latitudini, vige un obbligo: quello di consumare soltanto acqua minerale.
FONTE: Corriere.it
AUTORE: Fabio Di Todaro
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