Il numero è da capogiro: i casi di tumore della tiroide sono cresciuti di oltre il 200 per cento nell’ultimo ventennio, arrivando nel nostro Paese a circa 14mila nuove diagnosi ogni anno. A richiamare l'attenzione sulla più frequente forma di cancro del sistema endocrino sono i maggiori esperti italiani in occasione della Giornata Mondiale della Tiroide, indetta per il 25 maggio (promossa dall’Associazione Italiana della Tiroide, dall’Associazione dei Medici Endocrinologi, dalla Società Italiana di Endocrinologia e dalla European Thyroid Association) con l’obiettivo di far conoscere il ruolo di questa ghiandola e l’importanza della prevenzione per tutte le numerose malattie che possono colpirla. «Un recente studio americano ha calcolato che i casi di carcinoma tiroideo negli Usa in 20 anni sono cresciuti del 250 per cento circa, quindi più che raddoppiati - dice Paolo Vitti, segretario generale dell’Associazione Italiana della Tiroide -. Le stime europee e italiane sono simili, per cui questo tipo di cancro rappresenta oggi circa l’un per cento di tutte le neoplasie».
Fortunatamente nella grande maggioranza dei casi questi tumori sono scarsamente aggressivi e facilmente curabili, tanto che si può parlare di completa guarigione in quasi il 95 per cento dei pazienti. Ma a cosa si deve questo straordinario aumento? «Soprattutto alla quantità crescente di diagnosi - risponde Vitti, che è ordinario di Endocrinologia all’Università di Pisa -. Infatti si tratta principalmente di microcarcinomi, con diametro inferiore a un centimetro, mentre il numero di neoplasie sopra i due millimetri è rimasto per lo più stabile. In pratica oggi scopriamo moltissimi noduli maligni che nei decenni precedenti non venivano individuati, restavano indolenti, non davano sintomi e dunque non si curavano». Le molte ecografie che si eseguono ora per altri motivi (ad esempio dai cardiologi che indagano i vasi sanguigni del collo) evidenziano insomma questi microtumori che altrimenti, con buone probabilità, non darebbero alcun fastidio alla persona.
Il problema quindi è quello di non sottoporre le persone a trattamenti in eccesso. «La diagnosi precoce è importante per scoprire la malattia quando è possibile rimuoverla chirurgicamente e guarire - aggiunge Luciano Pezzullo, responsabile della Chirurgia della tiroide all’Istituto Nazionale dei Tumori Pascale di Napoli -, ma le microforme tumorali non dovrebbero essere immediatamente trattate, quanto piuttosto seguite e monitorate in centri specializzati. Per molti pazienti è sufficiente un controllo annuale con visita ed ecografia. E solo se ci sono sospetti di un’evoluzione della malattia si procede con agobiopsia e intervento». In caso di neoplasie ben differenziate viene consigliata la tiroidectomia totale (cioè l’asportazione di tutta la ghiandola), ma in presenza di microcarcinomi papilliferi, e in generale in caso di presenza di fattori prognostici favorevoli, è possibile proporre un intervento meno demolitivo. «L’emitiroidectomia - spiega Gioacchino Giugliano, direttore dell’Unità Tiroide e Neoplasie Salivari all’Istituto europeo di oncologia di Milano - è indicata in caso di noduli piccoli e consente di conservare mezza tiroide. Il vantaggio per i pazienti è notevole, perché così la ghiandola continua a produrre sia gli ormoni (compensati solo in parte dalla compressa di tiroxina prescritta a tutti i malati a cui viene tolta la tiroide) sia la calcitonina, preziosissima per rafforzare le ossa e potente antidolorifico».
Fra i fattori di rischio noti per il maligno della tiroide ci sono: la familiarità per tumore tiroideo (circa un quarto dei tumori viene diagnosticato in chi ha un parente diretto, fratelli o genitori, che ha già avuto la malattia), le radiazioni nucleari (come ha dimostrato il boom di casi dopo il disastro di Chernobyl e ci si attende per Fukushima e l’essere donna: infatti dei 14mila casi annui italiani, solo 3.200 interessano i maschi. «Inoltre sappiamo che sono più a rischio gli abitanti in aree vulcaniche, come la Sicilia o le Hawaii - dice Francesco Trimarchi, presidente eletto della Società Italiana di Endocrinologia -, per la presenza di carcinogeni ambientali legati ai vulcani attivi. Sono poi allo studio alcune mutazioni genetiche. Ma quello che è fondamentale è rivolgersi tempestivamente al medico se si nota la presenza di un nodulo sul collo e, soprattutto, se questo cresce rapidamente». Se è infatti vero che gran parte dei noduli tiroidei sono benigni e che quelli maligni hanno spesso una buona prognosi, non tutti i carcinomi che interessano la ghiandola sono «poco aggressivi»: esistono anche rare forme letali e che evolvono rapidamente, per cui la diagnosi tempestiva è fondamentale.
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FONTE: Corriere.it
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