La diagnosi di laboratorio delle malattie emorragiche si fondano su di una serie di esami dedicati all’esplorazione delle vie che compongono la cascata coagulativa. Di tutte le molecole che prendono parte al sistema è possibile valutare la concentrazione e l’attività biologica. E’ poi possibile mediante esame emocromocitometrico effettuare una conta della concentrazione piastrinica, infine è possibile eseguire dei test funzionali in vivo in cui si valuta il tempo impiegato dal plasmas del soggetto a coagulare in determinate situazioni o con particolari reagenti.
1- ESAME EMOCROMOCITOMETRICO CON CONTA PIASTRINICA: v.n. da 150000 a 450000 su millilitro
2- DOSAGGIO FIBRINOGENEMIA: v.n. da 150 a 400 mg/dL , per la determinazione della fibrinogenemia si utilizza una tecnica coagulometrica in cui si valuta il quantitativo di fibrinogeno presente in modo inversamente proporzionale alla velocità di coagulazione (espressa in secondi) di un campione di plasma citratato e ricalcificato e trattato con un reagente quale la trombina bovina. Il valore tende ad aumentare in neoplasie, infiammazioni, gravidanze. Tende a diminuire in epatopatie, coagulopatie da consumo, iperfibrinolisi, trombolisi.
3- TEST DEL TEMPO DI SANGUINAMENTO: può essere calcolato mediante metodo standard (tempo di Ivy) o mediante metodo non standard (tempo di emostasi con laccio emostatico). Solitamente si utilizza un template disposable che produce sulla superficie volare de braccio un taglio di circa 1 centimetro, si asporta il primo sangue ricco di tromboplastina tissutale e si valuta il tempo che trascorre fino all’avvenuto arresto dell’emorragia. V.n. inferiori a 100 secondi.
4- TEST DEL TEMPO DI PROTROMBINA o DI QUICK: viene utilizzato per valutare il corretto funzionamento della fibrinogenesi secondo la via estrinseca. Il reagente è costituito dalla stessa tromboplastina che in vivo innesca tale meccanismo, questo reagente viene prodotto da lisati cellulari animali o con tecniche ricombinanti. Il test si esegue su campioni di plasma (ottenuti dopo centrifugazione da sangue trattato con un anticoagulante quale il citrato sodico). Il tempo normale di formazione della Fibrina è di v.n. da 12 a 16 secondi. Un’altra modalità di espressione per il test del PT è rappresentata dalla formulazione percentuale, presupponendo c he per i soggetti normali il valore medio (14 secondi) corrisponda al 100% di formazione della fibrina l’intervallo di normalità sarà riformulato in v.n. da 70% fino a 120%. Infine una terza modalità di espressione del test PT viene indicata con la sigla INR cioè “International Normalized Ratio” e si rende necessaria in quanti le tromboplastine usate come reagenti possono avere una differente sensibilità per cui si ricalcola il valore ottenuto dividendolo per un calore di tempo di protrombina “standard” (tcp) e elevando tale valore per un esponente che è determinato dal valore di sensibilità della tromboplastina utilizzato in laboratorio.
Il tempo di protrombina tende a ridursi in soggetti predisposti a trombosi e tende ad aumentare in soggetti predisposti a emorragie, tuttavia soltanto ulteriori test sono indicativi in tal senso.
5- TEST DEL TEMPO DI TROMBINA: è un test che si esegue valutando la coagulazione in relazione all’aggiunta diretta di trombina, cioè saltando il processo di attivazione degli enzimi della cascata coagulativa posti a valle rispetto alla protrombina. Il test valuta se esistono delle alterazioni della concentrazione, della propria possibilità di attivazione o dell’attività fisiologica del fibrinogeno. V.n. da 18 a 22 secondi. Tende ad aumentare nelle disfibrinogenemie o nelle ipofibrinogenemie o nelle sindromi ludiche anticoagulans.
6- TEST DELLA TROMBOPLASTINA PARZIALE ATTIVATA: viene utilizzato per valutare il corretto funzionamento della fibrinogenesi secondo la via intrinseca. Il reagente è costituito dal caolino, cioè da un composto in grado di fornire le cariche negative necessarie per simulare il contatto del plasma con il connettivo sottoendoteliare al fine di attivare i fattori della via intrinseca. I v.n. sono da 25 a 40 secondi.
7- VALUTAZIONI COMPARATIVE FRA I TEST DI PROTROMBINA E DI TROMBOPLASTINA PARZIALE ATTIVATA: un rapido raffronto fra i due test che permettono di valutare le due vie di attivazione della coagulazione consente al laboratorista di effettuare alcune ipotesi in merito a possibili carenze di fattori da parte del soggetto in esame.
1- se PT normale e aPPT allungato, si ipotizza carenze della via intrinseca (e cioè di F8, F9, F11, F12 o precallicreina).
2- se PT allungato e aPTT normale, si ipotizza carenze di fattori della via estrinseca (e cioè F8 o carenza di vitamina K ridotta).
3- se PT allungato e aPPT allungato, si ipotizza carenze a carico dei fattori della via finale comune (e cioè F5, F10, protrombina o soggetti con malattie epatiche o in terapia anticoagulante)
8- DETERMINAZIONE QUANTITATIVA E QUALITATIVA DEI DEFICIT FATTORIALI: sono indagini più profonde che permettono di valutare attentamente la corretta attività dei fattori che costituiscono la cascata coagulativa o che vi partecipano indirettamente. I laboratori sono in grado di determinare sia la proteina come attività biologica tramite metodi coagulometrici e cromogenici, sia la quantità di proteina presente mediante metodi immunometrici. La determinazione specifica di una singola carenza fattoriale si avvale di un metodo coagulometrico che utilizza come reagenti specifici i reagenti “plasma free” cioè campioni di plasma standard ma privati di un fattore coagulativo alla volta. Tale determinazione si basa sul principio che il plasma del soggetto in esame ha la capacità di accorciare il tempo di coagulazione di un plasma “free”. Di seguito un breve schema riassuntivo:
PT APTT TT Ipotesi di deficit
Normale Allungato Normale F12, F11, F9, F8
Allungato Normale Normale F7
Allungato Allungato Normale Fibrinogeno, protrombina, F5, F10
Allungato Allungato Allungato Fibrinogeno, FDP, antitrombinici
9- DETERMINAZIONE DELLA VITAMINA K RIDOTTA: fondamentale per il processo coagulativo è il mantenimento di valori di vitamina K a livelli adeguati e in particolar modo la disponibilità di vit. K ridotta. Le epatopatie croniche si possono associare ad un difetto secondario nella sintesi dei fattori procoagulanti plasmatici e dei fattori inibitori plasmatici nonché dei fattori fibrinolitici. Le concentrazioni di vitamina K influenzano i fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti (cioè fattori che presentano un GLA-domain e che sono caratterizzati dall’interazione con la vitamina K-ridotta in presenza di carbossilasi la quale permette loro di trasformarsi nel composto attivo) quali il fattore 8, 9, 10, 12, la proteina C e la proteina S. La vitamina K per la sua natura idrofobica se assunta con l’alimentazione come fillochinone o sintetizzata dalla flora intestinale come menachinoni per essere assorbiti richiedono la presenza di Sali biliari pertanto i deficit dovuti a carenze alimentari, a malassorbimento, a ostruzioni delle vie biliari, a stasi biliare intraepatica, ad alterazioni della flora intestinale o all’assunzione di sostanze ad attività antivitamina K, possono associarsi ad un’aumentata incidenza di episodi emorragici.
10- ESPLORAZIONE DELLA FIBRINOLISI: viene effettuata principalmente dosando i prodotti di degradazione del fibrinogeno (o Fattori FDP). La plasmina formatasi in circolo per attivazione del processo di fibrinolisi esercita la sua azione litica sia sulla fibrina che sul fibrinogeno, determinando la sintesi dei FDP che sono frammenti della porzione carbossiterminale delle catene alfa e della porzione ammino-terminale delle catene beta. Si distinguono in base alle dimensioni in frammento X, frammento D e frammento Y. La degradazione della fibrina stabilizzata avviene più lentamente e porta alla formazione del frammento dimerico D-D. I FDP possono essere dosati con metodi immunometrici (cioè utilizzandoli come antigeni di anticorpi monoclonali) e normalmente nel plasma non sono rilevabili mentre aumentano in modo considerevole nel corso di trombopatie e nel corso di CID. E’ possibile effettuare anche il dosaggio diretto del plasminogeno, dell’attivatore tissutale TPA, dell’inibitore plasmatico PAI-1, solo in corso di gravidanza dal terzo mese in poi si può dosare anche il PAI-2, e infine si può dosare l’inibitore competitivo alfa-2-antiplasmina
ESAMI DIAGNOSTICI PER TROMBOFILIE
Per trombofilia si definisce il rischio di sviluppare fenomeni tromboembolici venosi di tipo acquisito o di tipo ereditario. L’incidenza delle malattie tromboembolitiche è notevolmente aumentata negli ultimi anni. L’ipotesi più accreditata definisce che i casi di trombosi venosa siano dei disordini multigenici e quindi a causa della complessa interazione genica si renda estremamente improbabile una stima vera del rischio individuale di sviluppare trombosi. Il laboratorio non è efficace per una diagnosi precoce di questa patologia perché non permette di ottenere informazioni certe su fattori che possono predire una ipercoagulabilità del soggetto. Il sospetto di tromboembolia primitiva si ottiene dall’esame obiettivo, dall’anamnesi, dalla diagnostica per imagini e dai dati ematologici. Solitamente le indagini si applicano per la valutazione di soggetti a rischio di trombosi venose o arteriose profonde o ricorrenti e in soggetti con predisposizione familiare a tali eventi. I test di base sono rivolti a valutare l’efficacia del sistema fibrinolitico e dei più importanti fattori di inibizione della coagulazione. Quindi si ha la determinazione:
1- dell’antitrombina 3
2- della proteina C
3- della proteina S
4- del fibrinogeno
5- del plasminogeno
6- del cofattore eparinico 2
7- del tPA (attivatore tissutale del plasminogeno)
8- del PAI (inibitore dell’attivazione del plasminogeno)
La terapia consiste nell’adozione di una terapia anticoagulante orale che permetta di mantenere il valore del tempo di protrombina in un arco di normalità per almeno sei mesi. Se è presente un fattore di rischio congenito la terapia deve essere assunta tutta la vita. Nell’1% dei casi si può avere un esito fatale per embolia polmonare.
ESAMI DIAGNOSTICI PER EMOFILIE (COAGULOPATIE CONGENITE)
Le sindromi emofiliche, la malattia di von Willebrand e diverse forme di piastrinopatia sono le malattie emorragiche a più alta prevalenza (circa 100 milioni di casi in un anno). Sono patologie ereditarie legate al cromosoma X (emofilia) o legate a un gene autosomico dominante (von Willebrand). L’importanza dei fattori 8 e 9 e il loro coinvolgimento nell’emofilia fu confermato dagli esperimenti condotti nel 1947 da Brinkhous e Quick, i quali osservarono come il plasma di alcuni pazienti emofilici mancasse di una globulina e che potesse causare coagulazione nei campioni di plasma di altri pazienti emofilici.
L’emofilia A è dovuto a deficit del fattore 8, si trasmette con ereditarietà recessiva legata al sesso, ha una prevalenza di circa 1 su 50000 ed è quattro volte più frequente rispetto all’emofilia B. Il gene è localizzato nella parte terminale del braccio lungo del cromosoma X, di conseguenza il maschio affetto da emofilia ha un deficit grave e può ricevere l’alterazione solo dalla madre emofilia asintomatica, mentre una donna può presentare una espressione di gravità variabile in base al processo di Lyonizzazione del cromosoma X. In base all’attività plasmatica del fattore 8 si distingue una forma grave (<1%), moderata (<5%), lieve (dal 30 al 50%). L’emofilia A grave si manifesta entro il primo anno di vita con gravi emorragie spontanee intramuscolari,nei tessuti molli e negli organi parenchimale. L’anamnesi familiare o quella personale getta le basi del sospetto di emofilia A, che viene confermata dall’allungamento del tempo APTT, mentre il tempo di protrombina e il tempo di sanguinamento sono normali. Il successivo dosaggio del fattore 8 specifico il grado e il tipo di deficit. La biologia molecolare utilizzando el sonde molecolari permette la caratterizzazione del difetto genetico anche nelle eterozigoti. Le tecniche della PCR e della sequenzazione diretta del DNA permettono l’identificazione della singola mutazione a carico del gene F8. Alcune malattie di tipo autoimmune (LES, artrite reumatoide, ect) e alcune gammapatie monoclonali possono indurre la produzione di inibitori del F8 con un deficit simile all’emofilia A. Nella donna in gravidanza è possibile effettuare una diagnosi precoce nel feto mediante analisi dei villi coriali tra la nona e la dodicesima settimana di gestazione.
L’emofilia B è dovuta a un deficit congenito a carico del fattore 9 o PTCD. Le modalità di trasmissione del deficit sono identiche a quelle dell’emofilia A e clinicamente si riconoscono una forma grave, una forma moderata e una lieve. La prognosi dell’emofilia B è uguale all’emofilia A. L’emofilia B si presenta con un allungamento del tempo di coagulazione dell’APTT, mentre il tempo di protrombina risulta nel range di riferimenti. La diagnosi differenziale con l’emofilia A deriva dal dosaggio dei F8 e F9, mentre il dosaggio immunologico permette di riconoscere la variante emofilia B+ dalla emofilia B-. Il riconoscimento della variante Leiden richiede anche la misura dei tempi di protrombina con varie tromboplastine.
La malattia di Von Willebrand o pseudoemofilia ereditaria, è un disordine coagulativo dovuto a deficit qualitativi o quantitativi della glicoproteina multimerica plasmatica a trasmissione ereditaria di tipo autosomico dominante con penetranza variabile anche all’interno di una stessa famiglia. La sintomatologia clinica è data da manifestazioni emorragiche da difetto dell’emostasi primaria, che possono essere spontanee (epistassi, metrorragie), traumatiche o da intervento chirurgico. Un deficit dovuto al VWF causa un allungamento del tempo di sanguinamento che esplora l’interazione tra le piastrine e l‘endotelio e viene misurato sperimentalmente con il test del cofattore ristocetinico che utilizza un antibiotico quale la ristocetina in grado di attivare il dominio molecolare del VWF responsabile del legame con la glicoproteina Ib. Con i soli dati di laboratorio è problematico distinguere fra forme clinicamente poco rilevanti e forme più gravi.
ESAMI DIAGNOSTICI PER FIBRINOGENEMIE
I deficit qualitativi o quantitativi a carico del fibrinogeno possono comportare una totale riduzione della concentrazione del fibrinogeno plasmatico come nell’afibrinogenemia congenita, un deficit che interessa sia il fibrinogeno plasmatico che quello piastrinico. Questa alterazione si trasmette come carattere autosomico recessivo. L’ipofibrinogenemia congenita è una rara malattia che si trasmette come carattere autosomico dominante. Le disfibrinogenemia congenite sono un gruppo di alterazioni funzionali dovute a mutazioni del gene codificante per il fibrinogeno che impediscono la sintesi o la secrezione extracellulare del fibrinogeno.
La diagnosi di laboratorio si fonda su di un allungamento del PT e del PTT mentre il dosaggio del fibrinogeno con i metodi utilizzati di routine può essere molto difficoltoso.
ESAMI DIAGNOSTICI PER CID
La CID (Coagulazione Intravasale Disseminata) è una sindrome secondaria a altre situazioni patologiche che hanno in comune un’incontrollata produzione di trombina, ad esempio un danno meccanico che comporti l’esposizione del fattore tissutale (ustioni, traumi cerebrali, rotture placentari), oppure la comparsa in circolo di fattore tissutale o di altre sostanze in grado di attivare la coagulazione (neoplasie, leucosi acute). La CID può essere determinata anche da un danno endoteliari da sepsi, da endotossine prodotte da batteri gram negativi o da esotossine prodotte da batteri gram positivi. Infine anche uno shock circolatorio può essere l’evento primario.
In dipendenza del grado del processo infiammatorio che si associa a questi eventi scatenanti la CID si ha la liberazione di proteasi endocellulari, di IL-1, IL-6 e TNF-alfa ce interferiscono sia nella coagulazione sia aumentando la produzione del fattore tissutale.
La diagnosi di CID viene posta qualora si evidenzi un aumento degli FDP. Il metodo immunometrico tradizionale è incapace di distinguere i prodotti del fibrinogeno dai prodotti della fibrina, cosi è stato sostituito dal test D-dimero. L’aumento dei D-dimeri presuppone la formazione di monomeri di fibrina e la loro stabilizzazione ad opera del F13a. Nel caso si superi il valore decisionale di 2000 mg/ml si ha un alto valore predittivo positivo per CID. Altri rilievi importanti sono la conta piastrinica inferiore a 100000, l’allungamento significativo del tempo di PT e di APTT, la riduzione della fibrinogenemia.
ESAMI DIAGNOSTICI PER LUPUS ANTICOAGULANS
Con il termine “Lupus Anticoagulans” si intende una possibile condizione di interferenza nei test coagulativi che si rinviene in un paziente che presenti un aPPT allungato e che non sia sottoposto a terapia con eparina o con anticoagulanti orali e che non abbia carenza di un fattore della coagulazione specifico di natura congenita o da consumo. In questo caso si sospetta che vi sia un fattore specifico che interferisce con il test o con la capacità coagulante del soggetto, come ad esempio anticorpi antifattori, oppure vi sia la presenza di un fattore aspecifico, come ad esempio anticorpi antifosfolipidi tipici in una malattia autoimmune come il lupus.
La diagnosi prevede una serie di tappe in successione.
1- Dapprima si attua la valutazione di un TT-Test (cioè di un test di tempo di trombina). Se questi è normale si procede a una indagine con la determinazione di un APTT su di una miscela formata da plasma di soggetto normale e plasma di paziente in rapporto 4:1. Se l’aggiunta di plasma normale normalizza l’APTT, ci si deve orientare per una carenza di qualche fattore della coagulazione. Mediante l’utilizzo degli opportuni test “Plasma Free” si giungerà facilmente a diagnosi. Se l’APTT rimane allungato anche dopo miscelazione bisogna sospettare la presenza in circolo di inibitori del tipo aspecifico. Una causa comune di tal condizione è rappresentata dalla presenza di anticorpi antifosfolipidi.
2- Sono stati creati ulteriori test che confermano se vi sia realmente un’attività inibente della coagulazione e che questa sia o meno di tipo Lupus. Tali test sono suddivisi in due categorie in base alla concentrazione bassa o elevata in fosfolipidi dei reagenti utilizzati nei test di base dell’emostasi.
3- Ad esempio in un paziente in cui si sospetti la presenza di inibitori aspecifici è possibile eseguire il Test di coagulazione con veleno di vipera Russell utilizzando un reagente a bassa concentrazione di fosfolipidi: se si ottengono tempi di coagulazione più prolungati rispetto a quelli ottenuti con un normale reagente APTT si conferma la presenza di inibitori aspecifici del tipo LAC mentre in caso contrario ci si orienta per la presenza di inibitori specifici quali anticorpi anti-fattori della coagulazione.
4- Utilizzando un reagente ad elevata concentrazione di fosfolipidi sarà possibile diagnosticare un LAC in presenza di un accorciamento del tempo di coagulazione rispetto al testo APTT di screening. Un test tipico in tal senso è il Test di neutralizzazione piastrinica secondo Triplett.
FATTORE 1 => FIBRINOGENO – E’ una glicoproteina di 340000 dalton prodotta principalmente nel fegato, ha una emivita di 90 ore, una concentrazione plasm. da 150 a 400 mg/dL è ricca di acido sialico, è composta da tre coppie di catene polipeptidiche unite tra loro da ponti disolfuro. La trombina esercita su di essa un’azione proteolitica che causa il distacco dal fibrinogeno dei fibrinopeptidi (FPA e FPB) generando dei monomeri di fibrina che polimerizzano diventando protofibrille solubili, le quali per azione del fattore 13 diventano fibrille insolubili che solidificano il tappo piastrinico. Partecipa insieme al fattore di Von Willebrand alle fasi di adesione e aggregazione piastrinica formando dei ponti di fibrinogeno calcioione dipendenti fra le membrane delle piastrine aggregate.
FATTORE 2 => PROTROMBINA – è una glicoproteina a catena singola prodotta dal fegato, p.m. di 70000 Dalton con una concentr. Plasm. di 100 mg/ml, viene convertita nella sua forma attiva dall’azione del fattore 10, in presenza del fattore 5 e di fosfolipidi. Il processo di attivazione porta alla sintesi di un composto intermedio detto meizotrombina dotato di scarsa attività procoagulante, il quale in assenza di fattore 5 e di fosfolipidi si trasforma in pretrombina. La trombina attiva quasi tutti i fattori della coagulazione ed è inattivata dall’antitrombina, dal cofattore parifico 2 e dal fibrinopeptide A che viene rilasciato dal fibrinogeno per azione della stessa trombina (autofeedback).
FATTORE 3 => TROMBOPLASTINA TISSUTALE – è una glicoproteina presente nella membrana plasmatica delle cellule di tutti i tessuti, p.m. di circa 46000 Dalton, ne sono ricchi il cervello, il polmone e la placenta, agisce come recettore per il F8 e in presenza di ioni calcio attiva i fattori F9 e F10. Ha una struttura mista fosfolipidica e proteica, quest’ultima è chiamata apoproteina 3. Viene inibito dal complesso formato dal TFPI (tissue factor pathway inibitor)-F10 e dal fattore LACI (lipoprotein associated coagulation inhibitor).
FATTORE 4 => IONI CALCIO
FATTORE 5 => PROACCELERINA o FATTORE LABILE – è sintetizzato principalmente nel fegato e ha una semivita breve, per 1/5 è contenuto anche nelle piastrine, viene attivato dalla trombina e dal fattore10, agisce da cofattore attivante sul fattore 10 favorendo a sua volta l’attivazione della trombina. E’ anche un cofattore nella degradazione dei fattori F8 e F6 (autofeedback), viene inattivato principalmente dalla proteina C. La sua carenza è trasmessa come carattere autosomico recessivo.
FATTORE 6 => Forma attivata della Proaccelerina
FATTORE 7 => PROCONVERTINA – è prodotta dal fegato ha un p.m. di 48000 con una semivita di circa 6 ore, può essere attivato da vari fattori quali il F9, il F10, il F12, il F2. La carenza di fattore F7 è trasmesso come carattere autosomico recessivo. Si attiva per azione del fattore tromboplastico tissutale in presenza di ioni calcio e favorisce l’attivazione del fattore 9 e del fattore 10.
FATTORE 8 => FATTORE ANTIEMOFILICO A – E’ una globulina di 300000 dalton, prodotta dal fegato e dal sistema reticolo-endoteliare, semivita di 12 ore. Conc. Plasm. da 0,05 a 0,15 mg/ml. Questa glicoproteina è circolante nel sangue legata in modo non covalente con il fattore von Willebrand. Viene attivata dalla trombina e svolge un’azione non enzimatica sul F9 in presenza di fosfolipidi e ioni calcio. Il gene è situato sul braccio lungo del cromosoma X e mutazioni sono trasmesse con una modalità di tipo X-linked recessiva. Possiede un dominio GLA-domain e la sua produzione epatica dipende dalla disponibilità di vitamina K ridotta.
FATTORE 9 => FATTORE ANTIEMOFILICO B – E’ una glicoproteina di 54000 Dalton prodotta dal fegato, semivita di circa 25 ore, conc. Plasm. di circa 5 mg/ml, è attivata dal F11 o dal complesso F7-F3, con il rilascio di un peptide di attivazione. Il F9 attivato attiva il F10 in presenza di F8, di ioni calcio e di fosfolipidi di membrana. Le alterazioni a carico del gene situato sul braccio lungo del cromosoma X portano alla emofilia B, alterazione che si trasmette in modo ereditario con una modalità di tipo X-linked recessivo caratterizzato dal fatto che i figli maschi sono colpiti in forma grave mentre le femmine eterozigote hanno un grado variabile di manifestazione del fenotipo. Possiede un dominio GLA-domain e la sua produzione epatica dipende dalla disponibilità di vitamina K ridotta.
FATTORE 10 => FATTORE DI STUART PROWER – E’ una glicoproteina prodotta dal fegato con un p.m. di 59000 Dalton, semivita di 60 ore, conc. Plasm. di 12 mg/ml, viene attivato dal F9 nella via intrinseca, oppure dal F8-F3 nella via estrinseca. Il prodotto di attivazione è definito F10aAlfa che in presenza di fosfolipidi rilascia un secondo peptide formando il fattore F10aBeta. Sia il fattore Alfa che il fattore Beta convertono la protrombina in trombina se in presenza di F5, di ioni calcio e di fosfolipidi. La carenza è trasmessa come carattere autosomico recessivo. Possiede un dominio GLA-domain e la sua produzione epatica dipende dalla disponibilità di vitamina K ridotta.
FATTORE 11 => FATTORE ANTIEMOFILICO C o FATTORE DI ROSENTHAL – è una glicoproteina prodotta dal fegato, p.m. di 160000 Dalton, semivita di 60 ore circa. Si attiva per contatto con superfici estranee aventi carica elettrica negativa (es. Caolino) o per contatto con il connettivo sottoendoteliare.
FATTORE 12 => FATTORE HAGEMAN – Proteina prodotta dal fegato con un p.m. di 80000 Dalton, una emivita di 60 ore circa, si attiva per contatto con superfici estranee aventi carica elettrica negativa (es. Caolino) o per contatto con il connettivo sottoendoteliare. Ha anche una debole attività anticoagulativa e fibrinolitica. Possiede un dominio GLA-domain e la sua produzione epatica dipende dalla disponibilità di vitamina K ridotta.
FATTORE 13 => FIBRINOLIGASI – è una proteina tetramerica plasmatica dal p.m. di 320000 Dalton, concentrazione da 10 a 20 mg/ml, è composta da due subunità A e B, di cui le subunità A esercitano un’azione catalitica stabilizzando la fibrina. L’azione proteolitica della trombina determina la formazione del fattore attivato che opera la polimerizzazione della fibrina in protofibrille solubili. E’ prodotta dal fegato ed è presente in parte anche nei megacariociti.
FATT. VON WILLEBRAND => proteina a elevato peso molecolare, circola nel plasma e viene sintetizzato nelle cellule endoteliari e nei megacariociti come monomero dal quale successivamente derivano i multimeri che si localizzano nella matrice sottoendoteliare. I multimeri a più elevato grado di polimerizzazione esprimono la maggiore efficacia emostatica. Ne sono ricche le piastrine e le cellule dell’endotelio. Agisce nell’emostasi primaria aumenta il grado di legame delle piastrine promuovendo il fenomeno dell’adesione e dell’aggregazione piastrinica. Legando il F8 circolante lo protegge dall’azione degradante delle proteasi lo localizza in prossimità delle membrane piastriniche. La carenza di VWF viene trasmessa come carattere autosomico dominante.
FATT. PK => PRECALLICREINA -
FATT. HMWK => CHININOGENO AD ALTO PESO MOLECOLARE o FATTORE WILLIAMS -
PROTEINA C o PROTEINA APC => Viene prodotta dal fegato in forma già di per se attiva, in presenza di trombina ioni calcio e trombomodulina (una proteina di membrana delle cellule endoteliari) si inattiva perdendo la capacità di legare e attivare il F5. La forma inattiva corrisponde al Fattore APC che agisce come anticoagulante inattivando il F5 e il F8, stimolando la fibrinolisi e proteggendo l’attivatore tissutale del plasminogeno. Possiede un dominio GLA-domain e la sua produzione epatica dipende dalla disponibilità di vitamina K ridotta.
PROTEINA S => è una glicoproteina prodotta da fegato, endotelio e megacariociti. Agisce da cofattore della proteina APC aiutando nella degradazione di F5 e F8 attivati. Possiede un dominio GLA-domain e la sua produzione epatica dipende dalla disponibilità di vitamina K ridotta.
EPARINA => viene sintetizzata dalle mastocellule e viene escreta nel plasma come aminoglicani a diverso grado di solforazione che si associano a un nucleo proteico formando un complesso proteoglicano. La degradazione dell’eparina circolante è di tipo enzimatico e la sua completa rimozione è attuata dalle cellule del sistema reticolo endoteliare. Ha una fondamentale azione anticoagulante che viene svolta tramite cofattori eparinici quali il cofattore 1 e il cofattore 2.
ANTITROMBINA 3 => E’ il cofattore 1 dell’eparina. E’ una alfa-2-globulina appartenente alla famiglia proteica delle serpine (serin protease inhibitor), sintetizza dal fegato e dotata di un effetto inibitore sui fattori della coagulazione appartenenti al gruppo delle serine-proteasi. Esprime la sua inibizione fomando complessi irreversibili con la molecola da inibire, principalmente trombina, F10, F9, F11, F8. La presenza in circolo di eparina accelera l’attività inibente dell’AT3 nei confronti della trombina. L’azione preferenziale per la trombina avviene tramite la formazione di un complesso che inibisce l’azione proteolitica ma successivamente si distacca e si rende disponibile per altre molecole.
COFATTORE EPARINICO 2 => è il secondo cofattore, esercita un’azione antitrombina specifica sotto l’azione catalitica dell’eparina non legata al fattore AT3.
VALORI NORMALI DEI TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA COAGULAZIONE
TEMPO DI COAGULAZIONE (Metodo di Lee-White) => da 4 a 8 minuti
TEMPO DI COAGULAZIONE ATTIVATO (celite) => < 100 secondi
TEMPO DI PROTROMBINA => da 11 a 13 secondi ± 2 secondi rispetto al controllo normale
TEMPO DI TROMBOPLASTINA PARZIALE => da 60 a 85 secondi
TEMPO DI TROMBOPLASTINA PARZIALE ATTIVATA => da 30 a 40 secondi ± 5 secondi
TEMPO DI TROMBINA => 10-15 secondi o un tempo non superiore a 1,3 volte lo standard
FIBRINOGENEMIA => 150-450 mg/dL
TEMPO DI LISI DEL COAGULO (urea 5M) => coagulo intatto dopo 1 ora, lisi dopo 24 ore
TEMPO DI LISI DELLE EUGLOBULINE => lisi in 2-6 ore
DOSAGGIO FDP SU PARTICELLE DI LATTICE => < 20 microgrammi/millilitro
DOSAGGIO FDP SU GLOBULI ROSSI TANNATI => < 5 microgrammi/millilitro
TEST FUNZIONALE PER ANTITROMBINA 3 => > 50 % di un pool di sieri normali
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