Sospensione immediata della autorizzazione alla vendita e richiamo di tutti i lotti da farmacie e ospedali in Europa per Zinbryta, farmaco a base di daclizumab beta usato per il trattamento della sclerosi multipla: è la misura raccomandata dall’Agenzia europea del farmaco (Ema), dopo 12 casi di gravi infiammazioni cerebrali, con encefalite immunomediata e meningoencefalite - di cui tre mortali - segnalati nel mondo. In Italia i pazienti trattati con questo farmaco, confermano dall’Agenzia italiana del farmaco, sono circa 50.
Daclizumab è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato, che si lega a CD25 (IL-2Rα) e inibisce il legame tra IL-2 e CD25. Daclizumab modula il segnale dell’IL-2 bloccando il segnale del recettore dell’ IL-2 ad alta affinità, CD25-dipendente, con conseguente disponibilità di maggiori livelli di IL-2 per il segnale attraverso il recettore dell’IL-2 ad affinità intermedia. Gli effetti fondamentali di tale modulazione della via del segnale dell’IL-2, potentialmente correlati, nella SM, agli effetti terapeutici di daclizumab, comprendono l'antagonismo selettivo delle risposte delle cellule-T attivate, e l'espansione delle cellule immunoregolatorie CD56 bright “ natural killer” (NK), che hanno mostrato di diminuire selettivamente i linfociti T attivati. Si ritiene che tali effetti immunomodulatori di daclizumab possano contribuire alla riduzione della patologia del SNC nella sclerosi multipla e possano, pertanto, ridurre le recidive e la progressione della disabilità.
I primi dati sembrano indicare che le infiammazioni possono essere collegate al farmaco. L’indicazione ai medici è di contattare immediatamente i pazienti in cura con questo medicinale per interrompere il trattamento e proporre alternative, seguendoli con esami specifici per almeno 6 mesi dopo la fine della terapia. La maggior parte dei 12 pazienti che ha sofferto di queste gravi reazioni ha riportato sintomi dopo 8 mesi dall’inizio del trattamento. I pazienti che stanno prendendo questo farmaco, precisa l’Agenzia europea del farmaco, devono chiamare subito il proprio medico, sospenderne l’assunzione e riferire se hanno avuto sintomi come febbre, forti mal di testa, nausea, ittero e vomito. La stessa azienda farmaceutica (Biogen Idec Ltd) ha già chiesto volontariamente il ritiro dell’autorizzazione alla vendita e informato l’Ema dell’intenzione di fermare gli studi clinici. La raccomandazione dell’Ema dovrà ora essere inviata alla Commissione europea per diventare legalmente vincolante.
Zinbryta era stato autorizzato nel 2016 e finora circa 8mila pazienti sono stati trattati nel mondo. In Europa la maggior parte sono in Germania. Si tratta di un anticorpo monoclonale indicato per il trattamento di pazienti adulti con sclerosi multipla, nelle forme recidivanti che hanno avuto una risposta inadeguata ad almeno due terapie e per i quali è controindicato il trattamento con qualsiasi altra terapia. In Italia il farmaco «non ha avuto una grande diffusione. È considerato un farmaco di terza linea, cioè viene usato dopo il fallimento di altri trattamenti - precisa Giancarlo Comi, direttore della divisione di Neurologia dell’ospedale San Raffaele di Milano -. E questo anche perché, fin dall’inizio, le agenzie regolatorie avevano individuato per questo farmaco dei fattori di rischio, che ne hanno limitato l’uso, nonostante la buona efficacia terapeutica».
Dopo una revisione per verificare gli effetti della terapia sul fegato, nel 2017 (cioè un anno dopo il suo arrivo sul mercato), il suo uso era stato limitato alle persone che avessero provato almeno altri due trattamenti, o che non potessero assumerne altri. «Oltre ai problemi al fegato sono emerse ora reazioni infiammatorie al sistema nervoso, che hanno portato a questi ultimi provvedimenti - prosegue Comi -. I rischi e i benefici di un farmaco emergono attraverso la sua osservazione protratta nel tempo, non solo con le sperimentazioni cliniche, soprattutto per i farmaci innovativi». In Italia sono circa 100mila i malati di sclerosi multipla. «Una malattia in espansione, soprattutto fra le donne - conclude Comi -, che rappresenta un problema di sanità pubblica. Lo sviluppo delle nuove terapie tuttavia, se la diagnosi della malattia viene fatta precocemente, ci permette oggi di essere ottimisti sulla sua gestione».
FONTE: Corriere Salute
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