Grazie al Sistema sanitario in Italia i costi delle terapie sono «coperti», ma chi si ammala spesso deve affrontare una serie di spese extra anche molto rilevanti, a cui si aggiunge una diminuzione delle entrate per il calo della produttività e le ricadute sul lavoro. Negli Stati Uniti il problema è già diffuso e non pochi pazienti decidono di rinunciare ai trattamenti oncologici, evitando così che la malattia li porti alla bancarotta e rovini le prospettive di vita di tutta la famiglia. Dobbiamo aspettarci, come spesso accade su altri fronti, che gli Usa anticipino quello che avverrà prima o poi anche qui? Ecco perché avere un tumore può essere carissimo.
L'ultima ricerca è di poche settimane fa e conferma quanto già emerso nel 2013: il rischio di bancarotta per un cittadino americano che si ammala di cancro è 2,7 volte più alto di un cittadino simile per età e genere non malato. E chi certifica il proprio fallimento ha un pericolo di morte del 79% più alto rispetto ai pazienti che non arrivano al tracollo economico. Il problema, negli Stati Uniti, è oggetto di diversi studi, tanto che ha già un nome tutto suo: cancer financial toxicity, ovvero tossicità finanziaria del cancro. Non solo perché negli Usa non esiste un sistema sanitario come il nostro, che garantisce le cure gratis, ma anche a causa di tante spese che pazienti e familiari devono affrontare di tasca propria: come gli spostamenti per andare in ospedale, le cure domiciliari o le terapie di riabilitazione. E, soprattutto, in ragione del tempo necessario per curarsi o assistere un familiare, che condiziona, spesso a lungo, le capacità di guadagno del nucleo familiare.
Quando si parla di spesa economica relativa al cancro, le questioni sono sostanzialmente due: il costo delle terapie, che in Italia è a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN) e poi tutto ciò che gravita attorno alla malattia, e che comporta maggiori spese e minori introiti nel bilancio domestico. «Non c’è dubbio che il prezzo dei medicinali innovativi sia sempre più alto e uno dei problemi maggiori in questo momento sia, anche in Italia, trovare il modo per continuare a garantire le terapie gratis per tutti - spiega Francesco Perrone, direttore dell’Unità Sperimentazioni Cliniche dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli -. Ma è importante occuparsi anche delle spese extra: giorni di lavoro saltati, lavoro perduto o stipendio ridotto, viaggi, visite ed esami, spese per medicinali di sostegno, psicologi, fisioterapia, badanti e via dicendo».
Partiamo allora da ciò che pesa direttamente sul bilancio familiare (affrontiamo il costo dei medicinali in un altro articolo).«Fino ad ora non spendono per i farmaci anticancro - risponde Perrone, che è un esperto in materia e nel Rapporto 2017 della Favo (Federazione Italiana Associazione Volontari in Oncologia) sulla condizione assistenziale dei malati oncologici in Italia ha dedicato un capitolo alla tossicità finanziaria -. Ma, ovviamente, c’è dell’altro. La prima cosa che mi viene in mente, come oncologo napoletano, sono le migrazioni sanitarie: molto spesso inutili in termini di efficacia dei trattamenti perché la qualità è per lo più simile nelle strutture del Nord e del Sud. E quasi sempre dannose sul piano della logistica (che è parte della qualità di cura) e delle spese». Poi esistono uscite economiche aggiuntive direttamente legate alla malattia e alla sua gestione: il ricorso alle visite o alla diagnostica privata, ad esempio, se con il sistema pubblico non si riesce a soddisfare i bisogni e i tempi di attesa si allungano troppo. «E ancora - aggiunge Francesco De Lorenzo, presidente della Favo - ci sono le somme sostenute per l’assistenza domiciliare (carente in tutta Italia, salvo sporadiche e lodevoli eccezioni, per lo più merito delle associazioni di volontariato), quali prelievi di sangue o somministrazioni endovena di farmaci di supporto, fisioterapia per pazienti non più in grado di deambulare, molto spesso nella parte terminale della malattia. Ci sono pure le uscite derivanti dalle ricadute sociali della condizione, come la necessità di aiuto casalingo per il numero crescente di pazienti soli o anziani, che spesso diventano non più autosufficienti proprio a causa del tumore. E, naturalmente, i mancati introiti da lavoro nei pazienti giovani e in chi li assiste, i caregiver, ancora troppo poco tutelati».
«Pochi mesi fa, abbiamo pubblicato analizzato i dati relativi a 16 sperimentazioni coordinate dall’Istituto dei Tumori Napoli tra il 1999 e il 2015, a cui hanno partecipato 3.760 pazienti con tumori di polmone, mammella o ovaio - continua Perrone -. È emerso che circa un quarto dei malati ha lamentato un disagio economico legato alla malattia e al suo trattamento. Tracciare un identikit è difficile, ma più di frequente a riferire difficoltà finanziarie sono state donne, pazienti trattati negli ospedali dell’Italia centrale e meridionale, al di sotto dei 65 anni. Quest’ultimo dato fa capire come la malattia produca un danno molto rilevante alle persone in età lavorativa. Quindi a quello che si “spende” bisogna sommare quello che “non si guadagna più” a causa del cancro. E purtroppo, anche in Italia, la tossicità finanziaria si associa a risultati terapeutici peggiori, sia in termini di qualità che di quantità di vita. Anche se su quest’ultimo punto, grazie all’esistenza del Sistema sanitario nazionale, le stime sono molto più ottimistiche rispetto agli Stati Uniti».
«Sapevamo che, nonostante la gratuità delle cure assicurate dal nostro Servizio sanitario nazionale, la malattia genera un aumento dei costi sociali diretti e indiretti e una diminuzione dei redditi - continua De Lorenzo -. L’indagine Favo-Censis pubblicata nel 2012 aveva già evidenziato un “peso economico” aggiuntivo per le famiglie con un paziente oncologico stimato in oltre 30mila euro all’anno, nei primi anni dopo la diagnosi, e causato dall’acquisto di medicinali di supporto (come antinausea o antidolorifici, per esempio), esami diagnostici o visite specialistiche pagati dal paziente, nonché spese di trasporto e di assistenza (badanti, infermieri)». Ma un grosso peso lo hanno anche costi indiretti quali il mancato reddito che la malattia comporta (per riduzione o cessazione dell’attività lavorativa) per il malato e talvolta anche per la persona che lo assiste più da vicino.
«Pur accettando che ci potesse essere un contraccolpo economico, non immaginavamo che, addirittura, per un paziente su cinque questo si potesse riflettere in un peggioramento della prognosi - aggiunge Elisabetta Iannelli, avvocato e segretario nazionale della Favo -. L’analisi di sopravvivenza ha dimostrato infatti che chi ha sofferto la tossicità finanziaria ha avuto, nei mesi e anni successivi alle cure, un rischio di morte del 20% più alto (negli Usa è il 79%) rispetto ai malati senza problemi di denaro. Questo dato allarmante induce a riflettere sulla necessità di ripensare ad adeguate ed efficaci politiche di welfare affinché alla “guarigione clinica” corrisponda quella “sociale” dal tumore».
Mobbing, perdita del lavoro, decurtazioni dello stipendio sono un problema per il milione di italiani malati di cancro lavoratori? «Sì, le difficoltà professionali costituiscono un grave problema per i diretti interessanti e per i caregiver - risponde Elisabetta Iannelli, che è anche vicepresidente dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac), che in questi giorni celebra i suoi 20 anni di attività in difesa dei diritti di pazienti e familiari -. Il lavoratore che si ammala, invece, può e deve essere sostenuto durante la fase acuta di malattia, quando le terapie sono più invalidanti, ed essere utilmente reinserito nel posto di lavoro con adeguati e tempestivi programmi di riabilitazione, formazione e aggiornamento. Proprio a questi fini Aimac ha realizzato e porta avanti, con aziende di rilevanza internazionale il progetto «Pro Job Lavorare durante e dopo il cancro», che prevede strumenti volti a promuovere l’inclusione dei malati (e dei loro familiari) nel mondo produttivo, agevolando i rapporti fra impresa e lavoratori. Grazie al nostro impegno abbiamo ottenuto importanti risultati. Affinché le leggi non rimangano inattuate è però necessario che siano innanzitutto i malati a conoscere i diritti riconosciuti e garantiti a livello nazionale e locale. Per questo Aimac ha pubblicato nel 2003 il libretto “I diritti del malato di cancro”, con cui per la prima volta nel nostro Paese si è posta attenzione alla “disabilità” oncologica, alle ricadute sociali e lavorative della malattia, colmando il gap informativo esistente».
In Italia 3 milioni e 300mila persone vivono dopo la diagnosi di tumore, il 30 per cento delle quali è in età lavorativa. E a questi si aggiungono ben 4 milioni di caregiver. «Dal punto di vista di chi gestisce la sanità pubblica bisogna migliorare l’efficienza del sistema in tutti i suoi aspetti - dice Stefania Gori, presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) -. Ogni anno 800mila italiani cambiano regione per curarsi e dobbiamo invece fare in modo che chi ha un sospetto o una diagnosi di cancro trovi in tempi ragionevoli una risposta di buona qualità all’interno del proprio territorio. Per far questo serve realizzare davvero le reti oncologiche in modo da offrire le migliori opportunità terapeutiche, anche sperimentali dove questo ha un senso». Bisogna poi ricordare che non si spende solo per i farmaci. «Ci sono altri aspetti che possono essere migliorati per continuare a far funzionare il nostro Ssn - continua la presidente Aiom -. I costi elevati dell’assistenza conseguenti ad esami diagnostici talora inappropriati e visite di controllo troppo frequenti durante il follow up dei pazienti oncologici, potrebbero essere ridotti garantendo in tal modo a pazienti e familiari un’assistenza persino migliore e facendo spendere meno al Ssn e a loro stessi grazie a un adeguato e condiviso utilizzo. Questi risparmi permetterebbero anche una possibilità di offrire cure domiciliari a tutti i pazienti in fase avanzata di malattia».
«Il mio punto di vista è quello del ricercatore - premette Perrone - e mi fa dire che lo studio della tossicità finanziaria richiede strumenti di approfondimento specifici per il contesto sociale e culturale in cui vengono applicati. In pratica: serve un test di routine, da far compilare a malati e familiari per rilevare i problemi. Ora stiamo elaborando un modulo italiano, specifico per la nostra realtà, che nasce proprio dai pazienti, che ci aiuterà a capire meglio le cause di questo fenomeno e, per quanto possibile, contrastarle». In realtà esistono già alcuni metodi, che però vanno migliorati. Negli Usa è stato messo a punto nel 2014 il COST: un questionario da sottoporre ai pazienti in 11 domande che esplorano le conseguenze psicologiche e le modalità di adattamento del paziente alla crisi economica successiva al cancro e alle sue cure. In Europa, poi, c’è il questionario EORTC C30, frequentemente utilizzato nelle sperimentazioni cliniche per misurare la qualità della vita dei pazienti affetti da cancro, ma è solo parzialmente idoneo a misurare il problema della tossicità finanziaria. Una delle sue 30 domande, la numero 28, recita: «Nell’ultima settimana, la malattia o il suo trattamento le hanno provocato difficoltà economiche?». Le risposte possibili sono quattro: la migliore è “per nulla” la peggiore è “moltissimo”.
Da quando è nata nel 1998 l’Associazione italiana malati di cancro (Aimac) ha condotto battaglie per il riconoscimento di diritti fondamentali sul posto di lavoro. Nel 2003, su spinta di Aimac, è stato inserito nella Legge Biagi un articolo (art. 46 del D.lgs. 276/2003) che ha introdotto per la prima volta in Italia il diritto per i malati oncologici alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time e viceversa. Nel 2006 è stato approvato un provvedimento innovativo (Legge n.80 del 2006) che, sempre per i pazienti con tumore, ha ridotto a soli 15 giorni i tempi di attesa per l’ottenimento dell’accertamento dell’invalidità civile e dell’handicap. Altro decisivo passo avanti, nel 2009, è stata l’esclusione dalle fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici in malattia con terapie salvavita per tumore (Circ. 1/2009 del Ministero per la PA e DM 206/2009), estesa nel 2016 anche ai dipendenti del settore privato.
AUTRICE: Vera Martinella
FONTE: Corriere.it
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