Sono due uomini e una donna i vincitori del Nobel per la Medicina 2015: l’irlandese William C. Campbell, il giapponese Satoshi Omura e la cinese Youyou Tu. I primi due sono stati premiati per le loro ricerche contro i nematodi, parassiti responsabili di diverse infezioni, la dottoressa Tu per aver scoperto nel 1972 una nuova terapia contro la malaria, l’artemisinina, oggi il farmaco antimalarico più usato al mondo. La scienziata cinese è la dodicesima donna a ricevere il Nobel per la Medicina: la prima è stata Gerty Cori nel 1947. I candidati al Nobel per la Medicina (tradizionalmente il primo dei premi assegnati ogni anno) erano 327, di cui 57 nominati per la prima volta. L’ammontare del premio è di 8 milioni di corone svedesi, ovvero 855mila euro, da dividere fra i tre scienziati.
«Accetto umilmente il premio, è un giorno molto felice»: sono state le prime parole di Satoshi Omura. «Ci sono molti ricercatori che hanno ottenuto moltissimi risultati - ha aggiunto -. Il mio lavoro non è stato condotto pensando che avrei vinto un Nobel, ma sono stato fortunato. E sono molto contento che quello in cui ho creduto si sia rivelato corretto», afferma. Omura ha ricordato un aneddoto riguardo all’origine degli studi che gli sono valsi il massimo riconoscimento scientifico: teatro della sua scoperta è stato «un campo da golf sul mare, fra erba, sabbia e legno», dove il ricercatore ha trovato il microrganismo che è alla base del farmaco rivelatosi in grado di ridurre l’incidenza delle due gravi parassitosi.
Quello assegnato oggi è un premio alla lotta contro le malattie della povertà, che colpiscono centinaia di milioni di persone ogni anno. Le ricerche sulle infezioni provocate da parassiti condotte da Campbell e Omura hanno infatti permesso di mettere a punto nuove armi contro malattie (come la cecità fluviale e la filariasi linfatica) che affligono un terzo della popolazione mondiale, concentrata in Africa sub-sahariana, Sud Asia e Centro-Sud America. La cinese Tu ha dato un enorme contributo alla lotta contro la malaria, grazie appunto alla scoperta dell’artemisina. «Quest’anno i premi Nobel hanno sviluppato terapie che hanno rivoluzionato la cura di alcune delle malattie parassitarie più devastanti», si legge in una nota del Karolinska Institutet di Stoccolma, che assegna i riconoscimenti. Due scoperte - rileva il comitato dei Nobel - che hanno fornito all’umanità nuove armi per combattere malattie debilitanti: le conseguenze in termini di miglioramento della salute umana e di riduzione della sofferenza sono «incommensurabili». Dopo decenni di progressi limitati nello sviluppo di terapie efficaci contro malattie come la cecità fluviale, la filariasi linfatica e la malaria, le scoperte degli scienziati insigniti del premio Nobel 2015 hanno cambiato radicalmente la situazione.
Le malattie causate da parassiti, bersaglio di nuove terapie messe a punto da Campbell e Omura, hanno rappresentato per millenni una piaga per l’umanità. E ancora oggi costituiscono un grave problema di salute globale nelle popolazioni più povere del mondo. Le terapie sviluppate da Campbell e Omura hanno rivoluzionato il trattamento di alcune delle più devastanti di queste patologie: hanno scoperto un nuovo farmaco, l’ivermectina, i cui derivati hanno abbassato radicalmente l’incidenza della cecità fluviale (o oncocerchiasi) e della filariasi linfatica e si sono dimostrati efficaci contro un crescente numero di altre patologie parassitarie. La cecità fluviale e la filariasi linfatica sono entrambe causate da vermi parassiti. Come suggerisce il nome, la prima porta a perdita della vista per un’infiammazione cronica della cornea. La filariasi linfatica (che colpisce oltre 100 milioni di persone) porta a gonfiore cronico, a sintomi clinici a lungo termine e a disabilità come l’elefantiasi (linfedema) e idrocele scrotale.
Satoshi Omura, 80 anni, nato nel 1935 nella prefettura di Yamanashi, ha sempre lavorato in Giappone ed è professore emerito nell’Università di Kitasato. Microbiologo esperto nell’isolamento di prodotti naturali, si è focalizzato su un gruppo di batteri, gli streptomyces, che vivono nel terreno e sono noti per produrre una pletora di agenti con attività antibatteriche (inclusa la streptomicina, scoperta dal premio Nobel 1952 Selman Waksman). Omura ha messo in piedi un inedito, eccezionale metodo per coltivare su larga scala e caratterizzare questi batteri e, grazie alle sue straordinarie abilità, ha isolato nuovi ceppi di streptomyces da campioni di terreno e li ha coltivati con successo in laboratorio. Ne ha selezionati 50 fra i più promettenti, con l’intento di analizzare più a fondo la loro attività contro microrganismi dannosi, e da questi ne ha scelto uno solo, da cui ha estratto, insieme a un team di lavoro della Merck di cui faceva parte anche Campbell, il principio attivo dell’Avermectin. Un antibiotico usato oggi da 300 milioni di persone ogni anno, una delle più importanti svolte farmacologiche per i Paesi in via di sviluppo, pari all’impatto che un secolo prima aveva avuto la penicillina. Decisivo il contributo dello stesso Campbell (85 anni), classe 1930, nato a Ramelton in Irlanda: dopo la laurea al Trinity College di Dublino, Campbell ha lavorato in America, all’Università del Wisconsin, al Merck Insitute for Therapeutic Research, e oggi è professore emerito alla Drew University di Madison, nel New Jersey. Campbell ha cominciato a studiare le colture di Omura, mostrando appunto che uno dei componenti era notevolmente efficace contro parassiti in animali domestici e di allevamento. L’agente bioattivo è stato purificato e chiamato avermectina, e successivamente modificato a livello chimico fino ad arrivare alla più efficace ivermectina. Questo farmaco è stato poi testato sull’uomo con successo.
Youyou Tu, 85 anni, è nata nel 1930 in Cina, dove ha condotto la carriera scientifica, e dal 2000 è ai vertici dell’Accademia di Medicina tradizionale cinese. Le sue ricerche hanno portato alla scoperta dell’artemisinina, medicinale che ha significativamente ridotto il tasso di mortalità dei pazienti colpiti da malaria (con milioni di vite salvate in Africa, Asia meridionale e Sud America), malattia provocata da un parassita trasmesso dalle zanzare, che provoca febbre e in casi gravi anche danni cerebrali e morte. Sono a rischio di contrarla oltre 3,4 miliardi di persone nelle zone più povere del mondo, con 450mila morti ogni anno. Fino alla metà del secolo scorso veniva curata tradizionalmente con clorochina o chinina, ma con scarso successo. Dagli studi della dottoressa Tu, immunologa ma anche esperta di medicina tradizionale e di erbologia (un ibrido per la prima volta premiato con il Nobel), è “nato” il nuovo farmaco contro la malaria, nato da erbe cinesi studiate e utilizzate da oltre 1.500 anni per curare le febbri. Le sue grandi scoperte nascono proprio dallo studio delle erbe: nel 1967, nonostante la sua avversione per gli scienziati, Mao Zedong avalla il progetto top secret ‘523’ per studiare le erbe tradizionali cinesi: la malaria era infatti la principale causa di morte in diverse province della Cina meridionale e si diffondeva sempre di più nel Vietnam del Nord, alleato di Mao, durante la guerra con il Vietnam del Sud. Tu svolge dunque i suoi studi in un periodo difficile: durante la rivoluzione culturale cinese i ricercatori erano relegati al gradino più basso della scala sociale e le denunce nei loro confronti era all’ordine del giorno. Nonostante questo, Tu si concentra sull’erbologia classica, visita in tutto il Paese gli anziani esperti, si focalizza su 380 estratti di erbe usati tradizionalmente contro la malaria. E i risultati arrivano nel 1969, quando la scienziata ha 39 anni.
Una di queste erbe, l’Artemisia annua, ottiene risultati verificabili sui topi: contrasta effettivamente la malaria, come sostenevano testi di medicina cinese vecchi di 1.600 anni. Yoyuyou Tu è stata anche la prima ad aver sperimentato il composto da lei stessa isolato: «Come capo del mio gruppo di ricerca, avevo io la responsabilità». Ma ci vogliono anni di tentativi: gli antichi testi prescrivevano di bollire l’erba, cosa che si rivela nociva. Nel 1972 Tu e i suoi colleghi ottengono finalmente, dopo vari tentativi di estrazione eliminando le tossine dell’erba, la sostanza pura, artemisinina o Qinghaosu: è il nuovo farmaco contro la malaria, che in 40 anni ha salvato milioni di vite. L’artemisinina rappresenta una nuova classe di agenti antimalarici che uccidono rapidamente i parassiti della malattia in uno stadio precoce del loro sviluppo, cosa che spiega la sua potenza senza precedenti. Oggi è usata in ogni parte del mondo e, in terapie combinate, riduce la mortalità di oltre il 20% in generale e del 30% nei bambini. Solo per l’Africa, ciò significa più di 100mila vite salvate ogni anno. Tra i numerosi premi vinti dalla Tu, l’Albert Einstein World Science Prize nel 1987 e l’Albert Lasker per la Medicina nel 2011, prima volta per un cinese.
«È un premio a chi ha lottato e dedicato una vita alle malattie tropicali neglette: l’oncocercosi, la filariasi linfatica e la malaria, fino ad arrivare a trovare farmaci che le hanno sconfitte e dato speranza a popolazioni che fino a quel momento erano abbandonate a loro stesse. E questo non può che fare piacere alla comunità di scienziati e medici» ha commentato Gianni Rezza, direttore del Dipartimento malattie infettive parassitarie e immunomediate dell’Istituto superiore di sanità. Per Massimo Andreoni, presidente della Simit (Società Italiana di malattie infettive e tropicali), «si tratta di un riconoscimento importantissimo che, come sempre accade, arriva dopo diversi anni dal momento della scoperta. L’esigenza del tempo, nasce per avere la prova provata che i farmaci funzionino».
Il genetista Edoardo Boncinelli fa notare che con il Nobel per la Medicina di quest’anno «si sono ricordati che il premio è intestato alla medicina e alla fisiologia e hanno assegnato il riconoscimento interamente a tre scienziati che hanno scoperto nuove medicine. Di solito, invece, si approfitta dell’occasione per premiare la biologia, la biochimica, la genetica». Carlo Alberto Redi, biologo all’Università di Pavia e accademico dei Lincei, parla di «un Nobel molto meritato, ma anche molto tardivo, assegnato a tre biologi che hanno salvato milioni di vite. E le cui ricerche sono un modello per gli studenti, perché dalla biologia di campo sono arrivate a quella sintetica nell’applicazione medica. Va bene essere cauti, ma mi sembra un po’ troppo».
Per Medici senza frontiere, infine, «il Nobel di quest’anno ha un grande valore simbolico. L’aspetto più bello è che segna un’inversione di tendenza: c’è finalmente la consapevolezza che la ricerca a vantaggio dei Paesi in via di sviluppo deve essere valorizzata», ha detto Stella Egidi, responsabile medico dell’organizzazione.
FONTE: Corriere.it
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