Sale l’allarme ebola negli Stati Uniti dopo che è stato annunciato il secondo caso di contagio dal virus. A risultare positiva al test è stata un’altra infermiera dell’ospedale di Dallas dove l’8 ottobre era morto il paziente zero, Thomas Duncan. Barack Obama ha rinviato un viaggio per convocare una riunione d’urgenza alla Casa Bianca e ha consultato in videoconferenza i leader europei per discutere dell’impegno internazionale per combattere l’epidemia. «La situazione è seria», dice il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, sottolineando come per ora sia rinnovata la fiducia ai vertici delle autorità sanitarie. E spiega che il presidente «vuole assicurarsi che tutte le risorse necessarie del governo federale siano impegnate» sul campo.
La 29enne Amber Vinson era tra gli operatori sanitari che avevano curato il paziente liberiano a Dallas. L’infermiera è stata posta in isolamento, dopo aver accusato i sintomi ed essere stata sottoposta agli esami. Ma ad allarmare il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie Usa è stata la scoperta che la donna ha viaggiato in aereo 24 ore prima di accusare i primi sintomi della malattia. Sul volo 1143 della Frontier Airlines di lunedì da Cleveland, in Ohio, a Dallas-Fort Worth, viaggiavano 132 passeggeri che ora si sta cercando di contattare. L’equipaggio ha informato le autorità americane che l’infermiera non mostrava sintomi durante il volo. È esploso il malcontento tra le infermiere dell’ospedale di Dallas. Secondo gli operatori sanitari, Duncan fu lasciato per ore in un’area non protetta del pronto soccorso, dove avrebbe potuto infettare pazienti e sanitari. Inoltre, chi lavorava a contatto con lui restò per giorni senza tute protettive adeguate (con collo e testa esposti).
In Italia è stata messa in campo una task force interministeriale con l’obiettivo di potenziare il personale negli aeroporti e rafforzare i canali di informazione per i cittadini sui rischi del contagio da ebola. A Palazzo Chigi si sono riuniti i ministri dell’Interno, degli Esteri, della Difesa, della Salute e dei Trasporti. Saranno in particolare porti e aeroporti a essere interessati dal più corposo intervento, sia sotto il profilo del potenziamento del personale, sia per quello che riguarda le campagne di informazione, con opuscoli distribuiti a bordo di aerei e navi. Inoltre, due C-130 sono pronti a evacuare eventuali cittadini contagiati dal virus. In caso dovessero essere riscontrati casi di Ebola tra cittadini italiani, questi saranno immediatamente trasportati all’ospedale Spallanzani di Roma e al Sacco di Milano, strutture specializzate nella diagnosi e cura delle malattie infettive.
Tutto questo in preparazione della riunione di domani mattina, a Bruxelles, per affrontare il tema e predisporre i primi interventi a livello europeo. La posizione che emerge a livello europeo è quella di curare i malati nei luoghi del contagio, potenziando gli ospedali locali, prima che partano per l’Europa. La Francia ha annunciato che avvierà controlli medici negli aeroporti su tutti i passeggeri in arrivo da Paesi colpiti dall’epidemia. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha insistito, nei giorni scorsi, sulla necessità di assicurare la tracciabilità dei viaggiatori provenienti dall’Africa occidentale.
Secondo il Consiglio di sicurezza Onu «la risposta della comunità internazionale all’Ebola ha fallito nel capire e affrontare in maniera adeguata l’entità dell’epidemia e dei suoi effetti». Intanto il numero delle vittime continua a salire. Intanto, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha aggiornato a quasi 4.500 il numero di morti per l’epidemia. Il conteggio aggiornato a domenica scorsa riferisce di 4.493 decessi su un totale di 8.997 casi in sette Paesi. All’8 ottobre, il totale era di 4.033 morti su 8.399 casi. I sette Paesi coinvolti sono divisi tra quelli più colpiti (Guinea, Liberia e Sierra Leone) e i quattro (Nigeria, Senegal, Spagna e Usa) con un numero contenuto di casi. La Liberia si conferma di gran lunga il Paese più colpito con 4.249 casi e 2.458 morti, segue la Sierra Leone (3.252 casi e 1.183 morti) e la Guinea (1.472 casi e 843 morti). Pesante il tributo di sangue degli operatori sanitari: ne sono morti 96 in Liberia, 95 in Sierra Leone, 40 in Guinea e cinque in Nigeria.
FONTE: La Stampa
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