In bilico migliaia di contratti libero professionali in corsia. Messa una pezza ai 35mila precari in scadenza, si apre un’altra falla nel personale della sanità, un buco che potrebbe gettare ugualmente nel caos servizi essenziali, a partire dai pronto soccorso. E stavolta su scala nazionale. Si stanno materializzando in questi giorni, in diversi ospedali d’Italia, le circolari che recepiscono le disposizioni della legge di stabilità pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre scorso. Il provvedimento prevede la proroga di sei mesi ai contratti in scadenza al 31 dicembre, ma non tutti. Dentro il personale a tempo determinato che abbia superato i tre anni, fuori gli incarichi di collaborazione. Si tratta di personale esterno cui le aziende sanitarie locali hanno fatto un massiccio ricorso negli anni per garantire servizi altrimenti impossibili col solo personale interno.
Rischiano camici bianchi, infermieri e ricercatori impiegati in regime di libera professione nei vari reparti. La platea potrebbe riguardare 20mila professionisti: 7mila medici in regime di collaborazione e 14mila incarichi libero-professionali di studio, ricerca e consulenza. Come saranno gestiti è impossibile dirlo. Il dispositivo della norma rimette ai direttori generali e del personale, in base ai propri budget di spesa, di non rinnovarli e di prorogarli solo in “via eccezionale”, al fine di completare il progetto e per ritardi “non imputabili al collaboratore”. Dai territori arrivano però i primi segnali. In Lombardia, ad esempio. “Qui si sta preparando il caos”, denuncia Gianfranco Giacobini della Cub di Lodi. “La componente privatistica è stata la stampella del servizio. All’Ospedale di Lodi abbiamo 141 precari in scadenza prorogati di sei mesi, ma anche una quarantina di incarichi libero professionali che sono stati portati a esaurimento e che alla scadenza contano solo tre rinnovi. Significa gettare il pronto soccorso nel caos. E se non accade oggi sarà domani, quando via via il peso dei mancati rinnovi si farà sentire”.
L’allarme non ha ancora raggiunto le alte sfere sindacali, a lungo in trattativa con il governo per salvare il salvabile. Ma tutto lascia presagire che presto dovranno affrontare anche questo nodo. Da una parte il blocco totale del turnover, dall’altra il rischio di emorragie del personale impossibili da controllare e perfino conteggiare. Il tutto con un governo che c’è sulla carta, dimissionario e incaricato solo dell’ordinaria amministrazione. “Inutile negarlo, tra la caduta del governo e al momento elettorale siamo di fronte a un’empasse istituzionale”, incalza il segretario della Funzione pubblica Cisl Daniela Volpato. Che spiega così la situazione: “Il Fondo sanitario nazionale è stato ridotto di un miliardo ma le nostre richieste attutire e calibrare i tagli della forza lavoro sono cadute nel vuoto. I parametri di riduzione del personale dovevano essere definiti da un decreto che non è stato emanato. Dovevano basarsi sul “Patto per la salute” che non è stato mai definito. Non c’è neppure il tavolo nazionale permanente che avevamo chiesto per avere prefigurazioni sugli effetti concreti della legge di stabilità nei livelli occupazionali e sui servizi”. Nel frattempo, però, sulla testa dei direttori generali delle aziende sanitarie si materializzano vincoli di spesa cui sono subordinati i piani occupazionali delle singole unità. “Alla fine – pronostica la Volpato – le Regioni faranno di necessità virtù, andando avanti in base al loro programma economico finanziario. I nostri delegati sono impegnati a spiegare ai direttori sanitari e agli assessori regionali che non si potranno fare tagli indiscriminati che mettano a rischio pronto soccorso, maternità e tutto quello che occorre per garantire livelli assistenziali, emergenza e urgenza”.
Anche perché poco, pare, resti da tagliare. La Ragioneria generale dello Stato ha fornito i dati riguardanti i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale: dal 2009 al 2011 sono stati tagliati 3.360 medici. “Se guardiamo agli standard europei – spiega Licia Pera dell’esecutivo nazionale di USB Pubblico Impiego – in Italia mancano all’appello 50mila infermieri. L’affondo sul servizio sanitario pubblico è definito e finalizzato ad aprire la strada al sistema delle assicurazioni, attraverso il quale si cura solo chi può pagare mentre alla maggioranza dei cittadini si riserva un servizio pubblico residuale, caritatevole e di scarsa qualità”.
AUTORE: Thomas Mackinson
FONTE: Il fatto quotidiano
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