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AFORISMA DEL GIORNO

30 dicembre, 2012

E' morta Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina

E' morta la scienziata e senatrice a vita Rita Levi Montalcini. Il premio Nobel per la medicina si è spenta nella sua abitazione a Roma in via di Villa Massimo. Aveva 103 anni ed era nata a Torino. E' stata una delle scienziate più ammirate e celebrate del panorama scientifico italiano a livello mondiale. Negli anni cinquanta le sue ricerche la portarono alla scoperta e all'identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa o NGF, scoperta per la quale è stata insignita nel 1986 del premio Nobel per la medicina. Insignita anche di altri premi, è stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze. Il 1º agosto 2001 è stata nominata senatrice a vita "per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale". È stata socia nazionale dell'Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche ed è stata tra i soci fondatori della Fondazione Idis-Città della Scienza.

Nata in una famiglia ebrea sefardita, figlia di Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico e matematico, e della pittrice Adele Montalcini, e sorella di Gino (1902–1974), scultore e architetto noto negli anni trenta, e Anna (1905–2000), nel 1909 Rita nacque insieme alla sorella gemella Paola (1909–2000), nota pittrice. In merito alla propria educazione familiare, scriverà: « La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita. A mio padre come a mia madre debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole. Questo atteggiamento, che si manifestò anche più spiccatamente in mio fratello Gino, mi colpì sin dall'infanzia e determinò, almeno in parte, l'incondizionata ammirazione che avevo nei suoi confronti.»

Entrambi i genitori erano molto colti e instillarono nei figli il proprio apprezzamento per la ricerca intellettuale. Trascorse l'infanzia e l'adolescenza in un ambiente sereno, sebbene dominato da una concezione tipicamente vittoriana dei rapporti con i genitori e dei ruoli femminili e maschili e dalla forte personalità del padre convinto che una carriera professionale avrebbe interferito con i doveri di una moglie e di una madre. Nonostante l'opinione del padre, decise nell'autunno del 1930 di studiare medicina all'Università di Torino; la scelta di medicina fu determinata dal fatto che in quell'anno si ammalò e morì di cancro la sua amata governante.

All'età di vent'anni entrò nella scuola medica dell'istologo Giuseppe Levi (padre di Natalia Ginzburg), dove cominciò gli studi sul sistema nervoso che avrebbe proseguito per tutta la vita. Ebbe come compagni universitari due futuri premi Nobel, Salvador Luria e Renato Dulbecco. Tutti e tre furono studenti di Giuseppe Levi verso il quale si sentirono in debito per la formazione in scienze biologiche e per aver insegnato loro come affrontare i problemi scientifici in modo rigoroso, in un momento in cui tale approccio era ancora abbastanza inusuale; fu lo stesso Levi a introdurre in Italia il metodo di coltivazione in vitro.

Nel 1936 il rettore dell'Università di Torino, Silvio Pivano, le conferì la laurea in Medicina e Chirurgia con 110 e lode, successivamente si specializzò in neurologia e psichiatria, ancora incerta se dedicarsi completamente alla professione medica o allo stesso tempo portare avanti le ricerche in neurologia.

Nel 1938 Benito Mussolini pubblicò il “Manifesto per la difesa della razza” firmato da dieci scienziati italiani, cui fece seguito la promulgazione di leggi razziali di blocco delle carriere accademiche e professionali a cittadini italiani non ariani. In quanto ebrea sefardita, Rita fu costretta a emigrare in Belgio con Giuseppe Levi, sebbene stesse ancora terminando gli studi specialistici di psichiatria e neurologia. Sino all'invasione tedesca del Belgio (primavera del 1940), fu ospite dell'istituto di neurologia dell'Università di Bruxelles dove continuò gli studi sul differenziamento del sistema nervoso.

Poco prima dell'invasione del Belgio tornò a Torino, dove, durante l'inverno del 1940, allestì un laboratorio domestico situato nella sua camera da letto per proseguire le sue ricerche, ispirate da un articolo di Viktor Hamburger del 1934 che riferiva sugli effetti dell'estirpazione degli arti negli embrioni di pulcini. Il suo progetto era appena partito quando Giuseppe Levi, scappato dal Belgio invaso dai nazisti, ritornò a Torino e si unì a lei, diventando così, con suo grande orgoglio, il suo primo e unico assistente. Il loro obiettivo era quello di comprendere il ruolo dei fattori genetici e di quelli ambientali nella differenziazione dei centri nervosi. In quel laboratorio Rita Levi-Montalcini scoprì il meccanismo della morte di intere popolazioni nervose nelle fasi iniziali del loro sviluppo, fenomeno riconosciuto solo tre decenni più tardi (1972) e definito con il termine apoptosi. Il pesante bombardamento di Torino a opera delle forze aeree angloamericane nel 1941 rese indispensabile abbandonare la città e la Montalcini si rifugiò nelle campagne di un paese dell'Astigiano, dove ricostruì il suo mini laboratorio e riprese gli esperimenti. Nel 1943 l'invasione dell'Italia da parte delle forze armate tedesche li costrinse ad abbandonare il loro rifugio ormai pericoloso. L'8 settembre 1943, il fratello Gino si sposò e, dopo un breve viaggio di nozze a Oropa, decise di portare nel sud Italia tutta la famiglia: la madre, la giovane moglie e le sorelle. Iniziò un pericoloso viaggio che si concluse a Firenze, ospiti della famiglia Mori, la cui figlia, pittrice, era amica di Paola.

I Levi-Montalcini restarono a Firenze, divisi in vari alloggi, sino alla liberazione della città, cambiando spesso abitazione per non incorrere nelle deportazioni. Una volta furono salvati da una domestica, che li fece scappare appena in tempo. A Firenze, Rita fu in contatto con le forze partigiane del Partito d'Azione e nel 1944 entrò come medico nelle forze alleate.

Nell'agosto 1944 gli Alleati costrinsero i tedeschi a lasciare Firenze; la Montalcini divenne medico presso il Quartier Generale anglo-americano e venne assegnata al campo dei rifugiati di guerra provenienti dal Nord Italia, trattando le epidemie di malattie infettive e di tifo addominale. Qui si accorse però che quel lavoro non era adatto a lei, in quanto non riusciva a costruire il necessario distacco personale dal dolore dei pazienti. Lavoro da lei stessa definito difficile e penoso per il diffondersi delle epidemie: « Era in corso un'epidemia di tifo, i malati morivano a decine. Facevo di tutto, il medico, l'infermiera, la portantina. Giorno e notte. È stato molto duro e ho avuto fortuna a non ammalarmi. » (Rita Levi-Montalcini)

Dopo la guerra tornò dalla famiglia a Torino dove riprese gli studi accademici e allestì un laboratorio di fortuna casalingo in una collina vicino ad Asti. I suoi primi studi (degli anni 1938-1944) erano stati dedicati ai meccanismi di formazione del sistema nervoso dei vertebrati. Con il maestro Giuseppe Levi, iniziò a fare ricerca negli embrioni di pollo attraverso i quali approfondì le ricerche sulle correlazioni nello sviluppo tra le varie parti del sistema nervoso e si rivolgeva allo studio dello sviluppo dei neuroni isolati da vari elementi del tessuto cerebrale dell'embrione, giungendo a diversi risultati pubblicati su riviste scientifiche internazionali.

Nel 1947 il biologo Viktor Hamburger, al quale si era ispirata per molti suoi lavori, la invitò a St. Louis, a prendere la cattedra di docente del corso di Neurobiologia al Dipartimento di zoologia della Washington University. Tra le altre cose continuò le ricerche embrionali sulle galline portando sul terreno sperimentale il problema delle relazioni tra neurosviluppo e periferia organica. Innestando in embrioni di pollo frammenti di speciali tumori, poté osservare il prodursi di un "gomitolo" di fibre nervose a carico delle cellule gangliari, deducendone l'ipotesi di un fattore chimico, liberato dal tessuto ospite e attivo sullo sviluppo dei neuroni. Tra la fine del 1950 e il 1951, agganciandosi alle ricerche dell'embriologo Elemer Bueker, delineò l'idea di un agente promotore della crescita nervosa, presentando nel dicembre 1951 presso la New York Academy of Sciences la sua tesi che cercava di spiegare la differenziazione dei neuroni e la crescita di fibre nervose, l'esistenza di fattori liberati da altre cellule capaci di controllare questa differenziazione. La tesi venne approfondita e precisata con nuove esperienze, condotte nel 1952 con la cultura in vitro all'Istituto di biofisica dell'università di Rio de Janeiro, in collaborazione con Hertha Mayer.

Certa di rimanere negli Stati Uniti solo pochi mesi, quella che doveva essere una breve permanenza si rivelò poi una scelta trentennale. Fino al 1977 rimase negli USA, dove realizzò gli esperimenti fondamentali che la condussero, nel 1951-52, durante la sperimentazione di un trapianto di tumore di topo sul sistema nervoso dell'embrione di un pulcino, alla scoperta del fattore di crescita nervoso, una proteina che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche.

Nel 1954, continuando nelle analisi in vitro e in collaborazione col suo allievo biochimico Stanley Cohen, giunse all'isolamento di una frazione nucleoproteica tumorale e all'identificazione di tale sostanza presente in quantità ingenti nel veleno dei serpenti e nella ghiandola salivare dei topi: una proteina che viene sintetizzata da quasi tutti i tessuti e in particolare dalle ghiandole esocrine, con cui meglio accertò la molecola proteica tumorale chiarificandone i meccanismi di crescita e di differenziazione cellulare. Designata come Nerve Growth Factor (NGF), essa si sarebbe dimostrata attiva sul differenziamento, il trofismo e il tropismo di determinati neuroni del sistema nervoso periferico e del cervello. La loro ricerca è stata di fondamentale importanza per la comprensione della crescita delle cellule e organi e svolge un ruolo significativo nella comprensione del cancro e di malattie come l'Alzheimer e il Parkinson.

Questa scoperta "andava contro l'ipotesi dominante nel mondo scientifico che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni". Sviluppi successivi poterono chiarire appieno il significato di questa scoperta: alcune cellule del sistema simpatico sono stimolate dall'organo di cui regolano l'attività, una maggior richiesta è in grado di modificare in senso ipertrofico le cellule di questo sistema. Dopo aver sperimentato che, trattando alcuni topi con un siero anti-NGF, questi presentavano gravi problemi neuroendocrini, dovuti ad alterazioni irreversibili dell'ipotalamo, Rita Levi-Montalcini lo utilizzò per controllare la crescita dei tumori delle cellule nervose.

Nel 1956 venne nominata professoressa associata e nel 1958 professoressa ordinaria di zoologia presso la Washington University di St. Louis e, nonostante inizialmente volesse rimanere in quella città solo un anno, vi lavorò e vi insegnò fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1977. Per circa trent'anni fece le ricerche sull'NGF e sul suo meccanismo d'azione, per le quali nel 1986 ricevette il Premio Nobel per la medicina insieme al suo studente biochimico Stanley Cohen. Nella motivazione del Premio si legge: «La scoperta dell'NGF all'inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo».

La scienziata devolse una parte dell'ammontare del premio alla comunità ebraica, per la costruzione di una nuova sinagoga a Roma. Nel 1987 ricevette dal Presidente Ronald Reagan la National Medal of Science, l'onorificenza più alta del mondo scientifico statunitense.

Durante la carriera negli Stati Uniti, lavorò assiduamente anche in Italia: fondò un gruppo di ricerche e dal 1961 al 1969 diresse il Centro di Ricerche di neurobiologia creato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Roma) presso l'Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l'Istituto di Biologia della Washington University, e dal 1969 al 1979 rivestì la carica di Direttrice del Laboratorio di Biologia cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Dopo essersi ritirata da questo incarico "per raggiunti limiti d'età" proseguì i suoi studi come ricercatrice e fu Guest professor dal 1979 al 1989. Nel 1983 fu chiamata a ricoprire anche la posizione di presidente dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla, poiché, nonostante i lunghi soggiorni negli Stati Uniti, non smise di seguire le ricerche su questa patologia.

Dal 1989 al 1995 lavorò presso l'Istituto di neurobiologia del CNR con la qualifica di "superesperto", concentrandosi sullo spettro di azione dell'NGF. Dal 1993 al 1998 presiedette l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, istituzione che è riuscita a rilanciare in quegli anni. Nel 1999 è stata nominata ambasciatrice dell'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) dal direttore generale Jacques Diouf, per contribuire alla sua campagna contro la fame nel mondo-

È stata membro delle maggiori accademie scientifiche internazionali, come l'Accademia Nazionale dei Lincei per la classe delle Scienze Fisiche, la Pontificia Accademia delle Scienze (prima donna ammessa), l'Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, la National Academy of Sciences statunitense e la Royal Society. È stata inoltre Presidente onoraria dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Ha collaborato con l'Istituto Europeo di Ricerca sul Cervello (Fondazione EBRI, European Brain Research Institute), da lei fondato nel 2001 e presso il quale ha proseguito, fino a poco tempo prima di morire, la sua attività di ricerca, affiancata da un costante impegno in campo sociale e politico e sostanziata dalla profonda riflessione etica che ne ha animato l'intero percorso di vita.

Levi-Montalcini ha sempre affermato di sentirsi una donna libera. Cresciuta in «un mondo vittoriano, nel quale dominava la figura maschile e la donna aveva poche possibilità», ha dichiarato d'averne «risentito, poiché sapevo che le nostre capacità mentali - uomo e donna - son le stesse: abbiamo uguali possibilità e differente approccio».

Ha rinunciato per scelta a un marito e a una famiglia per dedicarsi interamente alla scienza. Riguardo alla propria esperienza di donna nell'ambito scientifico, ha descritto i rapporti coi collaboratori e studiosi sempre amichevoli e paritari, sostenendo che le donne costituiscono al pari degli uomini un immenso serbatoio di potenzialità, sebbene ancora lontane dal raggiungimento di una piena parità sociale.

La prima metà degli anni settanta l'ha vista partecipe dell'attività del Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell'aborto.

Rita Levi-Montalcini ha sovente lavorato con giovani attraverso progetti del CNR. Da un'indagine del 2006, effettuata dalla Tns Infratest, la sua credibilità la pone in testa alla classifica dei migliori testimonial.

Alla base di questa volontà di confronto con i giovani vi è una profonda fiducia nelle capacità innovative dell'uomo. Ha più volte affrontato il tema del rapporto tra le nuove generazioni e lo sviluppo tecnologico, del quale ha descritto anche i limiti:
« Oggi, rispetto a ieri, i giovani usufruiscono di una straordinaria ampiezza di informazioni; il prezzo è l’effetto ipnotico esercitato dagli schermi televisivi che li disabituano a ragionare (oltre a derubarli del tempo da dedicare allo studio, allo sport e ai giochi che stimolano la loro capacità creativa). Creano per loro una realtà definita che inibisce la loro capacità di “inventare il mondo” e distrugge il fascino dell’ignoto. »
(Rita Levi-Montalcini)

Negli incontri coi giovani, emerge l'invito a non concentrare l'attenzione solo su sé stessi, a partecipare ai problemi sociali e fare proposte volte al miglioramento del mondo attuale.
Ai giovani ricercatori ha ripetutamente suggerito l'esperienza all'estero per poi tornare in Italia, convinta che risieda in loro il futuro della ricerca e dell'innovazione scientifica del paese.

Nel 2009, giungendo all'età di cento anni, è stata la prima tra le vincitrici e i vincitori del premio Nobel a varcare il secolo di vita. È stata altresì la più anziana tra i senatori e senatrici a vita in carica nonché della storia repubblicana italiana. Più anziano di lei fu il Senatore del Regno Giovanni Battista Borea d'Olmo, vissuto fino all'età di 105 anni. In occasione del compimento dei cento anni ebbe modo di dichiarare: "Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente".

FONTE: Wikipedia

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