Altro che vacanze. Per migliaia di neodiplomati o neo mini-laureati sono iniziati i conti alla rovescia (e i conti in tasca) per i test di ammissione ai corsi di laurea a numero chiuso. Che sono sempre di più: su 4.690 corsi di laurea esistenti, sono 1.590, cioè il 33,9%, con costi per la preparazione che vanno da poche centinaia di euro a qualche migliaio.
Ormai un terzo dei corsi (sia per laurea triennale che magistrale) è a numero chiuso o programmato, e quindi richiede, per l'iscrizione, il superamento di una prova. Oltre ai 708 corsi di laurea in Medicina, Veterinaria e Architettura, per i quali ogni anno il ministero dell'Istruzione decide il numero di posti disponibili, ci sono infatti gli 882 scelti liberamente dai singoli atenei che sono costretti a limitare il numero di accessi per offrire una didattica dignitosa: il 18,8% del totale, un trend che si conferma in crescita rispetto al 17,7% dell'anno scorso. Basti pensare che ci sono atenei, come quelli di Catania e Palermo, dove tutti i corsi sono ormai ad accesso limitato. E allora scatta la corsa al quiz.
L'anno scorso per un totale di 9.690 posti disponibili a Medicina e chirurgia, si sono presentati in 84.422, una media di 8,7 candidati a posto, con i picchi di Siena (13,5), Sassari (12,4), Salerno (10,9). Quest'anno ci sono poco più di diecimila posti a disposizione, e gli atenei sono già pronti alla ressa, anche se la possibilità di ambire a più università nell'ambito della Regione, come stabilito dal ministro all'Istruzione Francesco Profumo, dà qualche chance in più. Stessa storia per Veterinaria, dove a fronte di 958 posti a disposizione (quest'anno ce ne sono anche meno, 918) si sono presentati nel 2011 ai test 7.305 aspiranti, 7,6 per ogni disponibilità. Non fa eccezione Architettura, oltre 23 mila candidati per 8.760 posti (quest'anno sono 8.720).
Ed è facile immaginare che saranno più che ambiti anche gli oltre 149 mila posti sparsi negli atenei per i corsi più disparati, da Scienze della comunicazione a Ingegneria, fiore all'occhiello del Politecnico di Milano, dove l'anno scorso c'erano 7.792 aspiranti ingegneri a fronte di 5.469 disponibilità, +9% rispetto all'anno precedente: «Noi crediamo tantissimo ai test di ammissione - spiega il rettore Giovanni Azzone -. Ma diamo la possibilità ai ragazzi di farli già dal terzo e quarto anno di liceo. Possono tentarlo anche più volte: il nostro obiettivo è motivarli, e infatti i test anticipati costano 30 euro invece dei 50 di settembre, e per la preparazione mettiamo a disposizione un volume scaricabile online».
I costi, altro capitolo spinoso: perché partecipare alla sfida a suon di crocette non è gratuito. A Padova il test costa 27 euro, a Roma Tre 25, a Catania 40, ma in moltissime facoltà, dalla Sapienza di Roma alla Statale di Milano, si aggira sui 50 euro, e ci sono anche atenei più cari, come Bologna (60 euro), Napoli (70 euro), Pavia (dai 75 ai 100 euro) fino ai 110 euro della Luiss di Roma. Considerando che ciascuno studente tenta di solito più prove, la cifra lievita. E poi c'è tutto il business della preparazione ai quiz: i manuali possono costare fino a 115 euro, ma i corsi più raffinati vanno dai 400 euro (per una full immersion di pochi giorni a fine agosto) agli oltre 4.000 euro, per corsi più lunghi che durano qualche mese oppure prevedono soggiorni vacanza abbinati a sessioni di studio.
È uno dei motivi per cui l'Unione degli universitari attacca a testa bassa i test: «Lo sbarramento con i test di ingresso universitari sta sempre più diventando un vero e proprio ostacolo sociale per l'accesso alla massima istruzione - dice il presidente Michele Orezzi - e invece di abbattere le barriere costruiamo ostacoli sempre più alti». Una posizione non condivisa da Luigi Frati, rettore della Sapienza di Roma: «Se siamo in Europa, dobbiamo rimanerci: se ci sono le quote latte, ci sono anche le quote medici, dobbiamo essere pragmatici». Come ci si allena al meglio, allora, senza spendere cifre strabilianti? «Con la clessidra da un minuto, che aiuta a calcolare i tempi, oppure con il Sudoku, che sviluppa la logica», suggerisce Pierluigi Celli, direttore generale della Luiss. «Perché sa qual è il vero problema? Che noi italiani siamo troppo emotivi».
Autrice: Valentina Santarpia
Fonte: Corriere.it
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