Puntuale come l’autunno si ripresenta la polemica contro il numero chiuso a Medicina. Dopo che il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti era riuscito a scavallare il test 2018 (ai primi di settembre) senza eccessivi problemi o scontri, prima il suo segretario Matteo Salvini e ora la sua collega Giulia Grillo hanno cominciato a picconare i test di accesso all’Università. Singolare che ci si occupi solo di Medicina e non anche delle altre facoltà, veterinaria e architettura, perché se la questione è il principio, il numero chiuso non funziona da nessuna parte. Comunque il ministro della Salute nel weekend ha annunciato che vorrebbe introdurre in Italia un sistema «ispirato a quello francese dove non c’è il numero chiuso all’inizio, con libero accesso al primo anno, e poi una selezione molto serrata per verificare chi è in grado di andare avanti». Anche lei ammette «che ci sono pro e contro ma è meglio del sistema attuale».
Alle proposte di Salvini e Grillo, Bussetti non replica. La sua idea sui test di ingresso appare meno «rivoluzionaria»: «Dobbiamo aumentare sicuramente gli accessi e soprattutto aumentare le borse nelle scuole di specializzazione», ha dichiarato il mese scorso, mettendo nel mirino l’annoso problema della seconda parte della carriera universitaria dei medici: quasi la metà dei laureati resta senza specializzazione perché i posti banditi annualmente sono troppo pochi. Ma poi lo stesso Bussetti ha aggiunto in un’altra occasione, che del numero chiuso se ne occuperà presto, come ripete per tutti i dossier: «Quest’anno abbiamo aumentato il numero di posti disponibili e nelle prossime settimane affronteremo il tema del cosiddetto “numero chiuso”. È una questione delicata. Dobbiamo studiare soluzioni che garantiscano da una parte il diritto allo studio ai giovani, dall’altra una risposta concreta al mondo del lavoro. Soprattutto in quei settori in cui ci sono dei vuoti da colmare». Del resto i rettori sono stati chiari, per voce del loro presidente - appena riconfermato - Gaetano Manfredi: «Si possono aumentare i posti disponibili anche del 50 per cento, arrivando a 15 mila accessi», ma togliere il numero chiuso non si può visto che ogni anno sono quasi settantamila gli studenti che tentano la prova e il numero degli aspiranti medici non scende: se questo esercito di studenti arrivasse di colpo a Medicina, non potrebbe trovare aule, laboratori e professori, mettendo a repentaglio anche la qualità dei corsi. A meno di un forte aumento dei fondi per gli Atenei.
L’argomento dell’abolizione del numero chiuso piace alle organizzazioni degli studenti, Udu e Link, che rilanciano tutti gli anni la proposta di cancellare il test. Sul sito Change.org c’è anche una petizione al ministro Bussetti che però langue sotto le 1.200 firme. Quanto al modello francese, che finora è stata l’unica proposta concreta alternativa a quello italiano, è fortemente criticato in patria, dove invece studiano il «nostro» numero chiuso. Il problema principale è che chi non passa il vaglio alla fine del primo anno, non solo ritenta la sorte l’anno successivo, finendo in caso di bocciatura per perdere due/tre anni di studi. Inoltre non tutti coloro che non passano il test al secondo anno poi continuano con studi simili a medicina e devono ricominciare da capo con un altro corso. Ma tant’è, più del modello per ora va monitorato se vincerà la linea attendista di Bussetti o quella interventista della maggioranza.
FONTE: Corriere.it
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