Sentieri della Medicina - LOGO

AFORISMA DEL GIORNO

11 luglio, 2018

Anaao Assomed lancia l'allarme: troppi medici in fuga per mancata formazione post laurea e troppi tagli a carico del settore pubblico

Liste d’attesa? Ospedali sotto organico? A meno di non cambiare modello sanitario, il peggio potrebbe non essere ancora arrivato. Nel 2028, secondo una stima del sindacato dei medici dirigenti Anaao, per effetto dei pensionamenti il Servizio sanitario nazionale perderà oltre 47mila specialisti. In corsia i camici bianchi saranno sempre più una rarità non solo per le uscite, ma anche perché – a causa del numero contingentato di posti nei percorsi di formazione post laurea – gli ingressi non sono sufficienti a pareggiare i conti. Gli stranieri? Gli stipendi italiani non sono competitivi con quelli degli altri Paesi europei. «Dal 2009 al 2016 abbiamo perso 9mila medici dipendenti, cioè ospedali e territorio (la maggioranza sono ospedalieri) – dice Carlo Palermo, vice segretario nazionale vicario Anaao Assomed – e a partire da quest’anno si marcerà al ritmo di 5.600 pensionamenti l’anno. Così che in un decennio andranno via 55.500 medici, 47.300 specialisti ospedalieri, più 8.200 universitari e specialisti ambulatoriali». A parlare sono le date di nascita e la curva pensionistica, con l’esodo dei figli del baby-boom. La maggior parte dei medici attivi attualmente è nata tra il 1952 e il 1962. La Riforma Fornero ne ha ritardato il pensionamento, ma adesso i nati dal 1952-53 hanno acquisito i criteri previdenziali dal 2017. E via via andranno in pensione anche gli altri.

«Ogni anno – precisa Palermo - circa 7mila medici sono pensionabili: facendo un semplice calcolo, nel 2022 matureranno il diritto a uscire 30mila medici». Ma potrebbero essere di più se davvero il governo metterà mano alla Legge Fornero e allenterà i criteri, introducendo per esempio quota 100. «Il che sarebbe un bene, perché fare le guardie a 65 anni non va bene - dice Palermo - ma si aggraverà la carenza di personale». Il calcolo rischia di essere sottostimato anche per altri motivi. Il primo fra questi è il modello (tutto italiano, senza eguali nel resto d’Europa) della formazione specialistica. «Da noi è appannaggio delle università, che però non offrono posti sufficienti», spiega Palermo. «Attualmente i laureati in medicina e chirurgia sono 9mila all’anno a cui si aggiungerà la quota di studenti che hanno fatto ricorso perché esclusi dalle selezioni (circa 15mila in totale da oggi al 2027). Da oggi al 2027 avremo oltre 95mila laureati: l’offerta formativa è di 6.200 contratti di specializzazione post laurea e 1.000 borse per diventare medici di base. Totale: 7.200 all’anno, 72mila in dieci anni. Circa 30mila medici non avranno uno sbocco formativo post laurea».

Andranno all’estero e l’Italia farà un autogol perché un laureato in medicina costa all’università italiana circa 150mila euro. Il risultato – oltre allo spreco di risorse – è la carenza di specialisti: già oggi mancano pediatri, anestesisti, cardiologi, chirurghi generali. «Alcuni medici lasciano il pubblico per andare nel privato a causa del disagio lavorativo – analizza il sindacato – perché con i tagli sono aumentati i turni di guardia, la reperibilità. Tutto il settore delle urgenze è in grandissima difficoltà, oltre ai reparti. Soprattutto nelle zone periferiche». Secondo Anaao il 10 per cento delle uscite in Veneto, Piemonte e Lombardia non è legato alla pensione. I tagli, ecco. Ci sono veramente? «È scritto nella Legge che un tempo si chiamava Finanziaria», dice Francesco Longo, dell’Osservatorio sul Sistema Sanitario Nazionale del Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (Cergas) dell’Università Bocconi. «L’Italia nel 2020 dovrà spendere l’1,4 per cento in meno per il personale della sanità rispetto al 2004 e questo mentre gli altri Stati invece la aumentano per andare incontro alle esigenze della popolazione».Già adesso, per dirla con i numeri, lo Stato italiano spende 1.800 euro ad abitante per l’assistenza sanitaria, mentre tedeschi e francesi hanno a disposizione 2.600 euro. «Abbiamo un Servizio sanitario sobrio, per non dire povero - commenta Longo - che spende più o meno ogni anno la stessa cifra, mentre nel resto del mondo occidentale aumenta perché aumentano i bisogni della popolazione».

Dobbiamo rassegnarci a un inesorabile peggioramento della sanità pubblica? «Se non cambieremo il modello sì - dice Longo – ma possiamo invece riorganizzare il Ssn per renderlo più adatto alle esigenze di cura e alla scarsità di risorse, allocandole in modo diverso. Oggi gli specialisti passano la metà del tempo a fare burocrazia. Il modello possibile ed efficace oggi è fatto con meno medici specialisti, che però fanno solo i medici, e più personale para-sanitario (che costa meno) come tecnici di laboratorio, infermieri e fisioterapisti. Serve un nuovo governo di allocazione del personale, che del resto è anche più adatto all’epidemiologia attuale e futura, sempre più fatta da malattie croniche».Anche in Italia un cambiamento in questo senso è già stato adottato da alcuni ospedali organizzati non più in reparti ma per intensità di cura, dove il controllo dei pazienti in corsia, salvo emergenze, è affidato agli infermieri. E per sopperire alla mancanza di specialisti la soluzione esiste: «Basta fare come nel resto d’Europa – dicono sia Palermo sia Longo - cioè formare gli specialisti all’interno del Servizio sanitario individuando strutture che possano essere teaching hospital».

FONTE: Corriere.it

Nessun commento:

Posta un commento

Sentitevi liberi di commentare l'articolo. Si richiede gentilmente il rispetto delle norme di netiquette esistenti su internet. I commenti sono moderati e verranno pubblicati dopo approvazione del blogger (limite di 24 ore). Il blogger si riserva il diritto di non pubblicare e/o cancellare i commenti che ritiene non adeguati alle regole di netiquette. Buona scrittura e grazie per il messaggio.

SENTIERI DELLA MEDICINA

In questo blog ci sono post e commenti

Commenti recenti

Post più popolari