Disastro doloso e associazione a delinquere. Sono questi, secondo quanto si apprende, i reati ipotizzati dalla Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta che ruota attorno al medicinale salvavista Avastin, per il quale l’antitrust ha sanzionato due grandi case farmaceutiche.
C’era un «piano» ben determinato e concertato tra Roche e Novartis per gettare un allarme ingiustificato sul farmaco meno costoso e far sì che gli oculisti non avessero, com’è a tutt’oggi, il permesso dall’Aifa (l’agenzia del farmaco) per utilizzarlo. Malgrado studi internazionali avessero riconosciuto che i rischi e gli effetti nella cura di maculopatie di Avastin (di Roche, all’epoca 80 euro, ora circa 10) e Lucentis (di Novartis, all’uscita 2.019 euro, ora circa 700) fossero equivalenti.
Sono sorprendenti le carte che hanno dato origine alla maximulta dell’Antitrust per i due colossi del farmaco, ora finite nei fascicoli anche della Procura di Torino, che da due anni lavora a 360 gradi sulla vicenda e ha già iscritto alcuni indagati ipotizzando un’associazione a delinquere per reati di vario genere, incluso l’aver fatto mancare le cure ai malati indigenti, e si avvia a chiudere il cerchio al più presto. E quella di Roma che due giorni fa ha aperto un fascicolo sul «patto» ipotizzando pure l’aggiotaggio e la truffa.
Sorprendono alla luce degli allarmi inascoltati degli oculisti all’Aifa e al ministero lanciati già dal 2009. Un carteggio tra il presidente della Soi (Società oculisti italiani) e l’Aifa, dimostra che i medici avevano messo nero su bianco l’equivalenza clinica dei due farmaci e avevano lanciato l’allarme sui pazienti per mesi lasciati senza cure perché Lucentis era troppo costoso per essere rimborsabile e non poteva essere somministrato in ospedale, ma l’Avastin non aveva il via libera dall’Aifa. Così, mentre Novartis fa sapere di non aver ricevuto nessuna comunicazione dalla Procura di Roma, come ovvio giacché il fascicolo è ancora contro ignoti, e di aver sempre rispettato «il quadro regolatorio nazionale ed europeo», il presidente della Soi Matteo Piovella chiede: «E ora cosa farà il ministro della Salute Beatrice Lorenzin? Ci permetterà finalmente di usare il farmaco meno costoso? E interverrà sull’Aifa che non ci ha dato ascolto lasciando per mesi nelle strutture pubbliche malati senza cura?». E la signora Tina, pensionata di 94 anni, indignata, segnala al Corriere: «Chi mi ridarà i 1.700 euro che ho dovuto tirar fuori dalla mia pensione per il farmaco che la clinica convenzionata non mi passava?».
Partono dal febbraio 2009 gli allarmi inviati dal presidente Soi Piovella al presidente dell’Aifa Pani e al suo predecessore Guido Rasi. Il massimo interlocutore scientifico dell’oftalmologia italiana scrive che «nel perseguire l’obiettivo primario di tutela della salute oculare dei cittadini ritiene necessario non escludere dalla legge il farmaco Avastin». Aggiunge che «non ci sono evidenze di effetti avversi» e che tutte le «comparazioni non hanno riscontrato nessuna differenza» tra Avastin e Lucentis. Niente. Il 18 giugno Piovella avverte del «grave e ingiustificato vuoto di trattamento rimborsabile». Specifica che «l’autosufficienza di migliaia di pazienti è una responsabilità a cui non è possibile sottrarsi». Nulla. Scrive ancora, e ancora. Il 13 luglio 2011 torna a segnalare il «cavillo giuridico» che impedisce l’uso del «farmaco gemello» e segnala «l’enorme spreco» di denaro e il mancato «trattamento dei malati svantaggiati». Il 29 febbraio 2012 segnala a Pani lo studio indipendente Usa che testimonia l’«equivalenza» dei farmaci e sottolinea «con il costo del trattamento con Lucentis di un solo paziente se ne potrebbero curare 60 con Avastin». Nulla. Il 2 febbraio 2012 segnala al ministero della Salute il rischio «di danni irreversibili alla vista per 2 milioni di pazienti». Un carteggio che prosegue tra i «sospetti effetti avversi» sostenuti ancora ieri dall’Aifa. Intanto nel novembre 2011 gli avvocati Giorgio e Giancarlo Muccio dell’Aiudapds (associazione di medici di day surgery) presentano il primo esposto che finirà all’Antitrust.
Contemporaneamente si svolgeva l’«attività» di Roche e Novartis per «creare ad arte inesistenti differenze di pericolosità», scrive l’Antitrust, basato su una «comunicazione efficace, convegni, finanziamento di pubblicazioni di revisioni degli studi comparativi, articoli». Ci sono le mail tra l’amministratore delegato della Roche che chiede al responsabile farmacovigilanza dell’azienda dell’«eventuale esistenza e consistenza di eventi avversi». E l’altro replica: «Ho guardato nel database di Aifa, ci sono tredici segnalazioni delle quali quattro sono casi di letteratura inseriti da noi. Le altre nove provengono dal Nord dove storicamente si segnala di più». Praticamente zero. In una mail di inizio 2013 nell’«intento di difendere le vendite di Lucentis in Francia e Italia» raccomanda metodi spicci: «generando e comunicando preoccupazioni per la sicurezza di Avastin».
FONTE: Corriere.it
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