Dovranno diminuire di almeno «7.389 unità» (2.337 nella sola Lombardia) i posti letto nelle strutture ospedaliere italiane in attuazione della spending review. Lo scrive in una nota il ministero della Salute, che sottolinea anche che le Regioni che già si trovano sotto la percentuale di 3,7 posti per mille abitanti avranno invece la facoltà di aumentarli fino a questo tetto.
«Più che di tagli parlerei di riconversione perchè anche se si sono ridotti i posti letto, questi sono destinati agli anziani, la riabilitazione e la lunga degenza - ha spiegato a Tgcom24 il sottosegretario alla Salute, Elio Adelfio Cardinale - Per questo c'è questa eliminazione di sprechi. In ogni ospedale ci sono reparti col tasso di occupazione del 15%. In queste situazioni bisognava intervenire da tempo e questo governo è dovuto intervenire in tempi brevi». Cardinale ha anche spiegato che in questo modo si arriverà a un «accorpamento di ospedali dove ci sono 15 primariati di cardiologia o chirurgia».
Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, insieme al ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, ha inviato uno schema di regolamento alla Conferenza Stato-Regioni. L'argomento è la «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera». Al 1 gennaio in Italia erano presenti 231.707 posti letto (3,82 ogni mille abitanti) di cui 195.922 per pazienti acuti, cioè per quelli la cui malattia dura poco nel tempo (3,23 ogni mille abitanti), e 35.785 per post-acuti (0,59), o lungodegenti. La legge 135/2012 indica come obiettivo una media complessiva di 3,7 posti letto per mille abitanti, di cui 0,7 deve essere dedicato a riabilitazione e post acuti e i restanti 3 per gli acuti.
Le Regioni che ad oggi presentano un numero di posti letto superiore a quello previsto dai nuovi standard dovranno provvedere alla riorganizzazione, quelle in una situazione di posti inferiore a questa stima avranno la facoltà di aumentarli. I posti quindi passeranno a 224.318 in totale, di cui 181.879 per pazienti acuti (-14.043) e 42.438 per lungodegenti.
In base alle tabelle quattro regioni (come detto la Lombardia, che perde 2.337 posti di cui 911 per i lungodegenti, l'Emilia Romagna, il Lazio e il Molise) e la provincia di Trento dovranno diminuire posti in entrambe le tipologie. L'Umbria potrà incrementare entrambe le categorie, il Piemonte dovrà ridurre i lungodegenti e potrà aumentare quelli per acuti. Le regioni rimanenti (Valle d'Aosta Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) e la provincia autonoma di Bolzano, al contrario potranno aumentare i posti per lungodegenti e dovranno diminuire quelli per acuti. In sei (Liguria, Toscana, Abruzzo, Campagna, Puglia e Sicilia) il numero dei posti letto, per effetto del gioco dei saldi, potrà complessivamente aumentare.
«I calcoli - sottolineano dal ministero - si basano sulla popolazione generale di ogni Regione pesata e corretta in base alla percentuale di anziani e ai flussi di mobilità ospedaliera tra Regioni. Il correttivo tiene anche conto del fatto che alcune Regioni registrano una mobilità attiva, in quanto i propri ospedali attraggono pazienti residenti altrove».
I criteri in base ai quali procedere sono indicati in uno schema di regolamento sugli «standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell'assistenza ospedaliera». Salvo sorprese verrà esaminato la prossima settimana dalla Conferenza Stato-Regioni, per l'approvazione. Il documento è pronto, frutto del lavoro del ministero della Salute attraverso l'agenzia per i servizi sanitari (Agenas) diretta da Fulvio Moirano, che ha in mano anche il cosiddetto programma per la valutazione delle performance delle singole strutture. Più che di sforbiciata, è corretto parlare di riconversione visto che i letti non verranno aboliti ma riutilizzati per funzioni diverse ad esempio residenze per anziani, lungodegenza. Il taglio non sarà attuato attraverso tanti piccoli interventi, un posto in meno lì, due in meno lì, secondo la logica della mediazione, specie nelle università.
Spariranno interi primariati-doppione (oggi si chiamano unità operative complesse) selezionati in base al bacino di utenza e al rendimento. Questo a garanzia dei pazienti. Più una struttura accumula esperienza e casistica, più è sicura, soprattutto per quanto riguarda le alte specialità. Centri trapianti, cardiochirurgia, neurochirurgia. In molte realtà sono troppi e lavorano poco perché devono spartirsi i malati, a discapito della qualità. Per alcune specialità (ad esempio by pass coronarico) vengono fissati dei limiti al di sotto dei quali non si dovrebbe scendere: almeno 150 l'anno. A Roma, tanto per fare un esempio, solo una cardiochirurgia delle 8 presenti rispetta questo ritmo. In Lombardia 10 su 18.
«Chiudere i primariati? Un'impresa, spesso non ci si riesce, si incontrano molte resistenza politiche», racconta Giuseppe Zuccatelli, oggi subcommissario della Sanità abruzzese, intervenuto su questo tema al convegno organizzato a Roma da «Meridiano Sanità» sulla salute in Italia in tempo di crisi economica. «Bisogna raggiungere l'indicatore sui letti stabilito dal ministero attraverso l'eliminazione di reparti interi, unico modo per ottenere risultati duraturi ed efficaci sul piano economico e di recupero di personale. Infermieri e ausiliari da utilizzare altrove e per coprire il turn over», analizza Zuccatelli. Dunque non tagli lineari, ciechi o effetto di spinte e pressioni. Lo schema di regolamento suddivide gli ospedali in tre categorie (hub, spoke e integrativi) in base a grandezza e strutture. Si insiste sull'indice di occupazione dei posti letto che deve attestarsi su 80-90%: in reparti di 30 posti, ne devono essere occupati in media 26. Le misure antisprechi funzionano così.
FONTE: Corriere.it
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