Per la prestigiosa rivista "Science" la più importante scoperta scientifica dell'anno che sta per finire riguarda il campo della medicina e precisamente le terapie antiretrovirali per combattere l'HIV. Si tratta dello studio "HPTN 052", pubblicato lo scorso agosto sulla rivista "The New Journal of Medicine". Condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, tale progetto di ricerca ha permesso di scoprire che il trattamento antiretrovirale riduce del 96% il rischio di contagio nelle coppie in cui uno dei due partner è stato infettato dall'HIV. Iniziato nel 2007, I ricercatori hanno arruolato 1.763 coppie sierodiscordanti (ovvero con solo uno dei due partner sieropositivo) di 9 paesi (Brasile, India, Tailandia, Usa, Botswana, Kenya, Malawi, Sud Africa e Zimbabwe). Metà dei sieropositivi ha ricevuto immediatamente il trattamento, gli altri invece avrebbero dovuto aspettare il raggiungimento dei parametri clinici richiesti dalle linee guida. I risultati erano attesi per il 2015, ma quando, lo scorso aprile, Myron Cohen della University of North Carolina di Chapel Hill ha cominciato ad analizzare i primi dati per il trial HPTN 052 - di cui era a capo - non ha potuto tenere per sé quanto scoperto, tra 28 nuovi casi di trasmissione dell’infezione uno solo proveniva dal gruppo che aveva cominciato la terapia precocemente, cosi l'organismo di controllo della ricerca ha deciso, 4 anni prima della fine del trial, che tutti i partecipanti dovevano ricevere al più presto il trattamento antiretrovirale. ''Mentre sono ovviamente entusiasta che questa ricerca sia stata riconosciuta come la scoperta dell'anno - ha detto Myron Cohen, scienziato che ha coordinato lo studio - è la sua trasposizione su scala globale la migliore ricompensa. Dobbiamo dimenticare l’idea di una tensione tra trattamento e prevenzione e mettercela alle spalle, perché il trattamento è prevenzione”.
Al secondo posto della speciale classifica di "Science" si colloca l'astronomia e la scoperta che le meteoriti arrivano dagli asteroidi. Completa il podio le ricerche antropologiche condotte sulla complessità del genoma umano primordiale, nato da scambi genetici a quanto pare molto più complessi di quanto finora ipotizzato.
Al sesto posto torna la biologia, con gli studi made in Deutschland condotti sugli Enterobatteri buoni del nostro intestino. Che come sappiamo sono "buoni" in quanto producono vitamine, influenzano il metabolismo energetico e il sistema immunitario. Ce ne sono a miliardi nel nostro intestino, in una composizione così particolare da essere diversi persino nei gemelli. Quest'anno però i ricercatori dello "European Molecular Biology Laboratory" di Heidelberg, in Germania, ha scoperto che nonostante la loro diversità, è possibile dividerli in comunità a seconda del tipo più presente in ogni individuo, indipendentemente da nazione, sesso o età. Una sorta di "gruppi sanguigni dell’intestino", come li definisce il famoso giornale "New York Times". Oltre a quella tedesca, sui microbi intestinali si è concentrata buona parte di tutta la ricerca scientifica dell’ultimo anno, dimostrando per esempio che ogni enterotipo è legato alla dieta (i Bacteroides abbondano quando si mangiano grandi quantità di carne, mentre i Prevotella dominano nei vegetariani), e che la composizione del nostro microbioma intestinale dipende dalla nostra alimentazione sul lungo termine e non da variazioni su piccoli periodi.
Al settimo posto torna prepotentemente la medicina, con la ricerca condotta sul vaccino contro la malaria. Non dà protezione nel 100% dei casi e anche dove sembra funzionare non si sa ancora per quanto garantirà protezione. Eppure aver trovato un vaccino capace di contrastare la diffusione della malaria, anche se solo in parte, rappresenta un traguardo fondamentale nella lotta alla malattia. Il vaccino RTSS, che nei risultati preliminari del trial clinico di fase III - riferiti all’immunizzazione di oltre seimila bambini tra 5 e 17 mesi in sette paesi africani - si è mostrato capace di dimezzare il rischio di malaria, potrebbe presto affiancarsi agli strumenti già disponibili. Per conoscere meglio l’efficacia del vaccino bisognerà comunque attendere il prossimo anno.
E dopo lo studio sui sistemi solari alieni (ottavo posto) e i cristalli zeoliti (nono posto), conclude la Top Ten la ricerca sulle cellule senescenti. Le chiamano cellule senescenti, perché dopo aver vissuto per un periodo di tempo (dividendosi un determinato numero di volte) invecchiano e smettono di lavorare (ovvero di dividersi). Ma lungi dal rimanere completamente quiescenti continuano a svolgere ruoli importanti, come sostenitori, per esempio, dello stato infiammatorio (una condizione legata all’invecchiamento). Per capire se la loro eliminazione aiutasse o meno l’organismo a rimanere giovane più a lungo, un gruppo di ricercatori ha trattato alcuni topi predisposti all’ invecchiamento precoce con un farmaco in grado di eliminare selettivamente le cellule senescenti (colpendo come bersaglio una loro proteina, la p16 Ink4a). Analizzando i risultati gli scienziati hanno scoperto che sopprimere le cellule “vecchie” aiuta i topi a vivere meglio, mantenendoli più in salute.
FONTE: Galileo
AFORISMA DEL GIORNO
27 dicembre, 2011
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