E' stata decodificata per la prima volta nella storia l'intera sequenza genomica del virus HIV 1, responsabile della sindrome dell'Aids. La rivista "Nature" ha promesso per domani la pubblicazione di un articolo in cui verrà spiegato come un gruppo di ricerca americano dell'università del North Carolina, guidati dal ricercatore Kevin Weeks, sono stati capaci di "leggere" il cuore del retrovirus attraverso l'utilizzo di complesse tecniche di analisi genetica.
Da tempo si era codificato un numero elevato di geni che partecipano alla composizione e all'attività del virus ma la notizia del completamento della decodifica assume una grande importanza poichè le informazioni ottenute potrebbero accelerare lo sviluppo di farmaci antivirali e vaccini più efficaci.
Sempre questa settimana è emersa all'onore della cronaca la notizia della scoperta del ricercatore italiano Andrea Cerutti, pubblicata sulla rivista "Nature Immunology": "Abbiamo scoperto che l’Hiv riesce a trasferire ai linfociti B la proteina Nef dall’esterno — racconta lo stesso ricercatore alla rivista Corriere della Sera — attraverso un sofisticato sistema di nanotubi, microscopici tunnel (come un ponte esterno tra due cellule) in grado di mettere in comunicazione i linfociti B con i macrofagi infetti. Nef è il maggiore responsabile della formazione di questi tunnel intercellulari e li utilizza per trasferirsi dai macrofagi infetti alle cellule B in maniera silenziosa, cioè senza essere visto dal sistema immunitario". Killer furbo e silenzioso. Continua Cerutti: "La disattivazione dei linfociti B da parte di nanotubi contenenti Nef indebolisce, inoltre, la formazione di anticorpi anti- Hiv". Nei precedenti studi, Cerutti aveva scoperto che la proteina virale Nef ( Negative factor , proteina immunosoppressiva) inibisce la produzione di anticorpi da parte delle cellule B. Queste cellule, però, sono le uniche a non poter essere infettate dal virus dell’Aids. "Ma allora come fa?", si chiedevano Cerutti e i suoi colleghi. Ora la risposta c’è e si basa appunto sull'utilizzo di un gene che il ricercatore ha, richiamandosi alla mitologia, ribattezzato come "Il cavallo di Troia".
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