Più posti a Medicina «già dal prossimo anno accademico» e nuove modalità di accesso, un nuovo test, diverso da quello attuale con le 60 domande in 100 minuti. E’ la promessa del ministro Marco Bussetti. Questo sì. Del resto al ministero ne stanno già parlando da qualche mese insieme ai rappresentanti delle università e la conferenza dei rettori ha deliberato per un aumento addirittura del 50 per cento dei posti nel giro di due anni, arrivando a quindicimila matricole. Di questo si è parlato lunedì sera nel consiglio dei ministri, almeno secondo la ricostruzione che Bussetti ha fornito ai suoi collaboratori ieri mattina: più posti per il corso di medicina e soprattutto più borse di studio per i corsi di specializzazione, vero stretto imbuto per i medici: già oggi un terzo dei laureati non trova posto per specializzarsi. Ma per avere più medici servono più fondi, perché «servono più corsi, più aule, più professori e più laboratori», come spiega il presidente dei rettori Gaetano Manfredi. Invece in consiglio dei ministri si è parlato piuttosto di tagli e limature che non di nuovi fondi.
Dev’essere per questo che ieri mattina candidamente il ministro Bussetti e la sua collega Grillo rispondevano: «a me non risulta questa cosa. Farò le dovute verifiche ma non mi risulta nulla di simile». Persino il premier Conte avrebbe risposto così al telefono al capo dei rettori che cercava lumi si una scelta «irrealizzabile» oltre che inattesa. «La modalità di accesso alla facoltà di medicina è un tema di cui si discute da tempo e che è anche nel contratto di governo. - spiega Bussetti - Ma non prevediamo di calare nessuna scelta dall’alto, ne parleremo con le università che devono essere nostre alleate in questo percorso». Al Miur si parla di «un allargamento sostenibile» da concordare e Bussetti, via comunicato stampa ha ieri anche convocato una riunione con i rettori al più presto. Questo non ha cancellato del tutto i dubbi sul futuro del test: la ministra Grillo e lo stesso vicepremier Salvini nelle settimane scorse avevano ne proposto l’abolizione.
Al ministro non piace neppure l’idea - caldeggiata qualche settimana fa dalla ministra Grillo - del sistema francese con lo sbarramento al secondo anno: non solo prevederebbe comunque di far entrare 60 mila ragazzi (sette volte quelli ammessi ora) al primo anno e poi si rischierebbe di far perdere a questi ragazzi un anno di studio facendo il test alla fine del primo anno. Bussetti preferirebbe cambiare il test: «Vogliamo ragionare su nuove modalità di ingresso», spiega. Non fa mistero, il ministro, che a lui non piace il test a crocette, così come non gli piacciono i test Invalsi. Ma è vero che è anche difficile chiedere a ragazzi impegnati con la Maturità di fare un percorso di selezione più lungo. Ma orientamento sì, questo si potrebbe fare: lo chiedono anche le Università di lavorare nell’ultimo anno di superiori per offrire ai ragazzi corsi di orientamento che probabilmente aiuterebbero anche a ridurre il numero dei candidati al test e limiterebbero anche il business dei corsi per prepararsi alla prova di ammissione. In più se l’orientamento farà diminuire drasticamente il numero dei candidati, che in questi ani sono sempre stati circa 60 mila, allora si potrà pensare di cambiare il sistema.
Che cosa resterà di questo «incidente»? Certo è stata una gaffe che ha messo in allarme tutto università e studenti. Potrebbe però servire al governo nella trattativa con gli Atenei sul numero dei posti per il prossimo anno. Dodicimila? O forse di più a partire dal prossimo anno: «Ma andremo per gradi», promette Bussetti, che in queste ore è impegnato ad evitare che tagli e risparmi colpiscano il suo ministero.
AUTRICE: Gianna Fregonara
FONTE: Corriere.it
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