Dopo l’obbligo di vaccinazione per i bambini e ragazzi ora è il turno di medici e infermieri. Visto che troppi di loro non si immunizzano, trasformandosi in untori più pericolosi di altri perché a contatto con malati di per se fragili. Mentre i tecnici dei Ministeri di salute e istruzione lavorano ancora al testo, approvato «salvo intese» venerdì scorso dal Governo, la Lorenzin è pronta a calare la carta che renderebbe obbligatorio presentare i certificati vaccinali più importanti per tutti quelli che fanno attività di assistenza sanitaria. «Se l’emendamento al decreto lo presenterà qualche parlamentare l’Esecutivo lo appoggerà, altrimenti saremo noi a proporlo», fanno sapere dall’entourage del Ministro della salute. Del resto la fuga dai vaccini tra camici bianchi e affini desta oramai più preoccupazione di quella già allarmante in atto tra bambini e ragazzi.
L’obbligo potrebbe scattare per dottori e infermieri non immunizzati almeno contro parotite, rosolia e morbillo, per le quali si fa la trivalente, più varicella. Del resto un sanitario su dieci non è immunizzato contro questi virus. Il 40% ha saltato il richiamo dell’antitetanica, annullando così gli effetti del primo vaccino. L’antinfluenzale poi lo snobbano due operatori su tre. Eppure l’influenza ogni anno miete circa 80mila vittime per complicazioni varie, frequenti soprattutto tra anziani e immunodepressi. I dati, sconfortanti, li fornisce la Simpios, Società scientifica per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie, che ha interpellato un campione dei professionisti della nostra sanità pubblica. Tra i quali uno su tre «non ritiene certi i benefici dei vaccini e teme la possibilità di effetti avversi gravi dopo la vaccinazione».
Gli effetti di questo scetticismo che non trova nessuna giustificazione scientifica si vedono poi con l’epidemia di morbillo, dove la parte dell’untore la fa proprio chi le malattie dovrebbe aiutare a debellarle anziché diffonderle. In Toscana nei primi due mesi dell’anno un caso di morbillo su tre si è verificato proprio tra gli operatori sanitari e nelle provincie di Pisa e Firenze la percentuale è persino del 50%. In Piemonte dal dicembre del 2016 al 22 marzo scorso su 334 segnalazioni di morbillo 30 provengono dall’ambiente ospedaliero. In Lombardia gli operatori contagiati sono 14 su 149 e nel Lazio 26 su 244.
Che le cose così non vanno lo ammettono per primi i diretti interessati, pronti ad accettare il diktat dell’obbligo di vaccinazione.
«Obtorto collo devo dire di essere favorevole all’obbligatorietà per tutti noi», dichiara la Presidente della Federazione dei collegi infermieristici, Barbara Mangiacavalli. «Preferirei lavorare sulla diffusione di una maggiore cultura vaccinale, ma i dati sono quelli che sono e non possiamo continuare a mettere a rischio la vita di chi magari ha appena subito un intervento chirurgico».
Ancora più deciso Gabriele Gallone, dell’esecutivo Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri. «Come medico del lavoro, qui all’ospedale San Luigi di Orbassano (ndr: a due passi da Torino) i neo assunti non li faccio entrare se non hanno almeno il certificato vaccinale per morbillo, rosolia, varicella e parotite. Ma se qualcuno si opponesse il giudice gli darebbe ragione. Per questo serve una legge».
Anche i medici di famiglia della Fimmg concordano. «Anche se - precisa il Vice segretario vicario, Pierluigi Bartoletti - molti di noi sono comunque protetti dai virus, perché la nostra età media oramai è di 55 anni e quasi tutti ci siamo immunizzati ammalandoci da bambini».
FONTE: La Stampa
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L’obbligo potrebbe scattare per dottori e infermieri non immunizzati almeno contro parotite, rosolia e morbillo, per le quali si fa la trivalente, più varicella. Del resto un sanitario su dieci non è immunizzato contro questi virus. Il 40% ha saltato il richiamo dell’antitetanica, annullando così gli effetti del primo vaccino. L’antinfluenzale poi lo snobbano due operatori su tre. Eppure l’influenza ogni anno miete circa 80mila vittime per complicazioni varie, frequenti soprattutto tra anziani e immunodepressi. I dati, sconfortanti, li fornisce la Simpios, Società scientifica per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie, che ha interpellato un campione dei professionisti della nostra sanità pubblica. Tra i quali uno su tre «non ritiene certi i benefici dei vaccini e teme la possibilità di effetti avversi gravi dopo la vaccinazione».
Gli effetti di questo scetticismo che non trova nessuna giustificazione scientifica si vedono poi con l’epidemia di morbillo, dove la parte dell’untore la fa proprio chi le malattie dovrebbe aiutare a debellarle anziché diffonderle. In Toscana nei primi due mesi dell’anno un caso di morbillo su tre si è verificato proprio tra gli operatori sanitari e nelle provincie di Pisa e Firenze la percentuale è persino del 50%. In Piemonte dal dicembre del 2016 al 22 marzo scorso su 334 segnalazioni di morbillo 30 provengono dall’ambiente ospedaliero. In Lombardia gli operatori contagiati sono 14 su 149 e nel Lazio 26 su 244.
Che le cose così non vanno lo ammettono per primi i diretti interessati, pronti ad accettare il diktat dell’obbligo di vaccinazione.
«Obtorto collo devo dire di essere favorevole all’obbligatorietà per tutti noi», dichiara la Presidente della Federazione dei collegi infermieristici, Barbara Mangiacavalli. «Preferirei lavorare sulla diffusione di una maggiore cultura vaccinale, ma i dati sono quelli che sono e non possiamo continuare a mettere a rischio la vita di chi magari ha appena subito un intervento chirurgico».
Ancora più deciso Gabriele Gallone, dell’esecutivo Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri. «Come medico del lavoro, qui all’ospedale San Luigi di Orbassano (ndr: a due passi da Torino) i neo assunti non li faccio entrare se non hanno almeno il certificato vaccinale per morbillo, rosolia, varicella e parotite. Ma se qualcuno si opponesse il giudice gli darebbe ragione. Per questo serve una legge».
Anche i medici di famiglia della Fimmg concordano. «Anche se - precisa il Vice segretario vicario, Pierluigi Bartoletti - molti di noi sono comunque protetti dai virus, perché la nostra età media oramai è di 55 anni e quasi tutti ci siamo immunizzati ammalandoci da bambini».
FONTE: La Stampa