Ripresentato un emendamento alla Stabilità che prevede un concorso straordinario per consentire agli ospedali di rispettare la nuova legge che limita la lunghezza dei turni di lavoro. Ma le risorse dovrebbero trovarle le Regioni, risparmiando su posti letto e prestazioni "superflue". E se ne parla solo nel 2017: nel frattempo solo contratti a termine.
L’ennesimo dietrofront del governo, che lunedì notte ha ripresentato un emendamento alla legge di Stabilità con cui dà il via libera a un concorso straordinario per medici e infermieri, non è bastato. I camici bianchi, come annunciato già all’inizio di novembre, sono in sciopero per 24 ore in segno di protesta contro la riduzione dei fondi per la sanità pubblica e un piano di assunzioni che considerano ancora troppo fumoso e lontano nel tempo. L’adesione, secondo i sindacati di categoria, è del 75%, e sono a rischio 2 milioni di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali tra cui 250mila visite pediatriche. Questo mentre il Servizio sanitario nazionale è alle corde a causa dell’entrata in vigore delle nuove norme sui turni di lavoro e i riposi obbligatori: è di ieri la notizia che in un ospedale sardo sono saltati dei trapianti di reni perché i chirurghi avevano superato le 13 ore di lavoro e hanno dovuto posare il bisturi. Un caos che dura da quasi un mese e che l’emendamento governativo non risolve in modo definitivo, oltre al fatto che non mette nero su bianco il numero degli ingressi in organico. Nonostante il ministro della Salute Beatrice Lorenzin avesse parlato di un fabbisogno “indicativo” di 6mila persone.
Secondo Massimo Cozza, della Fp Cgil, “la sanità è ormai a pezzi, con profonde diseguaglianze regionali e con una accessibilità sempre più ridotta per liste di attesa e ticket”. E le assunzioni promesse sono “ipotesi di assunzioni basate sui risparmi delle Regioni, ma sappiamo che i budget delle Regioni sono già al limite”. Biagio Papotto, segretario generale di Cisl Medici, sostiene che “i medici sono stanchi di vedere corsie di pronto soccorso invase da barelle con persone che chiedono aiuto e che cercano solo sollievo nella loro sofferenza. Protestiamo innanzitutto per questo e anche per quel giusto salario, quella giusta gratificazione che ormai ci è negata da circa 6 anni”. “Scioperiamo per il diritto alla salute e il diritto al lavoro. Perché le due cose non sono scindibili. La sorte della sanità pubblica non è separata dalla sorte dei medici pubblici. O stanno insieme o crolla tutto”, ha detto il segretario nazionale del sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed, Costantino Troise, intervistato da quotidianosanita.it.
Quando all’emendamento per il rafforzamento degli organici, Anaao Assomed sottolinea che “il colpo ad effetto, necessario all’immagine e al marketing del ceto politico, si esaurisce nella possibilità per le Regioni di procedere ad assunzioni di personale e stabilizzazione di precari, ma ad invarianza del tetto per la spesa del personale congelata al lontano 2004”. Risultato: “Senza soldi aggiuntivi, e senza deroghe al tetto di spesa, le parole rischiano solo di essere una beffa, l’ennesima promessa scritta sull’acqua, affidata non più ai fantastiliardi derivanti dalla riduzione immediata della medicina difensiva ma ad improbabili risparmi, incerti nei tempi e nei numeri. Ormai, però, il trucco è scoperto: nessuna posta in campo per il rinnovo di contratti e convenzioni, risorse solo virtuali per assunzioni, pure giudicate necessarie, ulteriore sottrazione al monte salari dei medici di circa 100 milioni all’anno”. Di qui lo sciopero, nato come mobilitazione contro il mancato incremento del fondo sanitario nazionale, si è trasformato in una mobilitazione per le assunzioni e contro il precariato. Si tratta della prima mobilitazione dell’intera categoria dal 2004, quando al governo c’era Silvio Berlusconi.
Il concorso si svolgerà solo nel 2017. Nel frattempo si metterà una pezza con contratti flessibili prorogabili fino a ottobre. Le Regioni intanto, stando all’emendamento Pd riformulato dai relatori, dovranno predisporre la riduzione dei posti letto e mettere a punto un piano sul fabbisogno di personale, entrambi da trasmettere entro il 29 febbraio. Da lì dovranno arrivare le coperture per le assunzioni flessibili e per il successivo concorso, da bandire “entro il 31 dicembre 2016″ e concludere “entro il 31 dicembre 2017″, riservando il 50% dei posti disponibili ai precari con “almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni”.
Oltre che dalla riduzione dei posti letto, i risparmi dovrebbero derivare dalla “attivazione di strutture di risk management in tutte le strutture sanitarie”, strutture incaricate anche di “rilevare il rischio di inappropriatezza nei percorsi diagnostici e terapeutici”, “facilitare l’emersione di eventuali attività di medicina difensiva attiva e passiva” e “sensibilizzare il personale alla prevenzione del rischio sanitario”. In questo modo si punta a contenere i costi delle prestazioni “superflue”, prescritte più che altro per evitare il rischio che il paziente in seguito faccia causa rivendicando di non essere stato seguito in modo adeguato. Questa parte dell’emendamento recepisce l’articolo due del disegno di legge Gelli sulla riforma della responsabilità professionale, che all’inizio il governo puntava a recepire interamente nella manovra per coprire i costi delle assunzioni con i risparmi che ne sarebbero derivati. Ma domenica notte c’è stata una marcia indietro e si è deciso che il ddl proseguirà il suo iter su un percorso separato.
“Penso – ha sostenuto la Lorenzin – che le regioni non avranno problemi a recuperare i 300 milioni necessari, perché abbiamo permesso gli strumenti per le assunzioni previste. È una scommessa che le Regioni possono assolutamente vincere”. Una posizione contestata dall’assessore alla Sanità del Veneto, Luca Coletto: “Il governo trova sempre il modo, a parole, di trovare i soldi per tutto e per tutti. La realtà è che il ministro Lorenzin non può non sapere che i soldi non ci sono. Basta con il gioco delle tre carte”.
FONTE: Il Fatto Quotidiano
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L’ennesimo dietrofront del governo, che lunedì notte ha ripresentato un emendamento alla legge di Stabilità con cui dà il via libera a un concorso straordinario per medici e infermieri, non è bastato. I camici bianchi, come annunciato già all’inizio di novembre, sono in sciopero per 24 ore in segno di protesta contro la riduzione dei fondi per la sanità pubblica e un piano di assunzioni che considerano ancora troppo fumoso e lontano nel tempo. L’adesione, secondo i sindacati di categoria, è del 75%, e sono a rischio 2 milioni di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali tra cui 250mila visite pediatriche. Questo mentre il Servizio sanitario nazionale è alle corde a causa dell’entrata in vigore delle nuove norme sui turni di lavoro e i riposi obbligatori: è di ieri la notizia che in un ospedale sardo sono saltati dei trapianti di reni perché i chirurghi avevano superato le 13 ore di lavoro e hanno dovuto posare il bisturi. Un caos che dura da quasi un mese e che l’emendamento governativo non risolve in modo definitivo, oltre al fatto che non mette nero su bianco il numero degli ingressi in organico. Nonostante il ministro della Salute Beatrice Lorenzin avesse parlato di un fabbisogno “indicativo” di 6mila persone.
Secondo Massimo Cozza, della Fp Cgil, “la sanità è ormai a pezzi, con profonde diseguaglianze regionali e con una accessibilità sempre più ridotta per liste di attesa e ticket”. E le assunzioni promesse sono “ipotesi di assunzioni basate sui risparmi delle Regioni, ma sappiamo che i budget delle Regioni sono già al limite”. Biagio Papotto, segretario generale di Cisl Medici, sostiene che “i medici sono stanchi di vedere corsie di pronto soccorso invase da barelle con persone che chiedono aiuto e che cercano solo sollievo nella loro sofferenza. Protestiamo innanzitutto per questo e anche per quel giusto salario, quella giusta gratificazione che ormai ci è negata da circa 6 anni”. “Scioperiamo per il diritto alla salute e il diritto al lavoro. Perché le due cose non sono scindibili. La sorte della sanità pubblica non è separata dalla sorte dei medici pubblici. O stanno insieme o crolla tutto”, ha detto il segretario nazionale del sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed, Costantino Troise, intervistato da quotidianosanita.it.
Quando all’emendamento per il rafforzamento degli organici, Anaao Assomed sottolinea che “il colpo ad effetto, necessario all’immagine e al marketing del ceto politico, si esaurisce nella possibilità per le Regioni di procedere ad assunzioni di personale e stabilizzazione di precari, ma ad invarianza del tetto per la spesa del personale congelata al lontano 2004”. Risultato: “Senza soldi aggiuntivi, e senza deroghe al tetto di spesa, le parole rischiano solo di essere una beffa, l’ennesima promessa scritta sull’acqua, affidata non più ai fantastiliardi derivanti dalla riduzione immediata della medicina difensiva ma ad improbabili risparmi, incerti nei tempi e nei numeri. Ormai, però, il trucco è scoperto: nessuna posta in campo per il rinnovo di contratti e convenzioni, risorse solo virtuali per assunzioni, pure giudicate necessarie, ulteriore sottrazione al monte salari dei medici di circa 100 milioni all’anno”. Di qui lo sciopero, nato come mobilitazione contro il mancato incremento del fondo sanitario nazionale, si è trasformato in una mobilitazione per le assunzioni e contro il precariato. Si tratta della prima mobilitazione dell’intera categoria dal 2004, quando al governo c’era Silvio Berlusconi.
Il concorso si svolgerà solo nel 2017. Nel frattempo si metterà una pezza con contratti flessibili prorogabili fino a ottobre. Le Regioni intanto, stando all’emendamento Pd riformulato dai relatori, dovranno predisporre la riduzione dei posti letto e mettere a punto un piano sul fabbisogno di personale, entrambi da trasmettere entro il 29 febbraio. Da lì dovranno arrivare le coperture per le assunzioni flessibili e per il successivo concorso, da bandire “entro il 31 dicembre 2016″ e concludere “entro il 31 dicembre 2017″, riservando il 50% dei posti disponibili ai precari con “almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni”.
Oltre che dalla riduzione dei posti letto, i risparmi dovrebbero derivare dalla “attivazione di strutture di risk management in tutte le strutture sanitarie”, strutture incaricate anche di “rilevare il rischio di inappropriatezza nei percorsi diagnostici e terapeutici”, “facilitare l’emersione di eventuali attività di medicina difensiva attiva e passiva” e “sensibilizzare il personale alla prevenzione del rischio sanitario”. In questo modo si punta a contenere i costi delle prestazioni “superflue”, prescritte più che altro per evitare il rischio che il paziente in seguito faccia causa rivendicando di non essere stato seguito in modo adeguato. Questa parte dell’emendamento recepisce l’articolo due del disegno di legge Gelli sulla riforma della responsabilità professionale, che all’inizio il governo puntava a recepire interamente nella manovra per coprire i costi delle assunzioni con i risparmi che ne sarebbero derivati. Ma domenica notte c’è stata una marcia indietro e si è deciso che il ddl proseguirà il suo iter su un percorso separato.
“Penso – ha sostenuto la Lorenzin – che le regioni non avranno problemi a recuperare i 300 milioni necessari, perché abbiamo permesso gli strumenti per le assunzioni previste. È una scommessa che le Regioni possono assolutamente vincere”. Una posizione contestata dall’assessore alla Sanità del Veneto, Luca Coletto: “Il governo trova sempre il modo, a parole, di trovare i soldi per tutto e per tutti. La realtà è che il ministro Lorenzin non può non sapere che i soldi non ci sono. Basta con il gioco delle tre carte”.
FONTE: Il Fatto Quotidiano