Due nuove e promettenti strategie di terapia del cancro. Puntano ambedue sul sistema di difesa immunitario, ma in modi opposti. La prima, svegliandolo da quella sorta di torpore indotto dal tumore stesso e restituendo a globuli bianchi e anticorpi la capacità di aggredire il male. La seconda, invece, stimola direttamente il sistema immunitario con le stesse sostanze che usa il corpo a questo scopo. E per portare questi stimolanti naturali nel tumore sfrutta dei virus-chimera, generati dalla fusione, ad esempio, di quello del raffreddore con quello della poliomielite. Inoltre i virus-chimera attaccano le cellule cancerose, inceppando i loro meccanismi vitali.
Sono queste le principali novità che stanno animando la 51° edizione del congresso dall'American Society of Clinical Oncology, il congresso medico più affollato del mondo - 30 mila specialisti presenti - che stanno discutendo qui a Chicago oltre 5 mila ricerche dedicate esclusivamente alle terapie farmacologiche. Animando, perché i risultati delle sperimentazioni sull'uomo di queste cure a base di farmaci biotech e virus Ogm, manipolati geneticamente, hanno suscitato applausi e ovazioni che non si vedevano da tempo. Ci vorranno ancora anni perché si concludano le ulteriori sperimentazioni necessarie all'entrata nella pratica clinica, ma la sensazione è di essere a una svolta nella guerra al cancro.
Sui virus-chimera, o oncolitici (che distruggono il tumore), si lavora da decenni. Nascono dall'osservazione che alcuni virus attaccano selettivamente le cellule cancerose, ma non sono aggressivi, infettano poche cellule, insufficienti per ottenere un effetto terapeutico. Di qui le ricerche per rendere questi virus molto infettivi unendoli con quelli che aggressivi e infettivi lo sono di natura, come gli adenovirus del raffreddore. Inoltre, dalla recente scoperta dei segnali con cui il sistema immunitario manda l'ordine di attacco alle sue "truppe" (globuli bianchi), e dei geni che producono questi segnali, è nata l'idea di farli portare da virus direttamente dove servono, nel tumore. Mettendoli appunto nei virus-chimera. Il risultato sono microrganismi inesistenti in natura, metà di un virus metà di un altro (chimera appunto) e con l'aggiunta di geni immunitari di un'altra specie (e quindi sono anche Ogm). Iniettati nel tumore in animali da laboratorio, provocano prima una strage di cellule cancerose uccise direttamente dai virus. Poi il sistema immunitario, scatenato dai fattori stimolanti, elimina il tumore.
La Food and Drug Administration, l'ente che autorizza i farmaci negli Stati Uniti, ha appena dato il via libera a una linea di ricerca sull'uomo di un "farmaco a base di virus" contro il melanoma. Fare in modo che questi "mostri" diventino delle cure efficaci non sarà facile. Alcuni si sono rivelati troppo deboli, mentre altri hanno suscitato reazioni troppo potenti, dannose, a volte mortali. Ma si continua a lavorare e i virus più promettenti da cui partire per fare "chimere" con carico di geni immuno-stimolanti sono quello della polio, dell'herpes, del vaiolo bovino e del raffreddore.
Inizia invece a immettere farmaci nella pratica clinica la strategia di "risveglio" del sistema di difesa su cui si è iniziato a puntare oltre 30 anni fa. Risale ad allora la domanda: perché il nostro sistema di difesa, evolutosi per riconoscere un nemico entrato nel corpo e poi distruggerlo, non lo fa con il tumore? L'ipotesi era che la cellula cancerosa, essendo di fatto una cellula normale che si moltiplica senza sosta (queste erano le conoscenze di allora), non venisse rilevata come nemica. E quindi non combattuta. I primi tentativi con stimolatori immunitari andati male e poi le ulteriori conoscenze acquisite sul sistema immunitario rivelarono che la natura nemica del tumore, in realtà, viene scoperta subito. Ma il comando di attacco al tumore sembra debole o eseguito in modo inefficace. Le successive ricerche hanno fatto capire che il problema non sta nel sistema immunitario, ma nel tumore. E' questo ad emettere delle sostanze che "addormentano" il sistema immunitario. Facendola franca.
Negli ultimi anni sono state messe a punto molecole che, bloccando questi inibitori, restituiscono al sistema di difesa tutta la sua capacità di uccidere le cellule cancerose. Hanno prolungato di molto la sopravvivenza a malati con melanoma in fase ormai metastatica. E quest'anno stanno arrivando qui i risultati promettenti di sperimentazioni su altri tipi di tumore. Ieri è stata la volta delle neoplasie del fegato, del colon-retto e di quelli che colpiscono la testa e il collo.
"Il campo dell'immunoterapia diventa ogni anno più eccitante - ha affermato l'oncologa Lynn Schuchter, University of Pennsylvania - . Con questo nuovi studi stiamo rapidamente oltrepassando l'era in cui l'immunoterapia era vista come rivoluzionaria solo per un tipo di tumore, ovvero il melanoma. Al contrario, queste nuove molecole si stanno dimostrando efficaci anche in altri tipi di cancro contro i quali, in pratica, altri trattamenti risultano non funzionare. Inoltre, potremo essere in grado di stabilire in anticipo quali pazienti possono essere i candidati migliori per queste terapie".
In particolare, uno studio di fase III, (l'ultima, che se dimostra benefici consente di chiedere l'immissione in commercio), ha dimostrato l'efficacia del Pembrolizumab in pazienti con cancro del colon-retto con un particolare marcatore genetico: il 62% di questi ha infatti registrato una riduzione della massa tumorale. Inoltre, il tasso di risposta positivo è stato simile (pari al 60%) anche in pazienti con altri tipi di tumore (ad esempio a stomaco, prostata e ovaio) caratterizzati dalla stessa anomalia genetica (mmr). "Questo studio - ha commentato Dung Le del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center di Baltimora - dimostra come l'immunoterapia possa avere implicazioni su una vasta gamma di forme tumorali, incluse le neoplasie più difficili da trattare".
La stessa molecola è stata efficace anche in casi di tumore del collo e testa in un paziente su quattro. Un terzo studio ha dimostrato l'efficacia di un'altra molecola immunoterapica, il Nivolumab, contro il cancro avanzato del fegato, con una risposta positiva in termini di efficacia in un paziente su cinque. Sempre questa molecola ha dato risultati positivi in un ulteriore studio di fase III contro il cancro del polmone del tipo più diffuso ("non a piccole cellule"): i pazienti trattati hanno avuto una maggiore sopravvivenza e minori effetti collaterali rispetto a quelli trattati con chemioterapia standard.
FONTE: Repubblica.it
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Sono queste le principali novità che stanno animando la 51° edizione del congresso dall'American Society of Clinical Oncology, il congresso medico più affollato del mondo - 30 mila specialisti presenti - che stanno discutendo qui a Chicago oltre 5 mila ricerche dedicate esclusivamente alle terapie farmacologiche. Animando, perché i risultati delle sperimentazioni sull'uomo di queste cure a base di farmaci biotech e virus Ogm, manipolati geneticamente, hanno suscitato applausi e ovazioni che non si vedevano da tempo. Ci vorranno ancora anni perché si concludano le ulteriori sperimentazioni necessarie all'entrata nella pratica clinica, ma la sensazione è di essere a una svolta nella guerra al cancro.
Sui virus-chimera, o oncolitici (che distruggono il tumore), si lavora da decenni. Nascono dall'osservazione che alcuni virus attaccano selettivamente le cellule cancerose, ma non sono aggressivi, infettano poche cellule, insufficienti per ottenere un effetto terapeutico. Di qui le ricerche per rendere questi virus molto infettivi unendoli con quelli che aggressivi e infettivi lo sono di natura, come gli adenovirus del raffreddore. Inoltre, dalla recente scoperta dei segnali con cui il sistema immunitario manda l'ordine di attacco alle sue "truppe" (globuli bianchi), e dei geni che producono questi segnali, è nata l'idea di farli portare da virus direttamente dove servono, nel tumore. Mettendoli appunto nei virus-chimera. Il risultato sono microrganismi inesistenti in natura, metà di un virus metà di un altro (chimera appunto) e con l'aggiunta di geni immunitari di un'altra specie (e quindi sono anche Ogm). Iniettati nel tumore in animali da laboratorio, provocano prima una strage di cellule cancerose uccise direttamente dai virus. Poi il sistema immunitario, scatenato dai fattori stimolanti, elimina il tumore.
La Food and Drug Administration, l'ente che autorizza i farmaci negli Stati Uniti, ha appena dato il via libera a una linea di ricerca sull'uomo di un "farmaco a base di virus" contro il melanoma. Fare in modo che questi "mostri" diventino delle cure efficaci non sarà facile. Alcuni si sono rivelati troppo deboli, mentre altri hanno suscitato reazioni troppo potenti, dannose, a volte mortali. Ma si continua a lavorare e i virus più promettenti da cui partire per fare "chimere" con carico di geni immuno-stimolanti sono quello della polio, dell'herpes, del vaiolo bovino e del raffreddore.
Inizia invece a immettere farmaci nella pratica clinica la strategia di "risveglio" del sistema di difesa su cui si è iniziato a puntare oltre 30 anni fa. Risale ad allora la domanda: perché il nostro sistema di difesa, evolutosi per riconoscere un nemico entrato nel corpo e poi distruggerlo, non lo fa con il tumore? L'ipotesi era che la cellula cancerosa, essendo di fatto una cellula normale che si moltiplica senza sosta (queste erano le conoscenze di allora), non venisse rilevata come nemica. E quindi non combattuta. I primi tentativi con stimolatori immunitari andati male e poi le ulteriori conoscenze acquisite sul sistema immunitario rivelarono che la natura nemica del tumore, in realtà, viene scoperta subito. Ma il comando di attacco al tumore sembra debole o eseguito in modo inefficace. Le successive ricerche hanno fatto capire che il problema non sta nel sistema immunitario, ma nel tumore. E' questo ad emettere delle sostanze che "addormentano" il sistema immunitario. Facendola franca.
Negli ultimi anni sono state messe a punto molecole che, bloccando questi inibitori, restituiscono al sistema di difesa tutta la sua capacità di uccidere le cellule cancerose. Hanno prolungato di molto la sopravvivenza a malati con melanoma in fase ormai metastatica. E quest'anno stanno arrivando qui i risultati promettenti di sperimentazioni su altri tipi di tumore. Ieri è stata la volta delle neoplasie del fegato, del colon-retto e di quelli che colpiscono la testa e il collo.
"Il campo dell'immunoterapia diventa ogni anno più eccitante - ha affermato l'oncologa Lynn Schuchter, University of Pennsylvania - . Con questo nuovi studi stiamo rapidamente oltrepassando l'era in cui l'immunoterapia era vista come rivoluzionaria solo per un tipo di tumore, ovvero il melanoma. Al contrario, queste nuove molecole si stanno dimostrando efficaci anche in altri tipi di cancro contro i quali, in pratica, altri trattamenti risultano non funzionare. Inoltre, potremo essere in grado di stabilire in anticipo quali pazienti possono essere i candidati migliori per queste terapie".
In particolare, uno studio di fase III, (l'ultima, che se dimostra benefici consente di chiedere l'immissione in commercio), ha dimostrato l'efficacia del Pembrolizumab in pazienti con cancro del colon-retto con un particolare marcatore genetico: il 62% di questi ha infatti registrato una riduzione della massa tumorale. Inoltre, il tasso di risposta positivo è stato simile (pari al 60%) anche in pazienti con altri tipi di tumore (ad esempio a stomaco, prostata e ovaio) caratterizzati dalla stessa anomalia genetica (mmr). "Questo studio - ha commentato Dung Le del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center di Baltimora - dimostra come l'immunoterapia possa avere implicazioni su una vasta gamma di forme tumorali, incluse le neoplasie più difficili da trattare".
La stessa molecola è stata efficace anche in casi di tumore del collo e testa in un paziente su quattro. Un terzo studio ha dimostrato l'efficacia di un'altra molecola immunoterapica, il Nivolumab, contro il cancro avanzato del fegato, con una risposta positiva in termini di efficacia in un paziente su cinque. Sempre questa molecola ha dato risultati positivi in un ulteriore studio di fase III contro il cancro del polmone del tipo più diffuso ("non a piccole cellule"): i pazienti trattati hanno avuto una maggiore sopravvivenza e minori effetti collaterali rispetto a quelli trattati con chemioterapia standard.
FONTE: Repubblica.it