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AFORISMA DEL GIORNO

09 febbraio, 2013

Sanità, quella riforma scomparsa dai radar...

Doveva essere la riforma che avrebbe rivoluzionato la sanità in Italia, portarci il medico di base h24, nuove prestazioni convenzionate, un servizio ”più trasparente, efficiente e sostenibile”, invece il decreto Balduzzi è rimasto in larga parte lettera morta. Per mesi si è parlato di una svolta nella sanità, ma ad oggi la svolta non è arrivata, o quantomeno è monca. Non solo. In questa campagna elettorale infuocata, in cui sono candidati tra gli altri Mario Monti e l‘ex ministro della Salute Renato Balduzzi, si è parlato di quasi tutto, tranne che di una riforma organica della sanità. Uno dei pochi accenni al problema è stato fonte di un battibecco su Twitter tra l’ex ministro e Ignazio Marino del Pd. “Ma lo sa che il programma sanità del Pd è già legge?”, ha cinguettato Balduzzi. “Si riferisce per caso alla sua legge fantasma?” gli ha replicato Marino. Negli ultimi giorni di campagna elettorale il tema è stato poi introdotto dal solo candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi Pierluigi Bersani (ma è destinato a tornare presto da dov’è uscito).

Il decreto Balduzzi è legge da inizio novembre 2012, ma mancano all’appello più di 20 decreti attuativi, su cui si stanno dando battaglia Regioni e Governo. Alcuni di questi sono già scaduti (dovevano essere già varati entro il 2012), e la maggior parte dovrebbe essere approvata entro la prima metà del 2013. Le Regioni sostengono di non aver ricevuto finora nemmeno il decreto, contestano i tagli alla sanità e l’impianto stesso di tutta la riforma (che, dicono, è stata fatta con due provvedimenti separati e incompatibili tra loro, ovvero il regolamento della spending review, che taglia i posti letto, e il decreto Balduzzi). Per il 2013 chiedono che il finanziamento alla sanità sia riportato “almeno al livello del 2012″. Inoltre, secondo le Regioni, per avere la possibilità di lavorare con una prospettiva di mantenimento dei Lea (i Livelli essenziali di assistenza), “servirebbero anche un altro paio di miliardi”.

Ma per il Governo altri fondi da dare non ce ne sono. Anche perché, a detta dell’esecutivo, il decreto Balduzzi è a costo zero. L’impasse, a poche settimane dall’inizio della prossima legislatura, sembra dunque insuperabile. “Nessuno di questi decreti ha la possibilità reale di essere approvato prima del voto”, sostiene Paolo Di Loreto, rappresentante dell’Umbria nel coordinamento sanità delle Regioni.

Le nuove misure contenute nella riforma per le Regioni qualche onere aggiuntivo invece ce l’hanno. Il motivo lo spiega Di Loreto, che è anche membro del Cda del’Istituto superiore di sanità in rappresentanza delle Regioni: “Da una parte si tagliano fondi e risorse per gli ospedali: dal regolamento della spending review lo stesso Governo prevede una riduzione dei costi di 20 milioni di euro, cifra ridicola; poi si mette in atto una riforma, attuata per decreto, che il ministro dice essere a costo zero ma che secondo noi non lo è”, a tal punto che “quei 20 milioni di risparmi sono spiccioli rispetto alle spese da coprire”. Stesso ragionamento lo fanno gli assessori alla salute nelle varie regioni italiane. Quello toscano (Luigi Marroni) sottolinea, ad esempio, che nella riforma ci sono diversi punti, che pur non creando spesa, hanno un impatto economico sulla sanità locale, già afflitta dai tagli.

Sono soprattutto tre i nodi del decreto Balduzzi che le Regioni contestano, oltre al fatto di aver approvato una riforma della sanità per decreto: il medico di base h24, l’aggiornamento dei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza), le nuove regole per la nomina di direttori generali e primari.

Per quanto riguarda l’introduzione del medico h24, spiega Di Loreto, “a livello regionale un’assistenza di questo tipo garantita esiste già, grazie alle guardie mediche. Se poi si vuole farla in maniera più strutturata, noi siamo d’accordo, ma non è vero che è a costo zero”. I fondi infatti, spiega, secondo il Governo dovrebbero venire dai risparmi della spending review: “Ma così – sostiene – prima di tutto si risparmia sugli ospedali, che sono già in sofferenza e che avrebbero bisogno di investire in innovazione”. E inoltre, fa notare, “a fronte di ipotetici risparmi che sarebbero realizzati in più anni, necessari per la riorganizzazione della rete ospedaliera, si dovrebbero affrontare da subito le spese per i nuovi ambulatori h24″.

Altro oggetto del contendere è l’aggiornamento dei nuovi Lea, le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di ticket. Il ministro Balduzzi ha provveduto a stilare la nuova lista, includendo anche 110 nuove patologie rare, ma le Regioni sostengono di non aver ancora ricevuto il documento. Le Regioni condividono l’esigenza di aggiornare i Lea ma, dicono, “non ci si può fermare alle malattie rare e alla ludopatia quando c’è bisogno di adeguare i Lea anche nel settore delle prestazioni diagnostiche. Abbiamo dei comuni esami di laboratorio che non sono inseriti nei Lea e manteniamo invece convenzionati degli esami obsoleti”. Soprattutto le Regioni contestano il metodo di non affrontare complessivamente il tema, mettendo in relazione l’aggiornamento dei Lea e costi correlati.

Ultimo punto su cui l’attuazione del decreto Balduzzi si è bloccata sono le nuove regole di nomina dei direttori generali e dei primari. “Siamo favorevoli – dice Di Loreto – a percorsi di nomina e valutazione dei direttori generali e dei primari caratterizzati dal massimo livello di trasparenza e basati su una valutazione tecnica dei curriculum professionali. Ma riteniamo la responsabilità della nomina debba coincidere con quella dei risultati che consegue il servizio sanitario regionale”. Su questo aspetto arriva l’attacco di Lucio Barani (Pdl), che fu uno dei relatori del decreto Balduzzi alla Camera. Secondo lui lo stallo nell’attuazione della Balduzzi deriva dalla resistenza delle Regioni a un cambiamento: “Molti governatori si oppongono – dice – perché vogliono continuare a gestire la sanità, ad esempio nominare i primari e i dirigenti. C’è una sorta di dittatura delle Regioni”. Ma l’attacco viene rispedito al mittente: “Non è un nostro capriccio”, replicano dalla Conferenza delle Regioni.

FONTE: Il fatto quotidiano

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