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AFORISMA DEL GIORNO

23 novembre, 2016

Sanità, il Governo introduce ulteriori ticket sanitari. CGIL: "Livelli Lea non garantiti da coperture economiche attuali".

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Sulla sanità i conti non tornano. E i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) rischiano di trasformarsi in un’operazione di marketing del governo dagli effetti contabili tutti da verificare per le tasche delle Regioni e dei cittadini. Per l’esecutivo bastano, infatti, 800 milioni l’anno per garantire tutte le nuove prestazioni del nomenclatore, l’elenco dell’offerta del sistema sanitario nazionale (Ssn) che il Parlamento dovrebbe approvare entro il 5 dicembre. Secondo i governatori sarà invece necessaria una cifra compresa tra il miliardo e mezzo e i due miliardi. Nella migliore delle ipotesi, dunque, all’appello mancheranno almeno 700 milioni che in futuro potrebbero pesare sulle tasche dei cittadini a suon di ticket e di imposte locali. Ecco perché le Regioni hanno chiesto e ottenuto l’introduzione progressiva dei Lea con una verifica puntuale da parte di una commissione ad hoc che definisca i costi reali della modifica dell’offerta sanitaria entro l’estate.

Detta in altri termini, presto il nomenclatore sarà aggiornato mandando in soffitta le vecchie prestazioni, ma non è detto che le nuove saranno immediatamente disponibili e che lo saranno allo stesso modo in tutta Italia. Intanto, secondo quanto quantificato dal governo nella relazione tecnica presentata alla Ragioneria generale, aumenteranno subito i ticket per 60 milioni grazie allo spostamento di alcune prestazioni dal day hospital all’ambulatorio. Un esempio? Il ricovero previsto oggi per un intervento semplice alla cataratta è gratuito, mentre la stessa prestazione con i nuovi Lea verrà erogata in ambulatorio dietro il pagamento di un ticket che potrebbe essere diverso nelle differenti aree del Paese.

“La Conferenza delle Regioni ha dato il via libera all’aggiornamento dei Lea ma solo a condizione che via siano gradualità e risorse effettivamente aggiuntive nel 2017 e 2018”, spiega Stefano Cecconi, responsabile sanità della Cgil. “La lunga crisi economica, aggravata da insensate politiche di austerity con i tagli alla sanità, ha messo in discussione la garanzia dei Lea, soprattutto in alcune regioni – prosegue il sindacalista – I monitoraggi su questo punto sono preoccupanti e descrivono una drammatica frammentazione del servizio sanitario nazionale. Se non si mette in sicurezza il finanziamento del Ssn, l’aggiornamento dei Lea proposto rischia di essere un provvedimento velleitario”. Per Cecconi non è in dubbio che lo svecchiamento dei Lea fosse un’operazione necessaria e condivisibile per dare un punto di riferimento più forte alla programmazione regionale e locale. Ma il decreto da solo “non basta per garantire uniformità ed esigibilità dei Lea”.

E soprattutto “non è serio vendere come immediatamente esigibile un provvedimento che avrà un’applicazione progressiva”, conclude Cecconi, che ritiene incomprensibile l’eliminazione delle gare per i farmaci biosimilari e l’introduzione di accordi di acquisto diretti con le case farmaceutiche. “In questo modo si limita la concorrenza e si mette un’ipoteca sulle possibilità di risparmio delle Regioni”, conclude. La questione è tanto più inquietante perché “si rischia di far assorbire dalla farmaceutica l’intero aumento del Fondo sanitario nazionale”, come ha detto al Quotidiano Sanità la deputata piddina Anna Margherita Miotto, componente della commissione Affari Sociali della Camera. Non a caso sulla questione è intervenuta anche l’Antitrust chiedendo al governo un ripensamento. Alla luce dei rilievi il relatore alla manovra Mauro Guerra (Pd) ha presentato un emendamento in commissione Bilancio con cui si stabilisce che spetta anche all’Agenzia italiana del Farmaco, e non solo all’European medicine agency, stabilire “l’esistenza di un rapporto di biosimilarità tra un farmaco biosimilare e il suo biologico di riferimento”. Inoltre la proposta di modifica prevede che siano fatte gare usando accordi quadro quando ci siano più di tre medicinali a base del medesimo principio attivo. La base d’asta sarà “il prezzo medio di cessione al servizio sanitario” del farmaco, non più il prezzo massimo. Previsto anche l’obbligo, da parte del medico, di motivare la scelta di prescrivere un farmaco diverso dai primi tre farmaci della graduatoria dell’accordo quadro.

Sullo sfondo resta poi un’altra problematica di assoluto rilievo che viene sollevata dai medici. “Possiamo anche allungare l’elenco delle prestazioni – spiega Costantino Troise, segretario dell’Associazione Medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale (Anaao Assomed) – ma la sanità non è un supermercato dove si entra e si compra ciò che si vuole. E’ necessario anche un investimento sul personale che dovrà erogare le prestazioni sanitarie”. Da tempo del resto lo Stato non investe in personale sanitario. Lo testimonia il Rapporto Oasi 2016 dell’Università Bocconi sullo stato di salute della sanità, ricordando che dal 2009 al 2014, il personale a tempo indeterminato è calato di circa 30mila unità (-5%) con picchi locali anche del -15% fra il 2006 e il 2012. “La spesa complessiva per il personale è scesa di 1,3 miliardi dal 2008, fino ai 39,1 miliardi del 2014 (–3,3%), non costituendo più la principale voce di spesa, superata dall’acquisto di beni e servizi – si legge nell’indagine dell’università – Il dato davvero preoccupante è l’età media dei lavoratori del Servizio sanitario nazionale, pari a 53 anni per i medici dipendenti, 47 per le professioni sanitarie e 55 anni per i medici di medicina generale”.

Sono numeri eloquenti che raccontano come sia necessario investire nelle risorse umane senza le quali i nuovi Lea rischiano di restare sulla carta. Con la conseguenza fra l’altro che la loro applicazione frammentata amplierà il divario di prestazioni fra le diverse regioni italiane penalizzando ulteriormente il Sud dove le lunghe liste d’attesa spingono i pazienti che possono permetterselo a pagare di tasca propria o ad alimentare il turismo sanitario nazionale. Il fenomeno è del resto già oggi consistente: secondo il Censis, nel biennio 2013-2014, ben 11 milioni di italiani hanno sborsato oltre 34 miliardi per ottenere cure che la sanità pubblica non era in grado di erogare in tempi ragionevoli. Anche di qui la ratio che ha spinto i governatori a chiedere la nascita della Commissione Lea che dovrà aggiustare la mira in corso d’opera. Come? Questo resta ancora un mistero che dovrà svelare il governo che in futuro si troverà a gestire la patata bollente.

AUTRICE: Florina Capozzi
FONTE: Il Fatto Quotidiano
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Sanità, allarme al Sud Italia per carenza di organico, urgente un nuovo piano di assunzione

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“Quest’anno ho lavorato 150 ore oltre l’ordinario turno di servizio. Ore extra che non mi verranno pagate. Ho quasi 70 giorni di ferie arretrate e ci sono colleghi che ne hanno accumulati 120″. È lo sfogo di un medico della provincia di Lecce. E il cahier de doléances è solo all’inizio: “Lavoro tre domeniche su quattro e non posso neanche recuperare le festività, perché non ho il giorno di riposo settimanale garantito. Come potrei, se nel mio reparto siamo appena sette medici ma in base alla pianta organica dovremmo essere il doppio? Nessuno di noi fa più libera professione intramuraria. Io ho 61 anni e sono il più giovane. Sta diventando un incubo, non ce la facciamo più ad andare avanti così”. Il suo è tutt’altro che un caso isolato, a un anno esatto dall’entrata in vigore della direttiva europea sull’orario di lavoro del personale medico e sanitario che prevede come minimo 11 ore consecutive di riposo giornaliero e massimo 48 ore di lavoro settimanale compreso lo straordinario. Il recepimento ha messo alle corde gli ospedali italiani, da tempo sotto organico a causa del blocco del turnover. Risultato: giovedì 17 novembre i medici hanno manifestato con un sit-in davanti al Parlamento chiedendo risorse adeguate per nuove assunzioni e stabilizzazione dei precari e per il 28 novembre quelli dipendenti dalla sanità pubblica hanno indetto uno sciopero.

Oggi da Milano a Palermo decine e decine di camici bianchi lavorano anche dopo aver stimbrato il cartellino, gratuitamente, in barba all’obbligo di riposo tra un turno e l’altro e, molto spesso, superando anche il limite delle 48 ore settimanali. “È l’unica maniera per non lasciare scoperti i reparti. A me il primario lo chiede più volte al mese. Capita che sia stanca e poco lucida, ma come faccio a dire di no?”, racconta una dottoressa del nord. Nel capoluogo lombardo un pediatra non ha avuto alternative: per somministrare ai suoi pazienti le terapie contro le allergie, non rimandabili e fissate al mattino, è entrato in ospedale alle 8 senza timbrare e dodici ore dopo ha iniziato il turno di notte che gli era stato assegnato, senza rispettare la pausa di 11 ore. I rischi però sono altissimi, perché se il medico non risulta ufficialmente in servizio non gode della copertura assicurativa.

“Io sono un chirurgo e personalmente non mi assumerei mai questa responsabilità“. Stavolta a parlare è un’altra dottoressa della provincia di Milano. “Se succede qualcosa al paziente, cosa faccio? Chi risponde? Ma ho tanti colleghi che accettano questo pericolo, altrimenti le liste di attesa si allungano, gli interventi in agenda saltano. E naturalmente le ore in sala operatoria sono gratis”. Da un ospedale di Roma un ragazzo di 27 anni denuncia: “Sono uno specializzando nel reparto di anestesia e ogni settimana lavoro almeno 60 ore anziché 38”.

Il sindacato dei medici dirigenti (Anaao) della Lombardia ha sottoposto a tutti gli iscritti un sondaggio anonimo per capire se gli ospedali si attengono alla normativa europea sull’orario di lavoro. Il quadro che ne esce è preoccupante. Il 40 per cento dei camici bianchi non rispetta l’intervallo di riposo di 11 ore nelle 24 ore tra un turno e quello successivo. Il 60 per cento ha ammesso che non sono previste forme di tutela per chi è reperibile nel caso dovesse essere chiamato di notte (per esempio, se il turno inizia il pomeriggio successivo alla reperibilità). Due su dieci non recuperano il festivo lavorato e tre su dieci superano le 48 ore alla settimana. Stessa stima di chi sta in corsia senza aver prima timbrato il cartellino.

In attesa dello sblocco del turnover, che il governo ha annunciato per il 2017 con la possibilità di stabilizzare 7mila precari, lo strumento più richiesto ai medici dalle direzioni sanitarie aziendali per tamponare la carenza di organico sono le prestazioni aggiuntive: ore di lavoro in più programmate per un certo periodo e concordate con il medico, a cui vengono pagate a parte. In alcune realtà sono diventate la norma. In una asl di provincia come quella di Frosinone nel 2015 sono stati spesi quattro milioni di euro circa in prestazioni aggiuntive. “Alla fine del 2016 invece il conto sarà dimezzato grazie a un’ultima infornata di medici e infermieri”, assicura il commissario straordinario Luigi Macchitella, che aggiunge: “Il fondo usato per compensare lo straordinario l’anno scorso è stato sfondato di quattro milioni di euro. Quest’anno dovremmo stare dentro la cifra. Ma dal 2017 cinquanta medici andranno in pensione e sarà un problema”.

Per ottimizzare le risorse succede che i turni di guardia vengano accorpati per unità operative e non più organizzati per singoli reparti. E nei casi peggiori non si può più contare sulle urgenze. “Nel mio reparto non si fa più assistenza h24 ma solo per 12 ore al giorno. Niente urgenze dunque”, lamenta un medico dalla Calabria. “Nella chirurgia dell’ospedale di San Severo sono in 5 anziché 9 e in ortopedia, dove sono in 2 al posto di 7, da luglio hanno bloccato i ricoveri e i pazienti sono stati trasferiti in altre strutture a una trentina di chilometri di distanza – spiega Massimo Correra, segretario dell’Anaao di Foggia -. Mentre negli ospedali di Cerignola e Manfredonia per l’insufficienza di anestesisti vengono programmati al massimo tre/quattro interventi al mese, il personale ormai basta soltanto per le urgenze”.

AUTRICE: Chiara Daina
FONTE: Il Fatto Quotidiano
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09 novembre, 2016

Dal governo Renzi ulteriore attacco alla Sanità, tagliati 4,1 milioni di euro

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Confermato il taglio di 4,1 mln al Ministero della Salute per il 2016. Ieri in commissione Bilancio alla Camera è stato approvato un emendamento dei relatori al decreto fiscale che ha sancito la riduzione di risorse per il dicastero di Lungotevere Ripa sul quale la scorsa settimana Anna Miotto (Pd) aveva chiesto chiarimenti sulle possibili ripercussioni.  La nuova tabella contiene dunque un taglio di 4,1 mln, dei quali 2,4 mln predeterminati per legge. Il taglio maggiore, di 3,9 mln, riguarda diversi programmi di tutela della salute: Prevenzione e promozione della salute umana ed assistenza sanitaria al personale navigante e aeronavigante (2 mln), Programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per l'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (400 mln), Regolamentazione e vigilanza in materia di prodotti farmaceutici ed altri prodotti sanitari ad uso umano (500 mln), Sicurezza degli alimenti e nutrizione (1 mln).  I restanti 200 mln riguarderanno invece programmi di ricerca e innovazione per il settore della sanità pubblica.

FONTE: Quotidianosanita.it
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08 novembre, 2016

E' scomparso il celebre medico italiano Umberto Veronesi

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Dalla quadrantectomia al linfonodo sentinella, dalla tecnica salva-capezzolo (‘nipple sparing’) alla radioterapia intra-operatoria. Umberto Veronesi, morto a Milano, è stato sempre avanti di anni rispetto al resto del mondo nel trattamento, soprattutto chirurgico, del tumore della mammella. Amava dire che una donna doveva uscire dalla sala operatoria così come era entrata. Quando 1969 espone a Ginevra, davanti a un consesso mondiale, la sua ricerca sulla quadrantectomia, cioè l’intervento che limita l’asportazione al quadrante mammellare sotto cui c’è il nodulo tumorale, e che era considerato non invasivo rispetto all’allora vigente dogma della mastectomia (l’asportazione totale della mammella), venne – riporta l’Ansa – ascoltato quasi con fastidio.

“Ero giovane, ero italiano – aveva raccontato di recente – venivamo considerati scienziati di serie B e in più trasgredivo all’ortodossia del tempo. In altre parole mi diedero del pazzo”. Lui è però sicuro delle sue ricerche e persevera nella sua pazzia, arrivando negli anni a operare con questa tecnica ben l’80% delle sue pazienti all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). Ci vogliono 32 anni perché gli stessi americani che lo avevano sbeffeggiato nel 1969 sono costretti a dargli ragione: il 17 ottobre 2002 il New England Journal of Medicine, pubblica un lavoro da cui emerge che a distanza di 20 anni dall’intervento la sopravvivenza delle donne sottoposte a quadrantectomia corrisponde esattamente a quella di coloro cui è stata asportata la mammella intera.

“È la vittoria – osserva in quella occasione Veronesi – della nostra filosofia di attacco al cancro, che è la ‘ricerca del minimo intervento efficace’, sulla filosofia che cerca invece ‘il massimo trattamento tollerabile dal paziente”. Ma il prof è già molto più avanti: lo stesso giorno in cui arriva questo riconoscimento, lui già presenta il perfezionamento della sua invenzione: una tecnica operatoria che, asportando il tumore, restituisce alla paziente un seno vero, completo di areola e capezzolo. E in sole 2 ore di intervento. Questa nuova tecnica, chiamata ‘nipple sparing’, è resa possibile dagli ottimi risultati che negli ultimi anni ha dato la ‘radioterapia intra-operatoria (già sperimentata all’IEO su centinaia di pazienti) che fornisce in un’unica soluzione, durante l’operazione chirurgica appunto, la stessa quantità di radiazioni di un intero ciclo post operatorio, sollevando anche la paziente da una sorta di calvario aggiuntivo ai problemi, anche psicologici, che il tumore al seno comporta.

Ma già anni prima, nel 1996, Veronesi aveva sollevato le sue pazienti da un altro intervento demolitivo accessorio, quello chiamato anche, con termine molto crudo, ‘scavo ascellare’ per l’eliminazione dei linfonodi che, se coinvolti dalle cellule tumorali, sono una via di diffusione del cancro. Fino a quel momento, infatti la quadrantectomia era sempre stata seguita dall’asportazione dei linfonodi.

Veronesi scopre invece che i linfonodi sono colpiti in maniera regolare, secondo un preciso ordine e questo gli dà modo di ‘inventare’ una nuova tecnica chirurgica chiamata del ‘linfonodo sentinella’: se infatti il primo della serie dei linfonodi (quello chiamato appunto ‘sentinella’) è libero, saranno molto probabilmente liberi (cioè privi di cellule tumorali) tutti gli altri (sono ben 25, divisi su tre livelli) e non occorrerà asportarli.

Una vita spesa alla ricerca di come migliorare la tecnica chirurgica (e non solo) per alleviare le sofferenze delle sue pazienti, dal punto di vista fisico, estetico, psicologico, senza comunque mai abbassare il livello di sicurezza della terapia. Una dedizione che gli è valsa anche l’affettuosa nomina, da parte di un’associazione femminile romana, "Donna ad honorem‘. Umberto Veronesi si spegne a novant’anni - ne avrebbe compiuti 91 il 28 novembre - dopo una lunga vita spesa a combattere il cancro.Umberto Veronesi si spegne a novant’anni - ne avrebbe compiuti 91 il 28 novembre - dopo una lunga vita spesa a combattere il cancro.

Nasce a Milano nel 1925, si laurea in medicina e chirurgia nel 1950. Lavora all’Istituto dei Tumori del capoluogo lombardo e ne diventa Direttore Generale. Poi corona il suo sogno europeista, prima con la Scuola Europea di Oncologia nel 1982 e poi con la sua più grande opera: lo Ieo, l’Istituto Oncologico Italiano, inaugurato nel 1991 e diventato presto un esempio per la cura e la prevenzione del cancro a livello internazionale.

Difensore dei diritti degli animali, sostenitore del testamento biologico nonché dell’eutanasia, nel 2003 ha creato la fondazione Veronesi per sostenere la ricerca e la divulgazione scientifica. È stato anche ministro della Sanità durante il governo Amato, dal 2000 al 2001, e Senatore dal 2008 al 2011. Ha ricevuto tredici lauree honoris causa, nazionali e internazionali.Difensore dei diritti degli animali, sostenitore del testamento biologico nonché dell’eutanasia, nel 2003 ha creato la fondazione Veronesi per sostenere la ricerca e la divulgazione scientifica. È stato anche ministro della Sanità durante il governo Amato, dal 2000 al 2001, e Senatore dal 2008 al 2011. Ha ricevuto tredici lauree honoris causa, nazionali e internazionali.


Veronesi è deceduto nella sua casa di Milano. Da alcune settimane le sue condizioni di salute si erano progressivamente aggravate. Era circondato dai familiari, la moglie e i figli. Una personalità forte la sua, diceva spesso di non avere paura della morte. Anticonformista anche nel rapporto con la moglie Sultana Razon dalla quale ha avuto sei figli e che, in un libro, ha raccontato delle relazioni extraconiugali del marito e di quando, mentre guidava, le rivelò di aver avuto un bambino da un’altra donna.

Cordoglio di tutto il mondo scientifico per la scomparsa del professore. #GrazieProf si legge in un tweet pubblicato dall'account della Fondazione che scrive anche: «Oggi per noi è un giorno tristissimo, grazie per i tuoi insegnamenti». «Tutti i malati oncologici, e AIRC in particolare, devono molto alla sua lungimiranza di medico e scienziato e alla sua instancabile tenacia nel perseguire l'obiettivo di terapie più umane, efficaci e accessibili a tutti» commenta per l'Airc, il presidente Pier Giuseppe Torrani che ricorda il medico come «parte di una generazione che hanno fatto la storia della medicina in Italia e che sono cresciuti all'interno dell'Istituto Tumori di Milano, il primo luogo di cura che ha approcciato la malattia oncologica con l'occhio della modernità». «La morte di Umberto Veronesi rappresenta una grande perdita per l'oncologia italiana. È stato promotore di numerosi progetti di ricerca e di raccolte fondi che hanno permesso di organizzare e fare ricerca oncologica in Italia» ha detto Carmina Pinto, presidente dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica. «Salutiamo commossi un grande uomo e scienziato, punto di riferimento per le grandi speranze laiche del nostro Paese e non solo - scrive in una nota l'associazione Luca Coscioni - Ricordiamo con gratitudine l'onore che ci ha fatto partecipando attivamente alla campagna referendaria sulla legge 40, a quella per l'eutanasia legale e per la legalizzazione della cannabis».

«Lui era un testimone del sì ma al di là di questo, è stato un grande uomo per la sanità. Vorrei che lo ricordaste con un grande applauso» il ricordo che gli ha tributato il premier Matteo Renzi, durante una manifestazione a La Spezia. Ma sono tantissimi gli attestati di stima e condoglianze per la famiglia che stanno arrivando dopo la diffusione della notizia della scomparsa dell’oncologo. Tra questi il tweet del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: «Addio a Umberto Veronesi, grande scienziato uomo di valore, che ha insegnato alle donne come vincere e difendersi dal cancro. Un abbraccio affettuoso ai suoi cari». Con un tweet, lo saluta anche il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Stefania Giannini, che scrive: «Cordoglio per la morte di un grande uomo, medico, ricercatore che ha dedicato la propria vita a salvare quella degli altri. Grazie Veronesi». «Una vita dedicata alla lotta contro i tumori, un grande medico e un uomo libero. Ci mancheranno la scienza e le riflessioni di #Veronesi» scrive su Twitter il presidente del Senato, Pietro Grasso. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, affida ad una nota il ricordo di Veronesi di cui parla come un «milanese vero, uno dei protagonisti della storia di Milano. Ha unito alla sue qualità di medico e di scienziato di fama mondiale una forte e decisa passione civica e politica. Milano e l'Italia piangono in lui la figura di un vero laico capace di costruire istituzioni che hanno alleviato il percorso della malattia di migliaia di persone».


FONTE: "Il Fatto Quotidiano" e "Corriere.it"
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21 ottobre, 2016

L'ovaio può produrre "nuove" cellule uovo oltre alle preesistenti? Ricerca in campo oncologico pone nuove prospettive...

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Una scoperta riportata dal Guardian sembrerebbe contraddire uno dei dogmi sulla vita riproduttiva femminile: quello secondo il quale le donne nascono con un determinato numero di cellule uovo, e che in nessun modo si può aumentare questa riserva, che anzi è destinata ad assottigliarsi col tempo. Ma un piccolo studio dell'Università di Edimburgo, condotto su un gruppo di pazienti oncologiche, dimostrerebbe che le giovani donne trattate con un particolare farmaco chemioterapico hanno una densità di cellule uovo maggiore di quella di donne sane della stessa età. Gli ovuli extra sembrano giovani, simili a quelli tipici dell'età prepuberale, un aspetto compatibile con la loro recente formazione.

La ricerca, fatta attraverso biopsie ovariche, era inizialmente mirata ad accertare che il trattamento antitumorale, chiamato ABVD, non causasse problemi di fertilità come altri farmaci usati contro il cancro (in questo caso, il linfoma di Hodgkin). Ma se confermata, al di là degli effetti del farmaco in sé, vorrebbe dire che in certe situazioni, le ovaie possono produrre nuove cellule uovo: quelle delle pazienti trattate hanno mostrato un numero di ovuli da due a quattro volte maggiore rispetto ai soggetti di controllo. Tuttavia sono in molti a sollevare dubbi sui risultati. Gli ovuli "extra" osservati potevano essere già presenti, e sono stati forse riportati in superficie per lo stress della terapia; oppure i follicoli - le unità funzionali dell'ovaio - potrebbero essersi divisi in due o più parti in risposta al trattamento.

Autrice: Elisabetta Intini
Fonte. Focus.it http://www.focus.it/scienza/salute/il-corpo-femminile-puo-produrre-nuove-cellule-uovo
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20 ottobre, 2016

Intelligenza umana contro algoritmi del computer: la professione medica è sostituibile?

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I medici - si sa - possono sbagliare una diagnosi. I computer possono fare di meglio? Non è una domanda campata per aria, dato che l’intelligenza artificiale ha sostituto l’essere umano in molti compiti, dal centralinista all’archivista. Le macchine sono in grado di giocare bene a scacchi, di tradurre in automatico lingue straniere, comporre musica carica di emotività e, per tornare alla medicina, leggere elettrocardiogrammi e radiografie. Un gruppo di ricercatori ha provato a fare un confronto diretto medici-computer riguardo alla diagnosi di malattie. Gli scienziati della Harvard Medical School di Boston hanno paragonato le capacità di fare una diagnosi corretta di 234 dottori in carne e ossa con quelle di 23 tra i più comuni software reperibili online che, a partire da un insieme di sintomi, elaborano un responso. Sia computer sia medici sono stati messi alla prova su 45 casi clinici: dovevano ipotizzare, a partire dalla descrizione dei sintomi e da una serie identica di informazioni sul caso, quali fossero le diagnosi più probabili, elencandone tre.

Il confronto, a quanto pare, si è concluso con una sconfitta netta per i computer, come riporta l’articolo pubblicato su Jama Internal Medicine. Mentre i medici hanno elencato la diagnosi giusta tra le prime tre proposte 72 volte su 100, i software ci sono riusciti solo in poco più della metà dei casi. Inoltre, nel complesso, l’hanno azzeccata l’84 per cento dei medici, contro il cinquanta per cento dei software. I computer sono andati particolarmente male rispetto ai dottori in carne e ossa quando il caso era di una malattia rara e grave, se la sono invece cavata meglio quando si trattava invece di malanni più comuni e poco seri.

Nonostante la palese inferiorità delle macchine in questo campo, gli autori dello studio sostengono che valga la pena continuare a lavorare per incrementare le loro capacità diagnostiche: dopotutto, come mostra un recente rapporto americano,  i medici sbagliano comunque nel 15 per cento dei casi.

Autrice: Chiara Palmerini
FONTE: Focus.it
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19 ottobre, 2016

Padova, genitori litigano su salute figlia, tribunale ordina vaccinazione anti papillomavirus

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Il diritto che deve prevalere è sempre la tutela della salute di un minore. Principio a cui si è appellato il tribunale civile di Padova che nei giorni scorsi ha emesso una sentenza destinata a costituire un precedente: nel caso di due genitori separati, in disaccordo tra loro sull’opportunità di sottoporre la figlia minorenne a una vaccinazione, i giudici hanno ordinato che alla ragazza debba essere somministrata la terapia a protezione della sua salute. Il verdetto fa fare un passo avanti alla discussione ”vaccini sì, vaccino no” in un’Italia dove è sempre più bassa la copertura della popolazione da malattie trasmissibili e in una regione, il Veneto, dove a differenza di quanto avviene nel resto del paese da alcuni anni questi trattamenti non sono più obbligatori.

La diatriba presa in esame dal tribunale di Padova riguarda una adolescente figlia di una coppia che risiede nella zona di Abano Terme . La madre, che è separata dal marito, ha manifestato l’intenzione di sottoporre la ragazza alla profilassi contro il papilloma virus (HPV) un virus che si trasmette per via sessuale e che è ritenuto responsabile in molti casi di tumori all’apparato genitale femminile. Contro questa intenzione si è però schierato l’ex coniuge della donna che ha scritto all’azienda sanitaria locale dichiarandosi contrario anche a ogni tipo di vaccinazione e la lite è stata portata avanti fino alle aule del tribunale. La risposta contenuta nella sentenza è stato l’ordine di praticare per la ragazza la terapia perché, come detto, deve prevalere la tutela del suo stato di salute. È il primo pronunciamento in questo senso in Italia: un caso analogo era stato portato a luglio scorso davanti al tribunale di Modena ma non si era approdati a una decisione.

La sentenza di Padova entra nel dibattito sulle profilassi contro le malattie infettive in Italia, una pratica che incontra sempre più famiglie contrarie sulla base di presupposti scientifici il più delle volte privi di fondamento. I medici, dal canto loro hanno lanciato un allarme contro la disaffezione verso i vaccini paventando il ricomparire di pericolose malattie che erano scomparse da tempo. Illuminanti, in questo senso, sono i dati forniti dal ministero della salute. A fronte di una copertura ottimale della popolazione che deve essere non meno del 90%, contro il morbillo nel 2015 risultava protetto solo l’85,7% degli italiani, con una punta minima del 68,8% della provincia di Bolzano. Nel 2010 la media nazionale era del 90,6 . Contro la poliomielite la percentuale di vaccinati è del 93,4, mentre era al 96,5 dieci anni fa. Segno che un numero crescente di genitori non sottopone più i figli a profilassi ritenute un tempo indispensabili.

Autore: Claudio Del Frate
Fonte: Corriere della Sera
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13 ottobre, 2016

Biologia, ricercatori ipotizzano il limite di durata massima di vita a 125 anni

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Dal XIX Secolo in poi l'aspettativa di vita media è aumentata quasi costantemente grazie ai miglioramenti nella sanità pubblica, nella dieta, nella cura dell'ambiente e in altre aree della tecnologia e della #medicina. In media, per esempio, i bambini americani nati oggi possono aspettarsi di vivere fino quasi 79 anni a fronte di un'aspettativa di vita media di soli 47 per gli americani nati nel 1900. Dal 1970, la durata massima della vita è aumentata sempre e in modo progressivo.

Tuttavia, secondo i ricercatori dell'Albert Einstein College of Medicine, abbiamo già toccato il punto più alto di questo trend ascensionale: “benché i biologi e i demografi ritengano che non vi sono ragioni per predire una brusca frenata dell'innalzamento della prospettiva di vita, gli ultimi dati a disposizione suggerirebbero proprio questo inaspettato esito”. Ad affermarlo è Jan Vijg, uno degli autori di questa ricerca.

Possiamo sconfiggere malattie muscolari come le distrofie, curare traumi e compensare patologie come la sarcopenia ma, a quanto pare, biologia e genetica pongono dei limiti alla nostra sopravvivenza. Forse quali siano esattamente non lo sapremo mai, ma alcuni studi recenti stanno aumentando significativamente le nostre conoscenze.

Il Dottor Vijg e colleghi hanno analizzato i dati raccolti dal Human Mortality Database, che raccoglie informazioni da più di 40 paesi. Dal 1900 in poi, in questi questi paesi si registra un calo generale della mortalità: la frazione di ciascuna coorte di nascita (per esempio, le persone nate in un particolare anno) che sopravvivono alla vecchiaia (definita come tale dai 70 anni in su) aumenta in modo proporzionale alla progressione dell'anno di nascita. Tuttavia, quando si è passati a studiare l'aspettativa di vita, sempre a partire dal 1900, per i centenari si ottengono risultati inaspettati. I picchi si fermano a poco più di 100 anni, il che fa pensare che questo sia il limite massimo, biologicamente orientato, per la nostra specie.

Il campione principale è costituito da coloro che hanno raggiunto i 110 anni, che sono nati in quattro paesi (Stati Uniti, Francia, Giappone e la U.K.) che paiono i più longevi. Il numero di questi supercentenari è aumentato rapidamente tra i 1970 e i primi anni 1990, ma ha raggiunto un plateau intorno al 1995. Dopo la scomparsa, nel 1997, della donna più longeva, la francese Jeanne Calment che ha spento 122 candeline, i ricercatori hanno elaborato alcune stime e modelli per comprendere meglio il fenomeno. In media, la durata massima della vita raggiunge i 115 anni e si suppone che oltre i 125 anni non si possa andare.

Al di là di questi calcoli meramente probabilistici, il senso di questi studi è duplice. Da un lato si tratta di capire, sul piano politico, quali strategie e riforme adottare a fronte dell'aumento dell'aspettativa di vita che caratterizza tutte le società contemporanee industrializzate. Dall'altro, lo studio delle varianti genetiche presenti negli ultracentenari sarà molto utile per implementare terapie e farmaci in grado di garantire alle persone di trascorrere la vecchiaia in buona salute.

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12 ottobre, 2016

Sanità, medici: “Tradito il diritto alla salute. Governo si occupi delle sofferenze sociali come di quelle bancarie”

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“Basterebbe che governo e regioni si occupassero delle sofferenze sociali come di quelle bancarie” per evitare casi come quello del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Camillo. E’ l’amara analisi di Costantino Troise, segretario di Anaao Assomed, l’associazione dei medici dirigenti italiani del servizio sanitario nazionale, che accusano la politica di aver abbandonato la sanità pubblica segnandone un lento e ineluttabile declino. “Il nostro servizio sanitario nazionale sta precipitando, nel silenzio e nell’indifferenza, nel baratro dell’incapienza. Un’incapienza di posti letto, di medici, di infermieri, di spazi fisici, di risorse in conto capitale, di formazione – spiega Troise – Siamo ai margini dell’Europa come numero di posti letto per mille abitanti, sotto la media europea per le risorse destinate alla Sanità. Il diritto ad essere curato in maniera appropriata ed in condizioni dignitose è diventato quasi un privilegio. Dall’addio al posto fisso alla fine del ‘letto fisso‘”.

L’analisi dei medici dirigenti è spietata perché crudele è il contesto in cui si trovano a lavorare: da un lato ci sono le pene del paziente che chiede di essere aiutato, dall’altro un’insufficienza di mezzi e uomini destinata a peggiorare nell’ipotesi di nuovi tagli alla sanità. “A medici e infermieri spetta assumersi tutti i rischi ed assistere allo scempio quotidiano di un diritto fondamentale. Ai pazienti spetta invece il martirio che questo scempio comporta. Costretti a vivere lo stesso dramma su fronti contrapposti”, prosegue Troise accusando la politica di aver tradito la carta costituzionale.

“Tutti sono bravi a discettare della Costituzione che verrà – prosegue – ma del rispetto dell’attuale Carta Costituzionale ed in particolare dell’articolo 32 (il diritto alla salute) di cui dovremmo esser fieri nessuno parla (..) Ma chi, nel vociare dei contendenti, che il rispetto e l’applicazione dei diritti fondamentali sono non meno importanti delle modifiche degli assetti parlamentari?”, continua Troise, contrario anche all’ipotesi di abolizione della Guardia medica che, nella sua visione, comporterà un incremento esponenziale del lavoro di 118 e Pronto soccorso.

Per l’Anaao Assomed, la dignità negata ad un malato terminale è un fatto gravissimo. Ne sono coscienti anche i dirigenti del San Camillo, come dimostra il fatto che il direttore sanitario dell’ospedale romano, Luca Casertano, si è scusato pubblicamente con Patrizio Cairoli, figlio dell’uomo, malato terminale, morto nell’ospedale romano dopo aver trascorso 56 ore sulla barella del Pronto Soccorso. I vertici del San Camillo spezzano però anche una lancia per il lavoro che ogni giorno viene fatto in corsia: “I nostri Pronto soccorso – ricorda Casertano – gestiscono ogni anno più di 90.000 accessi. Presso il dipartimento di emergenza dove è stato ricoverato il signor Cairoli ogni giorno arrivano 150 nuovi casi che vengono presi in carico e curati dal personale medico e infermieristico. Un flusso elevato di persone che, in caso di incremento di accessi di malati – non prevedibile, ma frequente – può aver in qualche modo limitato o impedito una idonea comunicazione da parte degli operatori sanitari”.

Alla luce di quanto accaduto, l’Anaao invita la politica a una profonda riflessione per evitare di distruggere quel che resta della sanità pubblica italiana. “A leggere quello che accade nei Pronto Soccorso cittadini, ed in particolare quanto avvenuto all’Ospedale San Camillo di Roma, ci si chiede se coloro che dovrebbero difendere questi diritti conoscano lo stato comatoso della sanità pubblica – conclude – O pensano che 70.000 posti letto in dieci anni siano evaporati per un sortilegio e non per l’effetto della mannaia dei tagli che hanno introdotto negli ospedali pubblici? Il dubbio è lecito dato che non crediamo che alcun giudice, anchorman, parlamentare o ministro accetterebbe di morire in barella in un ambiente inappropriato insicuro e non dignitoso di un Paese civile”.

FONTE: Il Fatto Quotidiano
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11 ottobre, 2016

Torino, infermieri in rivolta per spazi e organici insufficienti

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Gli infermieri denunciano i vertici dell’Asl To2 alla procura per «consentire la verifica di un’eventuale responsabilità connesse alle violazioni di legge» nella gestione del Mecau, la Medicina d’urgenza del Maria Vittoria. Un reparto di terapia sub intensiva che accetta pazienti sia dal Pronto Soccorso che da altri reparti dell’ospedale, «lavorando - secondo il Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche - con un numero di operatori pericolosamente insufficiente». Non solo: «Gli spazi sono di dimensioni insufficienti rispetto al numero di ricoverati, i letti non entrano negli ascensori e per trasportare i pazienti si usano le barella, anch’esse inadeguate e insicure per il trasporto».

 Un quadro che non rispecchierebbe poi i numeri di posti letto pubblicati sul sito dall’azienda sanitaria: «L’Asl dichiara che sono 13, di cui 7 monitorati. Ma questa fotografia non rispecchia la situazione del reparto, dove sono presenti 24 posti letto, di cui 8 semi intensivi, seguiti da 19 infermieri, di cui tre solo part-time. Un numero appena sufficiente a garantire la presenza di tre infermieri per turno, che in alcune situazioni sono solo due», afferma Francesco Coppolella, segretario regionale del Nursind. «Nelle realtà di terapia sub-intensiva, il rapporto infermiere/persona assistita dovrebbe essere di uno a 4 e si dovrebbe tener conto di tutte le specificità presenti», rincara. Problemi che «mettono giornalmente a rischio gli operatori e i cittadini, che abbiamo voluto denunciare dettagliatamente sia alla procura che allo Spresal», il Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro.

Il documento inviato alle autorità è corredato da un lungo elenco di problemi legati non solo alla mancanza di personale, come lo stoccaggio bombole di ossigeno sul balcone di una delle stanze di degenza, il numero di uscite di sicurezza insufficienti rispetto alla lunghezza del reparto e tutti i problemi legati al cantiere del pronto soccorso.

A confermare che i posti letto sono 24 è il Dispa Marcello Bozzi, il nuovo direttore delle professioni sanitarie della To2 arrivato il 5 settembre dall’Asl di Pescara, il quale smentisce la mancanza di personale. «Per garantire l’adeguatezza delle attività e delle prestazioni, nonché la continuità dei servizi e dell’assistenza, necessitano 26,7 operatori, infermieri e Oss. E al momento ne risultano assegnati 30,4, al netto dei part-time». La percentuale di suddivisione fra Oss e infermieri «è a discrezione di ogni presidio, quindi per noi il numero rimane adeguato, addirittura superiore rispetto a molte altre realtà». Per tutti gli altri problemi di spazio e percorsi, «sono invece in corso lavori di ristrutturazione che cambieranno l’assetto di un ospedale antico, che sicuramente necessita di migliorie ma avrei preferito ricevere una richiesta d’incontro rispetto ad una denuncia. Incontriamoci e troviamo insieme soluzioni».

FONTE: La Stampa
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10 ottobre, 2016

Influenza 2016 "in forte anticipo" e "piu' pesante del previsto", FIMMG rinnova l'invito a vaccinarsi celermente

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L'influenza quest'anno sarà più pesante del previsto e per questo ''è più che mai necessario vaccinarsi presto''. L'invito arriva dai medici di famiglia riuniti a Chia Laguna per il Congresso nazionale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg). ''L'arrivo in anticipo del virus e alcune sue mutazioni minacciano infatti una sua più vasta diffusione anche nella fascia di età 50-60 anni. Per questo è più che mai consigliato vaccinarsi tra fine ottobre e primi di novembre", raccomanda Silvestro Scotti vice segretario nazionale vicario della Fimmg. Il nuovo virus influenzale del ceppo A/H3 quest'anno minaccia di mettere in anticipo a letto sei milioni di italiani.

A far prevedere un'ondata influenzale più pesante del solito sono due fattori, spiega Tommasa Maio, che è Segretario nazionale Fimmg Continuità assistenziale: ''Il primo è il largo anticipo con il quale quest'anno, già a fine agosto, è stato isolato il virus in un bambino nato in Marocco e proveniente dalla Libia. Fatto questo che ne prefigura una più ampia diffusione, soprattutto tra le persone non ancora vaccinate. In secondo luogo, i virus A/Hong Kong (H3N2) e B/Brisbane, isolati dall'Istituto superiore di sanità, contengono piccole mutazioni che predispongono a una maggiore circolazione dell'influenza. Questo perché né i bambini, né le persone a rischio che solitamente si vaccinano possiedono gli anticorpi che fungono da barriera alla malattia".

Ogni anno, le complicanze dell'influenza provocano la morte di ottomila persone, soprattutto anziani e dunque ''quest'anno - afferma Maio - è più che mai necessario vaccinarsi per tempo, soprattutto se si appartiene a una categoria a rischio: ultrasessantacinquenni, diabetici, immunodepressi, cardiopatici, malati oncologici, donne al secondo e terzo trimestre di gravidanza''. Ma la prevenzione è consigliata anche alle persone sane: il nuovo 'Calendario della vita' presentato la scorsa settimana da Fimmg, Federazione dei pediatri Fimp e Società di Igiene Siti, consiglia infatti quest'anno la vaccinazione anche per le persone sane tra i 50 e i 60 anni, che a causa della mutazione del virus saranno a breve più colpite dall'influenza. Il vaccino è consigliato pure per i bambini sani, visto che l'influenza da 0 a 4 anni colpisce 10 volte più che tra gli anziani, ed 8 volte in più tra i 5 e i 14 anni.

FONTE: Repubblica.it
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09 ottobre, 2016

Diabete, microinfusore OneTouch Animas vulnerabile agli hacker? Negli USA scattano le indagini

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Una vulnerabilità scoperta da Jay Radcliffe, ricercatore in materia di sicurezza, pubblicata sul blog della società Rapid7 di cui è dipendente rivela l'esistenza di una falla che interessa il dispensatore di insulina OneTouch Ping di Animas Corporation, società acquisita da Johnson&Johnson nel 2006. Se sfruttata, la vulnerabilità potrebbe compromettere la salute dei pazienti che ne fanno uso, in maniera anche grave.

Parlando di sicurezza si tende a pensare alle protezioni delle reti di governi, istituzioni e grandi società, come nei recenti casi che hanno coinvolto le email di Yahoo e il database del Democratic National Committee (DNC) durante la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi. Difficilmente un pirata potrebbe interessarsi all'hacking di un dispensatore di insulina, ma il rischio esiste, tanto che Johnson&Johnson ha deciso di allertare i pazienti circa la sua vulnerabilità.

Per fortuna la percentuale di persone affette da diabete che fanno uso del dispensatore in oggetto è relativamente bassa. Sembra infatti che i pazienti interessati dal problema siano attualmente 114mila. Se sfruttata da un malintenzionato, però, tale vulnerabilità potrebbe procurare un'overdose di insulina. Nella pagina del prodotto si legge come il OneTouch Ping di Animas fornisca un telecomando "Meter" mediante il quale i pazienti possono dispensare una dose di insulina senza la necessità di agire sul dispositivo. Oltre al controllo del livello di zuccheri presenti nel sangue, il telecomando consente anche di controllare a distanza le funzioni della pompa, determinare la quantità di insulina necessaria in un determinato momento e altro.

La vulnerabilità scoperta da Jay Radcliffe interessa la connessione wireless tra telecomando e dispositivo, che usa un protocollo proprietario nella banda dei 900MHz. La comunicazione tra telecomando e dispensatore avviene tuttavia in chiaro, senza l'uso di crittografia. Come riferisce lo stesso Radcliffe, un hacker che agisca nelle vicinanze del dispensatore, che ha un raggio di azione limitato, potrebbe simulare una connessione remota "Meter" e "sfruttare la vulnerabilità per procurare una reazione ipoglicemica al paziente, se questi non riuscisse a fermare in tempo l'erogazione di insulina".

La vulnerabilità è molto simile a quella che ha interessato le tastiere wireless Logitech, il cui protocollo di connessione in chiaro consentiva di "sniffare" i dati trasmessi. Accedendo alla connessione tra telecomando e dispensatore, sniffando la chiave trasmessa tra dispensatore e dispositivo remoto che rimane inalterata ogni qualvolta i due dispositivi rimangono accoppiati, gli attaccanti possono visionare i valori glicemici e i dati relativi al dosaggio dell'insulina.

Prima di avvisare i pazienti, Johnson&Johnson ha cercato di riprodurre l'hack scoperto da Radcliffe. La società ha quindi deciso di segnalare pubblicizzare la vicenda, come riferito a Reuters da Brian Levy, responsabile medico dell'unità di Johnson&Johnson per il diabete, confermando che si possa effettivamente iniettare ai pazienti dosi letali di insulina entro un raggio d'azione di circa 8 metri. Nella lettera, Johnson&Johnson ha comunicato ai proprietari dei OneTouch Ping le proprie preoccupazioni per un potenziale attacco, invitando loro a non usare il telecomando o, in alternativa, di impostare un limite nella quantità massima di insulina dispensabile. I pazienti possono anche attivare una funzione di avviso (vibrazione) che li allerti nel caso di dosi richieste tramite telecomando.


FONTE: Punto-informatico.it
Autore: Thomas Zaffino
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Nobel 2016 per la Medicina al biologo giapponese Ohsumi per la scoperta dell’autofagia cellulare, come la cellula "ricicla se stessa"

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Yoshinori Ohsumi, biologo giapponese, è il vincitore del Nobel per la Medicina, grazie ai suoi studi sul meccanismo dell’autofagia cellulare. «Le sue scoperte hanno portato a un nuovo paradigma nella nostra comprensione su come le cellule riciclino le sostanze di scarto - si legge nella dichiarazione dell'Assemblea dei Nobel, riunita al Karolinska Institute di Stoccolma - e hanno aperto la strada per apprendere l'importanza fondamentale dell'autofagia in molti processi fisiologici, come l'adattamento alla fame o la risposta alle infezioni».

L'autofagia è un insieme di processi programmati che la cellula mette in atto per distruggere parti di se stessa, liberandosi di tutte le sostanze inutili e consegnandole a un "reparto" specializzato nella loro distruzione, chiamato lisosoma. Si verifica in diversi contesti, sia fisiologici che patologici, ed è fondamentale durante lo sviluppo e il differenziamento cellulare. Nella crescita del sistema nervoso (periodo fetale) ogni neurone produce un gran numero di ramificazioni, ovvero connessioni con altri neuroni. Nella fase successiva si ha una potatura (pruning) dei rami ridondanti e quindi delle connessioni che si riducono moltissimo in numero. È durante questa fase di potatura che emergono le funzioni corrette. Un processo fondamentale: molte patologie sono oggi interpretate come risultato di un'alterazione dei processi di autofagia e per questo apre la possibilità di nuove strategie terapeutiche.

L'esistenza di questo meccanismo era stata ipotizzata fin dagli anni '60, ma solo le ricerche condotte negli anni '90 da Ohsumi hanno permesso di comprenderlo a fondo. Il biologo premiato con il Nobel è nato nel 1945 in Giappone, a Fukuoka. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l'Università di Tokyo nel 1974. Dopo aver trascorso tre anni negli Stati Uniti, nella Rockefeller University di New York, è tornato nell'Università di Tokyo, dove, nel 1988, ha istituito il suo gruppo di ricerca. Dal 2009 è professore presso il Tokyo Institute of Technology. «Sono estremamente onorato. Questo premio è la più grande fonte di gioia e soddisfazione per uno scienziato - ha dichiarato all'agenzia giapponese Kyodo -. Ai giovani vorrei dire che non tutta la ricerca scientifica può avere successo, ma è importante continuare la sfida». Oshumi ha pubblicato più di 180 articoli su riviste internazionali, a partire dal 1992. A Stoccolma riceverà un diploma, una medaglia d'oro e 8 milioni di corone (circa 830mila euro). «Il corpo umano ripete costantemente il processo di auto riciclaggio, o cannibalismo, creando un equilibrio assoluto tra formazione e disfacimento - ha spiegato lo studioso -. Fa parte del circolo della vita».

«Se consideriamo le cellule come una città osserviamo due regioni principali che servono per mantenere il bilancio di energia, da un lato le centrali di produzione (mitocondri), dall'altro il processo di eliminazione dei prodotti di scarto che vengono portati nelle "discariche" (i lisosomi) - spiega Francesco Cecconi, professore di Biologia dello sviluppo presso il Dipartimento di Biologia dell'Università di Roma Tor Vergata -. L'autofagia è appunto il processo che consente la consegna dei rifiuti ai lisosomi ed è regolato da microvescicole che trasportano il materiale, un po' come i camion della spazzatura. Se fotografiamo una cellula mentre è in atto questo processo vediamo appunto le vescicole (autofagosomi) trasportare parti della cellula stessa».

Gli studi sull'autofagia sono cominciati negli anni '60, grazie al biochimico belga Christian de Duve, Nobel per la Medicina nel 1974 insieme ad Albert Claude e George Emil Palade «per le scoperte sull'organizzazione strutturale e funzionale della cellula». «Allora si pensò che le vescicole "mangiassero" le parti di scarto, da qui il nome autofagia - aggiunge Cecconi -. In realtà si è poi scoperto che hanno solo funzione di trasportarle verso i centri di distruzione o riciclaggio. Ohsumi alla fine degli anni '90 ha capito il funzionamento del meccanismo studiando il lievito di birra (quello comunemente usato per fare il pane, ndr), un organismo unicellulare, e individuando i geni-chiave coinvolti». Il biologo è riuscito poi a dimostrare che lo stesso meccanismo che permetteva al lievito di liberarsi delle sostanze di scarto era presente in tutte le altre cellule, comprese quelle umane. Quali sono gli elementi che vengono eliminati? «Spesso si tratta di mitocondri danneggiati - spiega Cecconi - che, se lasciati nella cellula, produrrebbero radicali liberi in grande quantità, pericolosi per la salute dell'individuo. In altri casi gli scarti vengono riciclati: per esempio proteine di grandi dimensioni o molto resistenti. La scoperta di Ohsumi riguarda anche diverse malattie neurologiche, come il Parkinson e l'Alzheimer: gli aggregati che si formano dentro i neuroni vengono eliminati allo stesso modo, da autofagosomi e lisosomi. Nelle persone sane il processo funziona perfettamente, nei malati l'autofagia non riesce a rimuovere completamente gli aggregati. Per questo ci sono oggi linee di ricerca sul possibile potenziamento del meccanismo di auto-distruzione in presenza di determinate patologie». Esistono anche studi sull'autismo, secondo cui il meccanismo di base della malattia sarebbe un difetto del processo autofagico che porta alla potatura delle connessioni tra i neuroni, per cui nel soggetto autistico si troverebbero molte più connessioni del normale. Un difetto che potrebbe essere dovuto all'alterazione di uno o più geni.

Gli studi del biologo giapponese si sono rivelati utili anche contro i tumori. «Alcuni tipi di cancro presentano una mutazione nei geni dell'autofagia per cui il processo è malfunzionante, gli organelli danneggiati si accumulano e c'è una super produzione di radicali liberi - chiarisce Cecconi -. In altri tumori l'autofagia è efficiente ma al contrario, nel senso che aiuta le cellule tumorali a difendersi. Per questi ultimi casi si studia la possibilità di "spegnere" il meccanismo in modo selettivo, solo nelle cellule malate». Grazie alle ricerche di Ohsumi, è cambiato il punto di vista anche per lo studio della risposta alle infezioni. «Virus e batteri vengono spesso rimossi con questo sistema - sottolinea Cecconi -, anche se alcuni patogeni riescono a nascondersi alla vista dei nostri "camion della spazzatura". La scoperta è di fondamentale importanza e il Nobel era nell'aria da diversi anni. Oggi l'autofagia viene studiata da molti gruppi di ricerca, tra cui il nostro. Quando ho iniziato a lavorarci, nel 2000, mi chiedevo come sia possibile che il meccanismo sia rimasto sconosciuto per così tanti anni: si tratta di un fenomeno della biologia di base, l'ultimo ad essere rimasto ignoto all'uomo. Nei libri di testo compare solo da poco tempo». Dai primi anni 2000 il numero di articoli pubblicati nel mondo sull'autofagia è aumentato esponenzialmente, arrivando a 4.254 articoli su riviste internazionali nel solo anno 2015.

«Si tratta di un Nobel assolutamente meritato - ha commentato Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente di Humanitas University, a Radio3 Scienza -. Le nostre cellule fanno fagocitosi, ovvero mangiano pezzi di se stesse, giocando un ruolo fondamentale per le nostre difese. Da una parte questo meccanismo permette la pulizia della cellula, dall’altro permette alla cellula stessa di sostenersi in situazioni difficili». Per Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'Università di Pavia, si tratta di «un riconoscimento fantastico alla ricerca di base». «L'autofagia è alla base di meccanismi fondamentali - spiega Redi -. Un processo importantissimo perché avviene in ogni tipo essere vivente complesso e in ogni fase, dall'embrione alla vecchiaia. È attivo in qualsiasi momento e, se si svolge in maniera sregolata, abbiamo lo sviluppo di una patologia».

Il Nobel segna per Ohsumi il culmine di una carriera costellata di titoli e riconoscimenti: sempre quest'anno il biologo ha ricevuto il prestigioso Wiley Prize in Scienze Biomediche, della Rockefeller University di New York. Nel 2015 aveva ricevuto altri tre premi: il Keio Medical Science Prize, assegnato ai ricercatori che hanno dato un contributo significativo alle scienze mediche o a quelle della vita; l'International Prize for Biology per l'eccezionale contributo al progresso della ricerca nella biologia fondamentale; il Gairdner Foundation International Award, assegnato da una fondazione canadese nel campo delle scienze mediche, considerato precursore del Nobel. In passato il biologo giapponese aveva ricevuto altri attestati, come il Fujihara Award, della Fujihara Foundation of Science (nel 2005), il Japan Academy Prize (2006) e il Kyoto Prize for Basic Science (2012).

 [Esplora il significato del termine: L’anno scorso il Nobel per la Medicina era stato assegnato al team composto dall’irlandese William C. Campbell e dal giapponese Satoshi Omura per le loro scoperte su una nuova terapia contro le infezioni causate da parassiti, e - a pari merito - alla cinese Youyou Tu, per le sue ricerche sulla cura della malaria. Il premio apre la settimana dei Nobel: seguono, a partire da martedì, quello per la Fisica, per la Chimica, per la Pace (l’unico assegnato a Oslo); lunedì 10 si torna a Stoccolma con il premio per l’Economia. Ultimo, il premio per la Letteratura che viene assegnato il 13 ottobre. ] L’anno scorso il Nobel per la Medicina era stato assegnato al team composto dall’irlandese William C. Campbell e dal giapponese Satoshi Omura per le loro scoperte su una nuova terapia contro le infezioni causate da parassiti, e - a pari merito - alla cinese Youyou Tu, per le sue ricerche sulla cura della malaria. Il premio apre la settimana dei Nobel: seguono, a partire da martedì, quello per la Fisica, per la Chimica, per la Pace (l’unico assegnato a Oslo); lunedì 10 si torna a Stoccolma con il premio per l’Economia. Ultimo, il premio per la Letteratura che viene assegnato il 13 ottobre.

FONTE: Corriere.it
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05 ottobre, 2016

Medici di famiglia, aumentano le carenze di organico, fra un decennio rischio 1 italiano su 3 senza medico?

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Il medico di famiglia, nel 2023, potrebbe essere solo un ricordo del passato. E' quanto emerso all'ultimo congresso Fimmg, la Federazione italiana dei medici di famiglia. Secondo i dati resi disponibili, entro sette anni si ritireranno 21.700 camici bianchi, senza essere proporzionalmente rimpiazzati. Si stima una perdita di 16 mila unità, che potrebbe mettere a rischio il servizio in molte regioni, soprattutto a Nord.

Entro sette anni, 20 milioni di italiani potrebbero dunque rimanere senza il proprio dottore di fiducia. La causa è duplice: il numero chiuso all'università, che scoraggia i giovani desiderosi di aprirsi uno studio di medicina generale, e l'ampio numero di pensionamenti, dovuto alle difficoltà burocratiche che accompagnano la professione. Esiste anche un problema di finanziamenti, connesso al ristretto numero di borse di studio messe a disposizione dalle regioni: solo 900 all'anno, con una media retributiva di 800 euro.

Così, la scelta di campi diversi dalla medicina generale è diventata un vero e proprio fenomeno, diffuso in tutta Italia. I dati sono, però, più allarmanti a Nord. In Piemonte, si prevede che lasceranno il proprio studio 1173 medici di famiglia, in Lombardia 2776, in Veneto 1600, in Liguria 527. Cifre importanti, considerando che ogni medico segue circa 1200 pazienti. A questo ritmo, il servizio rischia di essere messo seriamente a rischio, in un futuro non lontano.

Fonte: Tgcom
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29 settembre, 2016

Vaccini, Senato annulla (dopo proteste) la proiezione ‪del film antagonista "Vaxxed"

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Il 26 marzo scorso il Robert De Niro decise di ritirare il film sul presunto legame tra autismo e vaccini in programma al Tribeca Film Festival di New York. Il controverso documentario antivaccinazioni Vaxxed: From Cover-Up to Catastrophe (Vaccini, dall’insabbiamento alla catastrofe), di Andrew Wakefield doveva essere proiettato in Italia il prossimo 4 ottobre nella sala Isma del Senato su proposta del senatore Bartolomeo Pepe, ex M5S, ora del gruppo Grandi Autonomie e Libertà, ma l’iniziativa è stata annullata dopo la valanga di proteste. Non solo politiche.

I primi erano stati i medici dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani: “È grave e pericolosa la divulgazione, per di più in una sede istituzionale, di un film palesemente antiscientifico che cavalca teorie supportate da dati fraudolenti per le quali l’autore è stato radiato dall’ordine dei medici”. “I vaccini – afferma il vice-presidente dell’Acoi Pierluigi Marini – hanno svolto e continuano a svolgere una funzione medica e sociale insostituibile. Proprio grazie ai vaccini sono state sconfitte malattie gravissime ed invalidanti. Le campagne contro la vaccinazione, con il loro substrato di populismi antiscientifici, possono avere effetti devastanti sulla salute pubblica. Società scientifiche ed istituzioni hanno il dovere di contrastare la diffusioni di tutte le credenze diffuse da moderni stregoni senza scrupoli che approfittano della buona fede e anche dell’ignoranza di alcune persone”. Poi sono arrivati lo “sconcerto e l’indignazione” del comitato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità. “L’iniziativa del Senatore è tanto più grave se si pensa al calo di oltre il 5% delle coperture vaccinali che si è verificato recentemente e che ha portato il nostro Paese sotto la soglia di sicurezza”.

“La mia è una posizione di estrema contrarietà, così come c’è l’indignazione di tutta la comunità scientifica nazionale e internazionale intorno a ciò che è propagandato da questo documentario – dice all’Ansa il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – Quando l’antiscienza ha lo stesso diritto di tribuna della scienza non è un tema di democrazia ma di disinformazione”.

Pepe aveva annunciato anche una diretta streaming con Andrea Wakefield e il produttore Francesca Alesse e aveva spiegato l’iniziativa così: “Perché non sono mai troppi gli spunti per fare chiarezza sulla paventata pericolosità dei vaccini. Un documentario che Robert De Niro avrebbe voluto al Tribeca Film Festival e che invece è stato ostracizzato dalle lobby del farmaco. Nel dettaglio del documentario, si cerca la relazione tra le vaccinazioni e l’insorgere dell’autismo nei bambini. Al termine della proiezione, infatti, ci sarà un dibattito sul tema”.

FONTE: Il Fatto Quotidiano
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07 settembre, 2016

In arrivo un sito "anti ciarlatani", promosso dalla FNOMCEO per contrastare le "false cure"

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"Attenti alle bufale": si chiamerà così il sito al quale sta lavorando la Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) e che avrà l'obiettivo di informare i cittadini contro i ciarlatani e le "false cure" diffuse in Rete. Il nuovo portale dovrebbe partire entro un paio di mesi e coinvolgerà esperti di fama nazionale che forniranno risposte chiare agli utenti.

"Oggi la Rete rappresenta per un numero crescente di persone uno strumento fondamentale per informarsi, ma anche un luogo dove cercare cure e terapie che non sempre sono attendibili", ha affermato il presidente della Fnomceo, Roberta Chersevani. "Purtroppo, però, spesso si corre il rischio di rimanere impigliati in informazioni false, poiché sul web non vi è alcun controllo a garanzia della validità scientifica dell'enorme mole di informazioni veicolate", ha aggiunto.

L'obiettivo del progetto è dunque quello di "potenziare l'informazione ai cittadini, tenendo sempre presente che il Codice deontologico medico ha regole ben precise: il medico non può allontanarsi da posizioni validate scientificamente, pena la radiazione". Il vero problema, ha proseguito la Chersevani, "è che spesso dietro false e costose terapie si nascondono solo interessi economici, che fanno leva sulla debolezza delle persone malate".

FONTE: Tgcom.it
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Test di Medicina 2016, boom di consensi per una prova giudicata "più facile"

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Illuminismo, Piano Marshall e incredibilmente perfino l'alfabeto "farfallino" (si, il codice linguistico usato dai bambini). Questi gli argomenti protagonisti di un test di Medicina 2016 che è sembrato essere piuttosto fattibile. Chimica e, a seguire, Fisica e Matematica le materie che hanno tentato di mettere in difficoltà i candidati. Intanto lo spettro del ricorso inizia ad aleggiare anche sulla prova di ammissione a Medicina 2016. È quanto rivelano i dati di un instant poll di Skuola.net su circa 500 candidati che aspirano al camice bianco.

Circa 63mila gli iscritti al test, 10.132 i posti disponibili (9.224 a Medicina e 908 a Odontoiatria). In base a questi numeri, soltanto un candidato su sei avrà superato il test. Ma la speranza è l’ultima a morire, così in tanti la mattina del 6 settembre si sono riversati nelle aule universitarie per affrontare la prova di Medicina. E non sembra essergli andata poi tanto male: a test finito, i social sono stati invasi dalle reazioni a caldo di chi ha raccontato quanto questo sia stato semplice, anche rispetto agli anni passati. Lo confermano pure i dati di Skuola.net: circa il 34% degli intervistati ammette di aver trovato molto semplice la prova, un ulteriore 42% non ha comunque trovato grosse difficoltà.

A metterli in difficoltà ci hanno provato comunque due materie in particolare, Chimica (ritenuta la più difficile dal 34%) e Fisica e Matematica (la parte più complessa per un altro 25%). Dopo anni di incubi riguardanti i quesiti di Cultura generale, ora sembra  arrivato il riscatto. Le sue domande hanno toccato due argomenti piuttosto conosciuti come l’Illumismo e il Piano Marshall, ritenuto tra i due il quesito più difficile per il oltre la metà del campione.

Nonostante ciò, circa il 65% degli intervistati non ha lasciato molte domande in bianco: il 27% racconta di aver risposto a tutti e 60 i quesiti, mentre oltre il 38% alla maggior parte. Il test di Medicina sembra essere andato davvero male solo a un piccolo 6% di candidati che afferma di aver quasi lasciato in bianco il compito.

Il 2016 continua comunque a rivelarsi un’annata fortunata per chi sogna di diventare medico. Infatti, nonostante circa il 58% racconti di essersi trovato davanti a una commissione inflessibile, che non gli ha permesso nemmeno di scambiare una parola col suo vicino, un altro buon 34% dice invece di aver incontrato commissari severi, ma che comunque gli hanno dato qualche aiuto.

Nonostante il test di Medicina sembri essere andato piuttosto bene, tanti sono quelli che hanno tenuto gli occhi bene aperti facendo attenzione anche alla più piccola irregolarità. Da una precedente indagine di Skuola.net su un campione di circa 1000 iscritti al test di Medicina, è emerso che ben l’80% di loro si apprestava a svolgere il test già intenzionato a fare ricorso qualora fosse andato male.

FONTE: Tgcom.it
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06 settembre, 2016

Test di Medicina al via in tutta Italia, 62695 iscritti per 9224 posti

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Al via stamattina alle 11 il test di Medicina, temutissimo sbarramento all’ingresso di una delle professioni più ambite dai giovani italiani: un modo per evitare di trasformare la facoltà di Medicina in una fabbrica di disoccupati, nonché uno strumento di selezione utile a far passare i giovani più motivati secondo i suoi sostenitori, fra i quali Giuseppe Remuzzi; un’ingiustizia bella e buona e una violazione del diritto allo studio, invece, secondo le associazioni studentesche che da anni ne chiedono l’abolizione, e che per protesta questa mattina all’alba hanno affisso cartelloni e striscioni agli ingressi dell’ospedale Umberto I di Roma e del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Ai nastri di partenza 62.695 aspiranti camici bianchi (duemila in più dell’anno scorso) in corsa per 9.224 posti di medicina (quasi trecento in meno dell’anno scorso) più 908 per odontoiatria. Solo uno su sei è destinato a farcela.

Sessanta le domande a risposta multipla: 2 quesiti di cultura generale, 20 di ragionamento logico, 18 di biologia, 12 di chimica, 8 di fisica e matematica. La durata del test è di 100 minuti e il termine per la consegna è fissato per le 12.40. Per la valutazione della prova sono attribuiti al massimo 90 punti e si tiene conto di questi criteri: 1,5 punti per ogni risposta esatta; -0,4 punti per ogni risposta errata e 0 punti per ogni risposta lasciata in bianco. La graduatoria verrà pubblicata dal Cineca martedì 20 settembre sul sito accessoprogrammato.miur.it. Ma quanti punti servono per superare il test? L’anno scorso i due studenti più bravi - una ragazza di Alba e un ragazzo di Napoli - hanno ottenuto un punteggio di 80,90 . Il portale Skuola.net, spulciando i risultati della prova 2015, è arrivato alla conclusione che ne bastano 30,40. Anche se per i bocciati c’è sempre la possibilità di farsi promuovere in appello dal giudice amministrativo. Secondo un sondaggio effettuato la settimana scorsa dallo stesso sito tre studenti su 4 erano già pronti a fare ricorso ancora prima di fare il test e quindi a monte di eventuali irregolarità: un sistema che negli anni passati ha consentito a migliaia di candidati che magari avevano ottenuto punteggi bassissimi di aggirare il numero chiuso e essere ammessi nell’università sotto casa, passando davanti a chi invece, pur avendo passato il test, era stato assegnato a un ateneo diverso da quello prescelto.

Mercoledì 7 settembre sarà la volta di Veterinaria: 7.987 candidati per 655 posti. Giovedì 8 sarà la volta di Architettura: 10.161 iscritti al test per 6.991 posti.

FONTE: Corriere.it
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04 settembre, 2016

Messina, al via da martedì i test di ingresso per Medicina

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Sono 1.055 i candidati che cercheranno di conquistare i posti disponibili a Medicina e Odontoiatria e 457 quelli che tenteranno l'accesso a Medicina Veterinaria. Nel primo caso è come sempre consistente la presenza di candidati provenienti dalla Calabria, per Veterinaria invece significativa la presenza di studenti che arriveranno da tutte le province siciliane. Per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia saranno 168 i posti disponibili per i candidati comunitari e non comunitari residenti in Italia e 10 posti per i candidati extracomunitari residenti all'estero. Nel corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria i posti per gli studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia sono 22 e 7 per i candidati extracomunitari residenti all'estero. Per Medicina Veterinaria il numero dei posti per i candidati comunitari e non comunitari residenti in Italia è di 35 mentre per gli extracomunitari residenti all'estero sono 5.  Le prove di accesso ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria si terranno martedì prossimo al Polo Papardo nei locali dell'ex Facoltà di Ingegneria. Il giorno successivo nella stessa sede si svolgeranno anche le le prove di accesso ai Corsi di Laurea in Medicina Veterinaria. Per l'occasione l'Università di Messina metterà a disposizione dei candidati, e di eventuali loro accompagnatori, un servizio gratuito di bus navetta a partire dalle 7. I mezzi collegheranno il molo "Rizzo" (terminal Metromare) e il Capolinea del Tram "Annunziata", al Polo del Papardo. Gli orari sono disponibili sul sito dell'Ateneo. I candidati dovranno presentarsi agli ingressi principali del plesso alle 8 e dopo il riconoscimento personale e la consegna delle ricevute, riceveranno dal personale di vigilanza le indicazioni utili per raggiungere le aule sede delle prove che inizieranno alle 11 e termineranno alle 12.40. Per quanto riguarda la prova di ammissione ai corsi di laurea delle Professioni sanitarie, i test si svolgeranno martedì 13 settembre.

FONTE: Gazzetta del Sud
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24 agosto, 2016

Terremoto nel centro Italia, informazioni utili

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In questo momento rimbalzano per i social e i media le immagini del terremoto che questa notte ha investito Lazio e Marche. Sono immagini terribili ed è difficile immaginare cosa significhi perdere tutto in una decina di secondi. Grandissima solidarietà a tutte le persone coinvolte. Una notizia che scalda il cuore, nella tragedia, è sapere che il centro prelievi di Rieti e già intasato di donatori.

Tutte le informazioni utili le trovate sulla pagina della croce rossa: Italian Red Cross - Croce Rossa Italiana

- È possibile fare donazioni a all'iban IT40F0623003204000030631681 causale:sisma centro italia ( servizio donazioni croce rossa)

I numeri della protezione civile sono
-Protezione civile: 800840840
-sala operativa della protezione civile Lazio: 803555

-Per gli abitanti della zona si consiglia di rimuovere la password ai wi-fi per permettere connessioni esterne al fine di non saturare e/o sopperire alle assenze di segnale nella rete mobile (cellulari)

-Si raccomanda di evitare la Via Salaria, attualmente utilizzata per guidare i soccorsi

- A Rieti, alla mensa dei poveri di Santa Chiara e in due gazebo installati in piazza Giuseppe Mazzini messi a disposizione dall'associazione del Peperoncino e da Confcommercio sarà avviata una raccolta di generi alimentari ( ma presto, immagino, sarà possibile donarli anche in altre città d'Italia).


(Post in aggiornamento)
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23 agosto, 2016

Concorso Scuola, "bocciato" il 55,2% dei prof, 23 mila cattedre rimarranno vuote

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Meglio un somaro in cattedra o un somaro a spasso? Messa così la risposta è ovvia: non c’è un solo genitore disposto ad affidare il figlio a un insegnante scadente. Non uno. Ma sono così tanti i dubbi e le contestazioni sul concorsone per assumere 63.712 docenti dalle materne alle superiori che c’è da chiedersi: qual è il confine esatto tra la «somarite» di una classe docente demotivata e una selezione che qua e là pare essere stata studiata apposta per bocciare? Certo è che il setaccio sta dando esiti agghiaccianti: un posto su tre resterà vuoto: i candidati non sono all’altezza. Bocciati. Il quadro, apocalittico, emerge dall’ultima ricerca di Tuttoscuola, che da mesi al concorsone fa giustamente le pulci: sulla scelta delle commissioni, sulle paghe da fame ai commissari (50 cent per ogni prova scritta), sui quesiti prescelti (Ernesto Galli della Loggia ha scritto che quelli di storia appaiono «più che un esame un tentativo di decimazione») fino all’abisso che separa il Nord dove sono i posti vuoti e il Sud da dove tanti «prof» spinti a trasferirsi urlano alla «deportazione»...

Dice dunque il monitoraggio che gli «scritti» (conclusi il 28 aprile) fino ad oggi esaminati in quasi tre mesi dalle 825 commissioni e 202 sottocommissioni sono circa la metà del totale dunque, a causa delle regole che prevedono venti giorni di stacco tra scritti e orali, «solo il 62% o poco più dei vari concorsi banditi riuscirà a concludere le procedure concorsuali in tempo utile». Cioè per il via all’anno scolastico. Un ritardo enorme. Risultato: anche quest’anno non tutte le cattedre saranno occupate da chi le ha vinte (mancanza di vincitori) ma una grossa quota finirà agli iscritti alle graduatorie ad esaurimento (dove queste ci sono ancora) o ai soliti supplenti annuali. Magari bocciati al concorsone.

Il panorama comunque, a metà percorso, è chiaro. Tra i 71.448 candidati già esaminati agli «scritti» di 510 «procedure», solo 32.036 sono stati ammessi agli orali. Il 55,2%, infatti, non è stato ritenuto all’altezza. Più bocciati al Nord, meno al Sud, spiega la tabella che pubblichiamo. Ma è difficile trarne motivo di polemica su severità e lassismo: la regione più selettiva è la Lombardia, quella meno il Friuli-Venezia Giulia. Allora? Il nodo è questo: se andrà così anche nelle graduatorie in arrivo fuori tempo massimo (315 per un totale di 93.083 candidati, in larghissima parte per l’infanzia e la primaria) è probabile un buco di circa 23 mila posti vacanti. Uno su tre. Troppo selettive le prove o troppo impreparati i concorrenti? Le due cose insieme, probabilmente. Emerge, racconta la rivista di Giovanni Vinciguerra, «una scarsa capacità di comunicazione scritta, in termini di pertinenza, chiarezza e sequenza logica e una carenza nell’elaborare un testo in modo organico e compiuto. Si ricava anche un campionario di risposte incomplete, errori e veri e propri strafalcioni, che sorprendono in maniera più acuta per il tipo di concorso in questione, ovvero una selezione tra chi si candida a insegnare alle nuove generazioni».

Onestamente: c’è qualche mamma che, per solidarietà verso chi soffre il dramma della disoccupazione, affiderebbe suo figlio a un docente di italiano che scrive «cmq» invece di comunque, «X» invece che «per» o «ke» invece di «che»? Ha studiato Dante e Petrarca o il manuale «Abbreviazioni per sms»? E chi accetterebbe un’insegnante che anziché svolgere il tema prescritto si rivolge ai commissari e chiede l’assunzione definendosi «una madre di famiglia con tre figli» alla ricerca del «posto fisso»? Massima comprensione, sia chiaro. Ma quella aspirante professoressa quali garanzie può dare a studenti che han diritto ad avere il meglio del meglio o almeno, scusate il bisticcio, un docente decente? Che se ne fa, un ragazzo che vuole imparare l’inglese, d’un professore che ignora cosa sia l’ormai diffusissimo «peer tutoring» (l’insegnamento della lingua attraverso il dialogo fra lo studente più forte e quello più debole) e lo confonde con il «peer touring» che non c’entra un fico secco? Per non dire degli strafalcioni ortografici, degli errori madornali perfino nei quiz a risposta chiusa (esempio: qual è la capitale della Svezia? -Parigi -Stoccolma -Bogotà -Madrid) o delle risposte surreali. «Cos’è un compito autentico?», veniva chiesto a chi aspira a lavorare nella scuola primaria. Per dirla facile facile: è un compito «vicino al mondo concreto» noto al bambino. Che non parli di cose astratte ma quotidiane e reali. L’Abc, per un maestro elementare. Risposta di un concorrente: «Un compito autentico è un compito fatto dall’alunno e non dal professore». Un capolavoro.

Erano 175.245 i candidati del concorsone. E tutti, sottolinea Tuttoscuola, avevano già «l’abilitazione all’insegnamento» presa magari «attraverso i percorsi abilitanti post lauream Tfa, Siss e Pas», a questo punto da rovesciare come calzini. Bene: «In alcuni compiti è emersa anche una scarsissima conoscenza dell’italiano, tanto da indurre alcuni commissari a chiedersi se si trattasse di candidati stranieri che non padroneggiavano bene la nostra lingua, salvo poi verificare che erano italianissimi». Per carità, era successo anni fa anche a un concorso per magistrati. Dove uno dei commissari, seccato per i piagnistei sulle bocciature, si era deciso a rivelare alcuni strafalcioni: da «qual’è» con l’apostrofo a «Corte dell’Ajax», dall’«a detto» senza l’acca a «risquotere». Con la «q».

Ma qui, spiega Tuttoscuola, è peggio: «La letteratura internazionale in materia di valutazione di sistema considera la qualità professionale degli insegnanti come la variabile più influente sui risultati degli studenti». Eppure da noi «in cima alle preoccupazioni dei decisori politici e sindacali non c’è stata la qualità degli insegnanti, ma il loro consenso politico, guadagnato (...) attraverso la sostanziale conservazione dello status quo dal punto di vista giuridico ed economico: carriera solo per anzianità e uguale per tutti gli insegnanti...». Accusa sacrosanta. E l’ecatombe di candidati alle scuole d’infanzia e alle primarie negli scritti esaminati finora (22,4% di ammessi agli orali: quattro su cinque no) pare l’indizio che la professione di insegnante basata sul vecchio patto non scritto «ti pago poco ma ti chiedo un po’ meno» ha finito per essere «inevitabilmente considerata non una prima scelta da parte dei migliori studenti universitari (fatte salve le eccezioni, che per fortuna non mancano), e anzi da molti una seconda o terza scelta». Ma possiamo, oggi, sopravvivere al degrado d’una scuola sempre più «stipendificio» e sempre meno concentrata sulla crescita degli studenti? «Inutile nascondersi dietro un dito», accusa la rivista: «Finché l’insegnamento non tornerà ad essere una prima scelta mancherà il presupposto principale per tenere alto il livello qualitativo della scuola italiana». Anche al di là delle eventuali magagne nelle selezioni.

Autore: Gian Antonio Stella
FONTE: Corriere.it (servizio in abbonamento)
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26 luglio, 2016

Clonazione, le "gemelle" di Dolly stanno bene, nessuna malattia legata all'invecchiamento

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A vent’anni dalla nascita di Dolly si torna a parlare di quello che è stato una degli studi più importanti della scienza in questi utimi decenni. Era il 1996 quando la clonazione diventava realtà e – inevitabilmente - entrava nella storia. Un esame condotto sulle quattro pecore nate otto anni fa dalle cellule di Dolly ha evidenziato come anche i cloni possano vivere a lungo e in buona salute. I test svolti sugli animali hanno dato esito negativo, sollevando ogni dubbio su un possibile deterioramento prematuro delle loro cellule.

Per anni gli scienziati di tutto il mondo si sono domandati se la causa della morte di Dolly fosse o meno l’invecchiamento precoce. Uno studio coordinato da Kevin Sinclair dell’Università di Nottingham e pubblicato sulla rivista Nature Communications ha fatto luce sulla faccenda. La ricerca inglese è infatti il primo lavoro dettagliato mai condotto sullo stato di salute della “prole” nata da Dolly. Si chiamano Debbie, Denise, Dianna e Daisy, e in comune hanno molto più della lettera iniziale. Le quattro pecorelle hanno lo stesso Dna e sono nate dalla clonazione della serie di cellule appartenenti alla ghiandola mammaria che aveva dato vita a Dolly. Gli esami fatti sui quattro animali, che hanno tra i sette e i nove anni (l’equivalente di 60-70 anni nell’uomo), hanno scongiurato l’insorgenza di malattie legate all’invecchiamento.

Dolly non è stato il primo animale del mondo a essere clonato, ma è stato certamente il più famoso. In apparenza un ovino come tutti gli altri, fu il primo mammifero a essere riprodotto dal Dna di un adulto. Rane, topi, mucche e piante di ogni specie erano già state clonate in precedenza, ma tutte con la stessa tecnica: usando le cellule embrionali. Allevata dagli studiosi del Roslin Institute in Scozia, Dolly cresce e vive normalmente fino ai cinque anni. Morirà  per complicazioni dovute a un tumore.

Chiusa una volta per tutte la discussione sui possibili rischi della tecnica usata nel 1996, viene da chiedersi quale sia la vera eredità di Dolly. Il successo della clonazione di allora illuse gli scienziati che tutto era possibile. Che si sarebbero potute sconfiggere le malattie. Che si sarebbero potuti ricreare esseri umani.

Nel 2016 la clonazione umana viene vista come poco utile e difficilmente realizzabile. ll maggiore impatto in tal senso è visibile, secondo gli studiosi, nel campo delle cellule staminali.

FONTE: TgCom.it
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23 luglio, 2016

Dramma Messina, di nuovo senz'acqua e sommersa dai rifiuti, rischio emergenza sanitaria

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Torna l'emergenza siccità in riva allo Stretto. All'alba di questa mattina a Calatabiano un incendio ha distrutto le tubature flessibili di emergenza che costituivano il "bypass" dell'acquedotto che permette l'approvvigionamento idrico da Fiumefreddo, estrema periferia della provincia, all'acquedotto della città di Messina. L'AMAM ha sospeso dalle 9 di stamattina l'erogazione al fine di preservare le residue risorse idriche e la città è dunque di nuovo a secco. Secondo quanto riferito dai siti messinesi, questo è il terzo tentativo attuato da parte di ignoti criminali al fine di danneggiare la condotta, infatti già due giorni fa si era sviluppato un vasto incendio nelle aree adiacenti al bypass e la compromissione delle tubature fu scongiurata grazie all'intervento tempestivo dei Canadair. Ignote le motivazioni del gesto doloso. Erano da tempo già stati previsti degli interventi di manutenzione sulle condotte con una sospensione programmata (e a questo punto probabilmente anticipata) dell'erogazione. Lasciare la città "a secco" per giorni e in piena estate, con 30° gradi temperatura, potrebbe rappresentare un grave rischio per tutte le fasce più sensibili della popolazione, e sicuramente le numerosi autobotti mobilitate e che verranno, fra poco, prese d'assalto, potrebbero non essere sufficienti.

A distanza di quasi 9 mesi dall'ultima emergenza idrica, ben poco si è fatto per risolvere in modo definitivo il problema. Le condutture del secondo sistema idrico (n.d.R. res privata e non pubblica), che trasporta l'acqua dall'Alcantara, continuano stranamente a non funzionare o a funzionare con flussi minimi (200 litri), con promesse di inizio di lavori di riparazione rinviate di mese in mese. Il vecchio sistema in tubi rigidi è costantemente minacciato da frane ripetute, ed è di fatto un colabrodo, con interventi che erano stati programmati già in piena estate. Il sistema di bypass con tubi in plastica e "a cielo aperto" era il punto più vulnerabile, e abbiamo già detto dell'incendio che ha distrutto circa 150 metri di condotto.

Tale emergenza aggrava ulteriormente un quadro già cronicamente angariato dall'emergenza rifiuti: da settimane in tutta la città e soprattutto nelle periferie fanno capolino cumuli di spazzatura non raccolta, frutto delle problematiche politiche e organizzative sul conferimento dei rifiuti, in una sorta di cronica "guerra" che vede il governatore della Regione Crocetta e il sindaco di Messina Accorinti da tempo impegnati in un valzer di supercazzòle scappellate e isterismi vari. A questo si unisce l'assurda scelta di costruire un impianto di trattamento dei rifiuti a Pace (a pochi chilometri da centri residenziali, progetto prima bloccato per ovvie ragioni ambientali e poi stranamente sbloccato da una sentenza del TAR) e la quasi totale assenza di una politica di raccolta differenziata a domicilio nell'attuale territorio urbano messinese, uno dei tanti fallimenti dell'attuale politica messinese, in un Comune che è da 3 anni di fatto in "default" e di fatto commissariato dalla Corte dei Conti, con bilanci da tempo non presentati o non approvati.

Ovviamente la siccità e la spazzatura sono una combinazione adatta a favorire il proliferare di blatte, zanzare e topi, questi ultimi addirittura infestanti il più importante parco giochi per bambini della città (nel link il video), e questo potrebbe porre un serio rischio per la salute dei cittadini, e potrebbe spingere irresponsabili a bruciare la spazzatura in loco (altra frequente e nefasta abitudine messinese), con ulteriori gravi rischi per i fumi tossici generati dalla combustioni di materiali in plastica e per il creare incendi in una città già in emergenza idrica.
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21 luglio, 2016

Infermieri in protesta, “persi 7 mila posti di lavoro in 5 anni!”

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Pochi, massacrati dagli straordinari e pagati sempre meno. Questa la fotografia degli infermieri italiani scattata da IPASVI, la federazione nazionale dei professionisti del settore. Secondo un rapporto stilato dall’associazione, servono 47mila persone per raggiungere un “numero minimo necessario ottimale per garantire subito l’efficienza del territorio”. Anche perché, sottolinea la federazione, meno infermieri e straordinari troppo pesanti significa un maggiore tasso di mortalità negli ospedali.

Dal 2009 al 2014, infatti, il Servizio sanitario nazionale ha perso circa 7.500 addetti, con un calo del 2,21% della forza lavoro. Nel dettaglio, la contrazione maggiore in valori assoluti si registra in Campania con 2.102 infermieri in meno, seguita dal Lazio con -1.893 e dalla Calabria a -1.444. Ma in percentuale, spiega il rapporto, il primato spetta alla Calabria che perde il 16,31% dei suoi infermieri in cinque anni.

La scarsità di addetti diventa evidente anche anche in rapporto al numero di pazienti. In media, in Italia un infermiere si occupa di 12 pazienti, mentre in alcune Regioni si arriva anche a un rapporto di 1 a 18. Cifre a dir poco lontane dall’obiettivo indicato dalla federazione di un infermiere ogni 6 pazienti.

“Studi internazionali hanno dimostrato che la mortalità aumenta con il diminuire degli organici infermieristici – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente Ipasvi – e in particolare un minor carico di pazienti per singolo infermiere permette la riduzione della mortalità dei pazienti del – 20%, se si portano da 10 a 6 i pazienti totali affidati a un singolo infermiere”.

Ma la salute dei pazienti, secondo la federazione, è messa a rischio anche dalla quantità di straordinari che devono fare gli infermieri italiani. Nel 2014, questa voce è in aumento in quasi tutte le Regioni rispetto a tre anni prima. “Le punte maggiori si hanno nel primo gruppo in Campania e nel Lazio, dove lo straordinario copre il 4,5% della retribuzione media e in Calabria (4%)”, fa notare il rapporto.

“La ridotta vigilanza può portare a errori clinici che possono compromettere il benessere del paziente – aggiunge la presidente Mangiacavalli – In uno studio relativo alle ore di lavoro degli infermieri per la sicurezza del paziente, i rischi di errori e gli errori sono aumentati quando gli infermieri hanno svolto turni straordinari oltre le 12 ore, incrementando 3 volte il rischio di cadere in errore e più del doppio il rischio di incorrere in un quasi-errore”.

E a fronte del maggiore impegno degli infermieri, le loro buste paga si assottigliano con il passare degli anni. Dal 2011 al 2014 le retribuzioni si sono ridotte di circa 70 euro all’anno a testa. A trascinare verso il basso il dato è la Liguria (-664 euro), il Friuli Venezia Giulia (-419 euro) e la Puglia (-310 euro).

“A fronte di questa situazione al limite – afferma il Movimento 5 Stelle in una nota – l’azione messa in campo dal governo e dal ministro della Salute in particolare, è stata – prosegue la nota -costante e chiara: prosecuzione dei tagli nel comparto sanità, blocco del turnover, mancato adeguamento alla normativa europea sull’orario di lavoro del personale medico sanitario. Chi cerca risposte adeguate rispetto ai problemi del comparto andando a bussare alla porta di questo esecutivo sta solo perdendo tempo”.

FONTE: Il Fatto Quotidiano
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Fecondazione eterologa, il Consiglio di Stato boccia la Lombardia: illegittimo far pagare assistiti

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E' illegittimo far pagare agli assistiti le spese per la fecondazione eterologa. Lo ha deciso il Consiglio di Stato, respingendo l'appello della Regione Lombardia e confermando la decisione del Tar. "La determinazione regionale di distinguere la fecondazione omologa da quella eterologa, finanziando la prima e ponendo a carico degli assistiti la seconda, non risulta giustificata".

Secondo i magistrati con la scelta fatta dalla Lombardia si "realizza una disparità di trattamento lesivo del diritto alla salute delle coppie affette da sterilità o da infertilità assolute", si legge nella sentenza.

La Regione Lombardia aveva infatti deciso di applicare un ticket da 1.500 a 4mila euro per le coppie che avevano intenzione di affidarsi alla fecondazione eterologo, cioè quella che utilizza il seme o gli ovociti presi da persone esterne alla coppia stessa. Tale decisione aveva subito visto l'opposizione dell'associazione Sos Infertilità onlus. Il ricorso di quest'ultima era stato accettato dal Tar che aveva accolto la tesi della disparità. La Lombardia aveva lasciato gratuita la fecondazione omologa.

FONTE: Tgcom.it
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17 giugno, 2016

Sanità, maggiore trasparenza sui compensi date dalle industrie farmaceutiche ai medici...

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Rivoluzione in ambito medico in tema di trasparenza. Dal 30 giugno, quasi in contemporanea su tutti i siti delle industrie farmaceutiche, sarà possibile consultare l’elenco dei professionisti che hanno percepito una remunerazione, indicando fra l'altro quante volte è avvenuto e in quali occasioni nel corso dell'ultimo anno (2015). L’obiettivo dichiarato è scardinare i pregiudizi dell’opinione pubblica, convinta che medici e industrie farmaceutiche siano in combutta col fine di spingere questo o quell’altro farmaco. Così si spiega l’operazione trasparenza lanciata a livello europeo e raccolta dall’associazione delle aziende italiane con l’appoggio della federazione degli ordini dei medici (Onmceo).

Esempio: il 30 aprile il dottor Rossi ha fatturato 750 euro all’azienda ics per la partecipazione a una tavola rotonda di esperti svoltassi a Roma. A pochi giorni dalla scadenza dei termini, 7 medici su 10 hanno accettato con consenso scritto di comparire nella lista. Gli altri o non si sono ancora espressi oppure hanno rifiutato e sono stati inseriti in un contenitore di dati aggregati dove vengono indicati semplicemente gli importi complessivi del budget investito, senza nomi e cognomi. La rivoluzione, come la chiama il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, è stata voluta dai Paesi dell’associazione europea Efpia per cercare di sgombrare il campo, almeno in parte, dai sospetti che riguardano il conflitto di interessi tra gli imprenditori dei farmaci e coloro che li prescrivono. «Non ci aspettiamo di cambiare la mentalità in una sola volta, ci vorranno anni, questo è il primo passo importante», spera il leader dei produttori italiani. L’apertura degli elenchi del disclosure code, nome inglese dell’operazione, è molto attesa. In certi casi le percentuali hanno raggiunto l’80 per cento.

L’ impegno a dichiarare le forme di collaborazione con la classe medica era previsto da codici di autoregolamentazione aziendale e deontologici, ma con questa iniziativa viene rafforzato proprio per imprimere un cambio di rotta verso la trasparenza a beneficio dei pazienti e della fiducia nei confronti del sistema. «È impossibile sviluppare nuove molecole senza il supporto dei clinici esperti, non ho esitato a dischiudermi, collaboro con otto industrie. La professionalità va retribuita. Quanto? In un tavolo di consulenza gli opinion leader vengono pagati circa 250 all’ora», non ha difficoltà a raccontare Mario Boccadoro, uno dei massimi oncoematologi mondiali. Franco Perticone, presidente società italiana di medicina interna distingue: «Siamo d’ accordo però chi riceve un semplice rimborso spese per l’invito a un congresso, previa autorizzazione dell’ospedale di appartenenza, non può essere messo sullo stesso piano di chi riceve un compenso come relatore o consulente». Le aziende si augurano che il senso della disclosure venga compreso e non strumentalizzato colpevolizzando i produttori e il loro rapporto con il mondo scientifico: «È finito il tempo della caccia alle streghe. Basta con il pregiudizio che i medici, se retribuiti per il loro lavoro, siano più propensi a prescrivere. Senza di noi non ci sarebbero progressi nella ricerca e formazione». E il ministro della salute Beatrice Lorenzin: «Questo meccanismo servirà a rimuovere le zone d’ombra e conflitti di interesse poco chiari. Inizia una fase di comunicazione a viso scoperto».

FONTE: Corriere della Sera
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16 giugno, 2016

Specializzazione Medicina 2016, 6718 contratti disponibili e meno tempo ai candidati...

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È stato pubblicato ormai circa un mese fa il nuovo bando per l’accesso alle Scuole di Specializzazione in Medicina 2016. Qualche novità rispetto agli anni passati: il calendario delle prove fissa le date con qualche giorno di anticipo rispetto al passato, prove per cui gli aspiranti specializzandi avranno meno tempo a disposizione, mentre invece cresce il numero dei contratti messi al bando. Date anticipate anche per quel che riguarda la pubblicazione delle sedi sul portale Universitaly, disponibili già a partire dal prossimo 29 giugno. Rimangono, invece, sostanzialmente invariate le modalità d’esame, con candidati che dovranno affrontare le prove interamente tramite un computer sprovvisto di tastiera.

La buona notizia è che rispetto allo scorso anno, il numero complessivo di borse messe a disposizione è aumentato: sono 335 contratti in più per la precisione (6718 complessivi) che, seppure ancora insufficienti a garantire continuità formativa, ravvivano le speranze di molti. Anche quest’anno le prove si svolgeranno in due blocchi: una parte generale, comune a tutte le Scuole di Specializzazione e una seconda parte per ciascuna area (Medica, Chirurgica, Servizi Clinici). Le date in calendario prevedono che la prima prova si svolgerà per tutti il 19 luglio, mentre per le aree Medica, Chirurgica e Servizi Clinici le seconde prove si svolgeranno rispettivamente il 20, 21 e 22 luglio alle ore 12.

Anche quest’anno lo svolgimento delle prove per l’accesso alle scuole di Specializzazione in Medicina prevede la somministrazione di 110 quesiti a risposta multipla: 70 andranno a coprire la parte generale comune a tutti i candidati, 30 saranno specifici per ciascuna Area e i restanti 10 saranno invece determinati dalla tipologia di Scuola per cui si concorre. Rimane invariato il calcolo del punteggio che attribuisce 1 punto per risposta esatta, 0 per risposta non data e -0,30 per le risposte sbagliate. Tuttavia per i quesiti specifici di ogni Scuola la risposta esatta verrà valutata 2 punti e quelle sbagliate -0,60. Come anticipato ci sarà meno tempo per rispondere alle domande: in particolare il nuovo bando per le Scuole di Specializzazione 2016 prevede 95 minuti per la prima prova, 48 minuti per i quesiti specifici per Area e ulteriori 19 minuti per rispondere alle 10 domande specifiche per scuola. Le graduatorie infine saranno pubblicate il prossimo 11 agosto e l’ultimo scorrimento avverrà in data 26 ottobre.

FONTE: Blasting News
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07 giugno, 2016

Il dramma oncologico di Taranto, la Asl: “Futuro picco di tumori di entità impossibile da calcolare”

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“Indipendentemente dall’eventuale riduzione dell’esposizione all’inquinamento ambientale risulterà evidente ancora per molti anni l’eccesso delle patologie oncologiche nell’area a rischio”. È quanto riportato nell’aggiornamento dei dati del Registro Tumori di Taranto, pubblicati poche ore fa dall’Asl ionica, che conferma sostanzialmente che il danno causato dal disastro ambientale e sanitario nel tarantino è già fatto. I tarantini, cioè, stanno pagando e pagheranno ancora per i veleni che per oltre 50 anni l’industria siderurgica, prima di Stato e poi privata, ha riversato nella loro vita. Come spiega la dottoressa Antonia Mincuzzi, coordinatrice del Registro Tumori Asl di Taranto, “calcolare quando sia avrà il picco del numero dei malati è impossibile. Si tratta di patologie con una latenza varia, i cui fattori scatenanti sono diversi per ciascuna”. I dati aggiornati fanno riferimento agli anni 2009-2011 e parlano chiaro. Nel territorio della provincia di Taranto per alcune patologie ci si ammala molto più che nel resto d’Italia e del mezzogiorno. Come si legge nel report “si evidenziano tassi standardizzati più elevati in provincia di Taranto rispetto al pool nazionale e al pool sud per mesotelioma, carcinoma epatico, vescicale e polmonare nel sesso maschile a conferma della probabile responsabilità di esposizioni professionali”.

“Il numero di casi di mesotelioma riscontrati è tra i più alti d’Italia”, spiega a ilfattoquotidiano.it la dottoressa Mincuzzi: 99 gli uomini, 22 le donne che hanno contratto questa malattia, nella provincia di Taranto, nel periodo preso in esame. Un tasso quindi di quasi 6 uomini ogni 100mila e di 1,2 donne ogni 100mila: un dato considerato particolarmente elevato rispetto al tasso europeo di 4,3 nel sesso maschile e di 0,8 in quello femminile. I dati, però, appaiono ancora più preoccupanti se si prendono in considerazione gli operai dell’Ilva: secondo quanto affermato dalla dirigente dell’Arpa Puglia Lucia Bisceglia nel corso del processo che ha condannato in primo grado 27 ex dirigenti della fabbrica per la morte di 28 ex operai, i lavoratori del siderurgico “rischiano di morire per mesotelioma pleurico più del doppio rispetto alla media pugliese”.

I casi di tumore riscontrati nella provincia di Taranto negli anni 2009-2011 sono oltre 18mila. Per quanto riguarda la popolazione maschile, più colpita rispetto alle donne, il tumore più frequente è quello del polmone e dei bronchi (16,8 %), della prostata (16,2 %), della vescica (13,2 %), del colon e del retto (11,4 %). Come si legge nel report “si evidenziano tassi standardizzati più elevati in provincia di Taranto rispetto al pool nazionale e al pool sud per mesotelioma, carcinoma epatico, vescicale e polmonare nel sesso maschile a conferma della probabile responsabilità di esposizioni professionali”. Insomma gli uomini si ammalano al lavoro. Mentre il tumore della mammella è la tipologia più frequente tra tutti i casi di tumore individuati nella popolazione femminile: il 29,6 per cento dei tumori nelle donne, quindi, colpisce la mammella.

Ad aggravare questa situazione, anche un sistema sanitario carente. “L’assistenza – racconta la dottoressa Mincuzzi – va decisamente migliorata. Manca un reparto di chirurgia toracica. Da poco tempo abbiamo un primario che effettua interventi di chirurgia toracica, prima bisognava recarsi altrove anche per l’asportazione di un piccolo nodulo. E’ un passo in avanti, ma non basta. Così come vanno potenziati gli screening per la diagnosi del tumore alla mammella”. Il report, che sarà aggiornato nei prossimi mesi con i dati sulla sopravvivenza, conferma il quadro precedentemente disegnato dal Registro Tumori 2006-2008. Anche il periodo 2009-2011 è pieno di “record negativi”. I dati provinciali, si legge nel documento, presentano tassi più elevati rispetto al tasso del Meridione anche nei casi di “carcinoma di fegato, rene, linfoma non Hodgkin, prostata e stomaco nei maschi, mammella nelle donne, colon, melanoma, tiroide, encefalo in entrambi i sessi”. Le aree più colpite della provincia ionica restano ancora i comuni di Taranto e Statte, cioè quelli più vicini allo stabilimento siderurgico: è qui, afferma il report, che risulta necessario “porre particolare attenzione in termini di assistenza e sorveglianza ai residenti nell’area a rischio ambientale”. Un’attenzione che da tempo viene sbandierata, ma che a distanza di quattro dall’esplosione della vicenda Ilva e del disastro ambientale e sanitario del capoluogo ionico stenta ancora a dare i suoi frutti.

FONTE: Il Fatto Quotidiano
Autrice: Maria Teresa Totaro
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