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AFORISMA DEL GIORNO

31 maggio, 2013

Torna l'epatite A in Italia, sotto accusa i frutti di bosco congelati

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L’epatite A (dovuta all’infezione da Hav) è tornata ad affacciarsi in Italia nelle scorse settimane e minaccia altri episodi da qui all’estate, anche se il ministero della Salute si è affrettato a precisare che «alla luce della particolare situazione in atto, fino al 31 luglio 2013, le segnalazioni dei nuovi casi e gli eventuali focolai epidemici devono essere avanzate tempestivamente al ministero e all’Istituto Superiore di Sanità». Non è un allarme, ma poco ci manca. D’altronde i numeri registrati dal sistema di sorveglianza Seieva parlano chiaro: in 16 regioni che hanno trasmesso dati aggiornati al 20 maggio 2013, risulta un incremento delle notifiche di epatite A nel periodo marzo-maggio pari al 70% rispetto allo stesso trimestre di un anno fa. L’aumentata incidenza è stata registrata in quattro regioni del centro-nord (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Veneto) e in una del sud (Puglia).

Caratterizzata da un decorso acuto (stanchezza, febbre, disturbi gastrointestinali e ittero) e dalla prevalenza della trasmissione oro-fecale (come l’epatite E) rispetto a quella interumana, l’epatite A è causata da un virus a singolo filamento di Rna diffuso soprattutto attraverso l’acqua contaminata e gli alimenti venuti a contatto con la stessa. Tra i cibi incriminati, finora, c’erano soprattutto le cozze e i vegetali lavati con acqua sporcata da residui fecali. Oggi, invece, sotto osservazione sono finiti i frutti di bosco misti congelati: rintracciati in un cluster familiare del virus individuato in un paziente che aveva consumato una torta guarnita nello scorso mese di aprile.

Le indagini sulla materia prima (probabilmente di origine extraeuropea) non sono ancora terminate, ma finora epidemiologi ed esperti in sicurezza alimentare non avevano mai concentrato i loro sforzi sugli alimenti conservati nel freezer. «È un aspetto nuovo e su cui converrà indagare: sappiamo che il congelamento non uccide i virus, ma non avevamo mai rintracciato l’Hav in un prodotto congelato», spiega Maria Triassi, ordinario di igiene all’università Federico II di Napoli, città in cui nel 2004 si registrò una vasta epidemia italiana: 421 i nuovi casi allora conteggiati tra gennaio e aprile. «Probabilmente si tratta di una contaminazione avvenuta all’origine del prodotto e che il congelamento non è riuscito a debellare». Soltanto la cottura ad alte temperature, infatti, può inattivare il virus. Non è un caso che questa sia la principale raccomandazione fornita dai medici, assieme all’accurato lavaggio con acqua e amuchina di tutti gli alimenti di dubbia provenienza: principalmente molluschi (cozze e vongole) e verdure.

Le indagini condotte a livello europeo hanno evidenziato la presenza di due gruppi di epatite A: uno tra gli abitanti dei Paesi nordeuropei, l’altro in un gruppo di turisti rientranti dall’Egitto. Se il primo caso potrebbe essere ricondotto al consumo dei frutti di bosco congelati, diversa è l’origine del secondo: quasi certamente dovuto alle scarse condizioni igienico-sanitarie dello Stato nordafricano. «Ai nostri connazionali che non hanno avuto l’infezione durante l’infanzia (dunque non hanno sviluppato immunità a lungo termine, ndr) e organizzano le vacanze in paesi africani, orientali e dell’America Latina, consiglio sempre di vaccinarsi almeno tre mesi prima della partenza», afferma Antonio Picardi, responsabile dell’unità operativa di epatologia del Campus Biomedico di Roma. «Dopo venti giorni va effettuato un richiamo: così si assicura una protezione pari al 90%. Chi non ha modo di pianificare un viaggio con largo anticipo può ricorrere alla profilassi passiva: gli anticorpi iniettati assicurano una difesa per 5-6 settimane». A tavola, a queste latitudini, vige un obbligo: quello di consumare soltanto acqua minerale.  


FONTE: Corriere.it 
AUTORE: Fabio Di Todaro
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Medici, la UE richiama l'Italia, "non rispettati turni di riposo compensativo"

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''Dobbiamo riconoscere che la sicurezza delle cure non e' affidata alle assicurazioni, ma richiede investimenti nella formazione degli operatori e per garantire gli organici necessari. Ora e' l'Europa a richiamarci a questi obblighi''. E' la reazione del presidente dell'Anaao Costantino Troise all'annuncio del ''parere motivato'' inviato all'Italia dalla Commissione europea: si tratta - ricorda oggi DoctorNews - del secondo passo della procedura d'infrazione, per il mancato rispetto della direttiva che impone giusti tempi di riposo ai medici.

''Eravamo stati noi dell'Anaao - continua Troise - a sollevare la questione dopo che il secondo governo Prodi aveva deciso di non applicare ai dirigenti, e quindi anche ai medici del Ssn, l'obbligo a un periodo di un riposo compensativo di almeno 11 ore fra un turno di lavoro e l'altro. Questo violava la normativa europea; i medici sono dirigenti in quanto dotati di autonomia professionale ma non sono in grado di decidere in maniera autonoma l'organizzazione del lavoro''. La commissione aveva gia' inviato una lettera all'Italia diversi mesi fa e non e' stata quindi soddisfatta della risposta ricevuta, ma la preoccupazione di Troise e' volta alle conseguenze di questo mancato rispetto: ''e' un vulnus gravissimo che compromette la sicurezza delle cure, perche' riposi sempre piu' brevi con carichi di lavoro aumentati per carenze di organico minano l'integrita' psicofisica degli operatori e attenta al livello di sicurezza dei cittadini e dei medici stessi''. La situazione e' stata in realta' regolamentata dal contratto 2008-2009, affidando alla contrattazione aziendale la possibilita', caso per caso e per periodi brevi, di spostare i riposi compensativi. ''Ma solo in caso di necessita' e non in maniera strutturale. - precisa Troise - Al di la' del fatto specifico, io credo che l'importanza di questo provvedimento risieda nel richiamare governo, parlamento e Regioni a un'attenzione alle carenze di organico e ai carichi di lavoro in quanto elementi strutturali della sicurezza delle cure per i cittadini. Non e' possibile lamentarsi della crescita dei costi assicurativi e della medicina difensiva con la coscienza sporca di avere ospedali con organici insufficienti, sottoposti a turni stressanti e non in grado di assicurare il recupero delle energie psicofisiche''.


FONTE: Asca

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Oggi è il No Tabacco Day, fra "App" per smettere di fumare e dubbi sull'uso delle E-cig...

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Oggi si celebra in tutto il mondo il "No Tobacco Day": lo slogan dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è “Liberati!”. Sono 6 milioni i decessi legati al fumo ogni anno, e secondo le proiezioni potrebbero diventare 8 milioni entro il 2030. I decessi per fumo indiretto, secondo recenti stime, ammontano a circa 600.000. Ancora una volta l’OMS punta il dito contro la pubblicità e gli sponsor legati al tabacco, evidenziando come soltanto 19 paesi al mondo hanno una legislazione rigida in proposito, mentre invece un terzo dei paesi hanno legislazioni minime o nessuna restrizione.

All’Istituto Superiore della Sanità è stato organizzato un convegno anche alla presenza del neoministro Lorenzin.  “E’ necessario lavorare sulla prevenzione”, ha detto il ministro, “perchè è l’unica strategia che consente di contenere in modo intelligente i costi della sanità”, ricordando come “siano circa 700mila le persone che in Europa muoiono ogni anno a causa del fumo”, e il vizio “sia in aumento fra i giovanissimi e le donne”. Il Ministero della Salute e ISS hanno anche lanciato la App ‘Quanto fumi?’ per capire il grado della propria dipendenza e grazie a questa consapevolezza cercare di perdere il vizio. iSmocked Plus è l’applicazione per iPhone pensata per tutti i fumatori che vogliono avere un quadro completo sulle sigarette fumate e, a fine deterrente, i soldi spesi. Ismoked è compatibile con iPhone, iPad e iPod Touch, richiede la versione del firmware 4.3 o successive ed è localizzata in Italiano. L’app è disponibile al prezzo di 0,79€.

Fra gli argomenti quello delle sigarette elettroniche, al centro di un corposo dibattito, con un mercato in netta espansione, e apprezzate soprattutto dalle giovani generazioni. Un sondaggio della DOXA presentato al convegno ha però dimostrato che fra tutti coloro che hanno iniziato ad usarle, sono circa 500.000, solo 10,6%.

Una delle domande più ricercate su Google secondo recenti stime, visto anche il fatto che intorno alla "sigaretta elettronica" si sia creato un crescente volume d'affari (oro colato nella fortissima crisi economica attuale), è se tale forma di fumo sia nociva. La sigaretta elettronica fa male?

Il funzionamento di queste sigarette è semplice: il fumatore inala un vapore che suggerisce la sensazione di fumare tabacco. Il vapore è generato da una cartuccia che contiene una soluzione di glicole propilenico, glicerolo, aromi alimentari e, in alcuni casi, nicotina. Sull'estremità opposta al filtro, un led si accende di rosso durante l'utilizzo. Chi le usa? Soprattutto la fascia tra i 30 e i 40 anni (18,4%) e gli over 45 (20%). Mentre i ragazzi tra i 16 e i 20 anni coprono solo un 1,8% della torta di utilizzatori.

La principale differenza con la sigaretta tradizionale è che non c'è combustione e quindi non contiene né catrame, né monossido di carbonio, ovvero le sostanze più nocive prodotte dal fumo tradizionale. Contiene però nicotina, che provoca assuefazione, in quantità variabili. Nel complesso, sulla base delle analisi svolte fino a questo momento, i medici sono abbastanza d'accordo nel ritenere che la sigaretta elettronica, pur non essendo completamente innocua (per via della presenza di nicotina, ma anche di glicerolo e glicole propilenico) è di gran lunga meno dannosa delle sigarette tradizionali. Quindi se dedicata specificatamente per i forti fumatori, la sigaretta elettronica è uno strumento consigliato per smettere, tuttavia non deve essere considerata come un lusso o come un giocattolo da provare, e ciò coinvolge soprattutto gli adolescenti, sempre più usuali nell'utilizzo della SE, tanto che lo stesso Ministero della Salute ha provveduto a imporre un divieto di vendita per i minori di 18 anni.

Qual è il maggiore rischio nell'uso della e-cig? Proprio il costo. Tale tipo di sigarette hanno un costo "di partenza" relativamente elevato, più il costo più basso delle ricariche. Il problema nasce dalla ricerca del "risparmio", che porta all'acquisto di sigarette elettroniche "non omologate" e "sovraccariche di nicotina", e quindi potenzialmente lesive da fonti, come negozi o e-store non in regola, con grandi rischi per la salute del compratore.

Di certo, oggi, c’è il business generato da questo oggetto. Un successo che sembra ispirato più a una tendenza del momento che dalla cura della propria salute: 1500 negozi vendono le e-cig per 2 milioni di consumatori; il volume d’affari generato in Europa è di 500 milioni di euro.

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Dopo la Francia, l'Italia: primo caso di nuova Sars in Toscana

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La nuova Sars colpisce anche in Italia. La Regione Toscana ha comunicato un caso confermato di infezione con il nuovo ceppo di coronavirus, definito appunto la nuova Sars: si tratta di un'infezione respiratoria acuta che in Europa ha già registrato casi in Francia (due contagiati, con una vittima), Danimarca e Regno Unito. Si tratta di un cittadino di 45 anni, di nazionalità straniera, che vive in Italia, e che è stato recentemente in Giordania per 40 giorni. In Medio Oriente uno dei suoi figli ha accusato una forma influenzale non meglio specificata. Il paziente, che al ricovero presentava febbre alta, tosse e segni di insufficienza respiratoria, è attualmente ricoverato in isolamento ed è in buone condizioni. Il Ministero monitora attentamente la situazione in stretto raccordo con le autorità sanitarie della Regione Toscana. La conferma della diagnosi è stata effettuata dall’Istituto superiore di Sanità seguendo le procedure indicate dal Ministero della Salute il 16 maggio scorso.

La nuova Sars in realtà si chiama Mers (Middle East Respiratory Syndrome). Si tratta di un virus che è probabilmente trasmissibile tra gli uomini a seguito di contatti stretti e prolungati come per esempio all'interno di un nucleo familiare o in una corsia ospedaliera. È stato identificato nel Regno Unito. La Sars fu identificata nel 2002 in Cina: in tutto il mondo circa 8.000 persone furono contagiate, con un tasso di mortalità del 10%: 800 le vittime. I coronavirus sono un'ampia famiglia virale che abbraccia un ampio spettro di sintomi, compreso quello del comune raffreddore. Per quanto riguarda i viaggi internazionali e le rotte commerciali, l’Organizzazione Mondiale della Sanità non raccomanda test né altre restrizioni ai viaggiatori all’ingresso nei Paesi membri della Regione Europea.

FONTE: Corriere.it
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24 maggio, 2013

Sabato 25 Maggio è la Giornata Mondiale della Tiroide

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Il numero è da capogiro: i casi di tumore della tiroide sono cresciuti di oltre il 200 per cento nell’ultimo ventennio, arrivando nel nostro Paese a circa 14mila nuove diagnosi ogni anno. A richiamare l'attenzione sulla più frequente forma di cancro del sistema endocrino sono i maggiori esperti italiani in occasione della Giornata Mondiale della Tiroide, indetta per il 25 maggio (promossa dall’Associazione Italiana della Tiroide, dall’Associazione dei Medici Endocrinologi, dalla Società Italiana di Endocrinologia e dalla European Thyroid Association) con l’obiettivo di far conoscere il ruolo di questa ghiandola e l’importanza della prevenzione per tutte le numerose malattie che possono colpirla. «Un recente studio americano ha calcolato che i casi di carcinoma tiroideo negli Usa in 20 anni sono cresciuti del 250 per cento circa, quindi più che raddoppiati - dice Paolo Vitti, segretario generale dell’Associazione Italiana della Tiroide -. Le stime europee e italiane sono simili, per cui questo tipo di cancro rappresenta oggi circa l’un per cento di tutte le neoplasie».

Fortunatamente nella grande maggioranza dei casi questi tumori sono scarsamente aggressivi e facilmente curabili, tanto che si può parlare di completa guarigione in quasi il 95 per cento dei pazienti. Ma a cosa si deve questo straordinario aumento? «Soprattutto alla quantità crescente di diagnosi - risponde Vitti, che è ordinario di Endocrinologia all’Università di Pisa -. Infatti si tratta principalmente di microcarcinomi, con diametro inferiore a un centimetro, mentre il numero di neoplasie sopra i due millimetri è rimasto per lo più stabile. In pratica oggi scopriamo moltissimi noduli maligni che nei decenni precedenti non venivano individuati, restavano indolenti, non davano sintomi e dunque non si curavano». Le molte ecografie che si eseguono ora per altri motivi (ad esempio dai cardiologi che indagano i vasi sanguigni del collo) evidenziano insomma questi microtumori che altrimenti, con buone probabilità, non darebbero alcun fastidio alla persona.

Il problema quindi è quello di non sottoporre le persone a trattamenti in eccesso. «La diagnosi precoce è importante per scoprire la malattia quando è possibile rimuoverla chirurgicamente e guarire - aggiunge Luciano Pezzullo, responsabile della Chirurgia della tiroide all’Istituto Nazionale dei Tumori Pascale di Napoli -, ma le microforme tumorali non dovrebbero essere immediatamente trattate, quanto piuttosto seguite e monitorate in centri specializzati. Per molti pazienti è sufficiente un controllo annuale con visita ed ecografia. E solo se ci sono sospetti di un’evoluzione della malattia si procede con agobiopsia e intervento». In caso di neoplasie ben differenziate viene consigliata la tiroidectomia totale (cioè l’asportazione di tutta la ghiandola), ma in presenza di microcarcinomi papilliferi, e in generale in caso di presenza di fattori prognostici favorevoli, è possibile proporre un intervento meno demolitivo. «L’emitiroidectomia - spiega Gioacchino Giugliano, direttore dell’Unità Tiroide e Neoplasie Salivari all’Istituto europeo di oncologia di Milano - è indicata in caso di noduli piccoli e consente di conservare mezza tiroide. Il vantaggio per i pazienti è notevole, perché così la ghiandola continua a produrre sia gli ormoni (compensati solo in parte dalla compressa di tiroxina prescritta a tutti i malati a cui viene tolta la tiroide) sia la calcitonina, preziosissima per rafforzare le ossa e potente antidolorifico».

Fra i fattori di rischio noti per il maligno della tiroide ci sono: la familiarità per tumore tiroideo (circa un quarto dei tumori viene diagnosticato in chi ha un parente diretto, fratelli o genitori, che ha già avuto la malattia), le radiazioni nucleari (come ha dimostrato il boom di casi dopo il disastro di Chernobyl e ci si attende per Fukushima e l’essere donna: infatti dei 14mila casi annui italiani, solo 3.200 interessano i maschi. «Inoltre sappiamo che sono più a rischio gli abitanti in aree vulcaniche, come la Sicilia o le Hawaii - dice Francesco Trimarchi, presidente eletto della Società Italiana di Endocrinologia -, per la presenza di carcinogeni ambientali legati ai vulcani attivi. Sono poi allo studio alcune mutazioni genetiche. Ma quello che è fondamentale è rivolgersi tempestivamente al medico se si nota la presenza di un nodulo sul collo e, soprattutto, se questo cresce rapidamente». Se è infatti vero che gran parte dei noduli tiroidei sono benigni e che quelli maligni hanno spesso una buona prognosi, non tutti i carcinomi che interessano la ghiandola sono «poco aggressivi»: esistono anche rare forme letali e che evolvono rapidamente, per cui la diagnosi tempestiva è fondamentale.

AUTRICE:
FONTE: Corriere.it

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14 maggio, 2013

Ennesima protesta del SIGM a Roma ma il governo prosegue nei tagli di posti di lavoro...

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Ogni anno si laureano circa 9 mila studenti in medicina, ma di questi solo in 5 mila riescono ad accedere alle scuole di specializzazione. Un numero, quest'ultimo, che quest'anno farà i conti con il taglio di ulteriori 500 posti. Portando quindi al 50% i posti disponibili per una platea di giovani laureati che senza specializzazione può prestare solo servizio presso le guardie mediche.

Sarà questo, ma non solo, uno dei temi caldi della manifestazione di oggi a Roma in piazza Montecitorio, organizzata dall'Associazione Italia giovani medici (Sigm) assieme al Comitato Pro Concorso nazionale che vuole portare all'attenzione del nuovo Governo (annunciata anche la presenza del ministro della salute Beatrice Lorenzin) e del rinnovato Parlamento, tutte le questioni che «affliggono la condizione dei giovani camici bianchi italiani, da tempo denunciate e per larga parte ancora irrisolte».

Insomma all'annosa carenza di medici, ai pensionamenti in massa e al blocco dei turnover per i piani di rientro, ora il sistema sanitario deve fare i conti con una situazione che, senza correttivi immediati, porterà entro i prossimi dieci anni alla mancanza di circa 30 mila specialisti destinati allo svolgimento di funzioni non delegabili a altre professioni sanitarie. Il tutto a causa dello scollamento tra il numero dei laureati e i posti disponibili nelle scuole di specializzazione

I numeri. Del resto sono le cifre a parlare. L'Italia ha un numero di medici professionalmente attivi superiore alla media europea, pari a 4,1 professionisti per mille abitanti contro una media dell'Unione europea di 3,4 per mille abitanti. Ma questa è una situazione destinata in breve tempo a cambiare. Ecco perché la richiesta non è solo quella di aumentare le immatricolazioni, ma soprattutto garantire a quanti si laureano la possibilità di accedere ad una scuola di specializzazione, facendo coincidere il numero dei laureati con quello dei potenziali specialisti.

Oggi uno studente pur laureandosi regolarmente in corso, infatti, rischia in molti casi di dover attendere altri due o tre anni prima di accedere alla scuola di specializzazione, portando il suo iter formativo a 13-15 anni e ritardando il suo ingresso nel mondo della professione, cioè intorno ai 35 anni di età, con pesanti ricadute anche sotto il profilo pensionistico. «Se ogni anno», dice il sindacato, «fanno il loro ingresso a medicina circa 10 mila matricole e poi, nel post lauream, l'accesso alla formazione dei neolaureati è possibile soltanto per 4.500 specializzandi e circa 800 corsisti di medicina generale, allora i conti non tornano.

E ancora meno se si considera che in questo modo stiamo investendo denaro a fondo perduto nella formazione di professionalità quanto mai necessarie per la nostra sanità ma che, allo stato attuale, nel nostro Ssn non troveranno mai spazio». Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni circa 1.000 giovani medici hanno fatto richiesta al Ministero della salute del certificato di congruità, necessario per esercitare la professione all'estero, e il trend è in ascesa.

Per ridare dignità e futuro alla professione medica in Italia, secondo i promotori dell'iniziativa, è necessario «rilanciare la formazione medica post lauream attraverso l'adeguamento del capitolo di spesa della formazione medica specialistica e l'adozione di un contratto di formazione specifica in medicina generale»; riformare al più presto il concorso di accesso alle scuole di specializzazione «nel segno del merito e della trasparenza» e, poi, ancora, effettuare una corretta programmazione (quantitativa e qualitativa) del fabbisogno di professionalità mediche da formare e adozione di politiche di sostegno all'accesso dei giovani medici al mondo del lavoro «in modi e tempi che siano in linea con l'Europa».

Infine, il nodo previdenziale: per il Sigm è necessario operare una «riconfigurazione del trattamento previdenziale dei medici, con particolare riferimento ai giovani professionisti ed al duplice iniquo inquadramento Inps/Enpam dei medici in formazione».

FONTE: Italiaoggi.it
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01 maggio, 2013

Governo taglia del 10% i nuovi contratti di formazione specialistica in Medicina

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Al termine di un iter quanto mai travagliato, venerdi 26 Aprile sul sito del ministero dell’Università è stato pubblicato il bando di concorso per l’accesso alle scuole di specializzazione (anno accademico 2012/2013). Come ampiamente preannunciato nelle scorse settimane, il numero di nuovi contratti di formazione specialistica è passato dalle 5.000 unità, cifra stabile negli ultimi 6 anni, a 4.500 unità, con un taglio del 10%.

Qualche giorno fa, sono stati inoltre pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale il numero di accessi al corso specifico in medicina generale che per questo anno accademico ammontano a 924 (- 5,8% rispetto al 2012). Complessivamente, i posti di formazione post-laurea disponibili per il corrente anno accademico ammontano a 5.424 unità, a fronte di un numero di laureati in medicina e chirurgia che, nello scorso anno, sfiora quota 6.500.

Per completare il quadro (surreale), a distanza di qualche minuto dalla pubblicazione del bando di accesso alle scuole di specializzazione, sulla pagina del ministero, è stato ufficializzato il numero degli studenti che accederanno al corso di laurea specialistica in medicina e chirurgia nel prossimo anno accademico. Tale numero ammonta a 10.756 unità, di cui 10.021 per studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia e 555 per studenti non comunitari e non soggiornanti nel nostro Paese. Anche in questo caso abbiamo assistito, rispetto allo scorso anno accademico, a un taglio, seppur solo dell’1,4%.

Dalla semplice lettura di queste cifre, balza immediatamente all’occhio come i conti non tornino più. In realtà, nell’indifferenza generale delle istituzioni, i conti hanno smesso di tornare ormai da qualche tempo. Infatti, dall’anno accademico 2007/2008 al 2012/2013, il numero di studenti ammessi al corso di laurea in medicina e chirurgia è passato da 7.858 a 10.730 unità (aumento medio del 6,5% ogni anno). Di conseguenza, nei prossimi anni il numero dei laureati arriverà progressivamente a sfiorare, e forse a superare, le 9.000 unità. A fronte di questo aumento, i giovani medici che nei prossimi mesi accederanno alla formazione post-laurea, prerequisito essenziale per poter accedere alle posizioni lavorative del servizio sanitario nazionale, diminuiranno rispetto agli anni precedenti.

Nell’ottimistica ipotesi che tali numeri non si riducano ulteriormente nei prossimi anni, andando ad aggravare una già disastrosa crisi generazionale, a partire da quest’anno un numero crescente di giovani medici di fatto non avrà né sbocchi formativi né prospettive lavorative nel nostro Paese. Nell’arco di pochi anni, questa situazione è destinata, in assenza di provvedimenti urgenti, a interessare molte migliaia di medici.

Le due neo-nominate Ministre, Maria Chiara Carrozza (Università) e Beatrice Lorenzin (Salute, e non laureata), dovranno fornire risposte politiche urgenti a questa crisi.

FONTE: Healthdesk.it
AUTORE: Cristiano Alicino
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