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AFORISMA DEL GIORNO

27 dicembre, 2011

Quale è stata la più importante ricerca scientifica del 2011? Secondo la rivista "Science" è...

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Per la prestigiosa rivista "Science" la più importante scoperta scientifica dell'anno che sta per finire riguarda il campo della medicina e precisamente le terapie antiretrovirali per combattere l'HIV. Si tratta dello studio "HPTN 052", pubblicato lo scorso agosto sulla rivista "The New Journal of Medicine". Condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, tale progetto di ricerca ha permesso di scoprire che il trattamento antiretrovirale riduce del 96% il rischio di contagio nelle coppie in cui uno dei due partner è stato infettato dall'HIV. Iniziato nel 2007,  I ricercatori hanno arruolato 1.763 coppie sierodiscordanti (ovvero con solo uno dei due partner sieropositivo) di 9 paesi (Brasile, India, Tailandia, Usa, Botswana, Kenya, Malawi, Sud Africa e Zimbabwe). Metà dei sieropositivi ha ricevuto immediatamente il trattamento, gli altri invece avrebbero dovuto aspettare il raggiungimento dei parametri clinici richiesti dalle linee guida. I risultati erano attesi per il 2015, ma quando, lo scorso aprile, Myron Cohen della University of North Carolina di Chapel Hill ha cominciato ad analizzare i primi dati per il trial HPTN 052 - di cui era a capo - non ha potuto tenere per sé quanto scoperto, tra 28 nuovi casi di trasmissione dell’infezione uno solo proveniva dal gruppo che aveva cominciato la terapia precocemente, cosi l'organismo di controllo della ricerca ha deciso, 4 anni prima della fine del trial, che tutti i partecipanti dovevano ricevere al più presto il trattamento antiretrovirale. ''Mentre sono ovviamente entusiasta che questa ricerca sia stata riconosciuta come la scoperta dell'anno - ha detto Myron Cohen, scienziato che ha coordinato lo studio - è la sua trasposizione su scala globale la migliore ricompensa. Dobbiamo dimenticare l’idea di una tensione tra trattamento e prevenzione e mettercela alle spalle, perché il trattamento è prevenzione”.

Al secondo posto della speciale classifica di "Science" si colloca l'astronomia e la scoperta che le meteoriti arrivano dagli asteroidi. Completa il podio le ricerche antropologiche condotte sulla complessità del genoma umano primordiale, nato da scambi genetici a quanto pare molto più complessi di quanto finora ipotizzato.

Al sesto posto torna la biologia, con gli studi made in Deutschland condotti sugli Enterobatteri buoni del nostro intestino. Che come sappiamo sono "buoni" in quanto producono vitamine, influenzano il metabolismo energetico e il sistema immunitario. Ce ne sono a miliardi nel nostro intestino, in una composizione così particolare da essere diversi persino nei gemelli. Quest'anno però i ricercatori dello "European Molecular Biology Laboratory" di Heidelberg, in Germania, ha scoperto che nonostante la loro diversità, è possibile dividerli in comunità a seconda del tipo più presente in ogni individuo, indipendentemente da nazione, sesso o età. Una sorta di "gruppi sanguigni dell’intestino", come li definisce il famoso giornale "New York Times". Oltre a quella tedesca, sui microbi intestinali si è concentrata buona parte di tutta la ricerca scientifica dell’ultimo anno, dimostrando per esempio che ogni enterotipo è legato alla dieta (i Bacteroides abbondano quando si mangiano grandi quantità di carne, mentre i Prevotella dominano nei vegetariani), e che la composizione del nostro microbioma intestinale dipende dalla nostra alimentazione sul lungo termine e non da variazioni su piccoli periodi.

Al settimo posto torna prepotentemente la medicina, con la ricerca condotta sul vaccino contro la malaria. Non dà protezione nel 100% dei casi e anche dove sembra funzionare non si sa ancora per quanto garantirà protezione. Eppure aver trovato un vaccino capace di contrastare la diffusione della malaria, anche se solo in parte, rappresenta un traguardo fondamentale nella lotta alla malattia. Il vaccino RTSS, che nei risultati preliminari del trial clinico di fase III - riferiti all’immunizzazione di oltre seimila bambini tra 5 e 17 mesi in sette paesi africani - si è mostrato capace di dimezzare il rischio di malaria, potrebbe presto affiancarsi agli strumenti già disponibili. Per conoscere meglio l’efficacia del vaccino bisognerà comunque attendere il prossimo anno.

E dopo lo studio sui sistemi solari alieni (ottavo posto) e i cristalli zeoliti (nono posto), conclude la Top Ten la ricerca sulle cellule senescenti. Le chiamano cellule senescenti, perché dopo aver vissuto per un periodo di tempo (dividendosi un determinato numero di volte) invecchiano e smettono di lavorare (ovvero di dividersi). Ma lungi dal rimanere completamente quiescenti continuano a svolgere ruoli importanti, come sostenitori, per esempio, dello stato infiammatorio (una condizione legata all’invecchiamento). Per capire se la loro eliminazione aiutasse o meno l’organismo a rimanere giovane più a lungo, un gruppo di ricercatori ha trattato alcuni topi predisposti all’ invecchiamento precoce con un farmaco in grado di eliminare selettivamente le cellule senescenti (colpendo come bersaglio una loro proteina, la p16 Ink4a). Analizzando i risultati gli scienziati hanno scoperto che sopprimere le cellule “vecchie” aiuta i topi a vivere meglio, mantenendoli più in salute.

FONTE: Galileo
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Tumore al seno: trovato possibile legame con terapia ormonale sostituitiva

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Un gruppo di ricercatori della "McMaster University" ha trovato prove di veridicità a favore alla teoria sul collegamento tra il possibile sviluppo di neoplasie al seno e l'ausilio di terapia ormonale sostitutiva (HRT) attuata principalmente in età avanzata per controllare i sintomi connessi all'insorgenza della menopausa. Già in uno studio condotto nel 2002 la "Women Health Initiative" statunitense (WHI) aveva trovato una maggiore incidenza di cancro al seno, di infarto e ictus tra le donne che ricorrono alla HRT. In seguito allo studio c'è stato un rapido declino della terapia ormonale sostitutiva con conseguente riduzione dell'incidenza di cancro al seno in molti paesi. Tuttavia, l'HRT viene oggi proposto alle donne in piccole dosi e per un periodo di tempo piu' breve. Con questo studio ora i ricercatori della McMaster hanno trovato ''prove convincenti'' per una diretta associazione tra l'uso di terapia ormonale sostitutiva a dosi elevate e l'aumento dell'incidenza della malattia, incrementando la preoccupazione e la ovvia necessità di compiere studi più approfonditi sui limiti di dosaggio terapeutico di HRT (attualmente in pratica clinica somministrati normalmente in un quantitativo ben al di sotto della soglia di rischio per tali neoplasie). I risultati della ricerca saranno pubblicati nel gennaio 2012 sul "Journal of Epidemiology e Community Health".

''Le prove sono convincenti circa il fatto che l'uso di TOS aumenta il rischio di cancro al seno, e inoltre circa il fatto che la sua cessazione riduce questo rischio'', hanno detto i ricercatori.  Kevin Zbuk, professore di oncologia presso il Michael G. DeGroote School of Medicine della McMaster e autore principale dello studio, ha affermato: ''Nel nostro studio abbiamo esaminato tutti i piani epidemiologici precedenti in merito all'associazione fra HRT e neoplasie mammarie. Ci sono prove molto chiare a favore della dimostrazione che   una diminuzione dell'uso di terapia ormonale sostitutiva si accompagni ad una diminuzione dei tassi di incidenza''. Tuttavia, lo stesso Zbuk precisa che ''se è ritenuto come necessaria, questa terapia deve essere ugualmente usata, possibilmente per il minor tempo possibile e alla dose più bassa necessaria per alleviare i sintomi''.

FONTE: Agi Salute
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La grande sfida di una riparazione più efficiente del tessuto cardiaca passa per le molecole Cardionogen?

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Dai risultati di una ricerca pubblicata dalla rivista "Chemistry & Biology" si apprendono nuove speranze per trovare una cura biologica per le lesioni a carico del tessuto cardiaco. Un team di ricercatori dell'Università di Shanghai ha scoperto alcune molecole in grado di spingere le staminali a trasformarsi in cardiomiociti, cioè in cellule del muscolo cardiaco.  Gli "infarti da ischemia" del tessuto miocardico rappresentano una delle cause più diffuse di morte in cardiologia, e provocano quasi sempre un notevole accorciamento delle prospettive future a causa dell'inefficiente meccanismo di riparazione del tessuto leso da parte dei meccanismi fisiologici di recupero dell'organismo. Una volta leso, il tessuto va incontro a riparazione rimpiazzando le cellule lese con tessuto fibrotico, il che danneggia ulteriormente la resistenza della parete nonchè la meccanica del cuore. Il tessuto infatti può essere stirato più facilmente; si ha una perdita di efficienza nella contrazione dovuta sia allo stiramento della massa inattiva, sia alla perdita di miociti inotropicamente attivi. Tramite l'uso di cellule "programmate dall'esterno" si potrebbe appunto rigenerare, tramite staminali, le cellule componenti il tessuto in modo fisiologico e dunque ottenere un processo di guarigione più efficiente. 

Questo lavoro potrebbe aprire la strada verso nuovi approcci terapeutici per la rigenerazione e la riparazione cardiaca. ''Nonostante i progressi della medicina moderna - ha detto Tao P. Zhong, coordinatore dello studio - la gestione dell'infarto del miocardio e dello scompenso cardiaco rimane una grande sfida. C'è un forte interesse per gli agenti di sviluppo che possono influenzare le cellule staminali a differenziarsi in cellule cardiache e potenziare le capacità intrinseche di rigenerazione del cuore. Lo sviluppo di terapie in grado di stimolare la rigenerazione del muscolo cardiaco in aree infartuate avrebbe un enorme impatto medico”.

Per scoprire nuove molecole coinvolte nello sviluppo del cuore, i ricercatori hanno effettuato lo screening di una piccola molecola utilizzando come modello il pesce "zebra". Grazie ad una serie di approcci genetici, gli studiosi sono stati in grado di analizzare la crescita e lo sviluppo di un cuore vedendolo battere all'interno di embrioni trasparenti. Dopo aver analizzato ben 4mila composti, gli scienziati hanno scoperto tre molecole strutturalmente correlate che potrebbero ingrandire le dimensioni del cuore embrionale.

I composti - chiamati cardionogen-1, -2, -3 - potrebbero promuovere o inibire la formazione del cuore, a secondo di quando vengono somministrati nello sviluppo. Un trattamento a base di queste molecole stimolerebbe la produzione di nuove cellule muscolari cardiache a partire da cellule staminali. Gli scienziati lo hanno dimostrato anche utilizzando un modello murino. Il passo successivo è quello di verificare la possibilità di utilizzare queste molecole negli esseri umani.

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13 dicembre, 2011

Briciole di Medicina (17° Puntata) - Il trapianto cardiaco

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La fase sperimentale del trapianto di cuore inizia nel 1905 con Carrel Guthrie, che operò un trapianto cardiaco eterotopico da cane a cane. Nel 1960 Lower e Shumway descrivono il primo trapianto cardiaco ortotopico nell'animale. Il primo trapianto di cuore al mondo fu eseguito il 3 dicembre 1967 dal chirurgo sudafricano Christiaan Barnard all'ospedale Groote Schuur di Città del Capo, su Louis Washkansky, di 55 anni, che morì 18 giorni dopo. Nel 1972 è l'introduzione della biopsia endocardica per la monitorizzazione del rigetto acuto. Il 1975 è l'anno del primo ritrapianto di cuore. Nel 1980 viene introdotta la ciclosporina come farmaco anti-rigetto. Il primo intervento di trapianto cardiaco in Italia fu eseguito il 14 novembre 1985 a Padova, dall'équipe del professor Vincenzo Gallucci. Il 2 ottobre 2010 il professor Antonio Amodeo all'ospedale Bambino Gesù di Roma riesce nel primo impianto di cuore artificiale permanente su un ragazzo di 15 anni, affetto da una malattia rara che impediva il trapianto di cuore, lasciandogli pochi mesi di vita. Il cuore artificiale è una pompa idraulica in titanio attivata elettricamente lunga 4 cm e 400 grammi di peso, collegata all'arteria aorta, con due novità significative: è impiantata interamente nel ventricolo sinistro all'interno della cavità toracica, per ridurre al minimo i rischi di infezione, e l'alimentazione elettrica è posta dietro l'orecchio sinistro, collegata a una batteria che il paziente porta alla cintura.

Il trapianto cardiaco è oggi praticato frequentemente in caso di insufficienza cardiaca grave, refrattaria al trattamento, qualunque ne sia la causa. Le due patologie che più frequentemente richiedono il trapianto sono la cardiomiopatia dilatativa e la cardiopatia ischemica. Tre principali fattori hanno contribuito al miglioramento dei risultati del trapianto cardiaco dal primo trapianto da uomo a uomo nel 1967: (1) una più efficace terapia immunosoppressiva (incluso impiego di ciclosporina A, glucocorticoidi e altri farmaci), 2) un'accurata selezione dei candidati e (3) la precoce diagnosi

Istopatologica del rigetto acuto dell'allotrapianto tramite biopsia endomìocardìca. Tra le complicanze maggiori, il rigetto dell'allotrapianto è il principale problema e richiede un'attenta sorveglianza; la biopsia endomiocardica programmata è l'unico mezzo affidabile per diagnosticare un rigetto cardiaco acuto prima che si verifichi un danno miocardico significativo e a uno stadio che sia reversibile nella maggior parte dei casi. Il rigetto acuto è caratterizzato da un infiltrato infiammatorio linfocitario interstiziale che, negli stadi più avanzati, danneggia i miociti a esso adiacenti; il quadro istologico è simile alla miocardite. Quando il danno miocardico non è ancora esteso, l'episodio di "rigetto" è in genere autolimitato o può essere risolto aumentando la terapia immunosoppressiva. Il rigetto avanzato può essere irreversibile e fatale se non trattato tempestivamente.

Il principale limite attuale al successo a lungo termine del trapianto cardiaco è la diffusa proliferazione intimale stenosante delle arterie coronarie, che può interessare in forma estesa i vasi intramurali (arteriopatia da trapianto). Poiché il cuore trapiantato è spesso denervato, i pazienti con questa patologia possono non percepire il dolore toracico ischemico e questo grave problema può dare luogo a infarti miocardici clinicamente silenti; in caso di grave arteriopatia da trapianto, l'esito usuale è un'ICC o la morte improvvisa del paziente. La patogenesi di questa arteriopatia non è chiara. Reazioni di rigetto cronico, di basso livello, possono stimolare le cellule infiammatorie e le cellule della parete vascolare a secernere fattori di crescita che promuovono il reclutamento e la proliferazione di cellule muscolari lisce e la sintesi di matrice extracellulare, espandendo in tal modo l'intima, Altri problemi postoperatori includono infezioni e tumori, in particolare il linfoma a cellule B associato al virus di Epstein-Barr che insorge nel contesto dell'immunosoppressione T cellulare a cui i pazienti sono sottoposti per controllare un possibile rigetto. Malgrado questi problemi, la prognosi globale è buona; la sopravvivenza a I anno è del 70-80% e quella a 5 anni è superiore al 60%.

TRAPIANTO ORTOTOPICO

Si devono considerare 4 momenti: • cardiectomia del donatore • modalità di protezione dell'organo durante il trasporto • cardiectomia del ricevente • trapianto vero e proprio

Cardiectomia del donatore: si inizia con una sternotomia mediana longitudinale con pericardiectomia con lo scopo di esporre il cuore ed eseguire l'esplorazione così da valutare la contrattilità ventricolare e le condizioni delle coronarie. Segue la rimozione del catetere venoso centrale (dalla vena giugulare esterna) e l'isolamento tramite clampaggio della vena cava superiore, che viene anche sezionata. Vengono poi clampate la vena cava inferiore, il tronco venoso brachiocefalico, le vene azygos, l'aorta ascendente, l'arco aortico e le vene polmonari (in corrispondenza delle biforcazioni). Alla chiusura dell'aorta, inizia l'infusione della soluzione cardioplegica fredda di conservazione (1500-2000 cc) dall'aorta ascendente, che si accumula nel circolo coronarico. L'organo è quindi raffreddato topicamente con ghiaccio.È sezionata l'aorta prima dell'origine del tronco brachio-cefalico e dopo l'insorgenza della succlavia. Sono sezionate le arterie polmonari destre e sinistre (a livello della biforcazione) per avere la massima lunghezza del tronco comune e dell'arteria polmonare. È sezionata completamente la vena cava inferiore. È lussato il massiccio ventricolare verso l'alto e sezionate le vene polmonari all'emergenza del pericardio. Si prosegue con l'asportazione dell'organo previo isolamento di rene, pancreas e fegato. La fase di preparazione dell'organo donato prima del trapianto prevede la preparazione della cuffia atriale sinistra mediante le sezione allo sbocco delle vene polmonari in atrio sinistro (margine di sutura unico), la separazione della vena cava superiore e delle arterie polmonari, la separazione delle arterie polmonari e dell'aorta ascendente, la biopsia endomiocardica del ventricolo sinistro.
Trasporto dell'organo: il trasporto dell'organo non può durare più di 4-5 ore (dal clampaggio dell'aorta ascendente) ed il cuore da trapiantare va raffreddato con ghiaccio ed immerso in una sostanza cardioplegica, ipotermica e iperpotassica. Appena prelevato, è messo in un sacchetto sterile con 1000 cc di ringer acetato a 4 °C, posto dentro ad un altro sacchetto identico, ad un ulteriore sacchetto sterile di fisiologica a 4° ed infine in una borsa termica non sterile con ghiaccio. In questo modo si mantiene la temperatura dell'organo a 4-10 °C. Gli obiettivi della procedura sono l'ottimale preservazione dell'organo in difesa dall'ischemia e la minimizzazione dei rischi infettivi.

Cardiectomia del ricevente: sul ricevente si esegue una sternotomia mediana. Dopo esposizione del cuore, si installa la circolazione extracorporea inserendo le cannule nelle vene cave e nella aorta discendente. Si inizia sezionando l'atrio destro presso la giunzione atrioventricolare destra. Si prosegue con la resezione dell'aorta ascendente, con la resezione dell'arteria polmonare, con la resezione dell'atrio sinistro a livello del solco atrio-ventricolare sinistro e con la resezione del setto interatriale. Dopo questi procedimenti rimane la radice dell'aorta ascendente, la radice dell'arteria polmonare, la parete posteriore dell'atrio sinistro con gli orifizi delle quattro vene polmonari, la porzione postero-laterale dell'atrio destro con gli sbocchi nelle vene cave e l'impianto del setto interatriale.

Impianto del cuore nuovo: il trapianto vero e proprio inizia suturando il margine auricolare dell'atrio sinistro fino a raggiungere il setto interatriale inferiore. Per l'impianto dell'atrio destro bisogna eseguire un accorgimento creando una cuffia di fissaggio incidendo la vena cava inferiore in direzione dell'auricola dell'atrio destro. A questo punto si può chiudere l'atrio: si fissa il moncone dell'arteria polmonare, si fissa infine il moncone aortico. Infine, si esce dalla CEC e si provvede alla debullazione e al declampaggio aortico. La ripresa funzionale è spontanea oppure artificiale tramite defibrillazione.

Trapianto eterotopico Si può ricorrere al trapianto eterotopico (organo da trapiantare in parallelo al cuore malato) ad esempio quando l'organo del donatore è troppo piccolo. Tuttavia, questa rappresenta una eventualità rara. Si bypassa il ventricolo sinistro del donatore con il ventricolo sinistro del ricevente. Poi, sono anastomizzati gli atri sinistri, le vene cave superiori, l'aorta e le arterie polmonari tramite protesi. Il cuore è collocato nell'emitorace destro appoggiato direttamente su emidiaframmi.
COMPLICANZE NEL TRAPIANTO CARDIACO
Possono essere di natura immunologica, con rigetto, ma anche emodinamica, neoplastica, infettive, renali, endocrinologiche, vascolari.
Il rigetto è la risposta biologica dell'organismo quando l'organo trapiantato viene riconosciuto come estraneo. Distinguiamo diverse forme di rigetto in base alla cronologia di comparsa e la gravità:
1) Rigetto iperacuto: si presenta a poche ore dal trapianto ed è espressione di una precedente immunizzazione del ricevente nei confronti dell'organo trapiantato: unico trattamento è il ritrapianto. Vengono rilasciati anticorpi IgM e IgG contro Ag-MHC presenti sulle membrane delle cellule dell'endotelio del graft. Istologicamente si verifica quel fenomeno detto "graft necrosis" caratterizzato da necrosi della parete endoteliale con trombosi del microcircolo coronarico, ischemia ed edema diffuso, infiltrato mononucleato, emorragia dei capillari e delle arteriole entro poche ore dal decesso.

2) Rigetto acuto: si presenta da pochi giorni fino ad un anno dal trapianto dovuto ad una reazione immunitaria cellulo-mediata T-dipendente. Istologicamente, si mostra con una infiltrazione di cellule mononucleate sia a livello interstiziale sia a livello vascolare. Nel graft si manifestano edema, miocitolisi, trombosi ed emorragia. Il trattamento è effettuato con steroidi e terapia linfolitica. Il rigetto acuto umorale si presenta entro i primi 15 giorni dal trapianto. È dovuto ad una eccessiva attivazione dei linfociti B e vengono rilasciati anticorpi IgM ed IgG di produzione plasmacellulare. Il trattamento prevede plasmaferesi per eliminare gli anticorpi dal plasma, la somministrazione di ciclofosfamide e nei casi gravi il ritrapianto. Nel graft si manifestano necrosi endoteliale, edema e miocitolisi. Dal punto di vista clinico si osserva un severo risentimento emodinamico con segni costituzionali, segni di irritabilità cardiaca (frequenza cardiaca maggiore di 120 bpm, flutter e fibrillazione atriale, versamento pericardico, nonché segni e sintomi di disfunzione cardiaca (affaticamento, dispnea da sforzo, ortopnea, epatomegalia, edemi declivi).
Rigetto cronico: si presenta a partire dal sesto mese dal trapianto e la sua incidenza aumenta col passare del tempo. È ad inizio subdolo e grave: nonostante si manifesti come coronaropatia, il dolore anginoso non è presente nel trapiantato poiché il cuore trapiantato è completamente denervato. Contribuiscono alla eziopatogenesi del rigetto cronico sia fattori immunologici, sia la coesistenza di infezione da CMV, iperlipidemia, età del donatore, ischemia miocardica e patologie cardiache del cuore donato. In questo tipo di rigetto si verifica un danno intimale vascolare coronarico consistente in un quadro di aterosclerosi coronarica accelerata con attivazione dei fattori di coagulazione sulla parete endoteliale, attivazione del complemento, aggregazione piastrinica, migrazione e proliferazione dei miociti. La lesione è mediata da endoteliociti. È una lesione diffusa e spesso riguarda l'aorta del donatore, l'arteria polmonare e i loro vasa vasorum. Dal punto di vista miocardico, è privilegiato il danno in posizione intramurale. Il rigetto cronico è responsabile del 36% di morte al primo anno e causa il 60% dei ritrapianti. Migliore è il matching HLA tra donatore e ricevente, minore è la mortalità precoce e tardiva. I pazienti che non manifestano coronaropatie hanno alte probabilità di sopravvivenza rispetto ai coronaropatici. Nei casi di coronaropatia post-rigetto cronico difficilmente trattabili con il cambio della terapia immunosoppressiva, si può attuare una PCI (rivascolarizzazione percutanea) oppure un intervento di by-pass aortocoronarico. Se c'è disponibilità, il ritrapianto cardiaco è considerata una opzione ottimale.
Grading del rigetto cardiaco Esiste una stadiazione internazionale del rigetto che tiene conto dei gradi di intensità. La stadiazione viene stabilita eseguendo delle biopsie endomiocardiche seriate. Pertanto riconosciamo: • rigetto lieve. È quasi costantemente presente, è fisiologico e non prevede trattamento. Si manifesta con presenza di infiltrati focali perivascolari ed interstiziali di linfociti senza danno cellulare. • rigetto moderato. Si manifesta con presenza di infiltrati focali di linfociti di taglia maggiore senza danno cellulare (di tipo A) oppure con infiltrato plurifocale di linfociti di taglia maggiore (eosinofili) con danno cellulare (di tipo B). • rigetto severo. Si manifesta con presenza di infiltrato di eosinofili e di polimorfonucleati, con edema interstiziale, con emorragia da rottura dei vasi del microcircolo ed infine necrosi miocitaria e danno cellulare. • rigetto riparativo. Rigetto in cui è presente un quadro istologico più favorevole dopo la biopsia successiva ad un rigetto.

Monitorizzazione del rigetto: nell'era della profilassi con ciclosporina, i segni clinici sono rari e tardivi, per cui è importante effettuare una monitorizzazione accurata:
• ECG: fornisce scarsi dati. Al limite è segnalabile la fibrillazione atriale o un abbassamento dei voltaggi.
• Ecodoppler: mette in evidenza un possibile versamento pericardico, la riduzione della contrattilità, l'inspessimento della parete, il rilasciamento ventricolare sinistro e la misura dei flussi.
• Rx torace: mostra l'ingrandimento dell'ombra cardiaca.
• Esame citoimmunologico: studia le popolazioni linfocitarie, in particolare il rapporto T4/t8 che potrebbe risultare aumentato.
• Biopsia endomiocardica: Si esegue tramite inserimento dalla vena giugulare interna fino al ventricolo destro.
• Emodinamica: la diminuita sensibilità e il minore valore predittivo di esami diagnostici tradizionali (ECG, ecostress) fanno dell'ecografia intravascolare e della coronarografia i principali strumenti di diagnosi.
Complicanze neoplastiche L'incidenza dei tumori è del 9,8% nei pazienti trapiantati (rispetto allo 0,6 nella popolazione generale) a causa della terapia immunosoppressiva. • 56% tumori solidi • 26% tumori linfoproliferativi (PTLD) • 9% tumori cutanei • 9% sarcoma di Kaposi. HHV8 ed EBV sono legati al sarcoma di Kaposi e alle PTLD.

Complicanze emodinamiche Le complicanze emodinamiche comprendono la vasculopatia polmonare con scompenso destro e l'insufficienza cardiaca.
Complicanze infettive Le infezioni sono una complicanza legata alla terapia immunosoppressiva e sono più frequenti nei primi 6 mesi (con picco al primo mese). Frequentemente coinvolti sono i batteri nosocomiali (stafilococchi), i miceti, il CMV ed i germi opportunistici quali lo Pneumocistis Carinii. Il Toxoplasma Gondii rappresenta un grave problema nei mismatch negativi con donatori positivi. A un anno dal trapianto il 40% dei pazienti ha subito almeno una infezione maggiore e più dell'80% almeno una infezione minore.
Complicanze renali L'insufficienza renale che può comparire è legata al trattamento con inibitori della calcineurina. I pazienti più suscettibili sono quelli che presentano fattori di rischio aggiuntivi, quali l'ipertensione e il diabete. È bene sostituire i farmaci nel momento in cui la situazione renale va peggiorando.
Complicanze endocrinologiche A causa della terapia immunosoppressiva con steroidi e inibitori della calcineurina, si può sviluppare una intolleranza al glucosio che esita in diabete mellito. È più frequente se il paziente ha più di 40 anni, è obeso, ha una sottostante intolleranza al glucosio ed è sieropositivo per CMV.
Complicanze vascolari L'ipertensione arteriosa compare nel 40-90% dei pazienti ed è causata dagli inibitori della calcineurina per stimolazione simpatica, effetti neuroormonali ed effetti vascolari diretti sul circolo renale.
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21 novembre, 2011

La drammatica situazione degli ospedali napoletani: 3 posti letto ogni 1000 abitanti

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Neanche la protesta, l’ennesima, organizzata dal comitato popolare, né le migliaia di firme raccolte riusciranno a fargli cambiare idea. Stefano Caldoro, governatore della Campania e Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario regionale (la Regione da un anno e mezzo non ha un assessore regionale alla sanità), non sembra voler tornare sui suoi passi: il pronto soccorso del San Gennaro, ospedale di frontiera nel rione Sanità di Napoli, tra pochi giorni chiuderà i battenti. E allora di sanità, nel dedalo di vicoli del centro, resterà davvero poco.

Nella Regione dove l’assistenza pubblica costa più che altrove, con un’accisa regionale altissima e Irpef e Irap ai massimi livelli consentiti dalla legge. Ma tant’è, il Piano sanitario regionale approvato lo scorso anno per sanare il deficit sanitario è molto più che lacrime e sangue. È un vero e proprio stillicidio fatto di dismissioni, riconversioni e riduzioni di presidi e posti letto, il prezzo da pagare per convincere Giulio Tremonti a dare il via libera a circa un miliardo di euro destinati alla Campania. Risorse promesse da tempo e ferme a Roma da oltre due mesi. “Sono bloccate per alcuni adempimenti da fare”, diceva Caldoro, pochi giorni prima che Silvio Berlusconi lasciasse Palazzo Chigi.

Ora la speranza è che intervenga Mario Monti. Anche perché se i soldi sono fermi, il piano va avanti senza intoppi e i pronti soccorsi continuano a chiudere. Finora sono tre, entro la fine dell’anno saranno cinque, tutti al centro della città. Da gennaio a chi avrà bisogno di assistenza immediata non resterà allora che accodarsi a quanti già affollano gli ultimi due presidi rimasti in centro, il Cardarelli e il Loreto Mare, la cui gestione quotidiana già oggi è drammatica. Perché dove non arriva direttamente il piano di austerity regionale sono le sue conseguenze a farsi sentire, con risultati non meno drammatici. È cronaca di questi giorni: i lavoratori delle aziende di pulizia incrociano le braccia a causa dei ritardi nei pagamenti da parte della Regione, il livello igienico del Loreto Mare crolla a livelli del terzo mondo, e i pazienti si vedono costretti incredibilmente a firmare liberatorie che sollevano i medici da ogni responsabilità su possibili infezioni causate dallo stato di sporcizia in cui versano le sale operatorie. Anche per questo la direzione sanitaria ha deciso di sospendere le attività ordinarie del presidio ospedaliero fino a che non saranno ripristinate le condizioni di sicurezza per i pazienti e per il personale medico.

Eppure per il governatore nella sanità campana tutto va per il verso giusto: “Siamo riusciti a dimostrare e garantire una migliore organizzazione del settore – ha detto soddisfatto – Nessuno ha avuto il nostro stesso sblocco da Roma e questo significa che noi abbiamo lavorato bene”. Sarà, ma il difficile verrà quando il piano andrà a regime e i napoletani si troveranno con 795 posti letto in meno (più della metà dei tagli regionali complessivi) e una media di tre posti letto per mille abitanti. Uno in meno rispetto a Milano e, comunque, troppo poco per la terza città d’Italia.

A maggior ragione se la struttura che dovrebbe sostituire gli ospedali che chiudono e che chiuderanno, e garantire da subito 450 posti letto, il mastodontico Ospedale del Mare, è ancora un sogno. O meglio, uno scheletro alle falde del Vesuvio. La più grande struttura ospedaliera del sud, che comprende un albergo per i familiari dei pazienti, una palazzina amministrativa, un parcheggio multipiano e un centro commerciale, tutti firmati Renzo Piano, viaggia con almeno 3 anni di ritardo rispetto ai tempi di consegna previsti. E le gru sono ferme da mesi. L’ultimo intoppo è stato l’aumento dei costi per 44 milioni di euro dopo che la struttura è stata promossa da presidio ospedaliero ad Azienda di rilievo nazionale. Un altro ostacolo sulla strada della consegna del cantiere, che neppure il commissario ad acta nominato nel 2009 per accelerare i lavori, Ciro Verdoliva, è riuscito ad evitare, tanto che oggi i più ottimisti prevedono che la struttura sarà inaugurata solo nel 2014. Fino ad allora, chi a Napoli starà male non potrà che votarsi a San Gennaro. Al santo però, non all’ospedale. Quello sarà già chiuso da tempo.

FONTE: Ilfattoquotidiano.it
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La crisi economica blocca in USA le ricerche sulle cellule staminali

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La crisi non risparmia neanche i sogni. Come quello di Christopher Reeve, l’attore di Superman, rimasto paralizzato dopo una caduta da cavallo e poi deceduto nel 2004, e di tutte le persone paralizzate costrette a vivere sulla sedia a rotelle. La prima società che ha iniziato a sperimentare sugli esseri umani una terapia a base di cellule staminali embrionali – la Geron Corporation  – ha bloccato questo progetto di ricerca per ragioni economiche. La decisione dell’azienda californiana è un duro colpo per i pazienti, per la Fondazione di Reeve e per tutti coloro che credevano che le staminali embrionali avrebbero regalato una speranza a quanti non possono più camminare.

Le condizioni economiche difficili, fa sapere la società, hanno reso praticamente impossibile riuscire a raccogliere i fondi necessari per continuare con la sperimentazione. La crisi infatti è stata devastante anche per la Geron: il market share della società è crollato di un 20% e la società dovrà licenziare 66 dipendenti, pari al 38% della sua forza lavoro. E continuare a investire nella sperimentazione sulle staminali embrionali sarebbe stato troppo. Secondo le previsioni, per continuare il programma la Geron avrebbe dovuto spendere ben 25 milioni dollari all’anno.

Poi i risultati preliminari della sperimentazione con le staminali non sono stati così incoraggianti. Malgrado il trattamento si sia rivelato sicuro, quindi senza effetti collaterali significativi, la Geron ha riconosciuto di non aver osservato alcun miglioramento sui pazienti. Eppure, i test di laboratorio sui topolini erano molto promettenti. Dopo le iniezioni di staminali, le cavie paralizzate avevano iniziato a muovere le zampe posteriori e da qui la speranza di aver trovato la cura per le lesioni al midollo spinale. Ma per risultati così rivoluzionari ci vuole tempo. Necessità, questa, che si scontra con la fredda e dura logica dei numeri: troppo costoso continuare a cercare di replicare gli stessi risultati ottenuti sugli animali anche sugli esseri umani.

Da qui la decisione di cambiare la rotta e di puntare tutte le risorse finanziare disponibili, senza la necessità quindi di trovare capitali aggiuntivi, allo sviluppo di farmaci antitumorali sperimentali, come imetelstat e GRN1005, che si prospettano essere molto più proficui. “Questi due nuovi promettenti farmaci oncologici candidati hanno come obiettivo principale rispondere a esigenze mediche non soddisfatte e hanno importanti traguardi di sviluppo clinico che potrebbero essere raggiunti nei prossimi 20 mesi”, ha riferito John A Scarlett, amministratore delegato della Geron. La società al momento è in grado di supportare lo sviluppo di questi farmaci senza bisogno di raccogliere capitali aggiuntivi. “Questo non sarebbe possibile se continueremo a finanziare i programmi sulle cellule staminali ai livelli attuali”, ha aggiunto Scarlett. L’unica speranza per riprendere la sperimentazione è trovare un partner che si impegni a sostenerla.

Alcuni scienziati hanno espresso un forte rammarico per la decisione della Geron, altri ancora hanno ammesso di non aver mai creduto in quel progetto.“Riuscire a far camminare Superman sarebbe stato un ottimo affare, ma è un obiettivo ambizioso per un problema serio e forse non il miglior inizio, scientifcamente o clinicamente, per le terapie con cellule staminali”, ha commentato Alison Murdoch, docente di medicina riproduttiva alla Newcastle University, in un articolo pubblicato dal quotidiano britannico Guardian.

Convinto fin dall’inizio che la sperimentazione non avrebbe portato da nessuna parte è John Martin, docente di medicina cardiovascolare della University College London. “Ho detto pubblicamente che il trial della Geron non aveva reali possibilità di successo a causa del disegno e della malattia mirata. E’ stato uno studio intrinsecamente imperfetto. E per questa ragione non dovremmo descrivere questo come un passo indietro”.

Deluso della decisione della società americana di fermare la sperimentazione è Ben Sykes, direttore esecutivo dell’UK National Stem Cell Network. “La ricerca sulle staminali – ha detto – continua a essere una grande promessa per aiutare molte persone attualmente affette da malattie o lesioni incurabili. E’ deludente che la Geron abbia preso la decisione di interrompere il suo trial per le lesiono del midollo spinale, ma ci auguriamo che la società sia in grado di trovare nuovi partner che possano sostenere i lavoro e fornire i finanziamenti necessari”.




AUTRICE: Valentina Arcovio
FONTE: www.ilfattoquotidiano.it
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16 novembre, 2011

Colpo di coda del governo uscente riguardo le linee guida sulla fecondazione assistita: confermati alcuni divieti

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Le ultime risalivano all’aprile 2008, quando ancora era ministro della Salute, Livia Turco. Dopo di che, nonostante diverse sentenze, tra cui quella della Corte Costituzionale che aveva fatto saltare vari divieti imposti dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (pma) e un generico annuncio di revisione previsto per questo autunno, non si era più parlato delle linee guida sulla fecondazione assistita. Fino a un paio di giorni fa, quando si è scoperto che il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, le ha revisionate confermando alcuni divieti, come quello sulla diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni, che erano stati cancellati dai tribunali. Un atto che arriva in sordina proprio negli ultimi giorni del governo Berlusconi, giudicato da medici e associazioni “un colpo di mano”.

A denunciare il tutto è stata Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni, ma il sottosegretario Roccella si difende definendo la polemica “strumentale, poichè la legge 40 già vieta la diagnosi preimpianto”. Da quando la normativa è stata approvata nel 2004, si è sempre detto che la diagnosi preimpianto (che identifica la presenza di malattie genetiche o alterazioni cromosomiche in embrioni generati in provetta da coppie a rischio prima dell’impianto in utero), fatta fino a quel momento in Italia, era vietata. Ma in questi anni tribunali e Corte Costituzionale hanno scalfito, sentenza dopo sentenza, alcuni dei divieti più contestati, come quello di crioconservare gli embrioni, di produrne al massimo tre, di impiantarli contemporaneamete, e quello della diagnosi appunto.

Il primo a farlo è stato il tribunale di Cagliari nel 2007, ordinando all’istituto ospedaliero interessato di eseguirla, mentre l’ultimo è stato nel 2010 il tribunale di Salerno, autorizzando per la prima volta la diagnosi preimpianto ad una coppia fertile portatrice di Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1, in deroga alla legge 40 che consente le pratiche di pma solo nei casi di infertilità. Inoltre per ovviare a questo divieto vari ricercatori italiani in questi anni hanno sviluppato la diagnosi pre-concepimento, fatta cioè sull’ovocita (e non sull’embrione) per evitare problemi etici, anche se la fanno solo i centri privati.

Di fatto in questi anni le strutture di procreazione assistita si sono regolate ognuna a modo loro. “Nei centri privati e attrezzati – denuncia Gallo – la diagnosi preimpianto viene effettuata correntemente, mentre quelli pubblici non la fanno adducendo la mancanza di attrezzature adeguate”. Secondo l’avvocato le nuove linee guida che Roccella invierà questi giorni al Consiglio Superiore di Sanità (Css) “sono illegittime sia scientificamente che giuridicamente, poichè vieterebbero le indagini cliniche sull’embrione restringendo l’applicazione di tecniche ormai consolidate”. Critici anche i medici: “Nella legge 40 non c’è un impedimento netto alla possibilità di effettuare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni”, rileva il ginecologo dell’Università di Palermo e membro del Css, Ettore Cittadini: “nel mio centro effettuiamo la diagnosi preimpianto – afferma – per le coppie con talassemia”. Dello stesso avviso Carlo Flamigni, pioniere della fecondazione assistita, secondo cui la legge ”non pone un divieto esplicito a tale diagnosi”.

In realtà come precisa Filomena Gallo, ”la diagnosi preimpianto è consentita dagli articoli 13 comma 2 e 14 comma 5 della legge 40, che prevedono che la coppia possa chiedere di conoscere lo stato di salute dell’embrione e che il medico, se richiesto dalla stessa, deve effettuare indagini cliniche diagnostiche sull’embrione stesso. Roccella insiste nel ribadire un divieto che non esiste nella legge. Inoltre ci sono oltre 10 sentenze di diversi tribunali che confermano questa interpretazione”. Ma su questo punto il sottosegretario dissente e ribatte: ”Non c’è stato alcun colpo di mano. La diagnosi preimpianto sugli embrioni è già vietata dalla legge e le linee guida non possono scavalcare la legge stessa”. Adesso la palla spetta al Consiglio superiore di sanità, organo consultivo del ministero della Salute, che dovrà esprimere il proprio parere, e alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo chiamata a decidere sul ricorso di varie associazioni a sostegno di una coppia italiana portatrice di fibrosi cistica, cui è precluso l’accesso alla fecondazione assistita, richiesta per effettuare diagnosi clinica sull’embrione.

FONTE: Il fatto quotidiano
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E' Renato Balduzzi il nuovo ministro della Sanità

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E' Renato Balduzzi il nuovo ministro della Sanità. Succede a Ferruccio Fazio. Il presidente del Consiglio Mario Monti, ha annunciato la nuova squadra di governo composta esclusivamente da esponenti tecnici. Questa la lista dei nuovi ministri:

Corrado Passera, ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture;
Giampaolo Di Paola, ministro della Difesa;
Anna Maria Cancellieri, ministro dell'Interno;
Paola Severino, ministro della Giustizia;
Giulio Terzi, ministro degli Esteri;
Elsa Fornero, ministro del Welfare con delega alle Pari Opportunità;
Francesco Profumo, ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca;
Lorenzo Ornaghi, ministro per i Beni culturali;
Renato Balduzzi, ministro per la Salute;
Mario Catania, ministro delle Politiche Agricole e forestali;
Corrado Clini, ministro dell'Ambiente.

Monti, che mantiene la delega all'Economia e alle Finanze, ha nominato anche cinque ministri senza portafoglio: Enzo Moavero Milanesi (Affari Europei), Piero Gnudi (Turismo e Sport), Fabrizio Barca (Coesione territoriale), Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento), Andrea Riccardi (Cooperazione internazionale). Monti proporrà al Cdm la nomina di Antonio Catricalà, attuale presidente dell'Antitrust, a sottosegretario della Presidenza del Consiglio.


Al ministro Balduzzi vanno gli auguri di buon lavoro per il difficile compito istituzionale. la Sanità è infatti uno dei ministeri più pesante nel bilancio della spesa pubblica e sarà uno dei punti cardine dei tagli e delle nuove tasse che il nuovo esecutivo Monti è chiamato a imporre per riportare la situazione finanziaria italiana sotto controllo. Dunque, il ministro dovrà sobbarcarsi il peso delle misure più impopolari a fronte di una maggioranza praticamente inesistente.

Renato Balduzzi è nato a Voghera 12 febbraio 1955, coniugato con tre figli. E’ professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università del Piemonte Orientale. Dopo aver conseguito nel marzo 1979 la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Genova ha compiuto studi di diritto costituzionale europeo presso la Commissione della Comunità economica europea (1981-1982) e l'Istituto universitario europeo e di diritto costituzionale comparato presso l'Università di Paris X - Nanterre (1985-1986). Nell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” è, dal 2008, coordinatore del Dottorato di ricerca su “Autonomie locali, servizi pubblici e diritti di cittadinanza” e, dal 2007, direttore del Centro di Eccellenza Interfacoltà di servizi per il Management Sanitario.

È stato consigliere giuridico dei ministri della Difesa (1989-1992), della Sanità (1996-2000), dove ha ricoperto anche l’incarico di Capo ufficio legislativo con il ministro Rosy Bindi presiedendo  la Commissione ministeriale per la riforma sanitaria, e delle Politiche per la famiglia (2006-2008). Dal 2009 è presidente del Nucleo di valutazione dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Maggiore della Carità” di Novara e, dal 2006, del Comitato di Indirizzo dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. È presidente, dal febbraio 2007, dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). È componente del Comitato scientifico delle riviste “Quaderni regionali”, “Amministrazione in cammino”, Politiche sanitarie”,“Dialoghi” e “Studium”.

Dal 2002 al 2009 è stato presidente nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC, già Movimento Laureati di Azione Cattolica) e attualmente è componente per l’Italia dello European Liaison Committee di Pax Romana-Miic (Mouvement international des intellectuels catholiques) – Icmica (International Catholic Mouvement for Intellectual and Cultural Affairs). È direttore, dal 2003, del bimestrale culturale “Coscienza”. Ha fondato e diretto, dal 1989 al 1992, la rivista culturale “Nuova politeia”.
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08 novembre, 2011

Diabete, grazie al Reparixin nuove prospettive terapeutiche per il trapianto di cellule producenti insulina

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Sedici 16 nuovi casi per 100.000 under-16 l’anno. Poco meno di 480.000 malati nel mondo. Queste le cifre del diabete di tipo 1, la forma di diabete che interessa bambini e adolescenti a livello mondiale. La patologia, a differenza di quanto avviene nel diabete dell’adulto, trae la sua origine da un disordine immunologico che porta l’organismo a produrre autoanticorpi che attaccano le cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, determinando la  dipendenza a vita dei pazienti da questo ormone Nelle fasi avanzate della malattia le persone con diabete sviluppano resistenza all’insulina e vanno incontro a crisi frequenti di ipo e iperglicemia con il rischio di complicanze gravi, soprattutto a carico dei reni. In questi casi, il trapianto di pancreas rappresenta la procedura di riferimento ma, negli ultimi anni e grazie all’impegno di una comunità scientifica transnazionale, si è progressivamente affermata una procedura alternativa: il trapianto delle isole pancreatiche. Le isole pancreatiche sono costituite dalle cellule del pancreas deputate alla produzione di insulina che vengono progressivamente danneggiate nel corso dello sviluppo del diabete giovanile. Queste cellule hanno la proprietà di mantenere la propria funzionalità anche quando impiantate in organi diversi dal pancreas. Partendo da quest’osservazione, nella procedura del trapianto queste isole vengono infuse nel fegato del paziente attraverso una semplice procedura di infusione in vena porta e le isole, così impiantate, garantiscono il controllo della glicemia.

I vantaggi della procedura sono evidenti ma l’ottimizzazione di questo processo è stato fino ad oggi limitato da diversi fattori che, a partire dall’isolamento, riducono progressivamente la funzionalità delle isole trapiantate. In particolare, la risposta infiammatoria che si sviluppa nel Paziente nei giorni che seguono l’infusione di isole ha un’influenza drammatica sulla sopravvivenza delle isole stesse, riducendo del 50% la funzionalità nei primi 7 giorni. Reparixin, un inibitore potente e selettivo della chemochina interlochina 8 identificato nei laboratori italiani della Dompé, è stato sviluppato proprio con l’obiettivo di inibire in modo specifico la risposta infiammataotia, preservando così la funzionalità delle isole e, dunque, contribuendo al miglioramento dell’efficacia del trapianto di isole pancreatiche.

“I risultati incoraggianti di questo studio rappresentano un’importante conferma e aprono incoraggianti prospettive per il consolidamento della procedura del trapianto di isole”, ha affermato Lorenzo Piemonti, pricipal investigator del trial clinico sulla molecola e direttore del programma trapianto di isole del San Raffaele Diabetes Research Institute di Milano. “Lo sviluppo di una terapia antiinfiammatoria specifica può inoltre rappresentare una prospettiva per lo sviluppo di una terapia in grado di prevenire la distruzione delle cellule che producono l’insulina da parte del sistema immunitario all’esordio del diabete giovanile. All’insorgenza del diabete giovanile, infatti, la risposta infiammatoria diretta contro le isole pancreatiche gioca un ruolo chiavenel mantenimentodella risposta autoimmune e quindi nell’insorgenza della patologia”.

“Il mio impegno scientifico è stato da  sempre focalizzato sullo sviluppo di terapie per la prevenzione e la cura del diabete e ho personalmente contribuito al progresso sperimentale e clinico del trapianto di isole, nella piena convinzione che questa rappresenti una concreta e valida alternativa al trapianto d’organo “; ha affermato Camillo Ricordi, Direttore del Diabetes Research Institute e del Centro Trapianti Cellulari presso l’Università di Miami e uno dei massimi esperti a livello mondiale nelle tecniche di isolamento e trapianto di isole pancreatiche, secondo il quale, inoltre, “l’esperienza di Reparixin consolida la mia intima convinzione della necessità di una sinergia tra ricerca pubblica e privata come unica alternativa per offrire ai pazienti risposte di cura innovative in aree ad alto bisogno terapeutico”.
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07 novembre, 2011

Briciole di Medicina (16° Puntata) - Le principali forme di artrite

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ARTRITE INFETTIVA - Si intendono manifestazioni artritiche che conseguono all’infezione da parte di un microorganismo, generalmente di natura batterica, e che tende a replicarsi nell’ambito del liquido sinoviale dell’articolazione causando l’emersione di un processo flogistico acuto. Generalmente le artriti si manifestano come complicanza secondaria ad un focolaio primario sviluppatosi nell’organismo. L’agente infettivo tende a raggiungere l’articolazione principalmente per via ematica (60%) o per passaggio da tessuti molli adiacenti (20%), e prolifera nel liquido sinoviale determinando lo sviluppo di una sinovite con infiltrato cellulare e l’assunzione da parte dello stesso liquido di un aspetto purulento. La classificazione storica consente di distinguere artriti di natura gonococcica da artriti di natura non gonococcica. In quest’ultimo caso i pazienti sono nei 2/3 persone di età adulta.


L’artrite da Neisseria Gonorrea è provocata da un diplococco gram-negativo avente al microscopio un aspetto a chicco di caffè. Cresce su terreni Agar Cioccolato ed è relativamente fragile. E’ responsabile di una malattia clinica a trasmissione venerea e che vede inizialmente un coinvolgimento dell’apparato genito-urinario e solo successivamente un coinvolgimento di altri tessuti. L’artrite colpisce come complicanza prevalentemente le donne laddove i sintomi iniziali di infezione gonococcica genitourinaria sono più attenuati o assenti. Dopo due-tre settimane dall’infezione si sviluppa un rash cutaneo papuloso non pruriginoso talvolta di lieve entità. A questi si accompagna una monoartrite del ginocchio o del polso con tenosinovite del dorso della mano o del piede, oligoaltralgia migrante e rialzo febbrile. La conferma diagnostica si ottiene mediante artrocentesi che rileva la presenza di un liquido francamente purulento.

Le artriti settiche di natura non gonococcica sono determinate da numerosi microrganismi patogeni.  Nel  60% dei casi i pazienti presentano artrite  causata da Stafilococco Aureo, mentre nel 20% dei casi i batteri infettanti sono Streptococco, Haemofilus Influenza, Esterichia Coli, Pseudomonas Aeruginosa.  Più rari ma più lesivi sono i Clostridi, che crescono rapidamente in aree anaerobe e sono i principali responsabili dei casi di artriti periprotesiche, artriti nel diabete e artriti postoperatorie.

Il quadro clinico generalmente consiste in una monoartrite acuta o subacuta con i tipici segni di flogosi. L’articolazione è dolente e tumefatta. Nel neonato la sede più colpita è l’anca, e spesso è difficile il riconoscimento di segni di flogosi in tale area. Nell’adulto le sedi più colpite sono le grosse articolazioni degli arti, in particolare ginocchia, anca, caviglia, spalla e gomito. Più raro l’interessamento vertebrale o sacroiliaco. Le forme poliarticolari con il coinvolgimento di più articolazioni sono molto gravi e portano ad exitus nel 25% dei casi. La diagnosi viene svolta con artrocentesi in condizioni di asepsi e identificazione del germe nel campione sia mediante microscopia diretta, sia mediante tecniche immunologiche e coltura in terreni appositi. Inoltre, si ha febbre, elevazione degli indici di flogosi e in particolare della proteina C reattiva, percentuale nel liquido sinoviale di granulociti polimorfonucleati superiore al 90%.

Alcuni meritano una menzione particolare per via della loro aggressività: Brucella, Mycobacterium Tubercolosis e Borrelia.

La brucellosi presenta una manifestazione clinica primaria comprendente febbre dapprima continua e violenta in seguito ondulante e atipica, con epatomegalia, splenomegalia, linfadenopatia, pan citopenia e linfopenia. L’artrite da brucellosi nel bambino si rivela con una oligoartrite colpente le grandi articolazioni degli arti, mentre nell’adulto si rivela principalmente come una sacro ileite asimmetrica monolaterale che dona un quadro clinico tipico di lombalgia infiammatoria. L’interessamento vertebrale con spondiloartrite tende a determinare grave erosione del tessuto osseo e comparsa di materiale ascessuale perivertebrale. La diagnosi di malattia si attua mediante dosaggio sierologico del titolo anticorpale specifico per gli antigeni di brucella e che sarà superiore a 1 su 160, nonché con prelievo di materiale ascessuale e esame colturale.

La tubercolosi osteoarticolare complica il 3% delle infezioni tubercolari e in particolare un coinvolgimento articolare si verifica in soggetti in prima e seconda decade di vita, defedati o immunocompromessi o in trattamento farmacologico. La malattia si manifesta nel 85% dei casi come una monoartrite periferica e asimmetrica colpente il ginocchio o le anche. Nel 15% dei casi la malattia si manifesta come morbo di Pott o spondilite tubercolare con coinvolgimento delle vertebre del tratto lombare alto e dorsale basso, segni tipici di erosione a carico del margine anteriore e presenza di ascessi freddi perivertebrali. Clinicamente l’artrite si manifesta in modo subdolo con la comparsa di dolore solo in fase avanzata, laddove si può arrivare ad un collasso vertebrale con cifosi accentuata. Conferma diagnostica si ha con esame radiografico che tuttavia mostrerà i segni di erosione solo in una fase già avanzata, esame TAC che invece è molto più precoce, prelievo di campione ascessuale, con prelievo di campione bioptico della membrana sinoviale dove si rinverranno i caratteristici granulomi tubercolinici caseosi. Il mycobacterium può dare anche osteomielite e dattilite con radiologicamente la comparsa di erosioni litiche a carico dell’osso accompagnate da reazione periostale. Più raramente il batterio può dare tendiniti o borsiti. 

La Borrelia è una spirocheta e ha anche esso un meccanismo di resistenza alla fagocitosi che le consente di sopravvivere all’interno dei macrofagi per lungo periodo di tempo. La Borreliosi può determinare a mesi di distanza rispetto alla sintomatologia connessa all’inoculazione del batterio mediante puntura di zecca (Eritema migrante, linfocitoma cutis, acrodermatite, paralisi di nervi cranici o nevrite di nervi spinali con possibile sviluppo di meningite linfocitaria, cardite con possibili turbe di conduzione). L’eritema migrante è una macula-papula  eritematosa e poco dolorosa che si forma nel punto di iniezione pochi giorni dopo il morso di zecca e che tende a espandersi concentricamente. Il linfocitoma cutis è un nodulo sottocutaneo duro che si forma in alcune aree della cute quali naso orecchio avambracci e mammelle. La manifestazione clinica consiste in una monoartrite o oligoartrite a carico delle grandi articolazioni degli arti inferiori, in particolare anca e ginocchia, con voluminosa produzione di liquido sinoviale che nelle ginocchia può dar luogo alla comparsa di cisti sinoviali poplitee. Il liquido sinoviale è flogistico ma non purulento. Solitamente tale infiammazione sinoviale non ha un andamento destruente. Conferma diagnostica si ottiene mediante dosaggio degli anticorpi specifici espressi verso antigeni di Borrelia, laddove gli anticorpi IgM tendono a comparire dopo 3-4 settimane e a raggiungere un picco in 6-8 settimane.

ARTRITE REATTIVA

Con tale termine ci si riferisce ad un’insieme di artriti le quali non sono sostenute direttamente da un agente eziologico specifico ma traggono origine in modo successivo ad un evento infettivo a carico di tessuti estranei all’apparato locomotore, quali ad esempio infezioni genitourinarie o gastroenteriche. Alla base si ha un fenomeno di crossreattività immunitaria, confermata dall’elevata (circa il 50%) associazione fra soggetti affetti da artrite reattiva e portatori di aplotipo HLAB27. L’infiammazione dell’articolazione viene quindi sostenuta da un meccanismo autoimmune che vede la presenza di linee cellulari o anticorpi espressi  verso antigeni del microorganismo eliminato nonché verso antigeni della membrana sinoviale quale proteoglicani o aggregani. Nelle artriti reattive il batterio generalmente non è presente (oppure se presente in piccole quantità, non è vitale) nell’articolazione, per cui la terapia antibiotica ha un ruolo marginale, indicata solo per aiutare l’eradicazione rapida del focolaio primario, la cui persistenza aumenta le probabilità di sviluppo di crossreattività. Un ulteriore meccanismo patogenetico potrebbe essere correlato alla sopravvivenza dei microrganismi in quantità modiche grazie ad un’elevata patogenicità e ad una resistenza opposta alla fagocitosi (Borrelia, Clamidia Trachomatis) per cui questi sarebbero in grado di indurre infiammazione infettando direttamente la membrana sinoviale e suscitando quindi crossreattività autoimmune.

Il reumatismo post faringitico, o reumatismo articolare acuto, è una malattia infiammatoria multi sistemica la quale viene evocata in seguito ad una faringite sostenuta da un batterio streptococco beta-emolitico del gruppo A. La malattia viene scatenata o riaccesa dall’intervento di ceppi streptococcici con specifici fattori di virulenza e in grado di stimolare la produzione di anticorpi cross-reattivi con particolari tessuti dell’ospite. Il fenomeno di mimetismo molecolare viene amplificato da una esagerata risposta immunomediata delle cellule T. Gli anticorpi reagiscono contro antigeni della sinovia, antigeni del tessuto cardiaco, antigeni dei neuroni dei nuclei encefalici della base. Un tempo manifestazione molto frequente, l’avvento della terapia antibiotica nei paesi evoluti ha consentito di ridurre l’incidenza ad 1 caso su 100000. La RAA come la glomerulonefrite poststreptococcica colpiscono entrambi i sessi con un picco di incidenza fra i 5 e i 15 anni di età. A livello locomotore è possibile osservare lo sviluppo di una monoartrite asimmetrica e migrante e a carico delle grandi articolazioni, accompagnata da febbre elevata. Solitamente la flogosi articolare si risolve senza lasciare reliquati. La malattia RAA interessa più organi e tessuti. A livello cardiaco può provocare pericardite, endocardite e miocardite, quest’ultima più frequente e a prognosi più grave perché nel 10% dei casi evolve verso lo scompenso cardiaco; A livello del sistema nervoso è rara la comparsa di Corea di Sydenham. A livello cutaneo si osserva comparsa di eritema marginato e noduli sottocutanei sulle superfici estensorie e sulle protuberanze ossee. La diagnosi si attua mediante anamnesi ed esame obiettivo, in laboratorio si ha elevazione indici flogosi e in particolare della PCR, con aumento dei titoli anticorpali verso lo streptococco, in particolare si ha elevazione dei titoli verso la Streptolisina O con picco a 4 settimane dall’infezione. Può esservi leucocitosi neutrofila, lieve anemia normocromica e normocitica. La radiografia articolare e l’ecografia dei distretti articolari nonché lo studio del liquido sinoviale serve solo nell’ambito di una diagnosi differenziale problematica.  L’istologia su campione bioptico permette di osservare un infiltrato infiammatorio con linfociti e macrofagi che si organizzano nei noduli di Aschoff.

Le artriti reattive post uretritico/dissenteriche sono delle artriti asettiche generate da una risposta immunitaria cross-reattiva rivolta verso strutture articolari, entesiche e extra articolari in seguito a stimolazione da parte di un microorganismo che abbia infettato la mucosa intestinale o urogenitale. Si manifesta con un tempo di latenza di circa 4 settimane rispetto all’episodio clinico legato al focolaio infettivo primario. La triade clinica “congiuntivite, artrite e uretrite/enterite” ha anche il nome di Sindrome di Reiter. Tali artriti insorgono tipicamente nei giovani adulti, in misura simile nei due sessi, in circa il 10-15% dei soggetti infettati. Le forme di tipo spondilitico si associano fino al 50% dei casi con il gene HLA B27, più spesso con il sottotipo B27-05, la presenza di tale allele conferisce non solo suscettibilità a sviluppare una artrite reattive secondaria a infezione enterica o genitourinaria con un rischio 50 volte più elevato del normale, ma anche un rischio di andare incontro a recidive e a cronicizzazione. Tuttavia una quota rilevante di malati non possiede il gene HLA-B27 per cui probabilmente esistono altri fattori genetici influenti.

A livello intestinale i microrganismi tipicamente implicati sono alcuni enteropatogeni gram-negativi che comprendono Salmonella typhimorium e enteritidis, la Yersinia enterocolitica, la Shigella flexneri e dysenteria, il Campylobacter jejuni, il Clostridium difficile. Perl e infezioni urogenitali sono implicati la Chlamydia trachomatis e l’Ureaplasma urealyticum. Le infezioni mucosali indotte da tali agenti inducono la produzione di anticorpi specifici, specialmente di classe IgA, e risposte di tipo cellulare.

In ambito reumatologico il quadro clinico più comune è quello di una oligoartrite acuta, asimmetrica e interessante le articolazioni periferiche, con tendenza ad estendersi in modo centripeto. Si ha un andamento sostitutivo nella fase acuta iniziale mentre si ha un andamento aggiuntivo nelle forme croniche. Le articolazioni più frequentemente interessate dalla forma acuta sono quelle dell’anca, del ginocchio e la tibio-tarsica. Le articolazioni coinvolte presentano marcati segni di flogosi ed eritema della cute sovrastante. Frequente è l’interessamento di entesi e tendini; la fascite plantare e la tendinite achillea o la borsite del’anca possono determinare notevole impotenza funzionale. L’artrite acuta ha una evoluzione benigna e si ha una remissione spontanea entro alcune settimane di  vita. Nella forma cronica il quadro è di tipo poliartricolare e interessa più frequentemente anche gli arti superiori e la colonna vertebrale, con interessamento spondilitico che ripete le manifestazioni della spondilite anchilosante, sebbene rispetto a questa malattia siano più frequenti le espressioni monolaterali e quindi asimmetriche del danno articolare o entesico-ligamentoso (sacroileite e desmofiti).

In ambito patologico il quadro clinico vede la presenza di numerose manifestazioni extra articolari, quali in particolare:

§  congiuntivite (sterile e simmetrica, a remissione in un mese)

§  uveite anteriore acuta (circa 20% di pazienti soprattutto se HLA-B27)

§  cheratoderma pseudo-blenoraggico (lesioni con papule eritematose al palmo mani e pianta piede)

§  balanite circinata (eruzione eritematosa nel glande)

§  onicopatia (ispessimento unghia)

§  pericardite (rara)

§  disturbi della conduzione atrioventricolare (rara)

§  aortite (rara)

La conferma della diagnosi si ottiene mediante esame di laboratorio e esame strumentale. Gli indici di flogosi sono aumentati. Il liquido articolare è di tipo infiammatorio ma non purulento. Le alterazioni radiografiche sono riscontrabili soprattutto nelle forme croniche e riguardano i segmenti articolari interessati dal processo con erosioni marginali della corticale dell’osso e fenomeni di proliferazione ossea con esostosi e periostite diafisaria. Si riscontrano segni di entesite con erosioni e speroni ossei, talvolta esuberanti e frequenti a livello calcaneare e della tuberosità ischiatica. L’interessa assiale si manifesta con la formazione di ponti ossei (sindesmofiti) tra le vertebre, più spesso monolaterali e a disposizione asimmetrica, e incompleti, e presenti soltanto in zona dorso lombare (netta quindi la differenza con la spondilite anchilosante che invece ha interessamento più esteso e sindesmofiti più sottili e completi e bilaterali). L’indagine con Tac e risonanza è fondamentale per la valutazione di una artrite reattiva acuta poiché consente di individuare la presenza di edema osseo e segnalare dunque il problema prima che si verifichino alterazioni della struttura.

SPONDILOARTRITE SIERONEGATIVA


Con tale termine si indica un ampio gruppo di artropatie caratterizzate da un coinvolgimento infiammatorio della colonna vertebrale e da una sieronegatività espressa verso il fattore reumatoide. Fanno parte: spondiloartriti indifferenziate, spondilite anchilosante, artrite psorisiaca, artriti reattive croniche, artriti enteropatiche. Ulteriori caratteristiche anatomopatologiche in comune consistono in un coinvolgimento delle strutture periarticolari con tendiniti e entesiti, una frequente monoartrite asimmetrica degli arti inferiori e il possibile interessamento di distretti extra articolari. Clinicamente il coinvolgimento assiale vede l’emersione di infiammazione nella parte lombare della colonna nonché delle articolazioni sacroiliache. Una sacroileite monolaterale è spesso l’evento infiammatorio iniziale.

Nelle spondiloartriti si ha quasi sempre un interessamento infiammatorio primario a carico dei tendini e delle entesi con una chiara manifestazione clinica di dolore e ridotta funzionalità quando le tendiniti/entesiti sono spontanee, croniche e ricorrenti. Un ulteriore segno consiste nella comparsa di dattilite con “dita a salsicciotto”, cioè una tumerazione con rossore di una o più dita della mano in risposta ad una infiammazione dei tendini estensori e della membrana sinoviale delle articolazioni interfalangee o metacarpofalangee.

Segni extra articolari di spondiloartriti sieronegative possono verificarsi con infiammazioni a carico di distretti quali l’occhio (uveite anteriore), la cute e le mucose (psoriasi, cheratoderma, eritema nodoso, aftosi), più raramente il cuore (endocarditi con valvulopatie, aortite ascendente) o i polmoni (fibrosi polmonare interessante più spesso i lobi superiori).

L’eziologia risulta essere multifattoriale: si ha un substrato genetico su cui si stabiliscono un serie di fattori ambientali fra cui un evento infettivo “firestarter” che determina l’emersione di crossreattività immunitaria di tipo cellulare. Il meccanismo patogenetico di base consiste nell’emersione di una reattività autoimmune  verso peptidi artritogeni self della cartilagine articolare e del tessuto connettivo delle entesi, sostenuta da linfociti T CD8 citotossici. Un ruolo importante  nella cronicità del processo infiammatorio è dettato dalle citochine prodotte, in particolare TNF-alfa.

 Il substrato genetico influente nel meccanismo è confermato dall’elevatissima percentuale di associazione fra spondilite anchilosante e aplotipo HLA-B27. Nelle altre forte di spondiloartriti, l’associazione scende dal 50% al 20%, soprattutto è presente in relazione ad un coinvolgimento del rachide.

La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica dello scheletro assiale (colonna vertebrale e articolazioni sacroiliache, frequentemente articolazioni scapoloomerale e coxofemorale, più raro l’interessamento delle articolazioni appendicolari) classificata nell’ambito delle spondiliti sieronegative. Ha un’età di esordio intorno a 25 anni, quindi nella seconda decade di vita, e una leggera prevalenza nei soggetti maschili laddove la malattia ha un andamento più aggressivo rispetto alle donne. Nel meccanismo patogenetico di base ha elevata importanza la componente genetica, in quanto si ha una associazione fra spondilite anchilosante e aplotipo HLAB27 del 95% (in particolare sono coinvolti i sottotipi HLAB27-06 e HLAB27-09) oltre che una associazione meno frequente con l’aplotipo HLA-B60. Probabilmente il meccanismo firestarter determinante l’emersione di crossreattività è sostenuto da infezioni di natura batterica a carico del lume intestinale. Topi transgenici con aplotipo hla-b27 non sviluppano spondilite anchilosante qualora si mantenga un lume intestinale sterile, e inoltre si ha negli umani affetti una presenza di infiammazione intestinale cronica nel 50% dei casi esaminati.

A livello anatomopatologico è possibile evidenziare una infiammazione coinvolgente i tendini e il tessuto fibrocartilagineo con un processo destruente che comporta l’emersione di tessuto di granulazione neovascolarizzato e che esita in fibrosi, calcificazioni e neoformazione di osso. Quindi differisce rispetto all’artrite reumatoide (in cui si ha un maggiore interessamento infiammatorio della membrana sinoviale). A livello del tessuto è osservabile un infiltrato linfocitario e plasmacellulare con possibile sviluppo di follicoli linfoidi.

Clinicamente si osserva nel 75% dei casi come prima manifestazione un esordio di rachialgia di tipo infiammatorio. Come primo e precoce reperto clinico si ha un dolore lombosacrale ad esordio insidioso e associato a rigidità mattutina. Dapprima monolaterale e discontinuo, il dolore tende a farsi persistente e bilaterale per poi risalire verso l’are vertebrale lombare e toracica, mentre nelle donne frequentemente si può osservare l’emersione di una cervicalgia tendente a discendere in senso caudale. Quindi nell’uomo si verifica quasi sempre un andamento ascendente, nelle donne può verificarsi anche un andamento di tipo discendente dalle vertebre cervicali verso le toraciche e lombari. Il dolore si associa a rigidità mattutina (di durata inferiore rispetto all’artrite reumatoide) e tende a migliorare con l’esercizio fisico. In una piccola percentuale dei casi si può avere come manifestazione precoce la comparsa di una sacroileite monolaterale o di una infiammazione coxofemorale e il paziente riferisce dolore all’arto inferiore simile alla sciatica ma mozza poiché si sofferma a livello del ginocchio. Il dolore è particolarmente invalidante. Infine, l’interessamento delle articolazioni della gabbia toracica possono mimare una sindrome anginosa.

Nella spondilite vertebrale il dolore scaturisce da infiammazione dei legamenti posteriori del bacino, dall’artrite alle articolazioni interapofisarie, disco vertebrali e costo vertebrali, dalle entesiti vertebrali. La rigidità scaturisce inizialmente dallo spasmo della muscolatura perivertebrale, mentre in fase avanzata si osserva una rigidità irreversibile dettata dall’anchilosi a carico delle articolazioni. In fase avanzata si osserva come l’anchilosi porta ad un cambiamento posturale del soggetto, con un appiattimento della curva/spina lombale a fronte di una accentuazione della curva toracica e cervicale, si ha cifosi accentuata con il capo rivolto in avanti, un respiro di tipo addominale con appiattimento toracico, il paziente ha difficoltà a sollevare il capo e per mantenere l’equilibrio presenta una leggera flessione delle gambe, ha una perdita di escursione visiva perché non può sollevare il capo. In fase avanzata il dolore e la rigidità mattutina tendono a recedere ma si mantiene la perdita funzionale e la rigidità dell’anchilosi.

Manifestazioni extralocomotorie vedono la comparsa di sintomi sistemici quali febbre e astenia, possibile sviluppo di uveite anteriore (nel 25% dei casi e associati a HLA-B27) la quale si presenta dapprima monolaterale e lieve e reversibile, in seguito diviene bilaterale e più aggressiva fino a poter apportare danni al visus del soggetto. Più raramente si osserva interessamento polmonare e cardiaco. L’interessamento neurologico si verifica solitamente in modo secondario all’artrite e all’anchilosi vertebrale laddove si possono avere patologie a carico dei nervi spinali (collasso vertebrale con schiacciamento delle radici), a carico del tronco encefalico (sublussazione atlanti dea) e sindrome da cauda equina.

Il sospetto diagnostico si attua mediante anamnesi di rachialgia in soggetto giovane e mediante esame obiettivo. Il laboratorio di analisi offre la presenza di

1- aumento di VES e di PCR (75% dei casi, utile nel valutare il followup)

2- aumento fosfatasi alcalina

3- aumento IgA sieriche (dovute all’enteropatia che poi scatena la reazione infiammatoria)

4- talvolta anemia normocromica e normocitica

5- tipizzazione HLA (molto predittiva per spondilite)

La conferma diagnostica si ottiene mediante esame strumentale. Attualmente si utilizza una risonanza magnetica la quale consente di ottenere informazioni in merito alle fasi precoci di infiammazione sacro ileale o lombare in quanto sottolinea la presenza di edema midollare osseo. La radiografia permette di ottenere informazioni principalmente in una fase avanzata della malattia. In fase precoce nella sacroileite si osserva perdita dei margini dei capi articolari con sclerosi dell’osso sub condrale, lo spazio intraarticolare tende dapprima ad allargarsi per poi obliterarsi tramite tessuto osteofibroso fino all’anchilosi. In fase precoce di spondilite si osserva la presenza di piccole erosione degli angoli dei corpi vertebrali  che appaiono più lucidi (fenomeno dello “shiny corners”), si ha inoltre perdita del normale contorno del corpo anteriore con presenza di un corpo vertebrale “squadrato” e fenomeni di ossificazione dello strato superficiale dell’anulus fibrosus con comparsa di sindesmofiti sottili e bilaterali generalmente interessanti tutto il tratto vertebrale infiammato. In fase avanzata l’ossificazione dei legamenti spinali interapofisari porta a una fusione della colonna vertebrale con la spina “a canna di bambù”. In caso di immobilità sono presenti segni di osteoporosi.

La diagnosi differenziale viene posta con: rachialgie di natura infettiva, postinfettiva o degenerativa o neoplastica (esarcebazione del dolore all’esercizio fisico e sindesmofiti più voluminosi), malattia di Forestier o  iperostosi anchilosante del disco intervertebrale o DISH (generalmente sono scarsi i segni di flogosi e non vi è aplotipo B27).

L’artrite psorisiaca  appare nel 30% dei pazienti psorisiaci. La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica della cute a eziologia sconosciuta e che si rivela clinicamente con l’emersione di eruzioni papulari tendenti ad associarsi in placche che desquamano. Le placche sono di colore rosso vivo e tendono a localizzarsi a livello del cuoio capelluto e della superficie estensoria degli arti. La psoriasi cutanea presenta una elevata associazione con aplotipi  HLA-B13 HLA-B17 e HLA-C6. Eventuale interessamento spondilitico presenta una associazione con HLA-B27 e HLA-DR4.


Nell’artrite psorisiaca vengono colpiti, oltre ai cheratinociti, anche le cellule sinoviali e il connettivo delle entesiti. Le entesiti sono molto frequenti e la lesioni si sviluppa in due fasi: la prima fase infiammatoria in cui si ha un riassorbimento osseo e la comaprsa di infiltrato cellulare, nonché una seconda fase ripartiva in cui si ha formazione di sindesmofiti con fusione articolare. La membrana sinoviale va incontro a ipertrofia con comparsa di villi, tuttavia non si sviluppa mai un “panno sinoviale”. L’infiltrato infiammatorio è costituito da linfociti in sede periva sale, plasmacellule secernenti IgA e IgG nonché ispessimento parietale delle arteriole. E’ possibile osservare erosione dell’osso sub condrale e della cartilagine.

Le manifestazioni cliniche correlate a psoriasi sono piuttosto polimorfi. Abbiamo principalmente tre quadri:

1- forma classica

2- forma artritica senza psoriasi

3- forma artritica precoce in psoriasi recente


Nella forma classica si osserva nel 50% un interessamento assiale con spondilite avente una distribuzione casuale di sindesmofiti e impegno sacroiliaco unilaterale.  Nel 20% si ha una spondilite con impegno poliarticolare periferico. Nel 10% si ha una dattilite e dito a salsicciotto con impegno artritico delle articolazioni interfalangee la quale raramente può esitare in una forma “mutilante” nella quale si ha osteolisi a carico dei capi ossei, più spesso delle estremità delle falangi.

La forma di artrite psorisiaca senza psoriasi esordisce generalmente come dattilite e coinvolge le articolazioni interfalangee. Nella forma di artrite precoce si ha interessamento interfalangeo con andamento poliarticolare.

La diagnosi viene sospettate su base anamnestica e esame obiettivo, riscontrando psoriasi cutanea, dolore e tumefazione delle articolazioni coinvolte, rachialgia. Il laboratorio segnala aumento indici di flogosi, aumento dell’uricemia per aumentato turnover delle cellule della cute, assenza di fattore reumatoide nel siero. La conferma si ha tramite reperto strumentale in Risonanza magnetica o in Radiografia con segno di artrite erosiva della piccole articolazioni e sindesmofiti nella colonna.

L’artrite enteropatica è una forma di manifestazione reumatologica che si esprime in soggetti affetti da malattie infiammatorie croniche su base autoimmune quali la Rettocolite ulcerosa, la Celiachia e il Morbo di Crohn. Può verificarsi anche in un periodo postoperatorio a seguito di un intervento di bypass gastrico o enterico. L’eziologia è sconosciuta, il meccanismo patogenetico è di tipo autoimmune laddove si verifica una ricircolazione di linfociti T attivati a livello del tessuto mucosale per reattività autoimmune (probabilmente dovuta ad una crossreattività con antigeni di natura batterica) e che andrebbero a determinare l‘emersione di infiammazione autoimmune anche a carico delle strutture articolari, in particolare i sinoviociti. Dal punto di vista clinico è possibile distinguere tre forme di artrite enteropatica:

1- TIPO 1 , con oligoartrite acuta e autolimitante il cui decorso è strettamente correlato all’enteropatia

2- TIPO 2, poliartrite cronica e non autolimitante, il cui decorso non è correlato all’enteropatia

3- TIPO 3, spondilite con rachialgia e frequente interessamento articolazioni periferiche e associazione a HLA-B27

La celiachia occulta non diagnosticata può determinare nel 25% dei casi l’emersione di una artrite enteropatica di tipo 1 tendente al tipo 2, tuttavia la sospensione dell’assunzione di cibi contenenti glutine tende a risolvere nell’arco di poche settimane l’infiammazione e la sintomatologia. Recenti studi hanno suggerito il ruolo di alcuni fattori genetici che indurrebbero un aumento dell’espressione immune nei confronti di antigeni batterici causando un’attivazione policlonare e un maggior rischio di reattività autoimmune. In paricolare il gene NOD2/CARD15 il cui prodotto legherebbe i lipopolisaccaridi batterici nelle cellule fagocitarie aumentandone il tempo di esposizione.

ARTRITE REUMATOIDE
Malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce elettivamente le articolazioni e l’osso subcondrale, ma può interessare vari tipi di tessuti dando manifestazioni cliniche sia articolari che extra articolari. Ha una diffusione ubiquitaria, interessa lo 0,5% della popolazione mondiale, la prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età. Ha una maggiore incidenza nei soggetti di sesso femminile con un rapporto femmina:maschio di 4 a 1. Le complicanze extraarticolari sono più frequenti nei soggetti maschi.

L’eziologia è sconosciuta, il meccanismo patogenetico è di tipo autoimmune. L’associazione più forte è con l’aplotipo DR4. A livello istopatologico a carico dell’articolazione si verifica una iperplasia della membrana sinoviale con angiogenesi riguardante la sinovia e la cartilagine, nonché infiltrato di cellule infiammatorie che spesso si associano a formare strutture follicolari. Queste tre caratteristiche determinano iperplasia e ipertrofia della sinovia, edema e infiammazione del tessuto articolare che assume un aspetto simil-neoplastico benigno e con aspetti di invasività. Si verifica erosione di cartilagine e dell’osso subcondrale, la membrana sinoviale tende a invadere tali tessuti formandovi all’interno delle pseudo cisti. Si sottolinea l’importanza, nel processo autoimmune, della reazione infiammatoria TH1 mediata (sebbene vi sia anche una partecipazione autoanticorpale) nonché della secrezione di citochine pro infiammatorie. TNF-alfa è responsabile dell’effetto flogistico, IL-1 è responsabile della erosione e della demolizione proteoglicanica.

La manifestazione clinica primaria consiste in un interessamento infiammatorio con tumefazione e dolore e rigidità sia funzionale sia al mattino della durata maggiore di 30 minuti, riferita alle articolazioni quali:

1- le interfalangee prossimali 2° e 3°

2- le metacarpofalangee e metatarsofalangee (2° e 3)

3- polsi e caviglie


Normalmente nel 70% dei casi ha un esordio lento e graduale con andamento altalenante e progressivo. Inoltre ha un andamento simmetrico e aggiuntivo in senso centripeto, cioè nel corso del tempo interessa più articolazioni senza risoluzione dell’infiammazione delle precedenti. La malattia nel 5-10% dei casi è monociclica e tende a regredire, cosi come nel 10% può avere un andamento molto aggressivo, di tipo acuto o subacuto. Poco frequentemente può avere un esordio simil-polimialgico (con dolore riferito ai cingoli scapolare e pelvico) oppure di tipo palindromico (con episodi di monoartrite temporanea cioè di 3 giorni circa).

Clinicamente il paziente riferisce dolore e rigidità mattutina della durata superiore a mezz’ora. La rigidità è sempre presente, è più accentuata al mattino e limita la funzione articolare. E’ dettata inizialmente dalla raccolta di liquido conseguente a sinovite e dallo spasmo muscolare, in seguito per la ipertrofia sinoviale e per la ipotrofia della muscolatura articolare. Il dolore è sempre presente: durante la notte, al risveglio, all’attività funzionale, con carico di peso. Come sintomi sistemici, il paziente riferisce astenia, febbricola, calo ponderale. La sinovite è causa di tumefazione e può portare all’ipertrofia con formazione di un  “panno sinoviale” che è un segno patognomico di artrite reumatoide. Progressivamente alla perdita funzionale si associa una deformità della articolazione e dell’arto colpito.

I seguenti distretti vengono più comunemente colpiti:


MANI: in fase precoce si ha infiammazione delle articolazioni interfalangee prossimali e metacarpofalangee, quasi sempre vengono risparmiate le interfalangee distali. Il permanere della tumefazione infiammatoria può portare a deformità delle dita o della mano.

 Le “dita a colpo di vento” vengono generate dalla sublussazione articolare con stiramento e scivolamento dei tendini interfalangei estensori.

Le dita “a collo di cigno” vedono una iperestensione delle IFP e flessione delle IFD.

Le dita a “asola” vedono flessione della IFP e estensione delle IFD.

Il pollice “a zeta” vede una flessione della prima articolazione metacarpofalangea e ipertensione della IF.

La mano “a gobba di dromedario” vede una sublussazione volare delle ossa metacarpali sulle carpali e delle falangi sulle metacarpali.


POLSI: altro distretto frequentemente interessato da flogosi, si può avere una sublussazione articolare del lato ulnare causando un aspetto  “a mano benedicente”. Il segno del “tasto del pianoforte” indica una riduzione manuale temporanea della sublussazione distale dell’ulna.

GOMITI E SPALLE E ANCHE: vengono coinvolte principalmente in fase avanzata e in età senile. Si ha rigidità funzionale con comparsa di tumefazioni  dolorose (ad esempio nella fossetta paraolecranica del gomito), ridotta mobilità attiva e passiva e anchilosi progressiva. Il dolore all’anca si presenta a livello gluteo o inguinale.

GINOCCHIO: viene coinvolto precocemente,  si ha panno sinoviale con tumefazione osservabile a livello della fossetta poplitea e tendenza verso la perdita di coincidenza degli assi con ginocchia in valgismo (allontanamento) o in varismo (avvicinamento). E’ possibile osservare l’emersione di cisti sinoviali dette “cisti di Baker” che possono dare fenomeni compressivi ed edemi da stasi.

CAVIGLIA: viene coinvolta precocemente nelle forme più aggressive, si ha tumefazione perimalleolare e periachillea con limitazione funzionale flessoestensoria. Si può avere pronazione o eversione del piede (cioè perdita dell’asse proprio fra piede e polpaccio) con difficoltà alla deambulazione. Si possono avere fenomeni compressivi riguardanti i vasi e con comparsa di segni di stasi al piede.

PIEDE: si ha interessamento delle articolazioni metatarsofalangee 2° e 3°, con appianamento della arcata plantare, sublussazione plantare e deformità progressiva in valgismo dell’alluce. Il piede reumatoide può assumere una conformazione “triangolare” oppure una conformazione “martello” per via di una sublussazione plantare che porta a iperestensione delle metatarsofalangee e flessione delle interfalangee. Si può avere anche dolorabilità per lo sviluppo di “sindrome del tunnel tarsale”.

RACHIDE: non frequentemente coinvolta, un suo eventuale processo infiammatorio può portare a gravi conseguenze dal punto di vista neurologico per via della progressiva compressione e deformazione esercitata dal panno sinoviale. Si può avere una sinovite atlantido-odontoidea con erosione del dente dell’epistrofeo e lassità del legamento straverso del dente con possibile sublussazione posteriore e compressione midollare, in questo caso il sintomo riferito è di rigidità al collo e cefalee occipitali molto forti e possibili parestesie periferiche.  Alcuni sintomi possono essere legati a compressione dei vasi vertebrali.

Possibili manifestazioni extra articolari possono essere riscontrate fino al 50% dei pazienti esaminati e in particolare si osservano in pazienti cronici con AR di lunga durata. Fattori predittivi di possibili manifestazioni extraarticolari sono indicati nel sesso maschile e negli aplotipi HLA-DR1 e HLA-DR4.

CUTE: è possibile osservare lo sviluppo di tipici noduli reumatoidi localizzati nel sottocute in aree adiacenti alle articolazioni infiammate o in aree a maggiore pressione. Sono noduli duro-elastici e adesi ai tessuti, con un’area centrale di necrosi fibrinoide circondata da una capsula di collagene. Tendono a regredire nelle fasi di remissione dell’artrite ma possono esacerbarsi in corso di terapia con metotrexano. Possono essere rimosse chirurgicamente ma tendono a recidivare. Inoltre, a livello cutaneo non è infrequente la comparsa di manifestazioni vasculitiche correlate alla presenza del fattore reumatoide. Si esprimono come rash, porpore o raramente lesioni ulcerative.

MUSCOLI: l’astenia con comparsa di dolori acuti improvvisi rappresentano dei sintomi caratteristici riferiti da pazienti affetti da AR. Spesso i dolori sono predittivi di una ripresa della patologia infiammatoria articolare. Spesso si osserva ipotrofia della muscolatura periarticolare o interossea, descrivibile con il “Squeeze Test” cioè il test di compressione laterolaterale della mano o del piede (se ipotrofia e infiammazione il soggetto riferisce dolore molto acuto).

OSSA: è possibile osservare osteoporosi nell’area ossea partecipante o adiacente all’articolazione infiammata, secondaria al processo infiammatorio o alla cura farmacologica con corticosteroidi.

VASI: è frequente il riscontro di malattie cardiovascolari dettate da una accelerazione del processo di aterosclerosi. Una donna affetta da AR presenta una probabilità da 10 a 50 volte superiore di sviluppare un evento cardiovascolare.

POLMONE: l’interessamento è poco frequente, si possono osservare pleurite, interstiziopatia polmonare e pneumopatia nodulare. L’interstiziopatia polmonare è una delle manifestazioni più severe, si ha la presenza all’ascultazione di crepitii con reticolo interstiziale diffuso all’esame radiografico. Il paziente tende a presentare dispnea da sforzo progressivamente ingravescente. La pneumopatia nodulare vede la presenza di piccoli noduli di dimensioni variabili, raramente vanno incontro ad escavazione o a calcificazione e generalmente sono asintomatici. La pleurite si verifica in modo asintomatico nel 20% dei casi.

CUORE: La pericardite si verifica frequentemente ma si mantiene asintomatica nella maggior parte dei casi e raramente si verificano casi di tamponamento cardiaco o pericardite costrittiva. Rare sono le valvulopatie granulomatose o l’interessamento miocardico con aritmie.

OCCHIO: si verificano nel 20% dei casi manifestazioni quali xeroftalmia, cheratocongiuntivite secca, episclerite o sclerite, il paziente riferisce sensazione di corpo estraneo, fotofobia, lacrimazione. Queste possono verificarsi o in relazione ad una vasculite correlata a positività al fattore reumatoide, oppure in relazione a una contemporanea connettivite quale ad esempio la sindrome di Sjogren.

RENE: solitamente tale distretto viene coinvolto con la comparsa di nefrite in merito ad associazione con amiloidosi oppure in merito a consumo cronico di farmaci assunti per controllare la stessa AR, quale ad esempio lo sviluppo di nefrite interstiziale per abuso di FANS.

La diagnosi viene formulata con anamnesi (dolore articolare continuo e rigidità esarcebata al mattino e della durata superiore ad un’ora), esame obiettivo (vari segni). Viene confermata mediante laboratorio ed esame strumentale.


Il laboratorio prevede i seguenti dati:

1- Anemia normocromica e normocitica, quasi sempre presente e talvolta anche di tipo ipocromico.

2- Elevazione degli indici di flogosi

3- Positività del siero per il fattore reumatoide e per gli anticorpi anti peptidi-citrullinati.

La positività del fattore reumatoide è poco specifica per malattia in quanto può essere positivo anche in patologie quail Sindrome di Sjogren, Lupus, malattie ematologiche, infezioni batteriche, sarcoidosi, sclerodermia, infezione da virus epatitoc C, eccetera. Al contrario, gli anticorpi rivolti contro i peptidi citrullinati hanno una specificità superiore al 90%.

L’esame strumentale precoce si avvale dell’utilizzo della TAC e della risonanza magnetica con gadolinio, i quali permetteranno di individuare la presenza di uno stato infiammatorio con versamento articolare, proliferazione sinoviale a formare radio graficamente un vero e proprio “panno” che va a occludere lo spazio interarticolare, la presenza di angiogenesi cartilaginea e sinoviale, nonché la presenza di edema canalicolare osseo con possibile erosione dell’osso sottocondrale. Alla radiografia in fase avanzata sarà osservabile la presenza di erosione ossea superficiale con margini irregolari, a “morso di topo”.

L’erosione a morso di topo è dovuta ad uno squilibrio fra fattori osteoclastici e fattori osteoblastici. In particolare il fattore RANK-L attivante gli osteoclasti viene secreto da linfociti T e fibroblasti attivati, specialmente in risposta ad elevati livelli di IL-1, e dunque il fattore RANKL  va a turbare l’equilibrio provocando l’insufficienza di altri fattori favorenti la produzione e la deposizione di matrice ossea, quali ad esempio la osteoprotegerina.

Il fattore reumatoide (FR) è un autoanticorpo (anticorpo diretto contro i tessuti propri di un organismo), molto rilevante nell'artrite reumatoide. In particolare, è diretto verso la porzione Fc delle IgG. Il fattore reumatoide e le IgG concorrono alla formazione di immunocomplessi in grado di contribuire al processo patologico. Non tutti i soggetti con artrite reumatoide possiedono livelli sierici rilevabili di fattore reumatoide; tuttavia, questi soggetti, non sono da considerare sieronegativi.  Il fattore reumatoide è anche una crioglobulina (anticorpo che precipita dopo raffreddamento di un campione ematico); può essere sia una crioglobulina tipo di tipo 2 (IgM monoclonale contro IgG policlonali) sia crioglobulina di tipo 3 (IgM policlonale contro IgG policlonale).  La determinazione del fattore reumatoide deve avvenire in tutti i pazienti nei quali si ha rilievo clinico di artrite. È importante considerare che un rilievo positivo non indica necessariamente artrite reumatoide e che, viceversa, un rilievo negativo non la esclude. Tuttavia, assume notevole importanza diagnostica e prognostica se associato all'obiettività di altri rilievi tipici dell'artrite reumatoide. Alti livelli di FR (generalmente sopra a 20 IU/mL) sono indicativi per l'artrite reumatoide (presente nell'80% dei casi) e per la Sindrome di Sjögren (presente in almeno il 100% dei casi). Inoltre, c'è una connessione tra i livelli di FR e la gravità della malattia. C'è una buona possibilità di incorrere in falsi positivi, dovuti alla presenza di alcune malattie o di disordini autoimmuni. Queste includono: epatiti croniche, infezioni virali croniche, leucemia, dermatomiosite, mononucleosi, sclerodermia, tiroidite di Hashimoto e lupus eritematoso sistemico.
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