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AFORISMA DEL GIORNO

31 maggio, 2010

Allarme fumo per le donne: se ne parla al "World No Tobacco Day 2010"

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L'abitudine al fumo non ha piu' sesso; il divario tra uomini e donne, un tempo ben definito, e' sempre piu' ridotto. Addirittura, se la percentuale dei fumatori e' in calo, le donne sono piu' restie ad abbandonare le sigarette e proprio per questo motivo l'Organizzazione Mondiale della Sanita' punta sulle fumatrici per celebrare la World No-Tobacco Day che si celebra nella giornata di oggi.

Le donne costituiscono circa il 20% di oltre un miliardo di fumatori nel mondo, una cifra tuttavia destinata ad aumentare. In Italia le fumatrici sfiorano i 5,2 milioni (19,7%); gli uomini 5,9 milioni (23,9%). "E' la prima volta che i due sessi fumano quasi allo stesso modo e purtroppo non e' un bel risultato", ha dichiarato Enrico Garaci, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanita' inaugurando presso l'ISS il XII Convegno Nazionale Tabagismo e Servizio Sanitario Nazionale, occasione per presentare i risultati del Rapporto sul fumo in Italia 2010, realizzato da dall'Osservatorio Fumo Alcol e Droghe dell'ISS.

"Particolarmente preoccupante poi, e' la crescente incidenza del consumo di tabacco tra le ragazze: il nuovo rapporto dell'OMS 'Donne e Salute' prova infatti che la pubblicita' del tabacco e' sempre piu' indirizzata alle giovani donne e i dati provenienti da 151 paesi mostrano che circa il 7% delle ragazze adolescenti fuma sigarette rispetto al 12% dei ragazzini, - continua Garaci - ma che in alcuni Paesi il numero e' quasi pari". "Le donne che fumano si ammalano e muoiono di tumore del polmone e altre malattie legate al fumo come gli uomini - afferma Carlo La Vecchia, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano - In termini di rischio assoluto vi e' identita' tra i due sessi.

Per evitare in Italia un'epidemia di malattie legate al fumo analoga a quella osservata negli Stati Uniti e in altri paesi nordeuropei, e' prioritario che le generazioni di italiane che hanno oggi tra i 40 e i 60 anni smettono di fumare - raccomanda l'esperto - E' infatti tra queste generazioni di donne, nate tra il 1950 e il 1970, che il fumo si e' diffuso e nelle stesse generazioni cominciano ora a diffondersi le malattie e le morti associate al fumo". Chi dice addio alle 'bionde'? Le donne che sono riuscite a smettere di fumare sono 2,6 milioni (il 9,8% di ex fumatrici) contro 3,9 milioni di uomini (il 15,7%). In totale si fuma di piu' nella fascia d'eta' tra i 45 e i 64 anni e l'eta' media della prima sigaretta e' 17 anni.

FONTE: Agi.it Salute
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Anche gli astrociti giocano un ruolo importante nella genesi dell'epilessia

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Nell'epilessia la colpa non è soltanto dei neuroni: anche altre cellule del cervello hanno un ruolo importante nella genesi delle scariche tipiche di questa malattia neurologica. A rivelarlo è uno studio finanziato da Telethon e dalla Commissione europea, pubblicato sulle pagine di PloS Biology. Il lavoro è il risultato di un'intensa collaborazione tra tre diversi gruppi di ricerca afferenti all'Istituto di neuroscienze del Cnr di Padova e Pisa e all'Istituto neurologico Besta di Milano, coordinati da Giorgio Carmignoto (nella foto al centro con il suo team), Gian Michele Ratto e Marco de Curtis.

In particolare, i ricercatori hanno dimostrato come gli astrociti contribuiscano attivamente alla nascita delle scariche epilettiche. Gli astrociti non sono cellule neuronali ma gliali, sono molto numerose nel cervello dei mammiferi, e oggi sappiamo come esse dialoghino continuamente con i neuroni.

Per chi studia l'epilessia, chiarire i meccanismi biologici, tuttora ben poco conosciuti, che portano allo scatenarsi delle crisi epilettiche è fondamentale per poter sviluppare un approccio terapeutico. L'epilessia è infatti una patologia cerebrale che può avere basi genetiche oppure essere la conseguenza di malformazioni del cervello, traumi, infezioni, ictus o tumori.
Altre volte la causa è addirittura sconosciuta.

Qualsiasi sia l'origine, la manifestazione tipica della patologia epilettica è rappresentata sempre da crisi convulsive, più o meno frequenti, che se non opportunamente trattate possono mettere a rischio la sopravvivenza del paziente. Queste crisi sono la conseguenza di un'anomalia nell'attività elettrica dei neuroni, che raggiungono una sorta di ipereccitazione diffusa ed esageratamente sincrona.

Ad oggi non esiste una cura risolutiva: l'unico trattamento disponibile è a base di farmaci capaci di arrestare le convulsioni, ma non di eliminare i meccanismi anomali che sono la causa dell'equilibrio alterato del tessuto nervoso. Inoltre, questi farmaci sono inefficaci in circa un terzo dei pazienti che tendono a sviluppare un'epilessia cronica, spesso accompagnata da gravi problemi neurologici e relazionali.

Lo studio pubblicato su PloS Biology dimostra come l'interazione tra neuroni e astrociti sia uno dei meccanismi che contribuisce alla generazione delle scariche epilettiche. Ritenuti in passato dei semplici "aiutanti" dei neuroni, gli astrociti si sono rivelati nel corso del tempo cellule che esercitano nel cervello un ruolo decisamente più attivo. Questo vale evidentemente anche per la genesi delle crisi epilettiche: monitorando in laboratorio l'attività di neuroni e astrociti, in diversi modelli sperimentali, Carmignoto e colleghi hanno infatti scoperto che nella zona di generazione delle scariche epilettiche gli astrociti sono in grado di amplificare nei neuroni circostanti lo stato di ipereccitabilità, che può poi tradursi nella scarica epilettica. A riprova di questo, i ricercatori hanno constatato che inibendo l'attività degli astrociti si riducono le scariche epilettiche, e viceversa.

Questo studio rappresenta dunque un significativo passo in avanti nella comprensione dei meccanismi cellulari alla base della patologia epilettica e potrebbe aiutare a delineare una nuova strategia terapeutica per l'epilessia che abbia nell'attività degli astrociti il bersaglio principale. Gli astrociti, queste piccole cellule un tempo considerate poco rilevanti per il buon funzionamento del cervello, continuano dunque a sorprenderci.


Fonte: Molecularlab.it
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Un vaccino contro il cancro al seno che funziona sui topi, test sull'uomo dal prossimo anno

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Una proteina può vincere il tumore della mammella. Lo studio pubblicato su Nature Medicine ha dimostrato che la somministrazione della 'alfa-lattoalbumina' è in grado di attivare la risposta immunitaria contro le cellule cancerose. Fino ad adesso gli unici vaccini antitumorali funzionavano contro virus esterni al corpo e non contro la malattia vera e propria

Il siero sperimentato dalla Cleveland Clinic Learner Research Institute ha evitato lo sviluppo della malattia alle cavie, nonostante queste avessero una predisposizione genetica al carcinoma della mammella. Ottimista l’autore dello studio Vincent Tuohy: “Crediamo che questo vaccino un giorno si userà per prevenire il cancro al seno nelle donne adulte. Ma va detto che bisognerà aspettare anni, il tempo insomma che la sperimentazione venga condotta anche sull’uomo”.

Per arrivare alle conclusioni pubblicate su Nature medicine, gli studiosi hanno testato il siero vaccinale su un gruppo di topi da laboratorio modificati geneticamente per sviluppare il cancro. A una metà del campione è stato inoculato un vaccino contente la alfa-lattoalbumina, vale a dire una proteina caratteristica della malattia, l’altra metà invece riceveva un siero privo di principio attivo. I risultati hanno dimostrato che questa proteina, generalmente assente nelle donne sane se non nel periodo dell’allattamento, è in grado di stimolare la risposta immunitaria contro le cellule tumorali risparmiando quelle sane.

E ancora, oltre a arrestare lo sviluppo della malattia è anche in grado di impedirne la comparsa. Quindi potrebbe essere una strategia alternativa a misure drastiche come la mastectomia preventiva anche per le donne più giovani ad altissimo rischio.

Proprio per verificare il vaccino, a partire dal 2011 partiranno i test. Secondo Vincent Tuohy, l'immunologo del Lerner Research Center di Cleveland, le candidate ideali saranno le donne con più di 40 anni, quelle con più rischio di ammalarsi ma anche con meno possibilità di restare incinta, dato che il vaccino interferisce con la produzione di latte materno.

Fino ad adesso, scrivono i ricercatori, la scienza è riuscita a mettere a punto vaccini efficaci contro i tumori causati da un agente estraneo all’organismo come un virus. È il caso della profilassi contro il Papilloma, in grado di causare il tumore al collo dell’utero, e dell'epatite B.

“Tuttavia – ricordano gli studiosi – prima di aspettare il vaccino le donne possono iniziare a proteggersi dalla malattia adottando uno stile di vita corretto. Limitando l’alcool e evitando il fumo”. Il tumore del seno infattu colpisce ancora una donna su dieci, 35mila all'anno. È il più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 25 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne.


FONTE : Kataweb.it
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21 maggio, 2010

Interessante dibattito sull'incidenza tumorale domani al Palacongressi del poli di messina

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Sabato 22, cioè domani mattina alle 9 e 30 al Palacongressi del policlinico universitario di Messina si terrà un incontro dibattito dal titolo "L'incidenza della malattia tumorale oggi.dalla prevenzione alla comunicazione. Tale incontro è stato promosso dall'associazione universitaria "Atreju - La compagnia degli studenti" e organizzato col patrocinio dell'Universita' degli studi di Messina. L'invito a partecipare ad un momento di intenso e sensibile confronto legato ad una tematica di forte impatto sociale e' esteso a tutta la comunita' universitaria e a tutta la cittadinanza. A tutti gli studenti di medicina e chirurgia si ricorda che tale incontro vale anche come didattica elettiva e la firma sul libretto permetterà di ottenere 1/2 cfu valido per il proprio curriculum.

Di seguito il programma previsto:

PROGRAMMA

Saluti Autorità Accademiche:

Prof. Francesco Tomasello (Rettore Università Degli Studi Di Messina);

Prof. Emanuele Scribano (Preside Facoltà Di Medicina e Chirurgia);

Prof. Alfredo Carducci (Coordinatore Corso Di Laurea Medicina e Chirurgia);

Prof. Concetta Epasto (Vicepreside Facoltà Scienze Della Formazione);

Prof. Antonio Michelin Salomon (Coordinatore Corso Di Laurea Scienze Pedagogiche);

INTERVENTI:

Prof. Vincenzo Adamo (Prof. Associato di Oncologia Università di Messina) sul tema: "La Prevenzione Dei Tumori... dove stiamo andando?"

Prof. Anna Murdaca (Delegata Del Rettore Alle Problematiche Studentesche) sul tema: "La Cura Relazionale nella Malattia Oncologica"

Graziano Giuffrida (Componente direttivo Ass. "Atreju") sul tema: "I giovani e la prevenzione";

Seguirà il dibattito aperto a tutti i presenti

Moderatore:
Giuseppe Alberto Signorino (Cons. Facoltà di Medicina e componente direttivo "Atreju").
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20 maggio, 2010

Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0: la prima cellula artificiale che si riproduce...

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 Annuncio clamoroso di Craig Venter, l'autore della prima mappa completa del Dna umano e del primo cromosoma sintetico. Secondo quanto riportato dalla rivista "Science", nei laboratori di Rockville si sarebbe ottenuta la prima cellula batterica artificiale, in grado di replicarsi autonomamente. L'esperimento sarebbe stato compiuto assemblando due tipi di batteri che erano già stati utilizzati dal genetista americano in suoi precedenti studi a riguardo: il Mycoplasma mycoides e il Mycoplasma capricolum. L'esperimento riguardava la possibilità di trapiantare Dna sintetico in una cellula batterica privata del suo Dna. La cellula viva e scaturente da tal processo è stata chiamata "Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0" ed è stata creata nei laboratori del Craig Venter institute di Rockville dal team coordinato da Daniel Gibson, partendo da una cellula naturale che però è completamente controllata da un Dna artificiale.

"Pensiamo che sia davvero un risultato importante, sia dal punto di vista scientifico sia da quello filosofico. Di sicuro ha cambiato il punto di vista sulla definizione della vita", ha detto Venter. Il punto di arrivo sarà molto probabilmente una forma vivente interamente costruita in laboratorio e programmata per una funzione precisa. "La cellula artificiale - ha detto ancora Venter - è uno strumento davvero potente per progettare tutto quello che vogliamo far fare alla biologia. Abbiamo in mente un grandissimo numero di possibili applicazioni".

Sempre dalle pagine della rivisa Science e dai media americani, il ricercatore Venier riporta come il Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0 "E' la prima cellula sintetica mai costruita". "La chiamiamo sintetica - ha aggiunto - perché è stata ottenuta a partire da un cromosoma artificiale, costruito utilizzando informazioni elaborate in un computer, composti chimici e un sintetizzatore di Dna". Il Dna artificiale è composto da circa un milione di lettere contro i 3,2 miliardi di quello naturale, ma per il resto è del tutto simile, tanto che solo una sorta di "marker molecolare" consente di riconoscerne l'origine artificiale.

"Si tratta di un traguardo fondamentale dell'ingegneria genetica, non solo per possibili risvolti applicativi, ma anche perché segna la tappa iniziale dell'era post-genomica". E' il commento che il genetista Giuseppe Novelli, preside della facoltà di Medicina dell'Università di Tor Vergata di Roma, ha rilasciato al sito Repubblica all'annuncio della scoperta di Craig Venter e del suo team: "Di fatto Venter ha creato qualcosa che prima non c'era - dice Novelli - un batterio prima inesistente, perché il genoma artificiale che ha costruito con una macchina in laboratorio contiene dei pezzetti di Dna che non esistono nel genoma del batterio presente in natura".
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14 maggio, 2010

Farmaci scaduti: possono ancora essere utili?

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La rivista americana "The Medical Letter on Drugs and Therapeutics", nel numero uscito lo scorso 15 febbraio, ha riportato una serie di norme che possono aiutare a definire il destino dei farmaci che hanno raggiunto la loro data di scadenza. Proprio in merito a questo delicato argomento sono tante le domande a cui i professionisti del settore, quali principalmente medici e farmacisti, sono chiamati a rispondere da cittadini e pazienti spesso alle prese con un numero molto elevato di scatole di medicinali acquistate, frequentemente impiegate per curare un malanno passeggero, e poi riposte nel cassetto e riscoperte alla data di scadenza: 

- i farmaci scaduti sono tossici per l'organismo?
- in che modo viene calcolata la data di scadenza?
- come influiscono le modalità di conservazione sulla durata di alcuni prodotti?
- i farmaci in formulazione liquida sono stabili quanto quelli solidi?

Dati alla mano, gli autori della rivista rispondono alla prima domanda nel dichiarare che non esistono il letteratura segnalazioni di tossicità nell'uomo causata dall'utilizzo di farmaci scaduti attualmente in commercio. Questo vale non solo per i prodotti somministrati per via orale, ma anche per quelli iniettati o applicati localmente. 


Per quanto riguarda invece la data di scadenza, questa viene determinata dal produttore in base alla stabilità del farmaco conservato nel suo contenitore originale sigillato. Questo non significa che, una volta superata la data di scadenza, il farmaco diventa instabile: semplicemente il farmaco, se conservato nel suo contenitore chiuso, sarà ancora stabile a quella data. Ma cosa accade dopo?

Dai dati del Department of Defense / FDA Shelf Life Extension Program, che valuta la stabilità dei prodotti medicinale dopo la data di scadenza, è emerso che l'88% dei lotti di oltre 120 diversi farmaci conservati nelle loro confezioni originali ha mantenuto la stabilità per un periodo medio di cinque anni e mezzo dopo la data di scadenza. Anche i farmaci più “sensibili” compresi in questa percentuale hanno comunque conservato la loro stabilità per almeno un anno.


Cosa accade se mutano le condizioni di conservazione? Anche se è vero talune condizioni di calore e/o umidità elevati possono abbreviare la durata di alcuni medicinali, uno studio pubblicato nel 1997 dal team di G. Stark sul Pharmaceutical Journal mostra che esistono numerose eccezioni. Ad esempio alcuni farmaci a base di captopril, cefoxitina sodica e teofillina conservati a 40°C e umidità del 75% hanno mantenuto la stabilità per 1,5 - 9 anni dopo le rispettive date di scadenza.

Arriviamo alla risposta all'ultima domanda: in genere le soluzioni e le sospensioni non sono stabili come le formulazioni solide (le sospensioni ad esempio, sono molto sensibili al congelamento). Pertanto i farmaci in soluzione, specialmente quelli iniettabili, non dovrebbero essere utilizzati se appaiono torbidi, se hanno un'alterazione di colore o se mostrano segni di precipitazione. L'adrenalina iniettabile, in particolare, perde la sua potenza molto rapidamente dopo la data di scadenza, mentre per i farmaci oftalmici il fattore limitante è la capacità del conservante presente al loro interno di inibire nel tempo la crescita dei batteri. 


Riassumendo e in chiusura, è opportuno sottolineare come l'assunzione di un farmaco scaduto è un qualcosa da evitare per quanto possibile (perchè il tempo comporta una diminuizione dell'efficacia e della neutralità patogeno, in pratica il medicinale perde di qualità) e dovrebbe essere attuata solo in caso di emergenze, per lo più gravi, e di carenza di reperibilità immediata del farmaco di cui si ha effettivo bisogno. 






Fonte: www.diabetelibero.net e "The Medical Letter of Drugs and Therapeutics - No. 4, 15/02/2010"
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10 maggio, 2010

Dal 31° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Estetica arriva un decalogo importante...

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 Dal  XXXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Estetica (SIME) in corso a Roma (7-8-9 maggio 2010) presso l’Hotel Rome Cavalieri è emersa una sorta di guida  per chi, scontento del proprio aspetto, vuole rivolgersi al medico estetico e trovare un rimedio ad imperfezioni, difetti, senza tuttavia correre rischi e mettere a repentaglio la propria salute. Tra i problemi più comuni i pazienti incappano spesso in una scorretta informazione sulle modalità e le complicazioni possibili dell’intervento, si affidano a mani non sempre esperte, e si limitano a consultare un solo specialista, venendo così a mancare quel secondo parere fondamentale quando si tratta di mettere mano alla modifica del proprio aspetto fisico.

Per chiarire eventuali dubbi spieghiamo qual è il campo di azione della medicina estetica. La medicina estetica ha per obiettivo la soluzione degli inestetismi, con il fine ultimo di creare armonia tra l’aspetto del proprio corpo e l’interiorità, aiutando a sentirsi bene a qualsiasi età. Nella fase preventiva i medici insegnano come accettare le strutture fisiche ereditate e a valorizzare il proprio corpo tramite regole alimentari, fisiche, psicologiche e comportamentali, cosmetologiche. Nella fase curativa la medicina estetica impiega metodologie e tecniche ufficiali: mediche, fisiochinesiterapiche, termali, cosmetiche.

Il decalogo per il paziente messo a punto dai medici membri della SIME costituisce uno strumento importante per evitare di incorrere in brutte sorprese:

1.Consultare più di un professionista.
2.Chiedere al medico il “Consenso informato“, interrogandolo su modalità di svolgimento degli interventi e possibili complicazioni. Non fidarsi dei medici che non effettuano una visita diagnostica completa.
3.Il medico deve aver svolto la Scuola Quadriennale di Medicina Estetica.
4.Se c’è più di una possibilità di intervento, scegliere la tecnica meno invasiva.
5.Diffidare delle promesse di miracoli in breve tempo.
6.Farsi rilasciare dal medico la certificazione dei farmaci e dei presidi utilizzati.
7.Non dare il risultato per scontato e non rivolgersi con leggerezza al medico estetico.
8.Spiegare bene al medico qual è il risultato che vogliamo ottenere e soppesare i limiti della medicina estetica: non è detto che ciò che desideriamo sia sempre fattibile.
9.Ricorrere alla medicina estetica preventiva. Non aspettare di invecchiare per intervenire, certi difetti dell’invecchiamento sono perfettamente prevenibili. Farsi indicare dal medico come prevenirli.
10.Non puntare a modelli di bellezza irraggiungibili, ricordando che veline, modelle e attrici sono truccatissime e il trucco, si sa, fa miracoli

FONTE: Asca.it
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Passi avanti nella ricerca sui cambiamenti del DNA nelle cellule staminali embrionali umane

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Scienziati in Europa hanno scoperto che la coltura prolungata di cellule staminali embrionali umane (hESC) può innescare modifiche che risultano in anomalie cromosomiche. Pubblicate sulla rivista "Nature Biotechnology", le conclusioni sono il risultato del progetto ESTOOLS ("Platforms for biomedical discovery with human ES cells"), che ha ricevuto 12 milioni di euro attraverso l'area tematica "Scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute" del Sesto programma quadro (6° PQ). ESTOOLS è stato avviato per sviluppare le competenze, gli strumenti e le tecniche necessarie per applicazioni mediche, farmaceutiche e bioindustriale per la ricerca sulle cellule staminali embrionali (ES) e staminali pluripotenti indotte (IPS).

Gli scienziati che cercano di determinare il modo migliore per prevenire le modifiche dannose nelle hESC coltivate trarranno beneficio dai risultati di questo recente studio, in quanto i risultati contribuiranno a garantire un'applicazioni più affidabile dei trattamenti rigenerativi basati sulle cellule staminali. Il team di ricerca ha fatto sapere che i risultati sosterranno inoltre l'ulteriore analisi del cosiddetto processo di adattamento delle colture, nel quale le hESC coltivate mimano l'accumulo di mutazioni genetiche tipiche della trasformazione maligna. Ciò potrebbe potenzialmente offrire indizi su alcuni meccanismi genetici responsabili dello sviluppo del cancro.

"La coltura prolungata delle hESC può portare a un adattamento e all'acquisizione di anomalie cromosomiche, rendendo necessaria una rigorosa analisi genetica di queste cellule", si legge nell'articolo.

I ricercatori stanno attualmente studiando le cellule staminali embrionali per determinarne il potenziale utilizzo nelle terapie rigenerative basate sulla sostituzione cellulare, perché hanno la capacità di auto-rinnovarsi e svilupparsi in una varietà di tipi di cellule e tessuti come ad esempio le cellule ematiche, i neuroni, le ossa e i muscoli.

Gli scienziati riconoscere tuttavia che i cambiamenti genetici si verificano in un certo numero di linee di hESC quando si moltiplicano in laboratorio, e questi cambiamenti possono assomigliare alle anomalie del DNA (acido desossiribonucleico) spesso presenti nelle cellule tumorali. Le hESC potrebbero inoltre subire altri cambiamenti genetici che i metodi tradizionali non riescono a rilevare. Ne risulta che nel mondo della medicina permangono gravi preoccupazioni riguardo al loro impiego.

Il team ha utilizzato l'analisi del DNA ad alta risoluzione per mappare le modifiche genetiche in 17 linee di hESC coltivate per molte generazioni e conservate in laboratori diversi. La loro analisi ha individuato 843 variazioni del numero di copie (CNV), e "in media, il 24% dei siti con perdita di eterozigosi (LOH) e il 66% delle CNV cambiavano durante la coltura, tra il passaggio precoce e tardivo della stessa linea", hanno scritto gli autori. Le CNV e LOH sono variazioni genetiche che potrebbero essere legate alla trasformazione tumorale. I ricercatori hanno scoperto che il 30% dei geni con siti CNV aveva "un'espressione alterata rispetto ai campioni con un numero di copie normale, di cui oltre il 44% erano funzionalmente collegate al cancro".

"Quando sapremo quali geni sono coinvolti, sarà più facile respingere le linee di hESC in cui tali geni sono più propensi a mutare", ha spiegato il co-autore Peter Andrews, professore del Centro di biologia delle cellule staminali presso l'Università di Sheffield nel Regno Unito e capo del consorzio ESTOOLS.

La squadra ESTOOLS è composta da 21 partner (18 istituti di ricerca universitari e 3 aziende) della Repubblica ceca, Finlandia, Germania, Italia, Israele, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. I partner del progetto ritengono che le attività di formazione e di divulgazione contribuiranno a massimizzare l'impatto della loro ricerca e a sviluppare una forte base competitiva europea per la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane.

FONTE: Molecularlab.it e Cordis
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Distrofia muscolare: un antinfiammatorio non steroideo e un farmaco della famiglia dei nitrati potrebbero aiutare clinicamente i pazienti affetti

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Un gruppo di ricercatori dell'Irccs "E. Medea" – La Nostra Famiglia, in collaborazione con ricercatori dell'Università di Milano, dell'Azienda Ospedaliera L. Sacco e dell'Irccs San Raffaele e coordinati da Emilio Clementi, ha dimostrato che una combinazione di farmaci già utilizzati singolarmente nell'uomo, un antinfiammatorio non steroideo e un farmaco della famiglia dei nitrati, ha efficacia terapeutica in un modello animale di distrofia muscolare, il topo privo del gene alfa-sarcoglicano. Lo studio, finanziato da Telethon Italia e Association Francaise contre les Myopathies è stato pubblicato dalla rivista "British Journal of Pharmacology".

La sperimentazione è durata un anno e ha riguardato un campione murino affetto da una forma di distrofia muscolare severa con aspetti patologici simili alla distrofia muscolare di Duchenne umana.
Alla fine del trattamento i topi, ai quali era stata somministrata una combinazione di farmaci con proprietà antiinfiammatoria e capaci di rilasciare nitrossido, hanno manifestato un aumento della resistenza allo sforzo muscolare, un miglioramento della struttura muscolare con riduzione delle componenti fibrotica e infiammatoria e un rallentamento del decorso della patologia murina in assenza di effetti collaterali. Il fatto che gli effetti benefici si siano mantenuti per tutto il periodo di studio è un indicatore importante di potenziale efficacia per una patologia a decorso cronico e progressivo come è la distrofia muscolare umana.

L'approccio farmacologico non è certamente risolutivo di patologie su base genetica, come le distrofie, tuttavia il rallentamento del decorso clinico e il fatto che il trattamento possa essere utilizzato in tutte le forme di distrofia muscolare è certamente un risultato importante, anche se la sua validità nelle distrofie umane necessita ancora di una prova clinica.

"Il nostro intento è quello di identificare approcci farmacologici innovativi capaci in se stessi di rallentare il decorso della malattia ma che possano anche fornire sostegno adeguato alla terapia cellulare – spiega Clementi – abbiamo riscontrato in questa combinazione proprietà farmacologiche importanti, che possono migliorare il quadro patologico ed agire in sinergia terapeutica con le cellule staminali".

Grazie al sostegno economico di Parent Project onlus Italia e dell'Irccs "E Medea", la tollerabilità e sicurezza del trattamento combinato con questi farmaci sono ora in studio clinico – il cui reclutamento si è chiuso - in un gruppo di pazienti distrofici adulti presso l'Irccs Medea stesso.

FONTE: Molecularlab.it
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Tra influenza e allergia: almeno 60.000 italiani a letto con tosse e raffreddore...

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Colpo di coda dell'influenza che, approfittando di questa fredda e nuvolosa primavera, è tornato a colpire. Sono infatti almeno 60.000 gli italiani a letto per forme simil-influenzali e quindi alle prese con raffreddore, febbre, mal di gola. Lo riferisce all'Agi il dottor Fabrizio Pregliasco, virologo all'Universita' di Milano, secondo cui questo vero e proprio "boom" dell'influenza di maggio è "un inatteso colpo di coda dell'influenza invernale, che quest'anno proprio non vuole finire". Non si tratta del virus dell'influenza stagionale, ne' dell'influenza A, ma di forme virali simil-influenzali "risvegliate" dal freddo. Il periodo primaverile e la comparsa tipica degli allergeni che portano a un'esarcebazione delle secrezioni crea un terreno favorevole all'impianto di questi virus che quindi possono in tal modo arrecare fastidi: "Le prime settimane di primavera, con i primi caldi - spiega Pregliasco - hanno risvegliato come ogni anno le allergie. Ora per molti si crea un ibrido tra gli effetti nefasti dell'inverno (cioe' l'influenza) e quelli della primavera, cioè il classico attacco allergico. Ed è difficile distinguere tra l'uno e l'altro". E proprio tale mancata distinzione favorisce il trascurare dei sintomi che in seguito, associandosi alla fatica, si fanno sentire con maggiore intensità. C'è poco da fare, insomma: "Dobbiamo solo aspettare che il maltempo passi e che finalmente la primavera faccia la primavera, col caldo e il bel tempo".

FONTE: Agi.it Salute
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